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martedì 1 settembre 2015

Professore per amore e la riscrittura della carriera di Hugh Grant





Professore per amore
(USA 2014)
Titolo originale: The Rewrite
Regia: Marc Lawrence
Sceneggiatura: Marc Lawrence
Cast: Hugh Grant, Marisa Tomei, Bella Heathcote, J.K. Simmons, Allison Janney, Chris Elliott, Emily Morden, Steven Kaplan, Aja Naomi King, Maggie Geha, Annie Q. Andrew Keenan-Bolger, Olivia Luccardi
Genere: collegiale
Se ti piace guarda anche: Words and Pictures, The English Teacher, Scrivimi una canzone

Hugh Grant era un nome importante di Hollywood. Era o forse dovrei dire fu, visto che è da parecchi anni che non se lo fila più nessuno.
Comunque no, non sto parlando di Hugh Grant-Hugh Grant. Sto parlando del personaggio che interpreta nel suo ultimo film, Professore per amore. E sì, forse sto parlando anche un po' di lui, Hugh Grant-Hugh Grant, intendo. Come spesso accade di recente, il confine tra attore e personaggio si fa sempre più sottile. Basti pensare a Michael Keaton in Birdman. O a Mickey Rourke in The Wrestler, e mica a caso compare pure qui Marisa Tomei. O basti pensare a qualunque malinconico film recente di e/o con Sylvester Stallone che fondamentalmente parla di come ormai nessuno, a parte il mio blogger rivale Mr. James Ford, se lo caghi più di striscio.

sabato 11 aprile 2015

LOVE IS STRANGE, CHIAMATE STRANAMORE PLEASE





I toni dell'amore - Love Is Strange
(USA, Francia, Brasile, Grecia 2014)
Titolo originale: Love Is Strange
Regia: Ira Sachs
Sceneggiatura: Ira Sachs, Mauricio Zacharias
Cast: John Lithgow, Alfred Molina, Marisa Tomei, Charlie Tahan, Cheyenne Jackson, Christina Kirk, Eric Tabach
Genere: strano
Se ti piace guarda anche: Looking, Girls, Dietro i candelabri

Ve lo ricordate Stranamore?
Io non me ne perdevo una puntata. All'epoca in cui andava forte, che faceva tipo 10 milioni di spettatori o qualcosa del genere, ero un bambinetto e lo guardavo insieme ai miei genitori. Allora non sapevo nemmeno che la sigla fosse un pezzo dei Beatles. Pensavo fosse un jingle realizzato apposta per il programma. Che volete? Avevo 12 anni o giù di lì. Nel corso del programma c'era spazio per storie d'amore di tutti i tipi, ma non credo abbiano mai parlato di una relazione gay. Non nelle prime storiche stagioni. D'altra parte Alberto Castagna, pace all'anima sua, era abbastanza un bigottone. Nelle stagioni più recenti, quelle con la Folliero, magari l'argomento è stato trattato e in tal caso i protagonisti di Love Is Strange avrebbero potuto contattare il programma per farsi aiutare.

lunedì 19 dicembre 2011

Le idi di marzo a dicembre? È proprio vero che non ci sono più le mezze stagioni

Ma come fa a far tutto?
Non è il titolo di un film con Sarah Jessica Parker (o meglio, lo è se considerate quella roba un film), bensì la domanda che mi faccio io su George Clooney.
Perché George Clooney è ovunque. Vai a tagliarti i capelli e te lo ritrovi sulle riviste patinate di gossip, impegnato a sbattersi (per finta) o a scaricare (per davvero) la Elisabetta nazionale o a provare mosse di wrestling insieme alla sua nuova fiamma Stacy Keibler. Su altri magazine te lo ritrovi invece alle prese con dichiarazioni impegnate sull’ambiente e poi accendi la tv e lo vedi sorridere mentre ti chiede: “Nespresso, what else?”. Eppure l’else c’è, perché subito dopo cerca pure di venderti un contratto a Fastweb.
A questo punto te lo immagini insieme a quei vecchi divi ritirati che fanno di tutto fuorché cinema. E invece no. Invece ti vai a leggere le nomination ai Golden Globe 2012 ed è un Clooney di qui, un Clooney di là. È il protagonista in versione papà di The Descendants, il nuovo acclamato film di Alexander Payne (quello là di Sideways e A proposito di Schimdt), che da noi uscirà nelle sale il 24 febbraio 2012. Ed è regista, attore non protagonista e pure co-sceneggiatore di questo Le idi di marzo.

Le idi di Marzo
(USA 2011)
Titolo originale: The Ides of March
Regia: George Clooney
Cast: Ryan Gosling, George Clooney, Evan Rachel Wood, Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa Tomei, Max Minghella, Jeffrey Wright, Gregory Itzin, Hayley Meyers
Genere: po-li-ti-co
Se ti piace guarda anche: Leoni per agnelli, Thank You For Smoking, Good Night, and Good Luck., Boss (serie tv)

Lo dico subito, perché non bisogna tenersi le cose dentro. Fa male tenersi le cose dentro. Le idi di marzo poteva essere un capolavoro. Invece è solo un gran bel film. Che facciamo, ci accontentiamo? Considerando il piatto molto ricco che ci è stato servito sulla tavola, per questa volta ci accontentiamo.


Philip Seymour Hoffman tocca il Sacro Gosling:
nemmeno lui sembra immune al suo fascino
Senza voler spoilerare troppo, la storia del film è politica. Molto politica. Talmente politica con i suoi discorsi a proposito di Democratici e Repubblicani che si potrebbe pensare a Le idi di marzo come a un film americano, troppo americano, ma considerando come i discorsi a proposito di Sinistra e Destra italiane non sono così lontani, questa storia è decisamente allargabile a qualunque contesto.
Anche perché la politica è merda. In tutto il mondo, è merda.

George Clooney ci scaraventa dentro il circo di una campagna elettorale in maniera inizialmente speranzosa. Il candidato da lui stesso interpretato alle primarie democratiche, il passo prima delle presidenziali vere e proprie, sembra infatti il volto del change, con un evidente parallelo con Obama, anche a livello dei poster promozionali che tappezzano le strade americane. Bei discorsi e belle parole, rigorosamente serviti dal team che gli sta dietro, per l’uomo che sembra poter cambiare faccia all’America. Guardando al futuro, all’ambiente, a un progresso eco sostenibile. Quello che il film si domanda, tra le altre cose, è fino a che punto ci si può spingere, fino a che compromessi e patti col diavolo si può scendere, in modo che il candidato giusto vinca le elezioni.
Un’altra cosa che si chiede è: ma questo candidato giusto è davvero giusto?

Il vero protagonista della vicenda non è però Clooney, che per sé ritaglia un ruolo da comprimario, iconico e d’impatto, ma pur sempre comprimario e con una personalità (volutamente?) poco incisiva. Non gli si può davvero rimproverare nulla, al Clooney: pure altruista è. Il protagonista è infatti Ryan Gosling, sì proprio il Man of the year 2011 di questo sito, che ci consegna un personaggio più loquace del suo solito, visto che è il portavoce del Clooney aspirante presidente degli United States of sta cippa. Se quindi possiamo sentire la sua voce più che in altri suoi film, in particolare Drive, qui Gosling ci consegna comunque un altro personaggione dei suoi, quelli ambigui, dalla doppia personalità e dalla doppia faccia. Quella del tipo che crede veramente in quello che fa, crede per davvero nel suo candidato e vuole aiutarlo a vincere le elezioni in maniera onesta, solo attraverso le idee che rappresenta. Però piano piano scopriamo anche un altro volto del Gosling, decisamente meno “dreamer” e molto più ambiguo.

Insieme a lui in questo viaggio elettorale troviamo la sexy stagista intepretata da Evan Rachel Wood che vuole portarselo a letto, e indovinate un po’: ci riuscirà o no? In più c’è un’altra attrice di The Wrestler (certo che Clooney negli ultimi tempi sta in fissa col wrestling più del mio blogger rivale Mr. Ford!), ovvero Marisa Tomei in versione giornalista/gola profonda/unica amica del Gosling portavoce. E in più alla seconda ci sono anche i sempre ottimi, ma qui in particolare, Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti, nei panni degli altri “complici” di Gosling nel dietro le quinte di questi intriganti giochini politici. Se a Cesare potrebbe sembrare una nuova pugnalata, immagino invece Enrico Mentana gongolare guardando questo film, che sembra scritto pensando apposta a lui e a chi è interessato alla politica e ai suoi retroscena. Gli altri potrebbero invece perdersi qua e là, visto che Clooney non gioca nemmeno troppo sulla carte della storia romantica tra Gosling e la E.R. - Stagista in prima linea Wood. A Clooney interessa raccontare altro perché, come già detto, il film è politico, molto politico. Pure troppo?

George Clooney ci tiene la manina a inizio viaggio, amorevole come un papà. Un papà che però a un certo punto decide di tirare via il velo di falsità e ipocrisie e raccontare a noi figlioletti la verità. Babbo Natale non esiste e i Democratici sanno fare porcate tanto quanto i Repubblicani. Anche peggio, se necessario. Perché se i Repubblicani non nascondono di come qualunque sotterfugio vada bene, pur di vincere, i Democratici giustificano le loro magagne con il motto: il fine giustifica i mezzi.
Le idi di marzo è un film molto duro con la politica, lascia aperte poche speranze, però avrebbe potuto colpire ancora più duro, in fondo il protagonista della nuova grandiosa serie tv Boss fa anche di ben peggio. Clooney è un regista molto classico e dirige con classe. Una classe che lo contraddistingue in tutto quello che fa, anche se solo uno spot pubblicitario. Questo è il suo grande pregio ma per me anche il suo principale limite. A livello visivo troviamo delle immagini forti, le bandiere americane onnipresenti e i volti svuotati di emozioni dei protagonisti, ma sembra mancare il pugno allo stomaco totale.
Queste idi di marzo ci riconsegnano un cinema politico denso e impegnato, che guarda agli anni ’70 per rappresentare con ferocia il presente, un po’ come l’ultimo Redford dell’interessante Leoni per agnelli. L’impressione che lascia il film è che ancora una volta, quando ci si trova di fronte al Clooney, sia regista che attore, è che tutto funzioni bene, eppure manchi giusto il colpo da K.O.
E invece il momento più forte del film arriva proprio con il finale, con delle parole che ronzeranno nelle orecchie a parecchi, politici ma non solo, terminata la visione. Qualcuno le ricorderà e le farà proprie, qualcun altro si rigirerà nel letto per un po’ prima di riuscire a prendere sonno. E poi spegnerà la luce.
(voto 7,5/10)

sabato 26 novembre 2011

Questo piccolo grande (ma pure pazzo e stupido) amore

Crazy, stupid, love
(USA 2011)
Regia: Glenn Ficarra, John Requa
Cast: Steve Carell, Ryan Gosling, Emma Stone, Julianne Moore, Analeigh Tipton, Jonah Bobo, Marisa Tomei, Liza Lapira, Kevin Bacon, Josh Groban, Julianna Guill, Beth Littleford
Genere: intrecciato
Se ti piace guarda anche: Magnolia, Love Actually, Le amiche della sposa

Crazy stupid love dice il titolo. Se il love glielo concediamo, visto che Love is all around e tutta la commedia gira intorno a quello, tanto crazy questo film (purtroppo) non è. Ma (per fortuna) non è nemmeno stupid.
Eh va beh, allora mettiamo titoli a caso.
Hey, un attimino… anche io lo faccio sempre, quindi siete perdonati, cari i miei due registi autori della pellicola.
"Davvero ho bisogno di cambiare look???"
Crazy stupid love ha quindi il pregio di non essere un’altra stupida commedia americana, visto che l’ispirazione sembra trovarla, sarà anche per via della rossa presenza di Julianne Moore, più che altro in Magnolia, un riferimento anche per quel vero splendore di comedy recente che è Le amiche della sposa. Se pensare che un melodrammone come Magnolia possa essere diventato un punto di riferimento per la nuova commedia a stelle e strisce fa un po’ strano, il risultato che ne è venuto fuori in questo caso è piuttosto di buon livello, sebbene siamo molto lontani dal capolavoro andersoniano.

L’intreccio dei personaggi è costruito in maniera interessante, con due storie che sembrano viaggiere in parallelo senza sfiorarsi mai. Fino a che, inevitabilmente finiranno per incrociarsi e sbattere quasi una contro l’altra.
Da una parte c’è la situazione ormai tipica da American Beauty in poi della crisi famigliare: Julianne Moore vuole divorziare dal marito Steve Carell e lui finisce per doversi reinventare. Lui che nella vita è stato con una sola donna, adesso deve ritornare sulla piazza e per farlo troverà l’inaspettato aiuto dell’uomo più figo del momento:
Ryan Gosling.

E poi non dite che su questo sito ci sono solo donnine ignude...
Ero molto curioso di vedere come se la sarebbe cavata il buon Ryan, uno dei miei attori preferiti fin da tempi insospettabili, alle prese per una volta con la commedia. Il suo volto da bravo ragazzo ma venato di un’ombra oscura e inquietante gli aveva infatti portato fino ad ora più che altro parti in ruoli parecchio ambigui. Se escludiamo gli esordi nella serie del Giovane Hercules (aaaaaaRGH!), è stato infatti l’ebreo antisemita in The Believer, l’insospettabile killer di All good things, il marito con qualche sclero di Blue Valentine, l’autista (quasi) autistico che quando gli attaccano i 5 minuti son cazzi di Drive e varie altre parti sempre in qualche modo da “spostato” (Lars e una ragazza tutta sua, Formula per un delitto, Stay…).
Anche questa volta il supercool Ryan interpreta un personaggio che ha il suo doppio lato, seppure entrambi i lati risultino molto più palestrati del solito: da una parte l’insensibile e superficialone playboy un po’ alla Christian Troy di Nip/Tuck che se ne fa una diversa ogni sera, dall’altra il sensibile e profondo cucciolone che cadrà innamorato come una pera cotta per Emma “easy girl” Stone, a formare una delle coppie cinematografiche più belle degli ultimi tempi.
I due tra l’altro sono protagonisti di un “Dirty Dancing moment”, che ormai e chissà perché sembra diventato immancabile in ogni buona commedia che si rispetti, visto che è il cult movie di Zooey Deschanel nella sitcom New Girl e gioca un ruolo importante anche nella gradevole commedia francese Il truffacuori.
Altra fissazione delle commedie, questa volta tutta all’insegna di Emma Stone, è la mania di citare La lettera scarlatta, cui il film Easy Girl (molto) vagamente si ispirava e che pure qui viene menzionato. Strane coincidenze che denotano pure come questa pellicola per quanto ben orchestrata non sia esattamente il massimo dell’originalità.

Oltre alla coppia d’oro Stone/Gosling, funziona un po’ meno il resto del cast: Julianne Moore e Marisa Tomei la sfangano con professionalità ma a me sembrano più a loro agio con il drama, Kevin Bacon è sprecato in un piccolo ruolo che poteva essere molto più bastardo, poi ci sono anche la giovane promettente Analeigh Tipton e il meno promettente Josh Groban, cantante tenore pop, una sorta di Bocelli americano e vedente, nei panni dell’insopportabile fidanzato di Emma Stone. Parte che, chissà perché, gli riesce assolutamente naturale. Quella del tipo insopportabile, non del boyfriend della Stone più sexy dai tempi di Sharon in Basic Instinct.
Il protagonista principale è invece uno Steve Carell più convincente del solito che però limita il suo apporto umoristico. Che poi il limite principale di questo Crazy, Stupid, Love è proprio quello di funzionare più su un versante riflessivo, ma poco dal punto di vista comico. Insomma, in questa comedy si ride un po’ pochino. Però la parte drama non è niente male.

Altri difetti? Ritmi lenti che portano a una durata un filo eccessiva e soprattutto un finale come al solito troppo, troppo happy per i miei gusti, con la consueta scenona del discorso pubblico finale di quelle che capitano solo nei film ammericani.
Cosa devo fare per evitare che le commedie finiscano necessariamente con un discorso pubblico?
Dite che l’unico modo è fare un discorso pubblico?
Ma allora questo è un circolo vizioso che non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine
(voto 6,5/10)
no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha una fine no non ha

giovedì 31 marzo 2011

Solitario nella notte va, se lo incontri gran paura fa…

Quarta fermata nel folle mondo di Aronofsky, dopo π - Il teorema del delirio, Requiem for a Dream e The Fountain - L'albero della vita.

The Wrestler
(USA 2008)
Regia: Darren Aronofsky
Sceneggiatura: Robert D. Siegel
Cast: Mickey Rourke, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Mark Margolis, Todd Barry, Wass Stevens, Judah Friedlander, Ernest Miller
Genere: power-ballad
Se ti piace guarda anche: The Fighter, Rocky Balboa, 8 Mile, Million Dollar Baby

Aronofsky goes mainstream? Il regista mette da parte per una volta ossessioni personali ed eccessi visivi e preferisce rimanere concentrato sulla storia. Per fortuna, fare un film “normale” non è comunque affar suo e quindi pur realizzando il suo lavoro più lineare e meno visionario, Aronofsky si inventa un modo suo per rendere comunque l’insieme il più indigesto possibile al pubblico di massa e agli Oscar. Per notare la differenza con una storia simile ma realizzata in maniera più tradizionale basti vedere The Fighter, altro progetto cui Aronofsky avrebbe dovuto partecipare, preferendo alla fine la storia più disperata e meno alla Rocky di questo The Wrestler.

Il regista prende la sua macchina da presa, si trasferisce a vivere alle spalle del protagonista e lo segue ovunque con le sue tanto amate riprese a mano, un vero marchio di fabbrica di Aronofsky. A rendere la pellicola ancora più fisica e viscerale è la scena di un violentissimo incontro di wrestling, ben più sanguinoso e cronenberghiano di quanto si sia mai visto nei patinati match WWE di John Cena, lontani anni luce dalle palestre di serie B qui narrate.
La storia del Randy “The Ram”, interpretato da un Mickey Rourke quasi autobiografico e ancora alive and kicking, è la più semplice finora narrata da Aronofsky, ma rifugge in tutto e per tutto le solite trappole del genere sportivo/riscatto sociale. Questa non è la bella vicenda di una rivincita come nel sopra citato The Fighter, bensì una storia girata con stile (quasi) documentaristico che è uno sprofondare progressivo fino alla caduta (oppure no?) finale, in maniera analoga a quanto capita ai malcapitati di Requiem for a Dream e alla Nina del successivo Il cigno nero. Insomma, al regista non interessa tanto la classica parabola ascesa e declino, ma solo il declino. Che poi è la parte più avvincente, quindi perché perdere tempo a parlare anche dell’ascesa come fanno tanti altri?

Come al solito con il regista newyorkese, l’interpretazione del film non è comunque univoca, ma assolutamente libera. The Ram può essere infatti visto come un idolo assoluto (forse da Mr. Ford?), mentre per quanto mi riguarda è un tizio ancorato al passato che non si è accorto che gli 80s sono finiti da un pezzo, una versione squattrinata dei bolliti Hulk Hogan e Ozzy Osbourne “ammirati” nei rispettivi reality di Mtv “Hogan Knows Best” e “The Osbournes”, uno di quelli che se ne escono con deliri che lasciano il tempo che trovano come: “Gli anni Ottanta sì che erano forti, poi è arrivato quel frocetto di Kurt Cobain e ha rovinato tutto”. Una frase che la dice lunga su un uomo incapace di andare avanti e che vive nel mito di un “glorioso” passato fatto di hair-metal band che mai tornerà (per fortuna). Perché gli anni ’80 sono stati pieni di roba grandiosa, ma non di certo quella rimpianta da The Ram.

E così questa è la power-ballad rock del regista, l’unica finora di una carriera più incentrata su una sperimentazione che in musica trova analogie con Radiohead e Aphex Twin. Da fuoriclasse quale è se l’è cavata in maniera eccellente, ma la dimensione che più gli è congeniale resta tutt’altra. Stavolta è rimasto a guardare dal di fuori, senza entrare dentro lo specchio come ha poi fatto con la ballerina Nina. La mia impressione è che questo film sia stato vissuto in maniera personale più da Mickey Rourke che non da Aronofsky, qui in viaggio in trasferta per una volta non dietro ai suoi di trip mentali, ma dentro quelli di un altro.
(voto 7/8)

Accoglienza: Leone d’Oro a Venezia 2008, è probabilmente il film di Aronofsky che ha ricevuto le recensioni migliori dalla critica, sicuramente comunque quello che ha generato meno odio nei suoi confronti. Nomination agli Oscar per Mickey Rourke e per Marisa Tomei in versione stripper (ingiustamente ignorata invece l'ottima Evan Rachel Wood). Golden Globe come miglior protagonista a Rourke e come miglior canzone originale a “The Wrestler” di Bruce Springsteen.
Box-office USA: $ 26 milioni

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