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martedì 22 marzo 2016

Daddys' Home, una famiglia con due padri. Ma non ditelo ad Adinolfi!





Daddy's Home
(USA 2015)
Regia: Sean Anders
Sceneggiatura: Sean Anders, John Morris, Brian Burns
Cast: Will Ferrell, Mark Wahlberg, Linda Cardellini, Owen Vaccaro, Scarlett Estevez, Hannibal Buress, Thomas Haden Church, Bobby Cannavale, Bill Burr
Genere: paternalistico
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Ho visto Daddy's Home il giorno della Festa del Papà ed è stato un po' come vedere Miracolo nella 34ª strada il giorno della vigilia di Natale. O qualcosa del genere. Io non credo in tante cose, non credo ad esempio in Babbo Natale anche se - chi lo sa? - magari esiste veramente, però credo che i film vadano visti nel momento giusto. Credo nella “stagionalità” del cinema.
In questi giorni ad esempio si trova in rete il comedy-horror Krampus - Natale non è sempre Natale e io sono pure curioso di guardarlo, ma mi sa che un film del genere fino alle prossime festività invernali non me lo sparerò. Non posso mica tradire la stagionalità del cinema.
Così come i film della serie di Vacanze di Natale. Quelli non possono essere visti in primavera oppure in estate. A dirla tutta, quelli non dovrebbero essere visti mai.
Ci sono poi pellicole che sono buone per un paio di occasioni, ma sono casi rari, come Nightmare Before Christmas, che va benissimo ad Halloween, così come pure before Christmas.
Volete un film ideale per la stagione primaverile appena cominciata?
Beh, è ovvio: Spring Breakers forever, bitches!

venerdì 17 luglio 2015

Ted 2, lettera aperta a Seth MacFarlane





Ted 2
(USA 2015)
Regia: Seth MacFarlane
Sceneggiatura: Seth MacFarlane, Wellesley Wild, Alec Surkin
Cast: Mark Wahlberg, Ted, Jessica Barth, Amanda Seyfried, Morgan Freeman, Giovanni Ribisi, Sam J. Jones, John Carroll Lynch, John Slattery, Tom Brady, Jessica Szohr, Jay Leno
Genere: ripetitivo
Se ti piace guarda anche: Ted, I Griffin, The Cleveland Show, American Dad, Un milione di modi per morire nel West

Scrivo questa lettera aperta a Seth MacFarlane direttamente dalla pagina web Pensieri Cannibali, molto nota, almeno tra noi orsetti. Il motivo?
Voglio esprimere tutto il mio dissenso nei confronti dell'immagine che le sue due pellicole Ted 1 e Ted 2 danno di noi orsetti. Non siamo tutti così. Non siamo tutti dei maleducati e dei drogati. Insomma, porca puttana, nel periodo d'oro dell'ero ci facevamo, però adesso alcuni di noi sono puliti o quasi. Non è che passiamo tutto il giorno a farci dei bong cantando Maria Salvador. Di tanto in tanto ci facciamo pure di crack. Caro rimbombamico rinconglionito, se vuoi fare un film su noi orsetti, ti invito quindi a documentarti per bene, prima.

venerdì 25 luglio 2014

TRANSGENDERS 4 – L’ERA DELL’EVIRAZIONE





Transformers 4 – L’era dell’estinzione
(USA, Cina 2014)
Titolo originale: Transformers: Age of Extinction
Regia: Michael Bay
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Cast: Mark Wahlberg, Nicola Peltz, Jack Reynor, Stanley Tucci, Kelsey Grammer, Titus Welliver, T. J. Miller, Sophia Myles, Bingbing Li, Jessica Gomes
Genere: robotico
Se ti piace guarda anche: gli altri Transformers, Pacific Rim, Noah

La serie di Transformers a me fa lo stesso effetto di quanto possono fare dei mattonazzi russi stile La corazzata Potëmkin sulla gente normale. Tre ore di robot che parlano e combattono sarebbe “cinema d’intrattenimento”? Io non riesco a immaginare niente di più noioso.
Pensare che il primo tempo del primo film della serie mi era anche piaciucchiato abbastanza. Sarà che era ricco di umorismo e Shia LaBeouf sembrava il giovane cazzaro giusto al momento giusto. O sarà che c’era Megan Fox. Sì, sarà per quello. Fatto sta che già dal secondo tempo di quella pellicola, dominata da una lunghissima, estenuante, interminabile guerra tra robottoni giganti, la serie dimostrava di essere una cagata pazzesca. Impressione confermata dal pessimo sequel e ancora di più dal terzo allucinante episodio, in cui non c’era più manco la consolazione di vedere Megan Volpe. Tre ore, forse anche più, di robot che si danno delle mazzate e una trama che a me è sembrata del tutto incomprensibile. Altroché i film di Lynch o Malick o Aronofsky.
Anche perché va bene la sospensione dell’incredulità, ma come si fa a prendere sul serio dei robottoni giganti che discutono?
È la stessa cosa che si deve chiedere Barack Obama quando si ritrova a colloquio con il Premier italiano Matteo Renzi e questo si mette a parlargli così…



Barack Obama può prendere sul serio un uomo del genere per decidere le sorti del nostro mondo?
E io posso prendere sul serio un film con dei robottoni, o meglio dei veicoli alieni parlanti già passati di moda negli anni Ottanta, che vorrebbero decidere le sorti del nostro mondo?

"Basta, non siete reali. Le auto non possono parlare.
Voci, uscite dalla mia testa!"
Rispetto agli episodi precedenti, questa volta giunta al quarto appuntamento la saga si è transformata e propone delle grandissime novità…
No, non è cambiato il regista. Al timone c’è sempre Michael Bay. Purtroppo. A essere cambiato è il protagonista, non più il simpatico – oh, che volete? a me sta simpatico – Shia LaBeouf, bensì l’action hero preferito dal regista, Mark Wahlberg. Cambio della guardia anche per quanto riguarda la gnocca, in questo caso la teen-gnocca. A raccogliere il pesante testimone dell’insuperabile Megan Fox e della bella ma recitativamente irrilevante Rosie Huntington-Whiteley c’è questa volta la giovanissima Nicola Peltz. Può suonare un po’ gay dirlo, però Nicola è proprio affascinante.
La bionda scoperta dalla serie Bates Motel non è l’unico volto telefilmico ingaggiato dal Bay. Insieme a lei ci sono il funny T. J. Miller della nerd comedy Silicon Valley, in cui veste un identico ruolo da cazzaro combinaguai, e l’ottimo Kelsey Grammer ex protagonista di Boss, in cui aveva un identico ruolo da gran bastardo.
La parte con gli umani tutto sommato funziona. Il rapporto tra padre padrone, un inventore fallito come il papà nei Gremlins, e figlia che vorrebbe zoccoleggiare con il boyfriend ma non può è la parte migliore della pellicola. Ricorda le commedie con Adam Sandler, solo che qui c’è Mark Wahlberg in un similare ruolo da classico americano vecchio stampo. Ricorda poi soprattutto Armageddon, con il “triangolo” Bruce Willis/Liv Tyler/Ben Affleck che qui rivive attraverso i citati Mark Wahlberg e Nicola Peltz, più la novità Jack Reynor, che sarà anche un bel ragazzo, ma come attore è ancora tutto da verificare.

Michael Bay quindi clona se stesso, ma se non altro clona il se stesso migliore, quello di Armageddon. Le cose per quanto mi riguarda vanno peggio, molto peggio, quando entrano in scena tutti ‘sti robottoni inguardabili. Il problema di Transformers sono… i Transformers.
Lo so che il pubblico della saga è accorso in massa nei cinema a vedere proprio loro, però a me fanno pena. A stare a guardare questi camion che dialogano tra loro facendo i finti simpatici, sento che quei pochi neuroni che ancora abitano nel mio cervello mi fanno “Ciao ciao” con la manina.

La prima parte del film, quella più “umana”, è quasi quasi decente, almeno rispetto agli standard della saga, e fa diventare questo quarto capitolo il migliore dai tempi del primo episodio. Nella seconda parte come al solito si degenera in un’assurda guerra robotica tra Pessimus Prime con i suoi amichetti e tutti gli altri, con un sacco di esplosioni e inseguimenti senza fine. Va dato atto a Michael Bay di aver cercato di realizzare un film più intimista, per quanto gli è possibile con il suo tatto da elefante, e così le battaglie si sono fatte più rallentate. Il risultato è meno fracassone del solito, e questa è una buona notizia, ma a Michael Bay andrebbe comunque vietato l’uso del ralenty che tra l’altro, a ormai 15 anni dall’uscita del primo Matrix, è ormai stra-sorpassato.

"Chissà perché Cannibal Kid ci odia tanto?
Eppure siamo così simpatici e tenerosi!"
Per essere un film sui Transformers, questo L’era dell’estinzione non è nemmeno troppo male. Per essere considerato Cinema vero e proprio, la strada è invece molto lunga. Ridatemi allora i film di Lynch, Malick e Aronofsky. Anzi, di quest’ultimo magari no. Se qualche settimana fa mi avessero detto che l’ultimo di Darren Aronofsky sarebbe stato peggio del quarto capitolo di Transformers, avrei gridato alla bestemmia e invece… invece Transformers 4 è un pelino meglio di Noah. In entrambi i casi si tratta comunque di cinema cui è stata evirata una componente fondamentale: la credibilità. Credibilità, elemento che anche in un contesto fantasy può essere ben presente, si vedano Il signore degli anelli o Game of Thrones, sostituita da una serie di Gormiti, Transformers, Kaijū usciti da Pacific Rim e altri improponibili giganti vari. I protagonisti di un’era cinematografica cui auguro una rapida estinzione.
(voto 5-/10)

giovedì 27 febbraio 2014

LONE SURVIVOR – NE RESTERÀ SOLTANTO UNO




Lone Survivor
(USA 2013)
Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Peter Berg
Ispirato al libro: Lone Survivor: The Eyewitness Account of Operation Redwing and the Lost Heroes of Seal Team 10 di Marcus Luttrell, Patrick Robinson
Cast: Mark Wahlberg, Taylor Kitsch, Emile Hirsch, Ben Foster, Eric Bana, Alexander Ludwig, Jerry Ferrara, Yousuf Azami, Ali Suliman, Rick Vargas
Genere: bellico
Se ti piace guarda anche: Captain Phillips, Zero Dark Thirty, Friday Night Lights

Avete visto Zero Dark Thirty?
No?
Risposta sbagliata. Questa non era una domanda in cui tutte le risposte vanno bene. No è la risposta sbagliata, quindi correte subito a vederlo.

L’avete visto adesso?
Bravi. Cosa c’entra Lone Survivor con Zero Dark Thirty?
A livello cinematografico non molto. Zero Dark Thirty è un quasi capolavoro, Lone Survivor è un film quasi decente. A livello di tematica hanno però qualcosa in comune. Il filmissimo di Kathryn Bigelow si concentrava soprattutto sull’ossessione di una donna nei confronti di un uomo. Non si trattava però né di una romcom, né della pellicola su una stalker psicopatica. L’uomo a cui dava la caccia era infatti un certo bin Laden.
Ma uno più bello cui dare la caccia no, eh?” si chiederà qualcuno a questo punto.
La parte finale di Zero Dark Thirty comunque era incentrata sulla missione compiuta dai Navy SEALs per stanarlo e catturarlo.
Lone Survivor è su questi ultimi che si concentra. Non ci racconta della stessa missione, ma ce ne presenta un’altra, avvenuta qualche anno prima, più precisamente nel 2005. Una vicenda veramente accaduta raccontata in un libro diventato ora una pellicola cinematografica, tra l’altro di grande successo negli USA dove ha sfondato il muro dei $100 milioni di incasso, traguardo niente male per un film bellico.

Se in Zero Dark Thirty la protagonista era Jessica Chastain, esticazzi, qui in Love Survivor la storia è incentrata sui Navy SEALs, buuu. Nella prima mezz’ora, la parte migliore della pellicola, assistiamo a un interessante spaccato della loro esperienza nell’esercito, con qualche lampo riguardante la loro vita privata che ci consente di avvicinarci un pochino a loro. Una cosa che in altri recenti film survival, perché pur sempre di questo alla fin fine fondamentalmente si tratta, come All Is Lost e Gravity non avviene. Un aspetto positivo che metterei di certo tra i punti, purtroppo non molti, a favore del film.

"SOS! Sullo smart phone non mi funzionano più le app.
Potete fare subito qualcosa che devo finire una partita a Quiz Duello?"
La parte iniziale è quindi promossa, anche perché fin dal primo istante si sente il tocco del regista Peter Berg.
Chi è Peter Berg?
È quello di Friday Night Lights, pellicola sul football americano di una decina d’anni fa diventata anche una omonima fortunata, almeno negli USA, serie tv di cui dalle parti di Pensieri Cannibali si è parlato sempre bene. I primi minuti fanno ben sperare, grazie alle musiche post-rock degli Explosions in the Sky e a dialoghi e atmosfere delicate che paiono dirigerci nella visione di una specie di versione bellica dello stesso Friday Night Lights, con i mitra al posto dei palloni ovali. Pure in questo caso, così come nella serie tv, si riesce ad andare oltre i classici stereotipi da cameratismo militaresco per provare a proporci un’immagine un pochino diversa dal solito dei soldati: dei ragazzi che vanno ai concerti dei Coldplay, ballano sulle note di Jamiroquai e a tavola disquisiscono amabilmente di carta da parati e arredamento. Verosimile o meno che ciò sia, non è la tipica rappresentazione di militari che si limitano a ruttare, scoreggiare, masturbarsi e ascoltare i Metallica. Quando si va oltre gli stereotipi, è sempre un bene.

Bene, bravo Peter Berg. Se il film si fermasse dopo mezz’ora, ci troveremmo di fronte finalmente a una pellicola bellica recente decente e originale. Poi però Peter Berg si ricorda di essere non solo l’autore di Friday Night Lights, ma anche il regista di Battleship e così Lone Survivor si trasforma nell’ora successiva in un filmone fracassone che spettacolarizza la guerra.
Io non ho niente contro la spettacolarizzazione della violenza. Il mio regista preferito è un certo Quentin Tarantino, ormai dovreste saperlo. Laddove però la sua è una violenza esagerata e fumettistica, persino quando si muove in contesti storici come quelli di Bastardi senza gloria e Django Unchained, qui ci troviamo in una pellicola tratta da una storia vera e che punta a un certo realismo di fondo. In un contesto del genere, certe scene spettacolarizzate non le ho davvero capite, come la tragicomica e insistita caduta da un dirupo, che mi ha ricordato quando Homer Simpson saltava la Gola di Springfield e cadeva rovinosamente. In quel caso l’effetto era comico, qua si rimane soltanto senza parole. Stesso discorso per la scena della morte di uno dei personaggi del film. Perché mostarcela in un modo così esagerato e con un tatto quasi degno di Vittorio Feltri? Bah.

"Forse la mattina appena sveglio dovrei prendere l'abitudine di lavarmi la faccia..."
Dopo Battleshit, ehm Battleship, Peter Berg si conferma allora come un Michael Bay intimista. Ha buone intuizioni, ci regala qualche momento niente male, ma poi finisce nella trappola del cinema-spettacolo ammericano più facile. Non stupisce che il pubblico yankee abbia apprezzato tanto la pellicola. Laddove come film giocattolo funziona ancora, se non altro più di un altro survival-realistico analogo come il soporifero Captain Phillips, a mancare alla visione è un minimo di profondità.
Il film non cerca di impelagarsi in implicazioni politiche. Questo da una parte è un bene, perché se non altro non scade nella propaganda pro-Bush che sarebbe apparsa discutibile già nel 2005, figuriamoci oggi. Dall’altra parte, non proponendo alcuna visione politica, Lone Survivor resta un action fine a se stesso. Una celebrazione dell’eroismo da parte di un gruppo di ragazzi, di uomini pronti a dare la loro vita, ma non si sa bene per quale motivo.

ATTENZIONE SPOILER
I titoli di coda che ci mostrano i veri soldati che sono morti durante l’operazione rappresentata nel film vorrebbero essere emozionanti, e immagino che per una parte del pubblico lo siano anche, ma a me sono sembrati una ruffianata degna di Studio Aperto. Del tutto fuori luogo poi le note di “Heroes” di David Bowie, qui proposta nella cover di Peter Gabriel. Che fossero uomini coraggiosi non lo metto in dubbio, ma eroi? Per quale motivo? Perché hanno combattuto per George W. Bush?

George W. Bush con Marcus Luttrell, interpretato nel film da Mark Wahlberg

Al di là di un discorso di tipo moralistico, sì oggi mi sento molto moralizzatore delle Iene, da un punto di vista cinematografico Lone Survivor è una pellicola troppo lunga, incerta se proporre una visione umanista oppure fracassona della guerra, con una serie di interpretazioni non molto memorabili da parte del solito poco efficace Mark Wahlberg e dei questa volta parecchio sottotono Ben Foster ed Emile Hirsch. Quello più in parte sembra Taylor Kitsch, cocco di Peter Berg che non è mai stato un mostro di recitazione. E il fatto che il migliore sia lui la dice lunga sull’impegno da parte degli altri…

Lone Survivor è allora la classica occasione sprecata. Non partivo con grosse aspettative ma la prima mezz’ora, dannato Peter Berg, era accattivante e promettente e mi aveva fatto ben sperare, peccato che poi il film diventi la solita americanata. E allora vai, anche questo post adesso si trasforma in un’americanata!

Dai, tutti con la mano sul cuore a cantare:

Oh, say can you see by the dawn's early light
What so proudly we hailed at the twilight's last gleaming?
Whose broad stripes and bright stars thru the perilous fight,
O'er the ramparts we watched were so gallantly streaming?
And the rocket's red glare, the bombs bursting in air,
Gave proof through the night that our flag was still there.
Oh, say does that star-spangled banner yet wave
O'er the land of the free and the home of the brave?
(voto 5,5/10)

venerdì 13 settembre 2013

PAIN & BAY – MUSCOLI E DE ROCK




Pain & Gain – Muscoli e denaro
(USA 2013)
Titolo originale: Pain & Gain
Regia: Michael Bay
Sceneggiatura: Christopher Markus, Stephen McFeely
Ispirato a: una serie di articoli di Pete Collins pubblicati sul Miami New Times
Cast: Mark Wahlberg, Anthony Mackie, Dwayne Johnson, Tony Shalhoub, Bar Paly, Rob Corddry, Ed Harris, Rebel Wilson, Ken Jeong, Michael Rispoli, Keili Lefkovitz, Peter Stormare, Nikki Benz, Mindy Robinson
Genere: pompato
Se ti piace guarda anche: Le belve, Domino, Crank, Small Apartments

Quest’estate ho visto una puntata in replica de Il testimone, il docu programma di Mtv con l’ex iena Pif. L’episodio di turno, “Il culturista”, risalente al lontano 2008, era incentrato su Daniele Seccarecci, un campione di body-building dal fisico davvero impressionante. Forse persino più di quello di The Rock.


Per avere un corpo del genere e per poterlo sfoggiare alle più importanti competizioni del mondo, Daniele si allenava praticamente tutto il giorno. Sempre. Dalla mattina all’alba, fino all’ultimo allenamento (relativamente) defaticante a tarda notte, prima di andare a dormire. Dura la vita del culturista. Per una volta non lo dico in maniera ironica. Davvero dura vivere così, passando in palestra, anzi in 2 palestre, tutta la giornata, contando ogni caloria ingerita e mangiando 5 volte al giorno cibi non proprio goduriosissimi.
La scorsa settimana è arrivata la notizia raggelante che Daniele è morto di infarto. Aveva 33 anni. Dopo aver visto la puntata de Il testimone, la cosa che mi stupisce di più è che ci sia arrivato, a 33 anni. Una vita del genere è più faticosa che una in miniera e se a ciò aggiungiamo gli steroidi, di cui lo stesso Seccarecci aveva ammesso l’uso, la sorpresa è ancora minore.
Come spiega Marcello Chironi, il medico legale che ha eseguito l’autopsia sul suo cadavere:

“L'infarto con molta probabilità è legato a una condizione di stress fisico a cui il soggetto aveva sottoposto tutto l'organismo per l'attività che svolgeva.”

Ironico che un uomo che ha curato in maniera così maniacale i suoi muscoli sia stato tradito proprio dal muscolo più fragile, il cuore.
Cosa ha a che fare questa triste storia di una vita tirata all'estremo con Pain & Gain – Muscoli e denaro?
Forse niente, forse tutto, però guardando il film mi è venuto in mente lui. Daniele sarebbe tranquillamente potuto essere uno dei protagonisti della pellicola, ispirata a fatti realmente accaduti, anch’essi fissati quanto lui con il pomparsi i muscoli e anch’essi con il credo del fitness elevato non solo a passione, ma a vero e proprio stile di vita.

"The Rock, ho paura. L'ultima volta che ti ho stretto la mano
sono finito all'ospedale..."
Avere un fisico pazzesco, da superuomini, non basta però a Daniel Lugo alias Mark Wahlberg. Per fare la bella vita servono anche i soldi e come farli, nella maniera più veloce? In maniera legale non gli sembra possibile e così coinvolge nella realizzazione di un colpo criminale un paio di amichetti. Amichetti? Diciamo amiconi, pompatissimi come sono pure loro. Anthony Mackie, attore solitamente talentuoso che qui soffre del ruolo più stereotipato, quello da palestrato idiota persino più degli altri tutto muscoli e niente cervello e niente nemmeno d’altro (manco gli funziona il pene), e poi Dwayne “The Rock” Johnson. Il wrestler offre la performance recitativa migliore della sua carriera insieme a quella in Southland Tales, più che altro perché le sue altre interpretazioni fanno davvero pena, però se la cava soprattutto quando fa il palestrato timorato di Dio. E vedere The Rock con la t-shirt Team Jesus è una trovata piuttosto divertente, bisogna ammetterlo. Come palestrato cocainomane, invece, The Rock conferma tutti i suoi limiti recitativi ma vabbé, da lui fuori da un ring mica si può pretendere di più.

"Hey Cannibal, entra a far parte anche tu del Team Jesus.
Non è una richiesta, è un ordine!"

"Che tette!"
"Uh, come sei sfacciato..."
"Tipa, veramente mi riferivo a quelle di The Rock, mica alle tue!"
I tre palestrati organizzano allora la truffa perfetta: rapire un riccone e fargli girare a loro tutti i suoi averi. Peccato che siano tre decerebrati e quindi tutto quello che può andare storto, va ancora più storto. D’altra parte, non hanno una grossa esperienza criminale alle spalle e il loro sapere si basa solo sul cinema:
Ho visto un sacco di film, Paul. So quello che faccio” dice sicuro di sé Mark Wahlberg a The Rock.
La vicenda parte a razzo e nella prima parte il film sembra avere davvero qualcosa da dire, sia sui palestrati che sull’American Dream. Solo che tutto quello che aveva da dire, lo esaurisce nei primi minuti, e poi si va a finire nella solita vicenda criminale raccontata con toni ironici che finisce per annoiare. Sembra di assistere a un Le belve di serie B, con in cabina di regia Michael Bay che non è proprio Oliver Stone. Per niente. O ancora, pare un tentativo di eBay di fare la sua versione di Domino, non un capolavoro ma comunque una delle pellicole migliori del compianto Tony Scott. Stessa fotografia con colori iper-saturi e anche in questo caso alle spalle c’è una vicenda criminale ispirata a fatti realmente accaduti. Risultato purtroppo inferiore.

La pecca principale del film è proprio il suo regista. Da una storia del genere, ben altre soddisfazioni ci avrebbe potuto regalare un Harmony Korine, si veda il suo parecchio più profondo affresco pop su una generazione superficiale come quella di Spring Breakers, o uno Steven Soderbergh, che in Magic Mike ci ha raccontato dei personaggi non troppo dissimili da questi tre energumeni con maggiore cognizione di causa. E pure maggiore divertimento.

Non fatevi ingannare: se non c'è un esplosione, non è un vero film di Michael Bay.
Lo stile registico di Michael Bay, già lo sapevamo ma è sempre brutto averne conferma, è ridondante ed eccessivo, a breve dà noia con tutti suoi ralenty enfatici piazzati in momenti che non lo sono poi molto, un uso maldestro della colonna sonora, con “Gangsta’s Paradise” di Coolio e “Blaze of Glory” di Bon Jovi messe lì come sottofondo e non sfruttate a dovere, un utilizzo eccessivo di riprese roteanti e altri espedienti registici, con cui sembra gridare come un bambino: “Guardate quanto sono bravo! Guardate quanto sono bravo!”. Il problema è che, dopo una buona partenza, il suo maldestro tentativo di fare un film d'autore, o qualcosa che gli somigli, faccia acqua da tutte le parti.

La filosofia di Michael Bay sembra allora la stessa del protagonista del suo film, Daniel Lugo: Pain & Gain. Soffri, suda, allenati all’estremo e i risultati arriveranno. I due non avrebbero nemmeno tutti i torti e va dato atto ad entrambi di essersi impegnati, di averci provato. Peccato solo che dimentichino una cosa. Nella vita, per ottenere dei risultati duraturi e reali, serve anche un’altra cosa: il talento. Quello non c’è nessuna serie di esercizi per i muscoli o di effettacci di regia che possa sostituirlo.
(voto 6-/10)



giovedì 15 novembre 2012

Teddy Raspon

"Non è quello che può sembrare. Anzi, sì..."
Ted
(USA 2012)
Regia: Seth MacFarlane
Cast: Mark Wahlberg, Ted, Mila Kunis, Giovanni Ribisi, Aedin Mincks, Joel McHale, Jessica Barth, Bill Smitrovich, Bretton Manley, Sam J. Jones, Tom Skerritt, Norah Jones, Laura Vandervoort, Robert Wu, Jessica Stroup, Melissa Ordway, Ted Danson, Ryan Reynolds
Genere: pu-pazzo
Se ti piace guarda anche: Wilfred, I Griffin, Big, Mamma, ho perso l’aereo

Ted è un film d’autore.
Sono scemo? Sì, ma non è questo il punto.
Volendo, anche i film dei Vanzina possono essere considerati film d’autore. Ciò non implica automaticamente un’etichetta di qualità. Indica solo che tali pellicole sono accomunate da una precisa cifra stilistica. Da una comune visione del mondo. Che poi tale visione coincida, nel caso dei Vanzina, a una visione ancora più triste della vera italietta degli ultimi 30 anni è un dettaglio che in questa sede non ci interessa.
Ted è un film d’autore poiché fotografa alla perfezione lo stile Seth MacFarlane. Roba non da poco, soprattutto per un esordiente totale in campo cinematografico.

"Le didascalie di Cannibal non saranno mai
divertenti quanto le mie battute, ahah!"
Seth MacFarlane, per quei due o tre disgrazieti che non lo sapessero, è il “papà” dei Griffin. I suoi detrattori a questo punto potranno dire che si è limitato a scopiazzare Matt Groening e i Simpson e chiudere lì la questione, ma le cose non stanno così. Sarebbe come dire che ogni pop band venuta dopo i Beatles si sia limitata a riproporre sotto un’altra veste il suono dei Fab Four e…
mmm ok, forse un pochino le cose stanno così.
Partendo da uno spunto simile a quello dei Simpson (che pure già si erano ispirati un bel po’ ai Flintstones), Seth "Genio" MacFarlane ha portato la rappresentazione della tipica famiglia americana su un altro livello di cinismo, ironia e cattiveria. E poi, se i Simpson delle prime stagioni rimangono insuperabili a livello di storie, mentre un’altra serie loro cugina come South Park è il top come satira del mondo in cui viviamo, a livello di pure e semplici risate “ignoranti” i Griffin vincono a mani basse contro tutti gli altri cartoon presenti, passati e (forse) futuri.

Lo stile MacFarlane è poi proseguito nelle sue altre serie a cartoni American Dad! (che a dirla tutta non mi ha mai entusiasmato molto) e The Cleveland Show, spinoff dei Griffin decisamente niente male. E lo stile MacFarlane si è propagato ora anche al cinema, con questo Ted che contiene al suo interno tutti i suoi principali elementi caratteristici.
Dopo il cane Brian dei Griffin, il pesce rosso Klaus Heissler di American Dad! e Tim l’orso di The Cleveland Show, ecco arrivare l’orsetto di pezza Ted. Il tenero orsetto di pezza Ted. Tenero, almeno finché è un piccoletto. Crescendo, passerà dall’essere un orsetto di pezza all’essere un pezzo di m….
No, scherzo. È un orsetto cazzaro, più che un vero villain come il malefico Lotso di Toy Story 3.

"Ciao bei bambini...
morirete tutti!"

A Ted non manca of course nemmeno il tipico humour MacFarlane, che qualcuno può trovare volgare e troppo eccessivo, io lo trovo semplicemente geniale ed esilarante. Un misto tra non-sense, citazionismo pop schizofrenico e momenti di demenzialità totale.
Perché mi fa tanto ridere, il suo umorismo?
Non si può spiegare perché una cosa è divertente. O lo è, o non lo è. Seth MacFarlane è divertente. E Ted è uno spasso totale. Fine della storia.
Anzi, no. Non ho ancora finito.

"Questo va proprio buttato giù in un Flash!"
Altro elemento MacFarlandiano presente sono le musichette da commedia anni ’50 che conferiscono al tutto un’aria leggera, d’altri tempi, e regalano un’atmosfera tipicamente politically correct, mentre ogni volta che i personaggi aprono bocca esce una frase politically incorrect. Ted è giocato alla grande proprio su questo contrasto: da una parte, racconta una fiaba dai toni magici, in cui nel mondo così come lo conosciamo accade all’improvviso un evento inspiegabile. Come in Big con Tom Hanks (chiaramente ispirato al nostro Da grande con Renato Pozzetto) o in Mamma, ho perso l’aereo. Un desiderio diventa realtà, per magia. In questo caso, un bambino che desidera ciò che ogni bambino più desidera, oltre all’esilio di Justin Bieber dalla faccia della Terra: che il suo orsetto diventi vivo.
Mettendola diversamente: Ted è la storia di Pinocchio raccontata dopo che Pinocchio, volevo dire Ted, è stato nel Paese dei balocchi troppo a lungo ed è diventato un cazzaro tossico.

Ted non è quindi solo una commedia sboccata e goliardica. Certo, ci regala una serie di momenti esilaranti, come la scena in discoteca stile La febbre del sabato sera, degna del miglior Leslie Nielsen o del miglior Charlie Sheen. E ancora l’apparizione già cult di Flash Gordon. E ancora una serie di battute da ROTFL, più una serie di citazioni esilaranti, da Susan Boyle a Taylor Lautner fino al mitico Tom Skerritt. E insomma, tutto e intendo TUTTO in Ted fa morire dal ridere. (Specifico però che ho visto il film in lingua originale e non oso nemmeno immaginare i modi in cui la versione italiana abbia potuto martoriare diverse battute e gag di difficile traduzione e quindi nella versione italiana NON TUTTO potrebbe essere altrettanto divertente).

"Hey, di solito sono gli uomini ad avere bisogno del ghiaccio quando mi vedono!
E non sulla fronte..."
Però il film non è solo questo. Non è solo risate da farsi venire il mal di pancia come non mi capitava per un film da… Hot Shots, forse? La sceneggiatura preparata da Seth MacFarlane è perfetta sotto ogni punto di vista. C’è l’amicizia profonda tra Mark Wahlberg e l’orsetto Ted. C’è la parte sentimentale, mai troppo smielata. E qui entra in gioco pure la sgnacchera, visto che il film non si fa mancare niente nemmeno sotto questo punto di vista. Innanzitutto, svetta Mila Kunis su tutto e su tutti, grandiosa e gnoccolosa. Poi ci sono anche Laura Vendervoort, vista nelle serie Smallville e V, Jessica Stroup di 90210, più qualche altra zoccola dal nome tipico da white trash girl come Brandy, Heather, Shanine, Briana, Amber, Sabrina, Melody, Dekota, Ciara, Bamby, Crystal, Samantha, Autumn, Ruby, Taylor, Tara, Tammy, Beck o qualcosa che finisce con Lynn.

Magia, amicizia, amore, figa, ma c’è pure una componente (molto) lievemente thriller, con Giovanni Ribisi che è un cattivo da silenzio degli innocenti comedy.
Frullati dentro Ted ci sono inoltre tutti gli elementi tipici della commediona americana non solo sentimentale, ma pure quella per famiglie. C’è persino la tipica scena in cui Mark Wahlberg canta (tra l’altro a un concerto di Norah Jones!) per riconquistare il cuore della sua amata.
Eppure, tutti questi elementi sono rivisitati dalla visione folle ed esilarante di MacFarlane. Così ad esempio la “serenata” di Mark Wahlberg (a mio avviso non del tutto convincente come protagonista) si trasforma in rissa, le scene romantiche sono annientate da qualche commento sulle scoregge, e anche nei momenti più drammatici la battuta sdrammatizzante salta fuori, boing boing.
"Quell'orsetto è più arrapante di Magic Mike!"
Il tutto senza trasformare la pellicola in una semplice parodia della commedia classica, ma prendendo il modello della commedia classica e stravolgendolo grazie a una dose massiccia di umorismo caustico. E, se vogliamo, nell’antropoformismo di Ted c’è dentro anche un pizzico di Spike Jonze, più sul goliardico andante.

Una magia, dunque. Ted realizza un mio desiderio. No, non quello di Justin Bieber esiliato dalla faccia della Terra. Quello di vedere una commedia che fa ridere dall’inizio alla fine no stop, con varie trovate una più geniale dell’altra al suo interno, e allo stesso tempo sa presentare una storia che, pur priva di grossi elementi di novità, è raccontata bene. Era tanto difficile? Ci voleva proprio qualcuno proveniente dalla tv per realizzarla?
Evidentemente sì.
Seth MacFarlane, ti amo. E lo dico come te lo direbbe l’orsetto idolesco Ted, anche se suona un po’ gay…
(voto 8/10)


giovedì 2 agosto 2012

La band del Contraband

Contraband
(USA 2012)
Regia: Baltasar Kormákur
Cast: Mark Wahlberg, Ben Foster, Kate Beckinsale, Giovanni Ribisi, Lukas Haas, J.K. Simmons, Diego Luna, Robert Wahlberg, Adrian Martinez, Caleb Landry Jones
Genere: scopiazzato
Se ti piace guarda anche: Fast & Furious, The Italian Job, Ocean’s Eleven, Tower Heist - Colpo ad alto livello



"Certo che quel Cannibal ne scrive di minki**e sul suo blog!
Potremmo fargli causa."
"Mark, ti ricordo che siamo dei criminali con la fedina non proprio pulita..."
Contraband sembra un film contrabbandato. Come i soldi falsi smerciati da Mark Wahlberg. Una copia di qualcos’altro, ben fatta e tutto, che resta pur sempre una copia.
Copia di cosa? Bah, di qualunque altro film con un gruppo di criminali alle prese con un colpaccio di quelli assurdi e impossibili da realizzare. Almeno per i criminali comuni mortali. Non proprio un “heist movie”, un film su una rapina, però siamo lì. Da qualche parte tra Ocean’s Eleven, ma senza lo stesso livello di glamourosità, e Fast & Furious, ma senza lo stesso livello di tamarraggine. Contraband è una sorta di ibrido di vari film action, senza nessuna specificità che riesca a distinguerlo e a salvarlo dalla mediocrità e dalla dimenticabilità immediata.
Per il resto, se proprio si hanno basse pretese, il suo porco lavoro di intrattenimento lo fa anche. O quasi. Ha una storia prevedibile e banale, lieto finalone esagerato e del tutto improbabile compreso. Dei personaggi e delle situazioni stereotipate già viste in migliaia, che dico?, forse milioni di altri film. Una seriosità di fondo che si apre a poche concessioni umoristiche, come invece capita nelle più divertenti pellicole del genere. E questa è una grave pecca. Eppure il suo porco dovere di farsi guardare, giusto con qualche sbadiglio qua e là eppure nemmeno troppi, lo assolve.
Il suo difetto maggiore è però l’assoluta mancanza di personalità. Un qualcosa, una scena, un personaggio, che lo distingua dalle centinaia di produzioni americane medie che escono ogni anno e che te lo faccia ricordare in maniera positiva. Invece niente. Niente di niente.

Nella media anche il cast: Mark Wahlberg negli USA come action hero (e non solo) funziona alla grande e anche questo film ha conquistato cifre davvero niente male, tipo oltre 60$ milioni a fronte di una spesa di $25 milioni. Meno bene gli vanno le cose all’estero e l’uscita da noi nel mezzo del deserto estivo lo conferma. Per quanto mi riguarda, a parte l’intenso ruolo del padre nel mio preferito Amabili resti, il Marky Mark fattosi attore non mi ha mai convinto molto, anche se lo attendo con grande curiosità alla prova della commedia con Ted, super campione di incassi a sorpresa dell’estate americana.


"Che bevi?"
"Red Bull, non vorrei addormentarmi prima della fine del film..."
Ah sì, dimenticavo: anche in The Departed se la cavava parecchio bene.

Nei panni della sua moglie, in un ruolo però parecchio anonimo, troviamo Kate Beckinsale. Per lei il discorso è analogo a quello su Wahlberg. Amo un suo unico film, in questo caso The Last Days of Disco, mentre per il resto mi ha lasciato sempre parecchio indifferente. Il fatto che il suo ruolo più celebre sia quello nella (pessima) saga vampiresca di Underworld, di certo non aiuta. Il fatto che l’altro suo grande successo sia Pearl Harbor, nemmeno questo depone a suo favore. Peccato, perché è una bella topolona e pure come attrice sembra possede un notevole potenziale non espresso.
Non c’è due senza il tre, dice il detto. Perché un detto che non dice nulla, che detto sarebbe?


"Cannibal, smettila di rompermi le palle solo perché ero in Avatar!"
Il terzo personaggio centrale del film è quello interpretato da Ben Foster. Altro attore quasi sempre sprecatissimo. Nel suo caso, la sua performance che ho preferito è quella in Oltre le regole - The Messenger, poi si è presentato in un sacco di produzioni impresentabili (robe come Professione assassino o Pandorum). Un attore che sembra essere rimasto incasellato all’interno del genere d’azione, quando meriterebbe di recitare in cose più interessanti di queste pellicole medie.

Stesso discorso si potrebbe fare anche per il resto del cast, con nomi come Lukas Haas e Giovanni Ribisi, attori che negli anni ’90 sembrava dovessero spaccare il mondo e poi si sono progressivamente persi per strada.


"Ecco a voi la cintura più trendy, e costosa, dell'estate!"
Contraband allora è un film bello?
Manco lontanamente.
Contraband è un film brutto?
No. Però ha una enorme pecca. Contraband non sembra un film contrabbandato. Contraband è proprio un film contrabbandato. Come delle banconote false.
(voto 5/10)

P.S. Lo so, anche questa recensione sembra un prodotto di contrabbando però, che ve devo dì?, il film non mi ha certo ispirato una particolare originalità…

sabato 16 aprile 2011

Il film di riserva

I poliziotti di riserva
(USA 2010)
Titolo originale: The Other Guys
Regia: Adam McKay
Cast: Mark Wahlberg, Will Ferrell, Eva Mendes, Steve Coogan, Michael Keaton, Lindsay Sloane, Samuel L. Jackson, Dwayne “The Rock” Johnson
Genere: parodia poliziesca
Se ti piace guarda anche: Poliziotti fuori, Scuola di polizia, Red, Hot Fuzz, Una pallottola spuntata, Bad Boys

(Nonostante il grande successo negli USA, in Italia è uscito direttamente in home-video, ma per una volta non è un grosso peccato)

Avete presente i tipici poliziotti eroici? Sì, insomma: quelli su cui di solito vengono girati i film. Questa pellicola ci tiene invece da subito a dire che non ci parla di loro, bensì di quelli sfigati, nelle retrovie, gli other guys del titolo originale, quelli che di solito nessuno si caga. E se nessuno lo fa un motivo ci sarà, visto che poi ne esce un film come questo che è tutto fuorché memorabile. Non è nemmeno orribile, a tratti riesce persino a far ridere, solo che sembra sforzarsi troppo di essere divertente a tutti i costi e per farlo ci mette dentro situazioni esasperate e battute sui personaggi più discussi del momento (tipo i protagonisti di Jersey Shore), come fanno in maniera abituale film parodia orribili come Disaster Movie, Date Movie, Epic Movie, Etc movie.

Questa volta a essere preso di mira è il genere poliziesco, in una maniera non riuscita come nell’inglese Hot Fuzz, ma nemmeno in una maniera del tutto fallimentare come nei "capolavoroni" sopra citati. Diciamo che questo I poliziotti di riserva viaggia nel mezzo. La storia è del tutto trascurabile ed è il solito intreccio vagamente poliziottesco senza nessuna idea. A funzionare un po’ di più sono invece le dinamiche personali tra i due protagonisti, due sbirri che più diversi non si può: Mark Wahlberg è uno tosto, persino troppo visto che spara a qualunque oggetto sospetto in movimento; mentre Will Ferrell è (apparentemente) il poliziotto sfigato, precisino e inquadrato, quello insomma che tutti prendono per il culo. Apparentemente ho detto, perché in realtà il Ferrell nasconde un passato da pappone, una moglie gnocca (Eva Mendes come detto in occasione di Last Night non è tra le attrici che più mi ispirano sesso, però per lo sbirro coglione Will Ferrell è decisamente troppo e qui poi lei è decisamente in salute) e tutte le donne sono attratte in maniera sorprendente da lui. Su questo fascino misterioso che esercita la pellicola si gioca tutte le sue (uniche) carte divertenti, per il resto è davvero una roba che lascia il tempo che trova.
Come i suoi protagonisti, un film da vedere giusto come riserva.
Ma forse neanche…
(voto 4,5)

venerdì 28 gennaio 2011

The Fighter: You gotta fight for your right to fight

The Fighter
(USA 2010)
Regia: David O. Russell
Cast: Mark Wahlberg, Christian Bale, Amy Adams, Melissa Leo, Jack McGee, Bianca Hunter
Genere: boxe
Se ti piace guarda anche: The Wrestler, Rocky, Million Dollar Baby, Toro scatenato, Lights Out (nuova serie tv), Friday Night Lights
Uscita italiana: 4 marzo

Trama semiseria
Primi anni '90. La HBO sta preparando un documentario sul grande ritorno sul ring di Dicky Eklund, un pugile che grazie ai suoi successi è diventato una gloria locale. Peccato che le cose non siano esattamente così e il motivo delle riprese sia un altro: che vogliano proporgli di diventare il protagonista di un reality-show? Nah, siamo nel 1993 e quella merda (ancora per poco) non esisteva.
Intanto Dicky allena suo fratello Micky Ward (Mark Wahlberg), pugile professionista in ascesa schiacciato però dal comportamento sopra le righe del brother e dalla madre manager. Riuscirà a diventare il nuovo Rocky?

Recensione cannibale
Tratto da una storia vera, una di quelle molto ma molto americane, The Fighter è un gran bel film. Uno di quelli che avvincono dall’inizio alla fine, imperdibile per tutti gli appassionati delle pellicole sulla boxe, ma che al termine della visione non mi ha lasciato un segno così indelebile nel cuore.
Quello che mi è rimasto dalla visione di questa pellicola è allora soprattutto un Christian Bale davvero oltre, enorme, gigantesco, in grado di impossessarsi del resto del film. Il suo personaggio è alquanto particolare: un tipo molto estroverso e iperattivo, una forza della natura, l’idolo della tipica cittadina di provincia (per non dire di merda) americana per via del suo passato di successo. Perché allora un pugile ha un aspetto così magrolino, tanto che Bale ha dovuto dimagrarire quasi quanto per L’uomo senza sonno? Per evitare spoiler non ve lo dico, ma è lì che si annida la parte più interessante della storia e che devia dalla solita vicenda pugilistica tra alti e bassi, comunque raccontata in maniera impeccabile e con una regia di buon livello da parte di David O. Russell, già dietro allo stralunato ma piacevolmente folle I ♥ Huckabees. In un primo tempo il film doveva essere diretto da Darren Aronofsky, ma il progetto si era stoppato per lo sciopero degli sceneggiatori e poi Aronofsky aveva preferito girare il meno ruffiano The Wrestler.

Tornando a Christian Bale è vero, sono di parte, è il mio attore preferito, in pratica l’equivalente maschile di Natalie Portman, giusto un filo meno grazioso. La sua folle e spassosissima interpretazione dello yuppie serial killer Patrick Bateman di American Psycho rimane per me tra le interpretazioni più allucinate nella storia del cinema (se la gioca con il Jack Nicholson di Shining), però questa va a insidiarla da vicino. Indubbiamente da Oscar.

Seppur schiacciato dietro a un personaggio così ingombrante, il vero protagonista del film è, suo malgrado, Mark Wahlberg nei panni di Micky Ward. La sua è la classica parabola alla Rocky, con l’interessante variante famigliare. Oltre a volersi staccare dall’ombra fraterna, Micky deve vedersela con una famiglia di quelle molto numerose e molto presenti in ogni sua scelta lavorativa e affettiva, visto che a fargli da manager c’è la madre (una Melissa Leo brava, ma la nomination all’Oscar mi pare eccessiva) e quando porta a casa la sua nuova fidanzata, la barista Amy Adams (per lei la nomination ci sta), tutte le varie zie rompiballe la caricano e insultano di brutto e in coro, nel corso delle scene più divertenti della pellicola.
La famiglia allargata di classici burini a stelle e strisce, l’ambientazione anni ’90 e soprattutto l’intepretazione larger than life di Christian Bale sono dunque i valori in più di questo film in grado di diventare un piccolo classico tra i film di pugilato. L’unica cosa che gli manca è allora un pizzico di cattiveria in più, il colpo in grado di stenderti K.O.
(voto 7+)

Personaggio cult: Dicky Eklund alias Christian Bale
Canzone cult: “Strip my mind”, Red Hot Chili Peppers

venerdì 14 gennaio 2011

I miei film dell'anno 2010 - n. 1 Amabili resti

Ecco arrivato il momento che tutta Italia stava attendendo. Il risultato del sondaggio di Fiat Mirafiori? No. La decisione della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento? Figuriamoci, tanto non è cambiato niente. Sto parlando, naturalmente, del primo posto nella classifica cinematografica di Pensieri Cannibali per quanto riguarda il 2010. And the winner is...


Amabili resti
(USA)
Regia: Peter Jackson
Cast: Saoirse Ronan, Mark Wahlberg, Rachel Weisz, Stanley Tucci, Susan Sarandon, Rose McIver, Reece Ritchie, Carolyn Dando, Michael Imperioli, Amanda Michalka, Andrew James Allen, Nikki SooHoo
Genere: ragazzine scomparse
Se ti piace guarda anche: Il giardino delle vergini suicide, Le cose che restano, Il sesto senso, La stanza del figlio, One Hour Photo, Mystic River, Il segreto dei suoi occhi

Trama semiseria
Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre del 1973. Negli anni Settanta, le fotografie delle ragazzine scomparse pubblicate sui giornali mi somigliavano quasi tutte: razza bianca, capelli castano topo. Questo era prima che le foto di bambini e adolescenti di ogni razza, maschi e femmine, apparissero stampate sui cartoni del latte o infilate nelle cassette della posta. Era quando ancora la gente non pensava che cose simili potessero accadere.
(nessuno spoiler, è l’inizio del romanzo di Alice Sebold da cui il film è tratto)

Poi sono arrivati casi come quello di Avetrana e le ragazzine scomparse sono finite in tutti i programmi tv e hanno dato vita a un macabro reality-show. Amabili resti racconta la scomparsa di una ragazzina dal suo punto di vista e con un tatto e una sensibilità del tutto opposti a quelli cui negli ultimi mesi abbiamo avuto modo di assistere sulle nostre televisioni. Le persone sparivano anche allora, ma per fortuna erano ancora gli anni Settanta e programmi come Quarto grado, Pomeriggio Cinque, Chi l’ha visto? e Studio Aperto non erano ancora stati creati. Grazie a Dio.

Pregi: è il mio film del cuore dell’anno, quello che più ha toccato ed emozionato quell’affarino freddo che ogni tanto mi batte in mezzo al petto. Mi viene il magone al solo vedere la locandina appesa da Blockbuster.
Difetti: la sceneggiatura ha qualche sbavatura, alcune cose si comprendono in pieno solo leggendo il libro e rispetto al romanzo viene dato poco spazio al notevole personaggio di Ruth, in più c’è qualche tendenza spiritual new-age. Ma pur ammettendo questi difetti, al cuore non si comanda.

Personaggio cult: la protagonista Susie Salmon interpretata dalla tenera Saoirse Ronan, una vita appena sbocciata che si ha una gran voglia di salvare a tutti i costi
Scena cult: la discesa di Susie nella tana del lupo mentre a casa preparano la cena
Canzone cult: “Alice” dei Cocteau Twins

Leggi la mia RECENSIONE

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