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lunedì 14 maggio 2018

La Pantera Nera sarà meglio della Pantera Rosa, ma...





Black Panther
Regia: Ryan Coogler
Cast: Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Lupita Nyong'o, Letitia Wright, Martin Freeman, Daniel Kaluuya, Danai Gurira, Sterling K. Brown, Winston Duke, Angela Bassett, Forest Whitaker, Andy Serkis


Marvel goes black. All'alba dell'anno 2018, il Marvel Cinematic Universe So White decide di proporre una pellicola solista dedicata a un supereroe di colore. E, pensate un po', nel 2019 arriverà persino un film solista su una supereroina donna, con un ritardo di due anni rispetto alla non certo innovativa DC Comics.


Oh mio Dio, la Marvel è finalmente entrata nel XXI secolo! Quale sarà la prossima mossa? Un supereroe dichiaratamente gay?
È vero, c'è già stato Deadpool, solo che lui non è omosessuale. Lui è pansessuale.


E poi Deadpool non fa parte del Marvel Cinematic Fucking Universe vero e proprio, bensì del più aperto universo degli X-Men, che era di proprietà della 20th Century Fox. Almeno fino al primo capitolo. Lo scorso dicembre Disney ha comprato pure la 20th Century Fox, giusto per monopolizzare poco il mercato dell'intrattenimento mondiale e soprattutto della manipolazione mentale.
La mossa davvero a sorpresa per il Marvel Cinematic Universe però sarebbe un'altra: quella di fare un bel film.


Nonostante le critiche entusiastiche provenienti soprattutto da Oltreoceano, e pur con tutte le migliori intenzioni con cui mi sono cimentato nella visione, anche Black Panther purtroppo non riesce a essere un bel film. Nemmeno lontanamente. È pur sempre meglio rispetto ad altri cinecomics, ma questo non lo rende in automatico un capolavoro. Al massimo rende solo gli altri cinecomics delle ciofeche ancora peggiori. Cosa c'è che non va in Black Panther?


Partiamo dal protagonista. Black Panther. Un nome che evoca la storica organizzazione rivoluzionaria afroamericana attiva soprattutto sul finire degli anni '60, per un personaggio che di rivoluzionario a ben guardare non ha granché. Nei panni del protagonista T'Challa/Pantera Nera troviamo Chadwick Boseman, attore che segue la stessa linea di recitazione inespressiva dei suoi colleghi bianchi dell'MCU Chris Evans, Chris Hemsworth e Jeremy Renner. Come personaggio inoltre è troppo moscio, troppo buono, troppo buonista.


Per fortuna a compensare ci pensa il villain di turno, che poi a ben vedere non è così villain e anzi, io ho fatto il tifo per lui dal primo all'ultimo momento in cui appare in scena. Anche perché riesce a prendere il potere in maniera democratica, almeno stando a quelle che sono considerate le regole democratiche nello stato del Wakanda, ovvero sconfiggendo T'Challa in un regolare duello. Nel ruolo del cattivone (ma anche no) Erik Killmonger c'è un ottimo Michael B. Jordan, l'attore feticcio del regista Ryan Coogler, con cui ha girato anche Prossima fermata Fruitvale Station e Creed - Nato per combattere, che qui dirige in maniera a tratti spettacolare, con uno stile però piuttosto derivativo, tra riprese roteanti in stile Donnie Darko/Inception e combattimenti liberamenti ispirati a Wachowski e The Raid - Redenzione.
Per quanto sia un personaggio valido, va comunque notato che questo Killmonger non ha lo spessore, né tantomeno la forza punk ad esempio del Joker di Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro. Quindi bene, ma non benissimo.


Il personaggio migliore del film comunque non è lui, bensì la sorella iper-tecnologica e simpa del soporifero T'Challa, Shuri, interpretata da una giovane attrice di cui sentiremo parlare ancora a lungo, Letitia Wright, già vista nel sesto e ultimo, nonché migliore, episodio della quarta stagione della serie Black Mirror.

"Giovane attrice di cui sentiremo parlare ancora a lungo... Non è che Pensieri Cannibali me l'ha gufata?"

Ok, quindi in questo film ci sono due personaggi decenti e ciò è già un buon risultato. Tra le note positive va inoltre inserito il contesto afro, che riesce a differenziare la pellicola rispetto agli cinecomics “rivali”. Il film è ambientato in buona parte nel Wakanda, fittizio stato africano con un nome che ricorda nazioni vere come Uganda e Ruanda, ma anche l'urlo d'incoraggiamento dei ragazzini scemi malati della fiction Rai Braccialetti rossi, “Watanka!”, così come soprattutto la canzone di Shakira “Waka Waka (This Time for Marvel)”.


Ah no, scusate, ho sbagliato foto...


Sempre per rimanere in tema musicale, la colonna sonora curata dal rapper Kendrick Lamar non è niente male, sebbene sia sottoutilizzata e sia più godibile come ascolto indipendente dalla pellicola che non all'interno della pellicola stessa. E quindi viva Kendrick e abbasso la Marvel!



I pregi del film si fermano qui e tra le note dolenti va invece segnalata una sceneggiatura banale e prevedibile, con vicende famigliari degne di Beautiful, o di Thor, se proprio vogliamo restare all'interno del poco marvelous universo Marvel. Per colmare la pochezza della trama si inserisce qualche solita battutina e momento pseudo ironico Marvel-style, e soprattutto un sacco di effetti speciali, inseguimenti, botte e sparatorie, il tutto per una durata eccessiva, con la guerra finale che definire estenuante è dir poco. Guerra finale?

"Scusate, ma ci stiamo preparando alla guerra, o stiamo facendo la coreografia del Waka Waka?"

Ebbene sì. Anche questa pellicola si risolve con lo scontro tra il buono e il cattivo (che come detto non è così cattivo, dai) e non scrivo che è uno spoiler perchè tanto lo sapevamo tutti che andava a finire così e se pensate che questa volta il cattivo alla fine possa avere la meglio siete solo degli illusi. Peccato perché le implicazioni politiche e socio-razziali sono presenti giusto molto sullo sfondo e, con un maggior approfondimento, il confronto/scontro tra T'Challa VS Erik Killmonger avrebbe potuto persino portare a una specie di versione cinefumettosa del confronto/scontro ideologico Martin Luther King VS Malcolm X. Così non è.


Black Panther finisce così per essere l'occasione sprecata di realizzare una pellicola che rappresenti una vera rivoluzione all'interno dei cinecomics, o anche solo un passo in avanti, così come erano stati il primo Spider-Man di Sam Raimi e il già citato Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Un'occasione sprecata tanto quanto Wonder Woman, che non è l'inno femminista da tanti sbandierato, bensì a malapena una leggera variante al femminile del solito cinefumetto supereroistico fracassone e superficiale
Non sarà una wakkata totale, ma questa avventura nel Wakanda resta la solita storiella moralista ricca di buoni sentimenti e valori famigliari rassicuranti, in pieno stile Marvel-Disney. Un film però privo di reali contenuti politici o sociali, come si poteva invece immaginare da alcune entusiastiche opinioni provenienti dagli Usa, indirizzato a un pubblico di ragazzini, privo di tensione, di spunti di riflessione e ricco giusto di tanta azione e di una violenza “rassicurante”, da videogame.
Come prodotto di mero intrattenimento a tratti funziona anche, sebbene io nella mezzora finale mi sia stracciato le palle come e maggiormente che con il più pretenzioso tra i lavori di Terrence Malick o Michael Haneke. Il fatto però che tutti questi film supereroistici, realizzati con lo stampino e che a poche settimane di distanza dall'uscita finiscono nel dimenticatoio sorpassati dal successivo fenomeno al box-office, con sempre maggiore frequenza vengano salutati come dei capolavori e indicati come simboli della nostra epoca mi mette addosso una gran paura. Più di quella che mi possono provocare i (presunti) cattivoni di turno presenti nelle stesse pellicole.
(voto 5,5/10)


martedì 1 ottobre 2013

LA FINE DEL CORNETTO




La fine del mondo
(UK 2013)
Titolo originale: The World’s End
Regia: Edgar Wright
Sceneggiatura: Simon Pegg, Edgar Wright
Cast: Simon Pegg, Nick Frost, Paddy Considine, Martin Freeman, Eddie Marsan, Rosamund Pike, Bill Nighy, Pierce Brosnan, Jasper Levine, Rafe Spall, Steve Oram, Rafe Spall
Genere: brit-pop
Se ti piace guarda anche: L’invasione degli ultracorpi, The Faculty, L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz, American Pie: Ancora insieme, Compagni di scuola, Un tuffo nel passato, Grabbers, Attack the Block

Eravamo cinque amici al bar, che volevano andare fino alla fine del mondo.
Erano quattro, gli amici della canzone di Gino Paoli?
Non si quanti fossero in realtà, quindi non fate troppo i pignoli. E poi ne La fine del mondo gli amici al bar sono cinque, okay?
Che cos’è La fine del mondo?
Per quei quattro gatti al bar che ancora non lo sapessero, questa volta non ha a che fare con i Maya e non si tratta nemmeno di un nuovo film catastrofico di Roland Emmerdich. Per fortuna. Il nuovo di Emmerdich è Sotto Assedio – White House Down e ho l’impressione che sia perdibilissimo. La fine del mondo è invece l’ultimo capitolo della Trilogia del Cornetto. Purtroppo. Purtroppo che sia l’ultimo. Il regista e sceneggiatore Edgar Wright, l’attore e sceneggiatore Simon Pegg e il solo attore Nick Frost tornano a collaborare insieme per la terza volta, dopo l’ormai mitico L’alba dei morti dementi, che ha riportato al cinema gli zombie quando non erano ancora tornati di moda, e il meno riuscito ma comunque divertente Hot Fuzz, con un film che in qualche modo è la prosecuzione del discorso intrapreso dai due precedenti e allo stesso tempo è una visione del tutto indipendente. Il primo gusto era il Cornetto alla fragola, il secondo era il Cornetto blu originale, e ora tocca a quello alla menta con cioccolato. Al di là della presenza del Cornetto come filo comune, anche lo stile registico, con tanto di montaggio veloce e frenetico di Edgar Wright, è lo stesso, così come ritroviamo lo stesso sense of humour tipicamente british e tipicamente cazzaro, così come lo stile narrativo è lo stesso. Si parte con atmosfere da tipica comedy, e poi si sconfina su altri e più imprevedibili territori.

La prima parte, particolarmente esaltante, della pellicola è la classica vicenda giocata su dei vecchi amici di  adolescenza che si ritrovano. Il grande freddo, Compagni di scuola, American Pie: Ancora insieme, Un tuffo nel passato (Hot Tube Time Machine), Un weekend da bamboccioni, etc.… sono numerosi i film che hanno giocato su questa tematica. Anche La fine del mondo lo fa e gioca particolarmente bene la sua partita. Gioca come un Gascoigne, in maniera folle, quanto geniale. E il Gascoigne della situazione è Gary King, soprannominato The King, Il re, e interpretato da uno scatenato Simon Pegg, un vero e proprio "quaranteenne" (ovvero un quarantenne che si comporta da teen). Gary Ross è rimasto lo stesso dei tempi del liceo. Si veste allo stesso modo, si comporta allo stesso modo e ascolta la stessa musica.
Musica che, come in ogni buona pellicola britannica che si rispetti, riveste un ruolo centrale. La fine del mondo non fa eccezione. Qui la soundtrack non è solo uno sfondo sonoro, ma un elemento fondamentale per creare l’effetto reunion. In maniera analoga a quanto veniva fatto in film come Il grande freddo e Compagni di scuola con gli anni ’60, qui viene rispolverata la musica ascoltata dai protagonista da adolescenti, quella dei primissimi anni ’90, ovvero il suono baggy della scena di Madchester con band come Stone Roses, Happy Mondays e Soup Dragons, più il brit-pop delle origini con gruppi come Blur e Suede. In pratica, una vera figata per gli amanti della musica inglese 90s, quasi al livello della serie tv My Mad Fat Diary.

Gary The King/Simon Pegg riesce in qualche modo a riunire la vecchia gang di amici, composta dall’immancabile Nick Frost, dal precisetti Martin Freeman, dal piacione Paddy Considine e dall’impacciato Eddie Marsan, attore quest’ultimo che ormai si vede davvero dappertutto, sia in UK che negli USA, in grosse produzioni come Il cacciatore di giganti e Biancaneve e il cacciatore, ma anche in serie tv come Southcliffe e Ray Donovan.
Scopo della reunion? Portare a termine l’impresa che i 5 moschettieri non erano riusciti a concludere, per un pelo, nel 1990, ovvero Il miglio d’oro, ovvero andare a bere una pinta di birra a testa in ognuno dei 12 pub della loro cittadina. Se da ragazzi non c’erano riusciti, ce la faranno ora?
E ce la farò io a bermi 12 pinte di birra di fila? Mentre state leggendo questo post, mi trovo infatti all'Oktoberfest per il secondo anno consecutivo, e cercherò di rendere onore a Gary King e agli altri protagonisti della pellicola.

"Che diavolo combina il barista invece di spillare le nostre birre?
Sta al computer a leggere Pensieri Cannibali?"
Per quanto di film sulle reunion come detto ne siano stati fatti tanti, questo funziona alla grande. È spassosissimo e anche leggermente malinconico, ma non troppo, e non sconfina mai nel facile sentimentalismo tipico delle produzioni made in USA.
La fine del mondo però non è certo finita qui. Questo è solo l’inizio. Oltre che un ottimo “reunion movie”, La fine del mondo è una commedia divertentissima, la più spassosa vista finora in quest’annata, e poi è pure una valida pellicola fantascientifica. La componente sci-fi è secondaria rispetto a quella umoristica, ma fino a un certo punto. La vicenda dell’invasione aliena nella cittadina dei protagonisti si sviluppa su sentieri anche in questo caso già battuti, tra il capostipite del genere L’invasione degli ultracorpi e l’ironia di The Faculty. Una storia non nuova, eppure raccontata con personalità e con la solita dose di cazzonaggine. Una cazzonaggine però non realizzata alla cazzo di cane, tutt’altro. La regia di Edgar Wright, autore pure del grandioso Scott Pilgrim vs. the World, è spettacolare, le scene di combattimento sono molto più entusiasmanti di quelle viste in qualunque action movie recente, e pure gli effetti speciali presenti non sono male. Da notare poi il livello di recitazione eccelso. Minuto dopo minuto, birra dopo birra, il livello alcolico sale sempre più, e ciò si nota sui volti dei protagonisti, che però riescono ad apparire naturalmente ubriachi senza scadere nella banale macchietta, o nella parodia dell’ubriaco. Probabilmente perché, durante le riprese, qualche pinta fresca di bionda se la saranno buttata giù pure loro.

"Adesso però sono curioso: che dice sul nostro film?"
E qui veniamo all’ultimo elemento del film. Non solo un “reunion movie”, non solo una divertente comedy, non solo una pellicola leggermente sci-fi, uno sci-fi alla Attack the Block, questo è anche e soprattutto un film alcolico. Un inno al bere, al divertirsi, al lasciarsi andare. Il miglior modo per godersi la visione della pellicola è allora tenersi qualche birretta al fresco e scolarsela durante la pellicola. Se arrivate a quota 12, La fine del mondo vi sembrerà il film più bello del mondo. Ma anche con qualcuna di meno, resta una splendida visione. Da sobri invece non posso garantirlo.

Attenzione: Pensieri Cannibali invita i suoi lettori a fare un uso responsabile delle birre e delle auto. Non bevete auto e non guidate birra, mi raccomando.

A voler fare i pignoli della situazione, la conclusione che ricorda l’inizio della serie tv Revolution non è che sia proprio il massimo della vita no no no, però è l’unica pecca di una pellicola fino a quel momento impeccabile. D’altra parte è questa la natura umana: essere imperfetti e fare una cazzata proprio sul finale. La chiusura del film è una stronzata, but that’s okay, è giusto così. È anche per questo che amiamo la Trilogia del Cornetto e i cazzoni che l’hanno creata. E poi è normale: la parte finale del Cornetto è quella meno buona.
Fine. Non del mondo, solo del post (okay, questa me la potevo risparmiare, ho fatto pure io la cazzata finale).
(voto 8-/10)



venerdì 11 gennaio 2013

LA LOBBY DEGLI HOBBIT CHE HANNO UN HOBBY

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato
(USA, Nuova Zelanda 2012)
Titolo originale: The Hobbit: An Unexpected Journey
Regia: Peter Jackson
Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Ken Stott, Graham McTavish, William Kircher, James Nesbitt, Stephen Hunter, Aidan Turner, Elijah Wood, Ian Holm, Hugo Weaving, Andy Serkis, Christopher Lee, Cate Blanchett, Lee Pace, Benedict Cumberbatch
Genere: Signorino degli anelli
Se ti piace guarda anche: Il signore degli anelli, Game of Thrones

Peter Jackson ha un hobby. Ho detto un hobby, non un hobbit. Oddio, magari con tutti i soldi che si è fatto con il Signore degli anelli possiede pure un hobbit. Elijah Wood, ad esempio, cosa fa quando non gira la serie tv Wilfred? Dov’è? Secondo me, potrebbe benissimo essere il nano da giardino in casa Jackson. Chi lo sa?
Comunque, l’hobby di Peter Jackson è il fantasy. Fino a che ciò significa giocare a Dungeons & Dragons con la moglie e gli amichetti, cavoli suoi. Quando questa sua passione la riversa su grande schermo, però, sono anche cavoli nostri. Il più delle volte, cavoli piacevoli. La trilogia del Signore degli Anelli è stata una signora trilogia. Emozionante, fantasiosa, avventurosa. Un’esperienza piacevole anche per chi, come il sottoscritto, ha sempre gettato uno sguardo di traverso al mondo fantasy. Merito dei valori universali di amicizia, devozione e rispetto snocciolati dalla storia. Merito anche di una serie di personaggi carismatici, come Aragorn, o folli, grandiosamente folli come il Gollum, oppure simpatici e pasticcioni come i piccoli hobbit.
Al termine dell’immane quanto riuscita impresa di trasportare su grande schermo il tomo di Tolkien, Peter Jackson si era poi gettato su un’altra trasposizione letteraria, tirando fuori lo splendido Amabili resti, mio film dell’anno 2010. Una parentesi intimista, per quanto pure quella non priva di una componente fantasy, prima di ritornare nella terra di mezzo.

"Qualcuno spiega a quella Kristen Stewart che non siamo i 7 nani?"
"Ehm, qualcuno lo spiega anche a noi?"
In verità, il progetto de Lo Hobbit ha avuto una vita parecchio marcotravagliata. Già va considerato che è un libro che Tolkien ha scritto prima del Signore degli Anelli, che nasce quindi come sequel. Mentre questo adattamento cinematografico arriva dopo, in versione prequel. Ma questi sono dettagli che possono essere sistemati senza troppi problemi, a Hollywood.
Il progetto all’inizio era stato affidato alle mani messicane di Guillermo Del Toro. Regista che pure non è che mi entusiasmi completamente. Mi è piaciuto Il labirinto del fauno, ok, mentre i due Hellboy mi sono sembrati decenti ma niente di memorabile. Non sono un fan assoluto del Del Toro non Benicio, però ero curioso di assistere a ciò che avrebbe potuto tirare fuori dalla materia tolkieniana. Così, tanto per cambiare.
Per casini vari che adesso non conosco e che qualche recensore più professionale e qualificato e tolkieniano vi saprà spiegare meglio di me, il progetto Lo Hobbit è finito di nuovo tra le mani da hobbit di Peter Jackson.
Cosa che poi non ha sorpreso nessuno, visto che sapevamo sarebbe andata a finire così.
La cosa non mi dispiaceva nemmeno troppo, visti i buoni risultati ottenuti dalla trilogia anellare. Il problema è che quanto ne è uscito è un prodotto senza una sua identità specifica. Lo Hobbit sembra un altro episodio della saga in tutto e per tutto, senza presentare grosse novità, se non la velocità a 48 fotogrammi al secondo con cui alcune copie della pellicola sono state distribuite. Ma questi sono tecnicismi alla James Cameron e non devono ingannare. Per il resto, è un film del tutto adagiato nel passato. Se il livello fosse quello della Compagnia dell’anello, delle Due Torri o del Ritorno del re, mi starebbe anche bene. Il risultato invece mi è sembrato più come se stessi assistendo alle scene tagliate da questi episodi. A scene giustamente tagliate.

In questo Lo Hobbit, di momenti memorabili ce ne sono davvero pochi. Io ne ho contato uno: la scena del canto triste a casa di Bilbo prima della partenza per la grande (ma dove?) avventura. Per il resto, ci sono 3 ore 3 di scenette estenuanti, bambinesche, noiose, che mettono a dura prova la pazienza, e pure la sopravvivenza, dello spettatore meno avvezzo al fantasy.
Il grande pregio della trilogia del Signore degli anelli era quello di saper ammaliare e trasportare nella sua terra di mezzo anche i meno patiti del genere come me. Il grande difetto di questo è quello di non riuscire a farlo. Tra i motivi della scarsa riuscita de Lo Hobbit, sicuramente possiamo citare la scelta di trasformare il romanzo unico di Tolkien prima in due, poi addirittura in tre pellicole distinte. Giusto per capitalizzare al massimo gli incassi. E chissenefrega del risultato artistico.
Se Il signore degli anelli era stato pubblicato su tre volumi e quindi una trilogia cinematografica calzava a pennello, questo romanzo unico doveva diventare un film unico. Fine della storia.

"Il mondo finirà presto!"
"E fammi dare una toccata ai maroni, Galadriel, che porti più sfiga dei Maya!"
In attesa di giudicare anche i prossimi due capitoli (ma penso dovrò munirmi di molti caffè + red bull per reggerli da sveglio), il primo episodio Un viaggio inaspettato di inaspettato non ha proprio un bel nulla e appare come un capitolo introduttivo ricco di momenti riempitivo e poco altro.
La primissima parte ci riscaraventa in mezzo alla Terra di Mezzo e ci sta ancora. L’effetto nostalgia di ritrovare alcune vecchie conoscenze fa piacere. Compare persino Frodo/Elijah Wood! L’irruzione dei vari personaggi in casa Baggins è anche simpatica, strappa qualche sorriso e uno pensa: non è proprio come la prima trilogia, però magari da qui in poi la pellicola migliora…
Invece no. Quella è la parte migliore del film. Poi si peggiora. Quando l’avventura vera e propria comincia, comincia pure la noia. Manca giusto Barbalbero, e poi è una lunga, interminabile sequela di personaggi inverosimili e gag assurde. Persino il ritorno di altri volti familiari come l’inquietante Galadriel (Cate Blanchett), l’ancor più inquietante Saruman (Christopher Lee), o l’ancor ancor più inquietante Gollum (Andy Serkis) non sortisce l’effetto sperato.
Parentesi Gollum: per quanto la sua comparsata risulti ancora tra i momenti più interessanti della pellicola, appare qui come una parodia di se stesso. Sarà che la sua frase simbolo: “Il mio tesssoro” è stata sputtanata a forza di sentirla e riderci sopra, però ormai appare ridicolo piuttosto che no. Laddove nel Signore degli anelli appariva invece come il personaggio più ambiguo e sfaccettato dell’intera Opera.

"Pensieri Cannibali era il mio tesssoro di blog, adesso fa ssschifo!
Quassi quanto la connesssione Telecom in quessste terre..."
Vogliamo salvare qualcosa da tre infinite ore di fantasy puro?
E con fantasy intendo che ho passato tutto il tempo a fantasticare di vedere un altro film?
Per il momento non si è nemmeno ancora vista la tanto vociferata Evangeline Lilly, che probabilmente comparirà per tipo 5 minuti in uno dei prossimi due episodi, e allora salviamo il protagonista. Martin Freeman sembra nato per fare un hobbit, anzi per fare Lo Hobbit. Gli altri attori e gli altri personaggi invece non funzionano. Alcuni per altro sembrano truccati come Francesco Mandelli dei Soliti idioti, tanto che mi aspettavo un “Dai, cazzo, GianBilbo!” da un momento all’altro. L’Aragorn di Viggo Mortensen, il Sam di Sean Astin, i Pipino e Merry di Billy Boyd e Dominic Monaghan… quelli sì che erano personaggi.
Questi nuovi chi sono? Dove vogliono andare?
"Aragorn, ti batto quando vuoi!
...uff, ma perché non ci credo nemmeno io?"
Il Thorin interpretato da Richard Armitage, in particolare, vorrebbe davvero essere il nuovo Aragorn?
Ma per favore!

Lo Hobbit è una versione in tono minore del Signore degli anelli. Un signorino degli anelli, nonché un film sbattito zero. Persino il compositore Howard Shore non si è sforzato manco un minimo e ha riciclato i temi musicali già noti della precedente trilogia. Quanto a Peter Jackson, ha girato in maniera sicura e impeccabile, è pur sempre Peter Jackson, ma col pilota automatico inserito. Se dal Signore degli anelli emergevano chiaramente l’entusiasmo e il divertimento del regista neozelandese, qui sembra quasi che si sia annoiato lui stesso. Figuriamoci noi poveri spettatori.
Un consiglio: per passare meglio le 3 estenuanti ore di visione, è meglio se vi trovate un hobbit… volevo dire un hobby.
(voto 5,5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, con una nuova splendida locandina realizzata per l'occasione dal mio grafico di fiducia C(h)erotto.


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