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lunedì 12 giugno 2023

Air - Un piccolo passo per Michael Jordan, un grande salto per l'umanità





Air - La storia del grande salto
(titolo originale: Air)

Non ho mai comprato un paio di Nike in vita mia. Ma manco una t-shirt o qualsiasi altra cosa della Nike. Non so, non mi sono mai sentito uno da Nike, ma più uno da Converse All Star, Adidas o Puma. In questo sono un po' come Michael Jordan. Come si apprende dal nuovo film di Ben Affleck, Air - La storia del grande salto, Michael Jordan all'inizio non voleva proprio saperne della Nike. Zero proprio. Come me. Per il resto forse siamo un po' diversi. Ad esempio ho il sospetto che lui sia un pochino più bravo di me a giocare a basket, però finché non ci scontriamo in un 1 contro 1, non ci sono prove che lo confermino.

mercoledì 18 aprile 2018

Downsizing - Una gran cagata anche rimpicciolita resta sempre una gran cagata





Downsizing - Vivere alla grande
Regia: Alexander Payne
Cast: Matt Damon, Kristen Wiig, Christoph Waltz, Hong Chau, Jason Sudeikis, James Van Der Beek, Udo Kier, Rolf Lassgård


Alexander Payne ha firmato una pellicola fantascientifica?
Ma che sta succedendo nel mondo?
Il regista di lavori dal sapore folk-country come Nebraska e A proposito di Schmidt, o dal sapore alcolico come Sideways – In viaggio con Jack, o dal sapore di teen spirit come quel gioiellino di Election con una scatenata Reese Witherspoon, si è dato alla sci-fi?
Quando un regista, quando un artista in generale rischia e si mette in gioco in un campo differente rispetto a quello rassicurante dietro casa, c'è sempre da ammirarlo. A vedere il risultato finale poi magari non sempre apprezzarlo, ma se non altro ammirarlo. Sarà così anche in questo caso?

giovedì 25 gennaio 2018

Chiamami col tuo film





Grandi film in arrivo, questa settimana. Ma che davvero?
Ebbene sì. Qualche titolo che promette scintille c'è e, se proprio non ci credete, basta dare un'occhiata qui sotto al nuovo appuntamento della rubrica sulle uscite cinematografiche settimanali. Per pre-commentare le pellicole, insieme a me e al mio blogger nemico Mr. James Ford, questa settimana c'è un volto nuovo del blogging nazionale. Una penna giovane, brillante e originale. Una vera ventata d'aria fresca sul web.
No, non sto parlando di me, bensì di un|tipetto|impertinente, l'autore del blog rivelazione degli ultimi mesi cheeky|show. Se ancora non lo conoscete, provate a dare un'occhiata e soprattutto una lettura. Penso che vi conquisterà|appassionerà.


CHIAMAMI COL TUO NOME
"Armie, possiamo sforzarci finché vogliamo, ma non riusciremo mai a essere teneri quanto Ford e Cannibal insieme."

giovedì 23 febbraio 2017

La marcia dei film





Questa settimana nei cinema arrivano diversi film, soprattutto un paio, che promettono molto bene.
Riusciranno a rivelarsi all'altezza delle altissime aspettative?
Cerchiamo di cominciare a scoprirlo, in questa nostra solita rubrica delle uscite cinematografiche nelle sale italiane con i commenti di Cannibal Kid, cioè io, e di Mr. White Russian, cioè quel losco figuro che scrive sul blog James Ford...
Mmm no, forse ho sbagliato: è Mr. James Ford del blog White Russian, credo.

T2 Trainspotting
"A che ora passa il treno per Lodi?"
"Perché, vuoi andare a trovare Ford? Ma ti droghi ancora pesante?"

giovedì 1 settembre 2016

I film prima di te





Le città si ripopolano, le sale tornano a riempirsi, di gente così come di numerose uscite più o meno interessanti, e anche i blog ritornano in attività a pieno regime. Come Pensieri Cannibali, che pure quest'estate non si è mai fermato.
Chi invece prosegue nel suo letargo, non invernale bensì estivo, è il mio blogger-nemico Mr James Ford dell'ormai sempre più abbandonato sito WhiteRussian. A non mancare – ahinoi – sono comunque i suoi commenti, presenti al fianco dei miei nella rubrica sulle pellicole in arrivo nei cinema italiani questa settimana.
Beccateveli qui sotto, ma solo a vostro rischio e pericolo.

Io prima di te
"Ma quanto siamo teneri insieme?"
"Tanto, ma mai quanto i finti nemici Ford e Cannibal."

mercoledì 20 gennaio 2016

Sopravvissuto a una chat con Matt Damon





Nel corso di una missione su Marte, l'astronauta e botanico Matt Damon ebbe un terribile incidente e venne abbandonato sul pianeta dai suoi compagni, che fuggirono codardamente auto convincendosi che era morto. Qualche tempo più tardi Matt Damon, sopravvissuto per miracolo all'incidente, riuscì a ripristinare le comunicazioni con la NASA e pure con i suoi ex colleghi. Questa è la conversazione che hanno avuto in chat in versione integrale. Non quella censurata che poi hanno inserito nella pellicola tratta dalla vicenda.

domenica 24 agosto 2014

THE ZERO THEOREM, IL TEOREMA DI RENATO ZERO




The Zero Theorem
(USA, Romania, UK, Francia 2013)
Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Pat Rushin
Cast: Christoph Waltz, Mélanie Thierry, David Thewlis, Lucas Hedges, Tilda Swinton, Matt Damon, Ben Whishaw, Peter Stormare, Rupert Friend, Gwendoline Christie
Genere: intrippato
Se ti piace guarda anche: Brazil, Mood Indigo – La schiuma dei giorni, Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo

Noi abbiamo visto The Zero Theorem. A noi è piaciuto The Zero Theorem, ma non vi diremo di cosa parla. Per prima cosa perché noi prima di vederlo non ne sapevamo nulla ed è meglio così, soprattutto per pellicole come questa. È meglio non sapere proprio niente. Andare completamente alla cieca. E poi per seconda cosa perché è impossibile dire di cosa parla un film di Terry Gilliam. Di cosa tratta ad esempio Brazil?
Noi non riusciamo a dirlo con esattezza, eppure questo nuovo The Zero Theorem con il suo futuro distopico orwelliano e con il suo protagonista stralunato lo ricorda parecchio. Quindi di cosa parlano entrambi?
Boh.
E L’esercito delle 12 scimmie?
Non sappiamo bene su cosa è incentrato con precisione, però è uno dei nostri film preferiti. La prima volta che l’abbiamo visto eravamo solo dei bambini. Era una delle prime volte al cinema con gli amici e ricordiamo solo di aver fatto un dannato casino per tutto il tempo, non capendoci nulla della visione e rendendo impossibile la comprensione anche agli altri poveri spettatori presenti al cinema. Che dannati bimbiminkia che eravamo, e che forse siamo ancora. Quando poi l’abbiamo recuperato qualche anno più tardi da adolescenti ne siamo rimasti folgorati. Non c’abbiamo compreso un’altra volta un granché, ma l’abbiamo adorato.
E Paura e delirio a Las Vegas, di cosa tratta?
Impossibile capirlo a mente lucida. Dopo l’assunzione di dosi massicce di droghe siamo riusciti a comprendere qualcosa di più, ma è stato lo stesso difficile venirne a capo.

"E' meglio indossare una tuta protettiva, prima di visitare Pensieri Cannibali."
I film di Terry Gilliam in pratica non sappiamo di cosa parlano. Forse di tutto, forse di niente. The Zero Theorem prosegue nella stessa direzione. Possiede un impianto visivo sbalorditivo eppure il suo significato è sfuggente. Si tratta di una pellicola profondamente esistenzialista, che detta così è una frase che anch’essa sembra significare tutto e invece non vuol dire niente. Oppure è il contrario?
In The Zero Theorem c’è dentro la vita di oggi, tra social network, app e una connessione alla rete 24 ore su 24 che ci succhia via la vera vita. O magari invece ci regala una vita migliore, piena di fantasia, attraverso cui fuggire da un lavoro e da una routine senza scopo?
Chi lo sa.
The Zero Theorem è il solito gran casino tirato fuori dalla mente folle di Terry Gilliam e non si capisce bene se sta dalla parte della tecnologia o contro. Non si capisce bene se sta dalla parte di chi ha Fede, di chi vive con delle convinzioni, o da quella di chi non crede in niente se non nel vuoto e nella certezza di stare dentro a un mondo privo di senso. Non si capisce bene se sta dalla parte di chi ama, o di chi sogna solamente di amare. E soprattutto non si capisce bene, anzi non si capisce proprio per niente, come qualcuno possa rifiutare l’amore di una come Mélanie Thierry, la splendida Mélanie Thierry.


The Zero Theory è un interrogarsi sul senso della vita che pone delle domande e non offre delle risposte che d’altra parte sarebbe impossibile fornire. Allo stesso tempo è un interrogarsi sul senso del cinema. Sul senso del cinema di Terry Gilliam, se ne ha uno.

Non avete capito niente di quanto abbiamo detto fino ad ora?
Lo capiamo. L’unica cosa che probabilmente avrete capito è che si tratta di un nuovo delirio nel tipico stile del regista. Un trip che va vissuto disconnettendosi da se stessi ed entrando negli occhi e nella mente del protagonista, interpretato da un grandioso Christoph Waltz, uno che è un creep, un weirdo, uno che non sa cosa diavolo ci fa qui, uno che non appartiene a questo mondo.
Un'altra cosa che probabilmente non avrete capito è perché stiamo parlando con il pluralis maiestatis. Non è per le nostre solite manie di grandezza, ma una volta vista la pellicola lo scoprirete.
Forse.
(voto 7/10)

"Questo post cannibale l'abbiamo trovato ancora più incomprensibile del solito."

mercoledì 7 maggio 2014

MONUMENTS MEN, UN MONUMENTO ALLA NOIA




Monuments Men
(USA, Germania 2014)
Titolo originale: The Monuments Men
Regia: George Clooney
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov
Ispirato al libro: Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia di Robert M. Edsel e Bret Witter
Cast: George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Hugh Bonneville, Bob Balaban, Cate Blanchett, Dimitri Leonidas, Alexandre Desplat
Genere: military comedy
Se ti piace guarda anche: Storia di una ladra di libri, La vita è bella, Bastardi senza gloria

A dispetto del titolo ingannevole, Monuments Men non è la storia di un gruppo di uomini che di professione fanno le statue, come questo qua…



Monuments Men racconta invece le vicende di un gruppo di uomini valorosi che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, anziché salvare vite umane decisero di voler salvare le opere d’arte. Quel birbante di Hitler aveva infatti rubato un sacco di cimeli artistici e li aveva fatti nascondere in attesa di piazzarli nel suo museo personale. Nel caso in cui lui venisse ucciso, il Fuhrer aveva dato l’ordine di distruggerli tutti. L’ammericano George Clooney arruola così una squadra di esperti d’arte, soprannominati Monuments Men, per andare nella vecchia Europa a recuperare quante più opere possibili.


Chi chiama a far parte del suo team?
Embè, naturalmente la prima scelta è lui, il massimo esperto d’arte mondiale: Vittorio Sgarbi, che però rifiuta con i suoi soliti modi cortesi.


Dovendo rinunciare a malincuore a Sgarbi, George Clooney convoca allora il suo amichetto Matt Damon, più un gruppo variegato formato da Bill Murray, che dovrebbe essere il simpa di turno ma invece è meno simpa del solito, da John Goodman, che una buona forchetta ci sta sempre bene soprattutto in Europa, da Jean Dujardin, perché è un po’ il Clooney francese, da Hugh Bonneville, poiché a quanto pare George è un fan di quella lagna di Downton Abbey, e da Bob Balaban visto che, a parte Wes Anderson, non se lo fila mai nessuno.
Il Dream Team di attori esperti d’arte americani, dopo un rigido addestramento militare stile Full Metal Jacket (insomma, più o meno…), sbarca in Normandia. Dalla scena del loro arrivo in Europa, possiamo capire che i toni del film sono molto differenti ad esempio da un Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg. Il modo in cui i magnifici sette affrontano la missione è giusto un filino più sciallato rispetto a quello di Tom Hanks e compagni, che tra l’altro in quell’occasione dovevano salvare il culetto al prezzemolino Matt Damon.

"Bella raga, era dai tempi delle gite al liceo che non mi divertivo così.
Dovremmo andare in guerra più spesso!"

La pellicola di George Clooney fondamentalmente è una commedia. La rappresentazione che qui viene data del secondo conflitto mondiale piuttosto che Salvate il Soldato Damon Ryan ricorda i toni fiabeschi dello Spielberg di un altro film e di un’altra guerra: la World War I del terribile War Horse. Siamo un po’ anche dalle parti del recente Storia di una ladra di libri o, se vogliamo, addirittura de La vita è bella del Benigni. Monuments Men è una pellicola bellica all’acqua di rose, senza sangue, senza violenza, senza l’atmosfera sporca e pericolosa di una guerra. Si tratta sicuramente di una scelta voluta da parte del Clooney, però allo stesso tempo è una scelta discutibile. Non è che il bel George, ora che ha deciso di mettere la testa a posto e sposarsi con l’avvocatessa Amal Alamuddin, si è addolcito troppo?


Dopo un film che dava una rappresentazione spietata della politica come Le idi di marzo, nel suo nuovo lavoro da regista Clooney ha optato per una gran bella storia vera, di quelle positive. Monuments Men è un film classico, d’altri tempi, e da questo punto di vista riesce anche a farsi apprezzare. La partenza poi è pure buona, grazie a una presentazione senza troppi fronzoli dei personaggi e grazie a una sceneggiatura ravvivata da qualche ottima battuta vecchio stampo tipo:

“Ora sono astemio.”
“Da quando?”
“Dalle 9 di stamattina.”

Più passano i minuti, però, e più il film non riesce a crescere di ritmo. Si può anzi dire che questo è un film dai ritmi sonnacchiosi per gran parte della sua durata. Le missioni dei vari Monuments Men che vanno in giro per l’Europa a recuperare opere si sviluppano in maniera banale, con qualche momento drammatico che non riesce a risultare particolarmente emozionante e con qualche gag più o meno comica che non fa troppo ridere, ma che se non altro consente di destarsi dal dormiveglia in cui si era inevitabilmente finiti.
La classicità a cui ambisce Clooney finisce così per trasformarsi in prevedibilità. Tutto procede senza grossi scossoni, con l’attore/regista che ritaglia qualche momento importante per ogni personaggio, ovviamente anche per se stesso, senza però che nessuno spicchi in maniera particolare. Nonostante i grandi nomi del cast, tutti appaiono parecchio spenti e anonimi, i super divi Clooney e Damon in testa, ma anche l’unica femmena della pellicola, Cate Blanchett. Il problema principale di questo film è che è pure troppo impeccabile nella messa in scena, con nessuno degli attori che compare mai con un capello fuori posto e con le ambientazioni che appaiono finte, ricostruite in studio. L’insieme rimane freddo, senz’anima. Come la copia di un’opera d’arte.

"Oh, finalmente Amazon m'ha mandato la copia di Call of Duty che avevo ordinato.
Tutta questa guerra reale cominciava a stufarmi..."

A mancare sono quindi le emozioni, così come le sorprese. Monuments Men è in pratica l’esatto opposto di Bastardi senza gloria. C’è persino una scena con un tedesco delle SS che viene “braccato” dagli americani per aver nascosto dei quadri in casa sua che sembra una versione a parti invertite degli interrogatori del colonnello Hans Landa nella pellicola di Quentin Tarantino. Laddove quest’ultimo si divertiva a riscrivere la Storia alla sua maniera, Clooney si limita a raccontare la vicenda in maniera professionale quanto piatta, come un professorino liceale. Il suo film ci regala anche un paio di bei momenti, ma nel complesso è parecchio moscio e dimenticabile. Una nota di demerito la merita poi la scena finale, così smielata che farebbe venire un attacco di diabete a Winnie the Pooh.
George, così non si fa, nemmeno Spielberg avrebbe osato tanto.
(voto 5,5/10)

mercoledì 20 novembre 2013

PER ELYSIUM




Elysium
(USA 2013)
Regia: Neill Blomkamp
Sceneggiatura: Neill Blomkamp
Cast: Matt Damon, Jodie Foster, Sharlto Copley, Alice Brago, Diego Luna, Wagner Moura, William Fichtner, Carly Pope
Genere: schi-fi
Se ti piace guarda anche: Atto di forza, District 9, Io, Robot, Almost Human

Hollywood fotte tutti. Non c’è niente da fare. Puoi essere il giovane regista di migliori speranze del mondo, arrivare sulle colline di L.A. con i propositi più limpidi, la voglia di cambiare il sistema dall'interno, ma non c’è niente da fare. Hollywood ti fotte, inevitabilmente.
Neill Blomkamp è un regista sudafricano di 34 anni che aveva esordito nel 2009 a soli 30 con il sorprendente District 9, una pellicola fenomenale, innovativa, originale che io avevo venduto all’epoca come il futuro della fantascienza, alla faccia di tutti gli Avatar che imperversavano all’epoca. Nonostante quanto dirò a proposito del suo nuovo Elysium, non avevo torto. Con quel suo miscuglio di sci-fi, azione, mockumentary e quant’altro, District 9 rappresentava qualcosa di nuovo, di fresco, che ha poi influenzato parecchia cinematografia recente, da Monsters a Chronicle e che a oggi rappresenta, secondo me, la cosa migliore successa al cinema di fantascienza degli ultimi anni.
Dopo un esordio tanto fortunato, apprezzato dalla critica ma in grado di generare anche incassi notevoli nonostante il budget low-budget, Blompkamp è stato arruolato dall’Hollywood camp, per giocare nella major league, con un sacco di dollari a disposizione, dai $30 milioni di District 9 ai $115 milioni per questo nuovo progetto, Elysium, oltre a un cast che può vantare due pezzi grossi come Matt Damon e Jodie Foster.
Jodie Foster nei panni dell’autoritaria e stronzetta politica Mara Carfagna style ci sta alla grande. Niente da dire su questo.
Sulla scelta di Matt Damon invece c’è parecchio da discutere. E allora apriamo il capitolo Matt Damon.

"E tu chi ti credi di essere? Tu non sei del barrio!"
"Perché? Tu sì, Matt Damon???"
CAPITOLO MATT DAMON
Il protagonista di Elysium si chiama Max Da Costa e dovrebbe essere un giovane latino americano che vive nel barrio di Los Angeles.
Allora: Matt Damon ha 43 anni. È uno splendido quarantenne, i suoi anni li porta benissimo, per carità, però perché continuano a dargli la parte del ragazzino? Non è un attore nuovo. È in circolazione da un sacco. Il pubblico lo sa benissimo che non è più un teenager. Eppure era già successo in Dietro i candelabri, dove aveva la parte del giovinetto amante di Liberace/Michael Douglas, e qui capita di nuovo. Peeerché?
Sulla questione età comunque si può ancora chiudere un occhio. L’altra questione è che il protagonista si chiama Max Da Costa, il suo BFF è Diego Luna, vive in un quartiere di soli latino americani e quindi in teoria avrebbero dovuto prendere un attore latino o se non altro vagamente latineggiante. Che c’azzecca il biondo con gli occhi azzurri from Massachusetts Matt Damon con codesto Max Da Costa?
A questo punto, non so, perché non chiamare Clint Eastwood per interpretarlo?
Se sulla questione età si può chiudere un occhio, su questa gli occhi bisogna chiuderli tutti e due. Vabbè che Matt Damon l’hanno rasato per non far vedere che è biondo, ma diciamo che chi ha fatto il casting doveva essere matto per prendere Matt.
O probabilmente no. Il punto è che Hollywood fotte tutti. E Neill Blomkamp, se voleva realizzare un film ad alto budget, doveva per forza avere come protagonista una superstar. Visto che di star latine maschili al momento Hollywood non ne sfoggia tante, Antonio Banderas ormai è in fase calante, hanno dovuto accettare chi si è proposto, ovvero il pallido Matt Damon.
FINE DEL CAPITOLO MATT DAMON

"Come sarebbe a dire che non avete dischi di Daddy Yankee o degli Aventura?
Io, da bravo latino americano quale sono, ascolto solo quella musica de mierda!"
Matt Damon quindi come protagonista non funziona. Per niente. Anche perché avrà fatto pure la saga dello smemorato Jason Bourne, ma per me con il genere action non c’azzecca manco per sbaglio. Cannare totalmente il protagonista è un bel problema, però non è nemmeno l’unico del film. Passiamo a vedere la trama, una trama classica e già sentita per un film di fantascienza, comunque non priva di potenziale.

Nel 2154, la Terra è un posto sovrappopolatissimo e degradato. I ricconi del pianeta hanno allora deciso di espatriare su una stazione orbitante di lusso, Elysium. Laddove la Terra è una bettolaccia, Elysium è un hotel a 5 stelle. Tutte le persone più potenti, facoltose e importanti sono andate lì. Ci sono ad esempio Bill Gates, Paris Hilton, Oprah Winfrey, Lapo Elkann, Silvio Berlusconi che ha 118 anni ed è ancora vivo e parrucchinato. Gente così, che se la spassa in questa specie di Paradiso spaziale, mentre i poveracci stanno giù nell’Inferno terrestre.
Tra loro c’è come detto il giovane latino americano Max Da Costa alias il credibilissimo Matt Damon che un giorno, nella fabbrica in cui lavora, ha un incidente e viene esposto a delle radiazioni mortali. Gli restano solo 5 giorni di vita e l’unico modo per potersi salvare è andare su Elysium, dove c’è una cura per tutto e il “problema radiazioni” sarebbe facilmente risolto. Qui entra però in gioco il “problema espatrio”, visto che, come potete facilmente immaginare, raggiungere Elysium non è una cosa semplice. È un po’ come raggiungere Lampedusa senza morire in mare.

"Voglio andare su Elysium a tutti i costi.
Mi hanno detto che ci sono un sacco di altri latini ricchi come me
e Miguel Bosé. E forse c'è pure J. Lo..."
In cambio di un biglietto di sola andata per Elysium, Max accetta così una missione molto rischiosa, ovvero rubare dei dati nel cervello di un riccone che si trova sulla Terra. Per portarla a termine, viene trasformato in un ibrido umano-robotico cazzutissimo. Se la prima parte del film poteva ricordare certe pellicole sci-fi che andavano qualche decennio fa, come Atto di forza o Starship Troopers, a questo punto il film si trasforma nel solito action-supereroistico di oggi. In pratica, ‘nammerda.
Gli spunti sociali, politici e socio-politici presenti all’inizio, come lo scontro Ricchi VS Poveri, non vengono minimamente sviluppati ed Elysium diventa una pellicola fracassona, tutta effetti speciali e zero idee originali. Combattimenti, esplosioni, Matt Damon che fa il figo… Qualcuno si divertirà, per me è solo noia, noia, noia. Lo stile visivo di Neill Blompkamp, che nelle prime scene rimandava alla sua precedente hit District 9, si appiattisce e diventa anonimo. Si annulla del tutto. Era inevitabile. È così che vanno le cose, a Hollywood.
Prima di lui è successo a tanti altri, soprattutto in ambito fantascientifico, genere dove il budget riveste un ruolo fondamentale: Andrew Niccol, passato dallo splendido Gattaca al commerciale In TimeAlex Proyas, autore dei gotici Il corvo e Dark City andato a fare una willsmitthata come Io, robot o una vaccata come Segnali dal futuroM. Night Shyamalan autore dei grandiosi Il sesto senso e The Village finito a girare la bambinata L’ultimo dominatore dell’aria e pure lui la willsmitthata After Earth. E poi Roland Emmerich
Ah no, lui ha sempre e solo fatto film di merda.

Il sudafricano Neill Blomkamp partiva con le migliori intenzioni. Lo si vede, lo si intuisce dalle prime scene, girate con discreta personalità e accompagnate da una buona colonna sonora con influenze dubstep, nonostante sia facile immaginare come nell’anno 2154 la dubstep possa suonare superata quanto i canti gregoriani oggi. Ben presto però si vede Hollywood prendere il sopravvento sul regista e questo Elysium, dopo una buona partenza, diventa la peggio porcheria. Lo sviluppo della storia è prevedibile e banale e la conclusione è qualcosa di davvero terrificante.

"¡Patria o muerte!"
ATTENZIONE SPOILER
Il finale di Elysium è uno dei più ridicoli, ipocriti e idioti visti di recente.
Ridicolo, perché è alquanto inverosimile che il già di suo improbabile ragazzino latino americano Matt Damon, nonostante la corazza che gli appioppano addosso, da un giorno all’altro si trasformi in un supereroe che da solo salva l’intera umanità, manco fosse un incrocio tra Iron Man e Gesù Cristo.
È un finale ipocrita, perché Hollywood sceglie di proporci l’ennesima conclusione comunista quando sappiamo benissimo che, se mai dovessero fare un pianeta di lusso come Elysium, sarebbero loro i primi a trasferircisi sopra e a dire “Ciao ciao!” con la manina ai poveri comuni terrestri non privilegiati.
Ed è un finale idiota perché, se tutte le persone della sovraffollatissima Terra si trasferissero su Elysium, si scannerebbero per poter usare le strutture mediche e le altre risorse, non ci sarebbe spazio per tutti e nel giro di pochi giorni la piccola stazione orbitante si trasformerebbe in una seconda Terra, o anche peggio. D'altra parte dove le metti, tutte ‘ste persone?

Dopo un finale del genere, una tripla stronzata di finale del genere, potete quindi immaginare come sia stato mezz’ora almeno a mandare Matt Damon e Neill Blompkamp a quel paese. Quale paese? Elysium?
No, Esylium.
A pensarci bene comunque non è nemmeno troppa colpa loro. È Hollywood che fotte tutti.
(voto 5-/10)



mercoledì 19 giugno 2013

BEHIND THE CANDELABRA, LA RECENSIONE POCO GAY


Dietro i candelabri - Behind the Candelabra
(USA 2013)
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Richard LaGravenese
Tratto dal libro: Behind the Candelabra: My Life With Liberace di Scott Thorson e Alex Thorleifson
Cast: Michael Douglas, Matt Damon, Rob Lowe, Scott Bakula, David Koechner, Dan Aykroyd, Garrett M. Brown, Nicky Katt, Boyd Holbrook
Genere: gaypic
Se ti piace guarda anche: Velvet Goldmine, Milk, Larry Flynt - Oltre lo scandalo

Behind the Candelabra è un film gay, molto gay, talmente gay che in questo post cercherò di battere il Gaynness World Record per il maggior uso della parola gay in un post solo. Pronti? Via.

Liberace mentre cercava di nascondere di essere gay.
Behind the Candelabra è il biopic gay sulla storia gay della vita gay del pianista gay Liberace, all’anagrafe Władziu Valentino Liberace, un nome già di suo parecchio gay, visto che lo stilista Valentino è notoriamente gay e l’attore Rodolfo Valentino era anch’esso gay, quindi la sua gayezzitudine era già scritta nel suo nome.

Nonostante il suo portamento gay, la sua parlata gay, la sua camminata gay, le sue parrucche gay, nonostante uno sfoggio di abiti gay da far impallidire Lady Gaga, nota icona gay, Liberace in vita nascose sempre il fatto di essere gay. Arrivò persino a denunciare i giornalisti che gli avevano dato del gay andando a vincere la causa gay. Fu per questo che, almeno in vita, lui non è mai stato più di tanto un’icona gay.

La grande contraddizione che è stata la sua vita, tra un’immagine vistosamente gay e l’esigenza di non essere considerato solo un pianista gay, è al centro della pellicola biopic supergay girata da Steven Soderbergh, al suo secondo lavoro degno di nota dell'anno dopo l'ottimo thriller Effetti collaterali. Steven Soderbergh non mi risulta sia gay, però secondo Wikipedia ha un fratello dichiaratamente gay e inoltre sospetto che, dopo aver girato Magic Mike con tutti quei bei maschioni, possa essere diventato gay anche lui.
Il gaypic è intitolato Behind the Candelabra, un titolo che, nonostante sembri un titolo gay, in realtà non è gay più di tanto. Il candelabro non nasconde allusioni sessuali ma è solo un oggetto simbolo del personaggio, che si esibiva con un candelabro sopra il pianoforte… mmm, una cosa un pochino gay forse lo era. La pellicola non è arrivata nei cinema, colpa forse dell’ostruzionismo anti-gay dei produttori hollywoodiani gay che come Liberace preferiscono non venire allo scoperto dicendo di essere gay e preferiscono quindi non distribuire film troppo gay nelle sale etero.

Una scena gay del film.
Che uomo era Liberace, a parte un uomo gay?
La prima cosa che salta all’occhio nel film è… sì, il suo essere gay. Si può stare a esaltare le sue doti pianistiche sopraffine, la sua capacità di coinvolgere il pubblico con l’utilizzo soltanto di un pianoforte, roba mica da tutti, ma ciò che appare subito nella sua evidenza è che era gay. E la gente all’epoca, tra gli anni Cinquanta in cui cominciò a farsi conoscere e gli anni Settanta in cui si concentra la pellicola, non sapeva che era gay, o semplicemente faceva finta di non vedere quanto gay fosse.
L’apparizione di Liberace in scena è folgorante. Super vistoso, super appariscente, super gay, con indosso pellicce bianche che lo rendevano visibile fin dalla Luna, almeno dal gay side of the Moon. La sua capacità gay di ammiccare al pubblico sia etero che gay e la sua voglia di essere sempre sotto i riflettori come una prima donna lo rendevano un divo gay perfetto. Peccato che lui non volesse essere conosciuto per il suo essere gay. Nonostante questa contraddizione, Liberace ha comunque vissuto alla grande il suo essere gay nella sua splendida casa, decorata con un gusto sopraffino che solo i gay possiedono, dove giovincelli gay gironzolavano a tutte le ore del giorno e della notte, tenuti a bada dal suo onnipresente cameriere, maggiordomo e tuttofare ovviamente gay.

Una scena ancora più gay del film.
Fino all’arrivo del grande amore gay della sua vita gay: il giovane fanciullo gay, anzi bisex Scott Thorson, autore del libro memoriale a cui la pellicola è ispirata. Behind the Candelabra non è solo un biopic sull’esistenza gay dietro il candelabro del grande Liberace, ma è anche una grande storia d’amore, naturalmente gay, tra il pianista gay e Scott Thorson. Amore in senso romantico è persino limitativo, visto che Liberace per Scott era non solo compagno, non solo amante, ma anche migliore amico e pure padre. A dimostrazione di come l’amore gay possa essere più grande e totale di quello etero. A volte ci rifletto e penso che mi piacerebbe essere gay. Non fosse per il piccolo dettaglio che non provo attrazione sessuale gay nei confronti degli uomini, non sarebbe male essere gay. Non per perpetuare i soliti stereotipi gay, ma i gay hanno dei gusti fantastici. La casa di Liberace mostrata nel film come accennato è forse la casa più spettacolare che io abbia mai visto, nella realtà così come nelle pellicole gay o non gay. C’ha persino le colonne romane! Cosa c’è di più stiloso, e di più gay, di ciò?

Matt Damon a torso nudo per la gioia del pubblico gay.
Non ho ancora nominato gli attori protagonisti? Ma sono proprio gay!
Matt Damon ha la parte di Scott Thorson, aspirante veterinario che ha un cane che si chiama Cannibal (che nome gay!) e che un giorno va a vedere uno spettacolo gay di Liberace. Nel dietro le quinte dello show tra i due scattano le scintille gay. Liberace viene folgorato da questo aitante maschione gay, anzi no, come ho già detto è bisex. Matt Damon in questo ruolo se la cava, ma personalmente avrei preso un attore più giovane e gay, visto che lui è troppo poco gay per fare la parte del gay barra bisex e soprattutto è un po’ vecchiotto: Thorson quando ha conosciuto Liberace era appena 18enne, quindi, benché Damon sfoggi un fisico notevole, e lo dico come apprezzamento non gay, e benché abbia fatto uso di una parrucca gay per apparire un ragazzetto gay, un attore più giovane e possibilmente più gay sarebbe risultato più azzeccato.
Spettacolare, davvero spet-ta-co-la-re è invece un impagabile Rob Lowe nella parte del chirurgo plastico cui faranno ampio ricorso i due protagonisti gay, e a sua volta super rifatto pure lui. E forse gay anche lui, ma non ne sono sicuro.


Il vero Liberace in uno scatto poco gay.
Le luci della ribalta gay sono però tutte sul protagonista gay. Un Michael Douglas mai così gay e mai così bravo come forse dai tempi del mitico Gordon Gekko di Wall Street. La sua performance gay è davvero fenomenale, riesce a rendere alla grande tutto l’essere gay di Liberace, ma senza apparire come una macchietta gay o una parodia dei gay, anche se, a tratti, a dirla tutta oltre che al vero Liberace somiglia pure a Lord Micidial della serie tv di Maccio Capatonda Mario. Michael Douglas, noto tombeur de femmes, in questo film insomma non recita la parte di un gay. Michael Douglas in questo film è gay.

Come già capitato con Magic Mike, anche in questo caso Sodergay con la sua patinatissima regia gay ha realizzato un film più convincente nella prima parte, quella più brillante e dai toni da commedia, rispetto alla seconda maggiormente drammatica, ma ha comunque sfornato una pellicola pronta per essere un nuovo cult gay, nonché il più grande biopic su un personaggio gay mai realizzato. Milk di Gay Van Sant permettendo. Se siete gay, lo adoregayrete. Se non siete gay, diventerete gay, almeno per le due ore della sua durata gay.
(voto alla gayosità 10/10
voto al film 7+/10)

Recensione firmata da Marco Gay di Peni Cannibali, blog notoriamente gay.

E con quest’ultimo gay ho battuto il Gaynness World Record per il maggiore uso della parola gay in un post solo. Hurray!
Anzi, hurgay!



mercoledì 20 febbraio 2013

PROMISED LAND, UNA TERRA PROMESSA

"Frateeelli d'Italia, l'Itaalia s'è desta...
Hey, perché mi guardate tutti male? Ho sbagliato inno?"
Promised Land
(USA 2012)
Regia: Gus Van Sant
Sceneggiatura: John Krasinski, Matt Damon
Cast: Matt Damon, Frances McDormand, John Krasinski, Rosemarie DeWitt, Titus Welliver, Hal Holbrook, Scoot McNairy, Lucas Black
Genere: fracking
Se ti piace guarda anche: Erin Brockovich, L’uomo della pioggia, Di nuovo in gioco, Thank You For Smoking

Promised Land è un film sul fracking.
Nonostante suoni come qualcosa di sessuale, non è qualcosa di sessuale.
Il fracking è infatti la fratturazione idraulica utilizzata per sfruttare i giacimenti di gas naturale presente nel sottosuolo.

CROLLO DEI CONTATTI SU PENSIERI CANNIBALI


"So' Matt Damon ma giro ancora in pullman.
Vedete? Sono proprio come voi poveri comuni mortali sfigati."
Hey, ci siete ancora?
Mi rendo conto che non è proprio il tema più accattivante su cui costruire una pellicola e, sarà mica per questo?, il film negli USA si è rivelato un discreto flop e in Italia sta andando ancora peggio. Eppure Promised Land è una pellicola in grado di offrire spunti di riflessione e allo stesso tempo si rivela miracolosamente un intrattenimento di ottimo livello. Questo perché io sono il più grande appassionato di fracking d'Italia? Nient’affatto. In fondo, anche senza scavare fino a dove c’è il gas naturale, quello del fracking è solo lo spunto di partenza per altro, per riflettere sull’America, così come non solo sull’America. Riflettere sul potere dei soldi e sull’influenza che può avere sulla vita e sulle decisioni che prendiamo. Tutto ruota intorno al denaro. O no?
Ci sono persone che credono di poter comprare tutto, con il denaro. A voi chi viene in mente?
A me un certo imprenditore politico miliardario che crede di poter conquistare chiunque con i soldi, con le lettere e con le sue proposte shock.
Non tutto però e in vendita. Non tutti sono in vendita.

In Promised Land, la potentissima compagnia di estrazione di gas naturale Global spedisce in una cittadina che si trova proprio sopra a un prezioso giacimento di gas due suoi agenti. Il motivo? I due, Matt Damon + Frances McDormand, dovranno cercare di convincere la popolazione locale a vendere la loro terra per poter mettere gli impianti della Global.
A qualcuno, al solo sentire la possibilità di guadagni milionari, gli occhi faranno $ $


"Credo di parlare a nome di tutti i giovani dicendo che non voglio
che Marco Mengoni venga a cantare nella nostra cittadina!"
Qualcun altro invece, memore di Erin Brockovich, avanzerà qualche dubbio. Va bene i soldi, ma non è che ci sono dei seri rischi legati alla salute? Tumori, deformazioni, intossicazioni, morte?
Tra le due fazioni, pro e contro, si scatena quindi una dura battaglia, che sfocerà nelle elezioni comunali. E le elezioni, qualsiasi tipo di elezioni, sanno tirare fuori il peggio dalle persone. Lo sappiamo fin troppo bene.
Contro i rappresentanti della Global, arriverà a dar man forte al partito del no capeggiato dal nonnino sprint Hal Holbrook l’ambientalista John Krasinski.
Matt Damon e John Krasinski dunque rivali sullo schermo, mentre nella vita reale…
No. Cosa pensate? Non stanno insieme. Hanno però scritto a 4 mani la sceneggiatura del film, calibrando bene gli elementi. Da una parte la vicenda sociale, la causa ecologista, il tema della prepotenza delle multinazionali, l’impegno a lasciare un messaggio. Dall’altra gli elementi più hollywoodiani e di intrattenimento, come una buona dose di humour e pure una parte sentimentale.

"C'è una lettera di una fan per te...
Ah no, ho letto male: è per Matt Damon come tutte le altre."
Promised Land è un film che ha tutto, al suo interno. Profondità e leggerezza. Gente fighetta di città e campagnoli bifolchi di campagna. Buoni e cattivi. Dove i buoni non sono come appaiono e i cattivi non sono tanto cattivi.
“I’m not the bad guy.” “Non sono il cattivo,” dice Matt Damon. Dobbiamo credergli? Dobbiamo credere a un uomo che cerca di comprare il terreno e il favore delle persone locali con quello che chiama “fuck-you-money”, dove con l’espressione “fuck-you-money” si intende una cifra di soldi così schifosamente alta da poterti permettere di mandare a quel paese chiunque?
Dentro alla pellicola troviamo quindi sia il cinema commerciale che il cinema alternative, con il secondo ad avere la meglio, perché Promised Land è un film alternative americano. Alternative non vuol dire indie. I due termini possono sembrare simili, sono simili a dirla tutta, eppure c’è una differenza. Gus Van Sant fa cinema alternative da quando la parola indie non era ancora nata o almeno non era ancora cool pronunciarla. E questo è un film alternative, di quelli alla Steven Soderbergh.
Oltre che un film alternative, è un film molto americano, che mi ha ricordato per diversi aspetti Di nuovo in gioco, quello con Clint Eastwood, solo con il fracking al posto del baseball. Il tutto accompagnato dalle belle musiche di Danny Elfman, per una volta al servizio di un regista che non risponde al nome di Tim Burton, e impreziosito (?) persino da un momento “fordiano”, sulle note del Boss Bruce Springsteen, dalla cui canzone "Promised Land" questo film ruba il titolo. E io che pensavo si fossero ispirati a Eros Ramazzotti...

"Mi chiamano l'Uomo in Nero, piccola, vuoi scoprire perché?"
Una storia già vista, quella di Promised Land, eppure raccontata tremendamente bene. Una storia di quelle di cui non so voi, ma io sento il bisogno, oggi come oggi in cui tutti sembrano disposti a tutto per i soldi: uccidere, uccidersi, credere di nuovo alle promesse di un piazzista politico e alle sue lettere…
So già che qualcuno accuserà questo film di essere buonista e moralizzatore, e di avere un finale troppo leggero ed happy. Lo so già perché è accaduto di recente anche con Flight. E lo so già perché io sono uno di quelli che di solito quando non sa come attaccare un film, tira fuori le parole “buonista” o “Fabio Fazio” e se la cava alla grande. Però non fate i cattivi come me e non dite che questa è una pellicola buonista che mi metto a piangere come il vincitore di Sanremo Giovani
UEEEEEEEEE’ UEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE’
e poi vi querelo come Corona se scrivete che mi sono messo a piangere.

Riassumendo, Promised Land è un film sul fracking, un film ambientalista, un film alternative americano, ma anche un film su un’elezione, che casca a fagiolo da noi in questo momento e ci ricorda una lezione magari retorica, magari banale, ma sempre preziosa: non tutti sono in vendita e non tutti i voti possono essere comprati. Fuck you, money.
(voto 7,5/10)

Comunque Gus Van Sant, una richiesta: il prossimo film non è che lo fai sul fracking, ma senza la r?


Recensione pubblicata anche su The Movie Shelter.



“Siamo ragazzi di oggi
anime nella città
dentro i cinema vuoti
seduti in qualche bar
e camminiamo da soli
nella notte più scura
anche se il domani
ci fa un po’ paura
finché qualcosa cambierà
finché nessuno ci darà
una terra promessa
un mondo diverso
dove crescere i nostri pensieri
noi non ci fermeremo
non ci stancheremo di cercare
il nostro cammino.”
Eros Ramazzotti - “Terra promessa” -



lunedì 23 aprile 2012

Scarlett Zoohansson

La mia vita è uno zoo
(USA 2011)
Titolo originale: We Bought a Zoo
Regia: Cameron Crowe
Cast: Matt Damon, Scarlett Johansson, Thomas Haden Church, Colin Ford, Maggie Elizabeth Jones, Elle Fanning, John Michael Higgins, Patrick Fugit, Angus MacFayden, Carla Gallo, Stephanie Szostak, Desi Lydic, Dustin Ybarra
Genere: zoofilo
Se ti piace guarda anche: Paradiso amaro, Ragazzi miei, Il signore dello zoo, I ragazzi dello zoo di Berlino
Uscita italiana prevista: 8 giugno 2012



"Lo so, finire dietro le sbarre per aver messo
le foto di Scarlett nuda online è un vero scandalo!"
I registi sono dei gran sadici. Qualcuno ha detto Lars Von Trier?
Alcuni registi sono sadici soprattutto con Matt Damon e le sue mogli. Era già successo in Contagion di Steven Soderbergh, con la dolce Gwyneth Paltrow stecchita dopo appena una manciata di minuti (yeah!), e ora in We Bought a Zoo la sua nuova mogliettina manco la fanno vedere perché è già deceduta prima dell’inizio della pellicola.
Niente virus letali, questa volta, ma un pericolo ancora maggiore: un film con gli animali! E in uno zoo, per giunta!
O-MIO-DIO
Cameron Crowe, che mi combini?

Cameron Crowe è era il regista più rock’n’roll in circolazione e mi fa un film per famiglie?
Cameron Crowe, quello che da ragazzo faceva il giornalista per Rolling Stone. Quello che ha scritto il cult anni ’80 Fuori di testa. Quello della Seattle grunge di Singles - L’amore è un gioco. Quello del John Cusack con lo stereo di Non per soldi… ma per amore. Quello del Tom Cruise che fa il Tom Cruise ancora più del solito in Jerry Maguire. Quello di Vanilla Sky ed Elizabethtown. Quello, soprattutto, di Almost Famous.
E mi fa un film per famiglie? Un film per famiglie con bambini e animali e un sacco di animali e un sacco di bambini e un sacco di famiglie e un sacco di mamme morte e un sacco di bambini che fanno le boccacce???

"Adesso, Scarlett, non mi resta che mostrarti la mia collezione di farfalle..."
Un evento del genere ti fa capire che il rock è proprio morto. Stecchito. Stecchino. Schettino.
Rock is deader than dead.
Non c’è più nessuno, oggi, di veramente rock’n’roll.
Mi viene in mente solo Courtney Love. Di recente ha accusato su Twitter Dave Grohl di averle molestato la sua giovane figliuola Frances Bean Cobain. Sia Dave che Frances Bean hanno smentito la notizia, o meglio il delirio personale della all you need is Love, e la figlia ha persino dichiarato che Twitter dovrebbe bandirla perché sta troppo fuori.
Ed è vero. È troppo fuori ed è troppo rock’n’roll.
Courtney Love un film per famiglie non lo farebbe mai. Lei nemmeno la sua famiglia la vuole.
Cameron Crowe invece mi è caduto proprio lì, a fare un film sui buoni sentimenti. Non c’è più religione e non c’è più rock’n’roll.

"Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate!"

Chiudiamo così il capitolo We Bought a Zoo, che in Italia uscirà a giugno con il bel (?) titolo La mia vita è uno zoo?
No, perché comunque il filmuccio tanto caruccio alla fine si lascia vedere. Le inquadrature degli animali e dei tramonti fanno tanto Spielberg War Horse-era, però la storiella alla fine riesce a creare un certo coinvolgimento emotivo. Con qualche lungaggine di troppo, con qualche eccesso di melensaggine bleah di troppo, ma tutto sommato si fa vedere.
È pur sempre un cazzo di film per famiglie, eppure un minimo di tocco Crowe (non Russell) si fa sentire. Ad esempio nella colonna sonora, curata da Jonsi alias il cantante dei Sigur Ros.
Sigur Ros che sono appena tornati con un nuovo album, e com’è?
Bah, ne riparleremo.
Comunque qui il Jonsi ha creato un bel tappeto sonoro, dolce ma non troppo smielato. Emozionante ma non paraculo. Insomma, ha fatto un gran bel lavoro che lascia addosso un ricordo piacevole del film, al di là dei meriti non eccelsi della pellicola stessa.
Poi, quando partono le note di “Hoppipolla” o un altro dei pezzi suoi e/o dei Sigur, è difficile non rimanere intrappolati dentro la gabbia dello zoo messo in scena da Cameron Crowe.


E pure Matt Damon finisce per essere almost convincente.
Insomma, Matt Damon è un bravo attore e tutto, però non mi entusiasma. L’ho già detto che mi sembra un Leonardo DiCaprio di serie B? Sì, probabilmente l’ho già detto in qualche vecchio post.

E poi c'è un bel cast di contorno, composto dal simpatico cazzaro Thomas Haden Church, da Patrick "Almost Famous but never really famous" Fugit e da una perennemente sorridente Elle Fanning (che a 14 anni sia già stata presa da una paresi facciale berlusconiana?). In più c'è pure questo tizio qui sotto, Dustin Ybarra. Già solo per i suoi capelli, la sua faccia e le sue sopracciglia, io un film comico da protagonista assoluto glielo affiderei sulla fiducia.


"Mi hanno offerto un film dove non mi spoglio? Son scemi?"
E soprattutto c’è Scarlett Johansson. Scarlett Johansson che in una scena fa i versi alle tigri…
Detta così, può sembrare una cosa sexy, ma in realtà non lo è. Scarlett Johansson in un film in cui non si mostra nuda, è uno spreco. Non le fanno mostrare un centimetro di pelle. Sembra la versione amish di Scarlett Johansson. Immaginate: è come avere Messi e farlo giocare a basket. O avere Adele e farle suonare l’armonica. O avere Madre Teresa e farle fare un film porno…
Ok, quest’ultimo esempio forse era un tantino troppo politically uncorrect!
Ma in fondo meglio così. Il film sarà anche per famiglie, ciò però non significa che anche il mio post lo sia.
Io comunque, in una pellicola come questa, come protagonista femminile avrei senza dubbio preso Zoo Deschanel.
(battuta terribile, lo so lo so e lo so)

"Ah ah ah, che ridere!"

Pensavo ci sarei andato giù più pesante, con questo film. Pensavo a un Killing Zoo. Però non ce la faccio a voler del male a una pellicola firmata da Cameron Crowe. Per quanto il ragazzo, diciamo ormai ex ragazzo,potrebbe fare molto meglio di così, se solo si applicasse di più.
Nel suo genere, We Bought a Zoo funziona quindi piuttosto bene. Peccato solo appartenga al genere sbagliato: il genere di film per famiglie, con tanti animali, tanti bambini e zero tette e culi di Scarlett Johansson.
(voto 6/10)

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