Cast: Tilda Swinton, Matthias Schoenaerts, Ralph Fiennes, Dakota Johnson, Corrado Guzzanti
Genere: estivo
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Figa, dove andate in vacanza quest'estate?
A Borghetto Santo Spirito?
Ma siete proprio dei barboni!
Figa, io invece sono appena tornato da Pantelleria con i miei amici: il Matthias Schoenaerts – uno troooppo figo! – il Ralph Fiennes – uno troooppo scemo! – e la Dakota Johnson, una che in Cinquanta sfumature di grigio sembra una troooppo figa di legno e poi si trasforma in una troooppo porca senza limiti, e qua uguale.
E poi c'era lei, la padrona di casa, la rockstar: la Tilda Swinton. Cioè, io lei non me la farei mai e poi mai, ché la trovo sexy quanto il Signor Burns nudo, ma tanto sono cavolacci del Matthias Schoenaerts che se la deve ciulare e credo che per farlo prima si riempia di Viagra, però comunque lei è troppo una rockstar. Solo che quest'estate era senza voce e una rockstar senza voce è come un pornodivo senza cazzo: inutile.
Figa, io non ci sono nelle foto perché le han fatte scattare tutte a me, anzichè farsi dei selfie come le persone civili.
Tratto dal romanzo: Via dalla pazza folla di Thomas Hardy
Cast: Carey Mulligan, Matthias Schoenaerts, Michael Sheen, Tom Sturridge, Juno Temple, Jessica Barden
Genere: romcom d'altri tempi
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Certo che le donne sono propri degli esseri strani. Quasi più dei francesi. Prendiamo Bathsheba Everdene, la protagonista di Via dalla pazza folla (Far from The Madding Crowd), romanzo ottecentesco di Thomas Hardy portato sul grande schermo dal danese Thomas Vinterberg con protagonista Carey Mulligan.
Già il nome Bathsheba Everdene, che razza di nome è? Quasi peggio di Katniss Everdeen...
Quello che non si capisce è come si sceglie gli uomini.
ATTENZIONE SPOILER
Il primo a chiederla in sposa è Matthias Schoenaerts. A me gli uomini non piacciono, però se uno come Matthias Schoenaerts mi chiedesse di sposarlo, farei quasi fatica a dirgli di no. Bathsheba Everdene invece lo rifiuta senza battere ciglio.
"Mi vuoi sposare, Carey?" "Ma ci conosciamo da appena 5 minuti." "Che ne dici di andare prima a un cinema, e poi magari sposarci?" "Basta che non andiamo a vedere un film in costume della BBC. Non li sopporto, quelli."
Tratto dal romanzo: Suite francese di Irène Némirovsky
Cast: Michelle Williams, Matthias Schoenaerts, Kristin Scott Thomas, Ruth Wilson, Sam Riley, Tom Schilling, Margot Robbie, Alexandra Maria Lara, Lambert Wilson
Genere: polpettone storico
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Suite francese fin dal titolo promette di essere la mia visione ideale.
Il termine suite lascia immaginare una forte componente musicale e ciò per me è sempre un bene. A meno che non si intenda la suite di un hotel, e pure in tal caso la cosa non mi dispiace affatto.
Io poi adoro tutto ciò che è francese.
Oltre al titolo, se a ciò aggiungiamo che la protagonista è la mia adorata Michelle Williams, ancora meglio. Buttiamoci nella visione di questa pellicola!
Ispirato al racconto: Animal Rescue di Dennis Lehane
Cast: Tom Hardy, James Gandolfini, Noomi Rapace, Matthias Schoenaerts, John Ortiz, Elizabeth Rodriguez, Ann Dowd
Genere: colpevole
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Chi è senza colpa?
Chi è stato assolto in Cassazione in maniera definitiva può essere considerato senza colpa?
Per la legge italiana sì.
Chi altri?
Io sono senza colpa. L'unica colpa che mi si può imputare è quella di parlare malamente di cinema e a volte pure di musica e serie tv, ma nessuno è perfetto.
A sua volta ispirato al romanzo: Deux freres, un flic, un truand di Bruno Papet e Michel Papet
Cast: Clive Owen, Billy Crudup, Marion Cotillard, Mila Kunis, Zoe Saldana, James Caan, Matthias Schoenaerts, Noah Emmerich, Lily Taylor, Griffin Dunne, Eve Hewson
Genere: 70s
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Blood Ties è il classico grande film mancato. Le premesse perché ne uscisse un capolavoro, un quasi capolavoro o comunque un cult c’erano tutte. Innanzitutto un cast internazionale fenomenale che va dall’inglese Clive Owen alla francese Marion Cotillard, dalla topa qui meno topa del solito ucraina Mila Kunis all’americano Billy Crudup, attore eternamente destinato a rimanere nel limbo degli almost famous come il titolo del suo film più famoso, più una serie di comprimari di prestigio, da James Caan a Lily Taylor, dall’attore rivelazione di Un sapore di ruggine e ossa, il belga Matthias Schoenaerts, al Noah Emmerich della serie The Americans, per arrivare a Zoe Saldana, una che qui dimostra di non essere nemmeno male a recitare, peccato che, dal terrificante Avatar al noiosissimo Out of the Furnace, non azzecchi un film manco per sbaglio.
"Devi smetterla di dire che sono almost famous!"
"Ah sì, scusa. Ormai dovrei dire che sei almost unknown."
In più, Blood Ties porta la firma di un promettente giovane regista francese come Guillaume Canet, il fortunato maritino della Marion Cotillard, qui su Pensieri Cannibali già parecchio apprezzato per i suoi precedenti Non dirlo a nessuno e Piccole bugie tra amici. Metteteci dentro inoltre una bella storiona criminale, degli intensi intrecci famigliari preannunciati fin dal titolo, un’ambientazione anni ’70 molto American Hustle e una colonna sonora notevole e avrete un grande film assicurato, giusto?
Peccato che non sempre le cose vadano come annunciato dalle premesse. Peccato, o meglio così, altrimenti il mondo sarebbe una gran noia. Prendete il Barcellona, per esempio. Quest’anno avrebbe dovuto vincere la Champions League a occhi chiusi, e invece è uscito ai quarti di finale. Allo stesso modo, questo Blood Ties avrebbe dovuto lanciare Guillaume Canet nell’Olimpo dei registi più ricercati di Hollywood, avrebbe dovuto rilanciare la carriera ormai appannata di Clive Owen e Billy Crudup, vincere festival cinematografici e Oscar e invece… invece questo film non se l’è filato nessuno, per ora in Italia non ha manco trovato una distribuzione e a livello qualitativo il risultato non è certo da Oscar. Perché? Difficile spiegare il perché. Come detto, c’erano ottime premesse e buonissime intenzioni, eppure il film non funziona.
"Ciao bella, quanto prendi?"
"Ma guarda che è Marion Cotillard che ha la parte della battona, mica io!"
Per capire cosa c’è che non va in questo Blood Ties, più di tante parole, basta vedere una scena. Clive Owen e Mila Kunis escono insieme, si piacciono e si baciano romanticamente sulle note della splendida “Crimson and Clover” di Tommy James and the Shondells. Vi immaginate una scena sexy e poetica, una sequenza cult di quelle che rimarranno impresse nella storia del cinema? Io sì, sinceramente me l’aspettavo, e invece tra i due attori non c’è la minima chimica e la scena appare del tutto anonima. Questo momento può valere come simbolo di tutto ciò che non va nel film. È tecnicamente ben girato, professionalmente ben interpretato, eppure neanche una singola scena può essere davvero considerata Grande Cinema.
Gli attori fanno il loro dovere da buoni professionisti, ma non riescono a brillare. Clive Owen ormai sembra la versione giusto un pochetto più espressiva di Nicolas Cage, e non è un gran complimento, mentre Billy Crudup dai tempi di Quasi famosi non riesce a lasciare il segno e ormai credo non lo farà mai più.
"Parlavate di me?"
Mila Kunis, con tutto il bene che le voglio, ed è parecchio, non è minimamente in parte, l’interpretazione di Matthias Schoenaerts non ha un gran sapore di ruggine e ossa, Marion Cotillard fa sempre la sua figura, ma il personaggio della prostituta di origini italiane che interpreta non riesce a ritagliarsi lo spazio che avrebbe meritato e la più convincente del cast pare allora Zoe Saldana. E questo non è bene.
La parte più carente è però la storia. Vista da lontano, sembra anch’essa di ottimo livello, con il suo incrocio di trame che combinano drammi personali con risvolti da thriller poliziesco. Da una parte abbiamo il poliziotto Billy Crudup, dall’altra sua fratello, un criminale appena uscito di prigione. Uno spunto che lascia pregustare un grande conflitto famigliare e che invece non esplode mai e presto affoga nella noia. Il problema del film sembra allora quest’ultimo. Ci si annoia perché la vicenda non cresce mai veramente. Dopo una (lunga) introduzione dei personaggi e delle loro storie, non si ha mai un cambio di passo. Nonostante una colonna sonora super retrò 70s di ottimo livello, Blood Ties non ha ritmo. Sono stato tutto il tempo a guardarlo in attesa che a un certo punto scattasse la scintilla, che succedesse qualcosa in grado di catturarmi, di farmi entrare dentro la pellicola, invece niente. Due ore e passa di attesa per niente.
Non ci si può nemmeno incazzare troppo, perché Blood Ties non si può definire un film brutto. È solo piatto, sa di già visto, anche se è il remake franco-americano di una pellicola francese di qualche anno fa che non ho visto. Soprattutto, c’è una cosa che non va: manca di passione. È una di quelle pellicola che vanno avanti in maniera impeccabile, senza però riuscire a travolgerti. Blood Ties è il classico grande film mancato.
(voto 5,5/10)
Questo post partecipa al That's 70’s Day organizzato dal solito gruppo di blogger cinematografici di cui faccio parte. Una giornata dedicata a film recenti ambientati però negli scintillanti anni ’70.
Qui di seguito trovate l'elenco di tutti i blog che oggi si sono dati al revival.
Mi sorprende che per lanciare questa pellicola in Italia non si sia giocato sulle somiglianze con il mega successo Quasi amici. Sarà che quello era più orientato sul versante comedy, mentre questo va più in direzione drama.
Ad accomunare le due pellicole è la tematica dell’handicap e il modo in cui ci si approccia ad esso. Senza patemi o drammi eccessivi da parte della persona che si trova ad avere a che fare con il “diverso”, con il “malato”, con "l'handicappato". Così come lo scatenato Driss si prendeva cura a suo modo del tetraplegico Philippe in Quasi amici, qualcosa di simile succede anche qui, nel rapporto tra il buttafuori/addetto alla security/lottatore amatoriale Alain e la Stéphanie interpretata da Marion Cotillard. Solo che laddove quei due là erano quasi amici, loro sono appunto due quasi trombamici.
Fatta questa intro, torniamo indietro, all’inizio.
"Mi spiace, ma mi rifiuto categoricamente di chiamarti Willy..."
La pellicola parte con un giovane uomo single che se ne va in giro con il suo figlioletto, arrangiandosi e vagabondando qua e là. Al chè ti viene da domandarti: “Oh Cristo Mio Santo, sarà mica una menata o meglio una muccinata colossale come La ricerca della felicità?”.
No, perché poi entra in scena Marion Cotillard, la bella coinvolta in una rissa in discoteca, e allora ti viene da pensare al classico dramma della sgnaccherona che non è contenta di essere solo una sgnaccherona e vuole qualcosa di più dalla vita e invece no. C’è dell’altro. Marion Cotillard quando la sera non è per locali a smignotteggiare allegramente è un’addestratrice di orche.
Addestatrice di orche?
Fermi un attimo! Sarà mica una stronzatona stile Free Willy? E dico Free Willy, Cristo Mio Santo!
E invece poi succede
ATTENZIONE SPOILER
succede che Marion Cotillard ha un incidente, un incidente grave per colpa di una di quelle dannate orche Free Willy di ‘sta cippa, si risveglia in ospedale e… sorpresa! Niente più gambe.
Qui allora pensi: "Oooddio, il solito film sull’handicap da fazzoletto facile!".
"Smettila di insistere, che se no finisce che ti chiamo Porca l'Orca!"
Il film poteva cadere facilmente nella trappola del drammone. Ma poi ti rendi conto che alla regia c’è Jacques Audiard, uno che con il suo precedente Il profeta già aveva realizzato qualcosa di molto diverso dal solito prison-movie, o dal solito criminal-movie. E ti rendi inoltre conto che questo è un film francese e i francesi negli ultimi tempi sanno trattare le tematiche scomode in una maniera assolutamente non convenzionale. Il tetraplegico di Quasi amici, il figlioletto malato di cancro di La guerra è dichiarata, le teen moms incinte di 17 ragazze, la pedofilia di Polisse... e allora riprendi fiducia e più il film va avanti e più ti rendi conto che questo no, non è il solito drammone. Non è Free Fucking Willy. Questo è un film che sa scavarti sotto pelle, penetrarti fino alle ossa, andando a picchiare duro e facendoti male. Ma pure bene. Un dramma con una luce al fondo del tunnel. Una luce vera. Non le luci alla fine del tunnel della crisi che Monti vede da mesi, peccato che noi comuni cittadini mortali mica le riusciamo a vedere.
Andando a indagare oltre la conclusione della visione, come accade solo con i grandi film, quelli che ti hanno lasciato qualcosa dentro, quelli di cui vuoi sapere di più, ho scoperto che Un sapore di ruggine e ossa è tratto dalla raccolta di racconti Ruggine e ossa dello scrittore canadese Craig Davidson. Andando a ricercare ancora oltre, questo Craig Davidson è stato acclamato da gente come Bret Easton Ellis, Chuck Palahniuk e Irvine Welsh e insomma praticamente i miei sommi modelli letterari e allora ho cominciato a capire perché questo film mi è piaciuto tanto. Più che piaciuto, mi ha devastato tanto. Non è la stessa cosa: Ted mi è piaciuto. Un sapore di ruggine e ossa mi ha letteralmente devastato.
Ho capito anche che questo autore, questo Craig Davidson, me lo devo cercare, me lo devo leggere. Mi devo fare lacerare l’anima dalle sue parole. Se il libro è all’altezza del film. Se frasi come quelle seguenti di Ellis e Palahniuk:
“Queste grandiose, incantevoli storie di ragazzi nei pasticci rappresentano il miglior esordio che io abbia letto da parecchio tempo a questa parte.”
Bret Easton Ellis
“Davidson balla sulla linea di demarcazione tra commedia e orrore, crudeltà e misericordia. I suoi racconti sono provocatori e sconvolgenti.”
Chuck Palahniuk
non sono semplici frasi promozionali ideate dai loro agenti o da quei volponi di Einaudi per lanciare un nuovo fenomeno letterario e, se anche lo fossero, io ci sono cascato in pieno e questo Craig Davidson che credo non abbia nulla a che vedere con il cantante Craig David - Grazie, Cristo Mio Santo! - potrebbe diventare in scioltezza il mio nuovo scrittore preferito o qualcosa del genere.
Che poi uno a un certo punto si chiede il perché del titolo. E poi, a un altro certo punto, l’ho capito. Guardando il film, a un tratto in bocca ho sentito il sapore di ruggine e ossa. Non mi sono lavato i denti? Ho mangiato qualcosa di strano, tipo della ruggine o delle ossa?
No, non mi pare. Non recentemente.
Resta in piedi allora soltanto un’ipotesi: è colpa del film. È il film che mi ha fatto sentire il sapore di ruggine e ossa in bocca. Se vi sembra una cosa assurda e poco razionale, avete ragione: è una cosa assurda e poco razionale.
"Rifare il balletto di Gangnam Style è più difficile di quanto immaginassi..."
Spiegare il film in maniera razionale sarebbe anche possibile: si potrebbe parlare della performance superlatif di Marion Cotillard, dell’altrettanto fenomenale co-protagonista Matthias Schoenaerts (attore belga rivelazione di Rundskop, che devo ancora recuperare), della regia molto fisica di Audiard, sempre vicina ai suoi personaggi, talmente vicina da far male. Si può parlare anche di una sceneggiatura che prende la routine della vita dei protagonisti e ha degli scarti di poesia improvvisi, inattesi. E ancora si può citare una colonna sonora notevole e variegatissima, che spazia dall’elettronica a Bon Iver, da Lykke Li a Katy Perry…
Ed è lì. Sulle note di “Firework” di Katy Perry, con Marion Cotillard che dimena le mani davanti a un’orca immaginaria, che ne hai la consapevolezza. Ti rendi conto di trovarti di fronte a un grande, grandissimo film, impossibile da rendere in maniera razionale. E ti rendi conto di avere i brividi sulla pelle e non è colpa di qualche assurdo provvedimento provinciale che vuole levare il riscaldamento. Non è il freddo. È proprio la scena, che è da brividi.
E, comunque, lo dico o non lo dico? Massì, lo dico: Marion Cotillard è un gran bel pezzo di f...emmina anche senza gambe.
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