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giovedì 20 agosto 2015

Jason Statham vs Taylor Lautner: chissà chi avrà la meglio?





Nell'agosto italiano sono uscite contemporaneamente due pellicole che ci presentano una singolare sfida tra action heroes o aspiranti tali: da una parte il campione in carica Jason Statham, dall'altra il giovane sfidante Taylor Lautner. Un incontro che ha già un vincitore designato. Oppure no?


domenica 15 giugno 2014

BOTTE DI FORTUNA, MA BOTTE DI CULO ZERO




Botte di fortuna
(USA 2012)
Titolo originale: The Brass Teapot
Regia: Ramaa Mosley
Sceneggiatura: Tim Macy
Cast: Michael Angarano, Juno Temple, Alexis Bledel, Billy Magnussen, Alia Shawkat, Bobby Moynihan, Steve Park, Jack McBrayer, Debra Monk, Thomas Middleditch, Matt Walsh, Cristin Milioti
Genere: (s)fortunato
Se ti piace guarda anche: Rapture-Palooza, Fatti, strafatti e strafighe, Jumanji, L’arte di cavarsela

Quali dolori sopportereste per denaro?
Io, da buon sadomasochista quale sono, arriverei ad accetterei di:

  • Fare una maratona di inguardabili film action selezionati apposta per me dal mio blogger nemico Mr. James Ford.
  • Andare a letto con Conchita Wurst.
  • Guardarmi tutti gli episodi di tutte le stagioni di Walker Texas Ranger con l’amichevole compagnia di Chuck Norris in persona che replica su di me le mosse compiute sullo schermo.
  • Giocare una partita a calcetto con gli amici selezionando volutamente Paletta in squadra con me.
  • Considerare Laura Pausini una cantante rispettabile e, per dimostrarlo, assistere a un suo INTERO concerto.
Nah, quest’ultima cosa mi sa che non la farei per nessuna somma di denaro al mondo. I protagonisti di Botte di fortuna invece non si fanno alcun scrupolo e accettano in pratica qualsiasi tipo di cosa dolorosa per denaro. Accettano persino che il loro film, originariamente intitolato The Brass Teapot ovvero La teiera d’ottone, esca in Italia con questa assurda vanziniana denominazione, Botte di fortuna, e per altro mi risulta sia stato distribuito solo per il mercato home-video.

Cosa succede in questo film dal titolo tanto sfortunato?
Succede che i due protagonisti, il simpatico Michael Angarano e la simpatica ma soprattutto sexy gnocchetta Juno Temple, una coppia di giovani sposini, un giorno per caso trovano una teiera d’ottone. Trovano non è la parola più esatta… Diciamo che Juno Temple la ruba a una povera vecchina che di lì a poco morirà.
La teiera d’ottone non è però solo una semplice teiera d’ottone di quelle che si vedono tutti i giorni. Anche in questo caso si fa per dire, considerando che io in tutta la mia vita credo di non aver mai visto una teiera d’ottone prima di questa bislacca pellicola.
L’unica altra teiera a cui sono abituato è La teiera volante, ovvero il blog di Lucien. Per il resto, io il tè me lo faccio quasi tutte le mattine, ma dentro un semplice merdoso pentolino a buon mercato e poi lo verso nella scodella senza l’utilizzo di sofisticate teiere.

Dicevo che la loro non è una semplice teiera. È una teiera magica. Ogni volta che qualcuno si fa del male o prova del dolore, sia fisico che psicologico, mentre si trova vicino ad essa, dalla teiera spuntano fuori delle banconote. Dei bei dollaroni fumanti tutti da spendere. Una volta che scoprono ciò, Juno Temple e Michael Angarano si danno alla pazza gioia. O meglio al pazzo dolore. Si provocano del male in tutti i modi possibili pur di far sputar fuori alla teiera dei soldi. Da squattrinati quali erano, lui lavorava in un call center mentre lei era una laureata che non riusciva a trovare un lavoro all’altezza dei suoi studi (no, a sorpresa il film non è ambientato in Italia!), si trovano così a nuotare nel denaro come Paperon de’ Paperoni. Come ben si sa, il denaro cambia le persone e, come diceva Notorious B.I.G., mo’ money mo’ problems, più soldi più problemi. Io non so se aveva ragione, ma proverei ad avere tanti soldi giusto per vedere se è vero. Fatto sta che i due, da simpatici fancazzisti quali erano, si trasformano in delle persone orribili, disposte a fare del male a se stessi e pure agli altri per denaro.

Lo spunto di questa pellicola è parecchio originale e curioso. Il film è fondamentalmente una commedia, ma ha anche dei risvolti fantasy che, almeno all’inizio, lasciano presagire a uno di quei filmoni anni ’90 per tutta la famiglia in stile Jumanji, con la teiera del potere che ricorda pure il tesssssoro de Il signore degli anelli. Nonostante questi vaghi riferimenti, Botte di fortuna non entra mai del tutto in territori fantasy per restare in quelli della comedy grottesca, avvicinandosi dalle parti di film come Fatti, strafatti e strafighe, ma senza provocare mai vere risate.
Botte di fortuna non azzecca allora la classica botta di fortuna e non riesce a trasformare una trama sconclusionata e spesso non solo assurda, quanto propria scemotta, in una pellicola davvero convincente. Sarà perché in casi come questo una semplice botta di fortuna non basta. Ci va proprio una gran botta di culo.
(voto 5,5/10)

domenica 18 maggio 2014

DE INGLISH TICCER - DE REVIÙ




"Oh mai gad! I dont anderstend a uord!
The English Teacher
(IUESSEI 2013)
Dairector: Craig Zisk
Vraiters: Dan Chariton, Stacy Chariton
Casst: Julianne Moore, Michael Angarano, Lily Collins, Greg Kinnear, Charlie Saxton, Nathan Lane, Fiona Shaw, Norbert Leo Butz, Jessica Hecht, Nikki Blonsky, Sophie Curtis
Genre: aigh-skull
If you laik it, you ken uoch olso: Bad Teacher, Il papà migliore del mondo, School of Rock

I nid a inglish ticcer, becous my inglish is not veri gud. I min, der is pipol that spik a inglish worst den main, laik Aldo Biscardi & Giorgio Napolitano & Paolo Sorrentino, bat I fink I have a lot of margins of migliorament. So, I nid some1 laik Julianne Moore.
I uont a ticcer laik Julianne Moore for meni meni risons. De first 1 is that she is a MILF. I min, in de real laif she is de mader of two childrens, but in de muvi De inglish ticcer she is not a MILF. She does not have childrens. She is a… Au do you say “zitella” in inglish? Zaitell? Is it correct?
Enyways, she is a zaitell, but she is abbastanz fuckable, tu.
De second rison becous I uont er is that she is a gud ticcer. She loves her uork and she loves buks, tu. Yeah, she is a nerd.
De terz rison is that she has red eir. I laik uimen wif red eir.
De quart reason is that she is a MILF. Have I ollredi dett that?

"Uot de fak?"
So, I don’t now if you have anderstud, but I rilli laik de part of Julianne Moore and I fink she is de mein point of forz of de muvi. And den der is also Michael Angarano. I laik him, tu. I min, I do not laik him in a sexual huey. I laik him becous he has a nais feis. He luks laik a simpa boy. If I still go to skull, I wuld laik to go to skull wif him because I fink it wuld B fanni (have you sin de correct use of de conditional verbs?).
Apart de veri gud 2 protagonists, 4 de rest not evrifing in dis muvi is greit. De comedy part of dis film is not veri strong. I have not laf a lot uoccing it. Enyweys, de story is interestanting. It spiks abaut a inglish ticcer, of cors, Julianne Moore, of cors agayn, that… anzi no, ho sbagliato, sorri… a inglish ticcer who mits a old stiudent, Michael Angarano. I min, he is not veri old. He is 25 or samfing and he wrot a tiater play, a opera that nobady ghivs a schit abaut. Nobady until de inglish ticcer Julianne Moore, who uonts to rappresent it in her aigh-skull. So, de 2 uork tugheder on it and dey uork olso wif Lily Collins, who is a yang stiudent and who is de meyn actress in dis tiater play. She is veri fackabol tu, even if she has veri big, bat veri veri veri big eyebrows (I have serchd dis uord on uordreferens.com becous I did not now B4). End so der is a love triangol, laik in olmost all de films and telefilms I iusually uocc.
End den, in de end uot eppens?
I do not tell you. No spoiler. I uont you to uocc dis muvi, tu. Uai? Becous de inglish ticcer is a veri nais film. It is not a piece of master, but I fink it is abbastanz cul.
Denk you 4 de attenscion.
(grade C+)

"GRRR! I fink dis reviù is not veri veri correct."

mercoledì 15 agosto 2012

Nerd e + nerd

Gentlemen Broncos
(USA 2009)
Regia: Jared Hess
Cast: Michael Angarano, Jemaine Clement, Jennifer Coolidge, Halley Feiffer, Hector Jimenez, Josh Pais, Clive Revill, Sam Rockwell, Mike White
Genere: troppo nerd
Se ti piace guarda anche: Fanboys, Napoleon Dynamite, La rivincita dei nerds, Flight of the Conchords, The IT Crowd

Si può fare un film più nerd di Napoleon Dynamite?
Dopo aver realizzato la pellicola simbolo del genere, o quasi, Jared Hess ci prova aggiungendo alla formula un po’ di letteratura fantasy, che fa sempre molto ma molto geek, e una serie di personaggi uno più fulminato dell’altro. Risultato? Un film tanto nerd, persino troppo, quanto poco efficace. E soprattutto, ben poco divertente.

Il protagonista Michael Angarano è un giovane autore di un romanzo fantasy che partecipa a un seminario presieduto dal massimo scrittore del genere, tale Ronald Chevalier, interpretato da Jemaine Clement, uno dei due protagonisti dell’esilarante serie Flight of the Conchords (sempre a proposito di geeks e nerds vari…). Un tipo sbruffone che se la tira come se fosse il nuovo J.R.R. Tolkien (uno che tra l’altro probabilmente viveva talmente nel suo mondo da non tirarsela nemmeno) o una sorta di alter-ego di George R.R. Martin, l’autore di Game of Thrones. Peccato che in realtà sia uno che ricicla di continuo le stesse idee e una volta finite quelle decide di “plagiare” Zucchero-style il romanzo che il giovane protagonista gli aveva consegnato durante il seminario cui lui partecipava in veste di giudice. E così pubblica, il primo volume della saga fantasy “rubata” o meglio “zuccherata”, ottiene un nuovo grande successo e il nostro giovane protagonista si trova fo**uto alla grande, almeno fino a che…
Lascio a voi il piacere, non particolarmente godurioso, di scoprire come va avanti.

La storiella si lascia seguire e regala qualche sorrisino stretto grazie ai suoi strambi personaggi. La vicenda principale viene però intermezzata da alcuni inserti del romanzo fantasy scritto dal protagonista, un’idea sulla carta promettente ma che nella realizzazione risulta invece indigesta e inutile, visto che non aggiunge nulla alla storia principale ma sembra solo una perdita di tempo, rendendo il tutto parecchio confuso e pasticciato. Jared Hess mi sa che a questo giro ha un tantino esagerato e non c'ha preso quasi per nulla.
La visione di questo Gentlemen Broccos Broncos è allora consigliata moderatamente solo ai super appassionati di film nerd, però nessuno si aspetti un nuovo capolavoro del genere, perché Napoleon Dynamite e La rivincita dei nerds rimangono irraggiungibili. Qui incontriamo soltanto dei nerd talmente sfigati da non riuscire nemmeno ad essere i più sfigati tra gli sfigati.
Mi spiace e mi commuove quasi bocciare un film così nerdoso, però per me è un no.
(voto 5-/10)

giovedì 15 marzo 2012

L’arte di chiavarsela

Hip hipster hurrah!
Hip hipster hurrah!
Chi o cosa è un hipster?
Spesso, le immagini possono valere più di mille parole…




Comunque, se proprio necessitate di una spiegazione a parole, Wikipedia può correre in vostro aiuto:
“Hipster è un termine nato negli anni quaranta negli Stati Uniti per descrivere gli appassionati di jazz e in particolare di bebop. Si trattava in genere di ragazzi bianchi della classe media, che emulavano lo stile di vita dei jazzisti afroamericani. […] Norman Mailer descrisse gli hipster come esistenzialisti americani, che vivevano la loro vita circondati dalla morte - annientati dalla guerra atomica o strangolati dal conformismo sociale - e che decidevano di «divorziare dalla società, vivere senza radici e intraprendere un misterioso viaggio negli eversivi imperativi dell'io»
L'autore Frank Tirro, nel suo libro Jazz: a History (1977), definisce in questo modo gli hipster degli anni quaranta:
«Per l'hipster, Charlie Parker era il modello di riferimento. L'hipster è un uomo sotterraneo, è durante la seconda guerra mondiale ciò che il dadaismo è stato per la prima. È amorale, anarchico, gentile e civilizzato al punto da essere decadente. Si trova sempre dieci passi avanti rispetto agli altri grazie alla sua coscienza. Conosce l'ipocrisia della burocrazia e l'odio implicito nelle religioni, quindi che valori gli restano a parte attraversare l'esistenza evitando il dolore, controllando le emozioni e mostrandosi cool? Egli cerca qualcosa che trascenda tutte queste sciocchezze e la trova nel jazz.»”

Oggi la parola “hipster” ha però assunto dei connotati differenti, come sempre Wikipedia docet:
“Il termine è stato riattualizzato negli anni novanta e duemila e ora designa giovani sulla ventina, di classe medio-alta, istruiti e abitanti dei grandi centri urbani, che si interessano alla cultura alternativa - “non mainstream” - come l'indie rock, l'elettronica, i film d'autore e le tendenze culturali emergenti. Si professano ottimi conoscitori della lingua inglese e amano appropriarsi dei codici delle generazioni precedenti, ammantandosi di un caratteristico stile rétro. Si servono in negozi di abiti usati (infatti rigettano l'attitudine “ignorante e incolta” del consumatore medio), mangiano preferibilmente cibo biologico, meglio se coltivato localmente, sono vegetariani o vegani, preferiscono bere birra locale (o prodotta in proprio) e amano girare in bicicletta. Spesso lavorano nel mondo dell'arte, della musica e della moda, e rifiutano i canoni estetici della cultura statunitense e anche la sessualità predefinita. Non vogliono essere catalogati e eludono l'attualità. Le uniche religioni che tutti gli hipster riconoscono come tali sono i pantaloni attillati e i Wayfarer.
Il termine è utilizzato in maniera contradditoria, rendendo difficile l'identificazione di una cultura precisa, perché essa è un mix di stili ed è in costante mutazione. La peculiarità degli hipster, infatti, è la volontà di essere “inclassificabili”. Professano come loro valori il pensiero indipendente, la controcultura, la politica progressista, la creatività, l'intelligenza e l'ironia, ma si tratta più che altro di una posa piuttosto che di una reale attitudine.”

E ancora:
“Gli hipster sono quelli che sogghignano quando dici che ti piacciono i Coldplay. Sono quelli che indossano t-shirt con citazioni tratte da film di cui non hai mai sentito parlare e sono gli unici negli Stati Uniti a pensare ancora che la Pabst Blue Ribbon sia un'ottima birra. Indossano cappelli da cowboy o baschi e tutto in loro è attentamente costruito per darti l'idea che non lo sia.” (dal Time del luglio 2009)

FINE del copia/incolla da Wikipedia, promesso!

Detto - o meglio riportato - tutto questo, io sto ancora cercando di capire se posso rientrare nella categoria hipster o no. Per alcuni aspetti sì, per altri meno. Ma in quanto genere inclassificabile, quasi chiunque alla fine della fiera può essere considerato un hipster.
Sì, anche tu che odi la parola hipster.
E sì, pure tu che non pensavi saresti stato mai considerato un hipster. Proprio tu potresti essere ancora più hipster di chi si crede hipster. Perché cosa c’è di più hipster del non considerarsi hipster?
Ho creato tutta quest’introduzione lunghissima che fa molto hipster per parlare di un film di cui in realtà non ci sarebbe poi molto da dire, se non che è un filmetto hipster con un protagonista molto hipster.


Scazzo, raga?
L’arte di cavarsela
(USA 2010)
Titolo originale: The Art of Getting By
Regia: Gavin Wiesen
Cast: Freddie Highmore, Emma Roberts, Michael Angarano, Elizabeth Reaser, Alicia Silverstone, Sam Robards, Blair Underwood, Rita Wilson
Genere: hipster
Se ti piace guarda anche: Fa’ la cosa sbagliata, Igby Goes Down, Roger Dodger, L’amore che resta, The Good Girl, Tadpole

Vi siete mai chiesti perché da Il giovane Holden non è mai stato tratto un film?
Io sì. Roba da pensarci intere giornate o giù di lì.
Per prima cosa è uno di quei romanzi talmente letterari che portati sullo schermo non renderebbero allo stesso modo. Una cosa che però veniva detta ad esempio anche di American Psycho o del Signore degli anelli, ma alla fine le loro trasposizioni cinematografiche si sono rivelata piuttosto riuscite. Se il Signore degli anelli ha fatto il pieno di incassi, Oscar e consensi, nel caso di American Psycho la pur valida Mary Harron non ha reso tutta la stessa inquietante ambiguità e forza delle parole di B.E. Ellis, ma il suo tentativo non è stato comunque affatto disprezzabile.
Insomma, l’antifilmabilità di un romanzo non ha mai fermato nessuno dal realizzare un adattamento filmico.
Se il più grande romanzo americano del ‘900 non è diventato una pellicola, è allora probabilmente dovuto all’ostracismo di J.D. Salinger nei confronti del cinema, come si evince con facilità fin dalla primissima pagina dello stesso Giovane Holden: “Se c’è una cosa che odio sono i film. Non me li nominate nemmeno.”
"Ma secondo te Cannibal è hipster oppure no?"
In seguito alla morte del grande autore, sembra però essersi aperta la caccia ai diritti da parte delle varie multinazionali cinematografiche. Il Romanzo per eccellenza diventerà presto un film?

Per quanto non esista (finora) un adattamento ufficiale, Il giovane Holden ha vissuto sul grande schermo attraverso una moltitudine di personaggi a lui più o meno ispirati. Tra gli altri posso citare Igy Goes Down, Un giorno questo dolore ti sarà utile, Tadpole, Jake Gyllenhaal in The Good Girl, Chapter 27 (con l’assassino di John Lennon ossessionato oltre che dal Beatle pure dal romanzo di Salinger), se vogliamo anche una buona fetta del cinema di Wes Anderson, più Roger Dodger e Il calamaro e la balena, entrambi con Jesse Eisenberg. Se si facesse davvero una pellicola sul giovane Holden, il candidato numero uno per la parte per me sarebbe lui: Jesse Eisenberg.

"E' tutto il giorno che ci penso e ho concluso: Cannibal è più pirlster che hipster!"
A queste pellicole più o meno salingeriane, si aggiunge ora questo L’arte di cavarsela. Il protagonista è un tipo molto hipster, in più o meno tutti i vari sensi che nell’intro al post abbiamo visto. George è infatti un teenager apatico a cui non frega niente di seguire i dettami della società, di andare bene a scuola per poter entrare in un buon college, ottenere un lavoro ben pagato e condurre una decente quanto ordinaria vita borghese. George vorrebbe di più, ma non sa nemmeno lui cosa. Ok, ho descritto un teenager tipico, più che uno atipico. In più lui sembra vagamente interessato al mondo dell’arte per via della sua passione per la pittura e per via di un suo nuovo (unico?) amico. Anche se la cosa che (giustamente) sembra attirare di più la sua attenzione è una ragazza, Emma Roberts, figlia di Eric Roberts nonché nipotina di Julia Roberts, che si è già segnalata in altri film ad alto potenziale hipster come 5 giorni fuori e l’horror hipster Scream 4.
Tra loro inizia un rapporto di amicizia barra amore barra un misto tra le due cose e tutto il film è un po’ così: confuso su quale direzione prendere.

"Saremo noi vecchi, ma anche dopo questo "illuminante" post
non l'abbiamo mica capito cus'è  'sto hipster... Una malattia o un virus?"
Come il protagonista, il poco convincente Freddie Highmore (già bimbo piagnucolone di Neverland), rimane eternamente al bivio, incapace di scegliere. Sarebbe potuto essere un film più comico, se si fosse tentata la strada di una maggiore ironia. Sarebbe potuto essere un film più drammatico e toccante, se come in L’amore che resta si fosse giocata la carta della malattia terminale di qualcuno dei personaggi. Sarebbe potuto essere un film più estremo, se ci si fosse diretti sulla via del sesso droga e rock’n’roll. Invece di sesso ce n’è pochino, di droga giusto un accenno e di rock’n’roll manco a parlarne. Appena una manciata di pezzi indie.
Sprecata poi la presenza in un minuscolo ruolo di Alicia Silverstone, lei sì vera hipster ante litteram ai tempi dei video degli Aerosmith e del cult Ragazze a Beverly Hills, e presente in questo film con look nerd e occhialini molto... yes, hipster!
L’arte di cavarsela finisce per rimanere nel limbo di quelle pellicole troppo deboli per risultare cult e allo stesso tempo troppo deboli pure per dare fastidio, e risulta più che altro un’occasione persa per realizzare il film manifesto hipster degli Anni Zero.
Il giovane Holden l’avrebbe odiato. Così come tutti i film. Non nominateglieli nemmeno.
(voto 6-/10)

domenica 23 ottobre 2011

Redstate sta finendo

Red State
(USA 2011)
Regia: Kevin Smith
Cast: Michael Angarano, Kyle Gallner, Nicholas Braun, John Goodman, Michael Parks, Melissa Leo, Kerry Bishé, Alexa Nikolas, Kaylee DeFer, Anna Gunn, Stephen Root, Kevin Alejandro, Kevin Pollack, Patrick Fischler
Genere: fritto misto
Se ti piace guarda anche: La casa dei 1000 corpi, Machete, South Park, Breaking Bad

Mi sono chiesto come mai non fossi un fan di Kevin Smith un sacco di volte. Okay, forse non un sacco di volte, ma solo una volta: questa volta. Comunque la cosa è piuttosto strana, visto che sembrerebbe avere tutte le carte in regola per piacermi: è un regista di culto uscito dalla scena indipendente, ha un umorismo politically scorrect che prende spesso di mira soprattutto la religione, i dialoghi dei suoi film sono infarciti di un sacco di riferimenti geek e in generale alla pop-culture. Eppure non mi ha mai convinto. Perché, perché?
Questo suo ultimo film, il cui pregio maggiore (e unico?) è proprio quello di NON sembrare un film di Kevin Smith, nonostante le differenze con il suo cinema precedente mi ha aiutato a capirlo. Forse.

Dall’esordio con Clerks ho sempre pensato che allo Smith fosse andata di culo. Con quel film ha infatti avuto un’idea davvero azzeccata: quella di girarlo in bianco e nero. Fosse uscito a colori, sono convinto sarebbe passato del tutto inosservato. Così invece con quel suo piglio finto amatoriale (ma nemmeno tanto finto) e con quel b/n finto intellettualoide assumeva i contorni del film finto artistico. Dopo quell’esordio fortunato (nel senso appunto che gli è andata di culo), Mr. Smith ha abbandonato la scena indipendente per darsi alle major.
Roba da gridargli: sei un venduto!
Peccato che tutti i suoi film pseudo commerciali si siano rivelati un flop dietro l’altro, nonostante la presenza di attori solitamente abituati a fare buone cose ai botteghini come i vari Matt Damon, Ben Affleck, Bruce Willis, Seth Rogen.
E così Smith si è buttato a fare una serie di commedie di medio livello, qualcuna guardabile, qualcuna quasi divertente, qualcuna pessima come Poliziotti fuori e quell’orrore di Jersey Girl, film che ha rischiato di stroncare la carriera di Ben Affleck, il quale però lì ha avuto l’illuminazione: se il mio amico Smith fa il regista, perché non posso farlo pure io? E lì Affleck ha trovato la sua vera strada, a differenza dell’amico Smith…

Dopo la lunga parentesi major, adesso Kevin Smith è finalmente tornato ora a fare un film indie. Cosa che, almeno da un punto di vista visivo, segna un punto a favore del regista, che però si ispira qui per stile in maniera un po’ troppo sospetta alla serie tv Breaking Bad, tra riprese a mano e lunghe scene lente che poi all’improvviso si accendono in lampi di violenza. Peccato non abbia nemmeno da lontano la stessa forza della serie, cui di certo Smith avrà dato un’occhiata molto attenta, considerando anche la presenza in una piccola parte di Anna Gunn, la protagonista femminile appunto di Breaking Bad.
Red State segna quindi una svolta totale, molto ambiziosa, per il cinema dello Smith. Pur tornando a riprendere in mano la spinosa tematica della parodia religiosa come in Dogma, questa è infatti la sua prima non-commedia, ma se si sa quale tipo di film non-sia, non si capisce invece bene che genere di film sia. La partenza è da teen horror puro, con tre liceali che in cerca di una scopata assicurata si affidano a Internet, alla versione porno di Facebook, dove beccano una MILF promettente. Arrivati alla roulotte della tipa, si trovano davanti una Melissa Leo che non è tutta ‘sta bomba sexy però si accontentano, peccato che la storia finirà per loro molto male…
Il film qui svolta, con una lunga e verbosa scena dedicata al sermone di un tizio di una setta che annoia come un qualunque altro sermone di una qualunque altra parrocchia. La parodia delle sette religiose è ammirevole, ma finisce per essere troppo esagerata e assurda per andare a colpire veramente il bersaglio e per attaccare realmente il bigottismo americano. Inoltre la tematica ricorda molto quella della seconda stagione di True Blood (la presenza di Kevin Alejandro, il boyfriend di Lafayette, conferma che Smith è probabilmente pure un True Blood-addicted), con la differenza che se lì la setta se la prendeva con i vampiri, qui il bersaglio sono gli omosessuali. E, non so bene perché, mi è venuta in mente anche una delle primissime puntate dei Griffin dedicata all’uomo in bianco, il capo di una setta altrettano fuori di testa.


Dopo abbiamo un’altra svolta nel film: entra in scena John Goodman, che porta con sé un tocco un po’ Coeniano, alla Fargo in questo caso, e un po’ alla Damages, serie da lui interpretata di recente. Quindi è la (s)volta di dare una spruzzata di splatter al tutto, visto che le intenzioni iniziali erano pur sempre quelle di fare un horror, e quindi ci mette dentro un bel massacro in stile film di Rob Zombie.
Il problema è che la pellicola è girata tutta con un tono profondamente ironico, eppure non si ride quasi mai. Ma pur non divertendo, questo tocco grottesco è comunque ben presente e impedisce di avere una visione davvero tesa o angosciante. Il risultato finale assomiglia così a una puntata di South Park (omaggiato ad esempio nella scena in cui lo sceriffo idiota uccide uno dei ragazzi in ostaggio), peccato non faccia (quasi) mai ridere e non possieda nemmeno lontanamente lo stesso livello di genialità.

Ci troviamo insomma di fronte a un gran calderone molto confuso in cui Kevin Smith sbatte dentro tutti i suoi pensieri sull’America contemporanea, fondendoci dentro anche le sue visioni, cinematografiche e soprattutto televisive, ma quello che ne esce è un fritto misto in cui c’è di tutto e di più, tranne una vera personalità. E se vanno apprezzate le buone intenzioni di criticare aspramente gli IuEsEi of America, allo stesso tempo Smith non ci dice fondamentalmente niente di nuovo.
La White America conservatrice è bigotta? Non sopporta i gay? Ama le armi e la violenza? Dopo l’11 settembre si sente in diritto di fare di tutto con la scusa della guerra al terrorismo?
Nooo, ma cosa mi dici mai, Kevin? Se non c'eri tu, non lo sapevamo proprio!
L’unico momento davvero riuscito è allora l’ultimissima scena, che mi ha strappato la prima (e unica) fragorosa risata della visione.
Red State si rivelerà allora un primo passo verso una nuova fase nella carriera del regista oppure, come lui stesso ha dichiarato, farà ancora un film (o forse un doppio film) sull’hockey e poi si ritirerà? Di certo non perderò il sonno la notte in attesa di una risposta, come forse invece faranno i fan dell’autore, una cerchia di seguaci, agguerriti e fedeli (quasi) quanto quelli della setta religiosa qui presa di mira.

Se la critica di Kevin Smith si perde dentro la sua stessa confusione mentale, a salvare (parzialmente) il film è un valido cast in cui spiccano un’inquieta e inquietante Melissa Leo, la bionda rivelazione Kerry Bishé, i due teen Michael Angarano e Kyle Gallner, un John Goodman ultimamente in gran spolvero e soprattutto un ottimo Michael Parks, attore ritirato fuori dal cassetto dal solito Tarantino in Kill Bill Vol. 2…
Ma hey, ecco qui la folgorazione! Ho capito perché non sono un fan di Kevin Smith. Quella del “copiare” è un’arte molto complicata e per maneggiarla bisogna fare molta attenzione: un’arte in cui Quentin con tutte le sue citazioni e omaggi è un Maestro assoluto, perché riesce a fonderle all’interno di un prodotto del tutto nuovo e personale; al limite opposto troviamo invece Zucchero, uno che più che citare saccheggia a man bassa e ultimamente tra l’altro lo fa dai Coldplay (gruppo che già nel “prendere in prestito” le idee da altri ci va giù pesante). Kevin Smith, purtroppo per lui, non riesce a raggiungere i livelli di Quentin. Neanche lontanamente, in questo che è un po’ il suo film Grindhouse non richiesto, visto che Tarantino e Rodriguez non l’hanno invitato a giocare insieme a loro. Per fortuna però non sprofonda nemmeno nella “zuccherata” totale. Almeno di questo rendiamogli atto.
E alla fine fa quasi tenerezza, lo Smith, perché con questo film ricorda un po’ il Kluivert quando era arrivato al Milan: gioca in attacco, ci prova, peccato non c’entri mai nemmeno una volta, manco per sbaglio, lo specchio della porta.
(voto 5/10)

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