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venerdì 31 gennaio 2014

NEL BLU DIPINTO DI BLUE JASMINE




"Una recensione di Blue Jasmine? Oh, ma che bello!"
Blue Jasmine
(USA 2013)
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Cast: Cate Blanchett, Alec Baldwin, Sally Hawkins, Bobby Cannavale, Michael Stuhlbarg, Louis C.K., Alden Ehrenreich, Peter Sarsgaard
Genere: alleniano
Se ti piace guarda anche: qualunque altro film di Woody Allen a parte To Rome With Love che quello te lo puoi anche risparmiare

Continuo a non capire. Woody Allen mi piace o meno?
Ci sono alcuni suoi film che ho apprezzato parecchio (Midnight in Paris e Io & Annie su tutti), altri che invece considero sopravvalutati (Match Point e Manhattan, per esempio), mentre altri sono proprio delle porcatone (Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni e l’atroce To Rome with Love), e ancora ve ne sono alcuni che mi sembrano piuttosto buoni ma non eccezionali (come Sogni e delitti, Vicky Cristina Barcellona, Scoop e Basta che funzioni). E ce ne sono un sacco che non ho visto perché questo gira un film all’anno e per recuperarli tutti bisognerebbe prendersi un anno sabbatico soltanto per recuperarli.
Di Woody adoro il suo tipo di umorismo, cinico, bastardo e vagamente, ma neanche troppo vagamente, intellettualoide. Mi piace la sua attitudine snob. Ai Golden Globe Awards che si sono tenuti una manciata di settimane fa ad esempio gli hanno fatto l’onore di consegnargli il premio alla carriera e lui non s’è manco scomodato di andare a ritirarlo, tanto per dire quanto è snob. Di Woody adoro inoltre l’influenza che ha avuto sulle nuove generazioni, su serie come Girls o Louie.

"Non è iniziata benissimo. Meglio berci su."
Il mio problema con Woody Allen… qual è il mio problema con Woody Allen?
Il principale è proprio quello che gira un sacco di film. Uno all’anno è troppo, considerando il tempo e la cura necessari che si devono riporre sia nella fase di scrittura che nella pre-produzione che poi nel girare. Ormai Woody ha sviluppato un suo modello di lavorazione che gli consente di sfornare una pellicola dopo l’altra come se fosse in catena di montaggio e il problema è proprio questo. Spesso si ha la sensazione di un compitino annuale svolto con diligenza, senza però il fuoco dentro. Senza che ci sia una reale urgenza creativa. La voglia di dire e di fare, nonché l’anarchia di una pellicola come Io & Annie, sono ormai un ricordo lontano, persino nelle sue pellicole recenti più riuscite. C’è sempre l’impressione di una costruzione eccessiva, finta e ormai affiora una certa ripetitività. I personaggi di Woody continuano a essere una variante di Woody, pure in questo ultimo Blue Jasmine. Non inganni l’aspetto di Cate Blanchett, decisamente poco somigliante all’occhialuto regista newyorkese. Jasmine non è altro che un altro, l’ennesimo alter-ego di Allen. Come sarebbe Woody se fosse una bionda ricca che improvvisamente si trova con le pezze al culo?
Sarebbe così, sa-sa-sa-sarebbe Ja-ja-ja-jasmine.
"Beh dai, non sta andando nemmeno troppo male."

Con Blue Jasmine, Woody conferma comunque la sua abilità di scrittura perché questo, checché possa sembrare, è un altro esercizio di scrittura del regista e sceneggiatore precursore degli hipster. I dialoghi sono anche questa volta ottimi, i personaggi sono ben costruiti, qualche battutina azzeccata emerge qua e là, anche se l’umorismo è diventato più acido e feroce del solito.
La cosa migliore di Blue Jasmine è questa. Ci propone un Woody Allen incazzato. Non si sa bene in particolare con chi o con cosa. Forse con tutti. Ce n’è sia per la upper class che per i proletari.


"Io come Meryl Streep? Ma che scrive, quel Cannibal Kid?"
Eppure il film non morde del tutto. Così come l’interpretazione di Cate Blanchett. Brava, bravissima Cate Blanchett, ma la sua è una di quelle performance che sembrano più una strizzatina d’occhio all’Academy e alle varie giurie di premi piuttosto che un far vivere per davvero il suo personaggio. Uno di quegli esercizi di recitazione, una di quelle interpretazioni impeccabili alla Meryl Streep. La blue Jasmine della Blanchett è un personaggio notevole, ma resta per tutto il tempo un personaggio di fiction, non si trasforma mai in una persona vera. Anche le scene di maggior follia, recitate con una notevole intensità, non sfociano mai in un lasciarsi andare completo, liberatorio, come la straordinaria Natalie Portman de Il cigno nero, tanto per fare un esempio non a caso, o come il sorprendente Leonardo DiCaprio di The Wolf of Wall Street. Quindi brava, bravissima Cate Blanchett, ma l’Oscar io non glielo darei. Tanto l’Academy glielo consegnerà di sicuro, quindi a cosa conta la mia opinione?

"Beh, almeno noi non ci possiamo certo lamentare..."
Ho amato invece Sally Hawkins. Sally Hawkins sì che è un fenomeno. Come già capitato con la idola Poppy di Happy Go Lucky, Sally Hawkins è una di quelle attrici che riescono a trasformare un personaggio in una persona, una persona a tutto tondo, nonostante la costruzione molto fiction del cinema di Allen. La Hawkins l’ho adorata, così come anche Louis C.K., il grandissimo comico della sopra citata serie Louie. Uno che ha un tipo di umorismo parecchio alla Woody Allen, uno per giunta di New York City, uno quindi che non poteva mancare di comparire prima o poi in un suo film. In attesa che Woody gli regali una pellicola da protagonista assoluto, qui Louie, per quanto in un ruolo piccolo, ci regala i momenti più divertenti della visione. Applausi pure per gli altri attori del cast, soprattutto il tamarro Bobby Cannavale, il sempre più promettente Alden Ehrenreich che qui fa il figliastro della Cate Blanchett e il sempre sottoutilizzato e sottovalutato Peter Sarsgaard.

"Cannibal Kid, sono parecchio adirata con te!"
Menzione negativa invece per Michael Stuhlbarg e il suo macchiettistico personaggio del dentista maniaco.
Un’altra cosa che non mi convince mai del tutto nei film di Allen sono poi le musiche. Questo jazzettino che usa spesso e volentieri cosa mi rappresenta? È poco emozionante, poco trascinante e, più che come accompagnamento di una pellicola cinematografica, andrebbe bene come musica da ascensore. A spiccare qui è giusto una rilettura in chiave jazzata di “Blue Moon”, che pure è carina ma è incapace di creare un vero trasporto emotivo. Almeno per quanto mi riguarda. Tutto il film mi ha dato la stessa impressione. Guardabilissimo, scivola via che è un piacere, eppure la sensazione che manchi qualcosa non mi ha abbandonato dall’inizio alla fine. Per quanto questa volta sia incentrato su un personaggio femminile, per quanto sia un po’ meno comedy e più amarognolo del solito, alla fine è sempre il solito Woody. Non certo al suo peggio, in confronto al precedente To Rome with Love il livello è tornato per fortuna a essere molto ma molto più alto, però nemmeno al suo meglio. È un Woody medio, con tutti i pregi e i difetti del caso. Perché?
Ancora una volta torniamo lì. Al fatto che gira troppo. In questo Blue Jasmine c’è fondamentalmente solo un’idea narrativa: alternare il presente da miserabile poveretta in quel di San Francisco della protagonista al passato in cui era una benestante, molto benestante in quel di New York. Un espediente non certo nuovo e che dalla serie Lost in poi è diventato alquanto abusato e che comunque qui tutto sommato funziona. Basta che funzioni. Peccato sia anche l’unico spunto del film e te credo, quando uno ne gira uno all’anno, non è che può avere tutte le volte tremila idee.
Posso allora solo immaginare cosa tirerebbe fuori se girasse una pellicola ogni dieci anni. Ma so già che non lo scoprirò mai. Woody continuerà a sfornare il suo film annuale, io continuerò a guardare e apprezzare di più o di meno o a storcere il naso a secondo del caso, senza però mai rimanere travolto completamente dal suo cinema. Senza mai amarlo del tutto. E per questo motivo oggi mi sento un blue Cannibal.
(voto 6+/10)

giovedì 4 ottobre 2012

Mad Men in Black

Men in Black 3
(USA, Emirati Arabi Uniti 2012)
Regia: Barry Sonnenfeld
Cast: Will Smith, Tommy Lee Jones, Josh Brolin, Emma Thompson, Michael Stuhlbarg, Alice Eve, Jemaine Clement, Nicole Scherzinger, Mike Colter, Michael Cernus, Bill Hader, David Rasche
Genere: retro-futurista
Se ti piace guarda anche: Men in Black 1 e 2, Ritorno al futuro 1, 2 e 3, Paul

Nostalgia canaglia.
Quando si finisce per rimpiangere anche delle cose pessime come i Men in Black, è un brutto segno. Sto proprio invecchiando. Dicono sia un processo irreversibile. Dicono non si torni più indietro. Non c’è macchina del tempo che tenga.
A dire la verità, non è che rimpianga proprio i Men in Black. È solo che sono diventato più indulgente, con i Men in Black. E ciò non va bene.

Il primo episodio, risalente addirittura al lontano 1997, non mi era piaciuto. Mi era sembrata una ruffianata pseudo fantascientifica pseudo simpatica buona giusta per lanciare la carriera dello pseudo attore pseudo rapper Will Smith.
Will Smith mi è sempre stato un po’ qui.
Qui dove, sulle palle? No, non esageriamo. Solo sullo stomaco. Willy il principe di Bel-Air era una serie davvero spassosa, però a far ridere erano soprattutto i personaggi di contorno, come il mitico Carlton o la Paris Hilton ante litteram e black Hilary Banks, mentre lui faceva troppo il figo e se la tirava già allora un casino. Come attore non l’ho mai retto, ma, se possibile, come rapper è persino peggio. Le sue rime sono roba che fanno passare Vanilla Ice per uno Shakespeare gangsta e a livello musicale sono la versione ultra-commerciale del vero hip-hop.
Adesso però non mi sta nemmeno così tanto sullo stomaco, o sulle palle. C’è gente in giro che fa di molto peggio, da quei ca**o di cantantucoli brasileiri come Michel Telò e Gusttavo Lima a robe come il Pulcino Pio. Non so se a cantare questa nuova vecchia fattoria 2.0 sia davvero un pulcino o chissà chi, però al confronto Will Smith appare ancora come un fenomeno.
Nostalgia canaglia.
Ti fa apparire meno terribili cose del passato che invece terribili lo erano eccome.

Men in Black 2 era ancora peggio del primo. Davvero una porcheria. Si salvava giusto una scena, quella del cane che abbaiava sulle note di “Who Let the Dogs Out” dei Baha Men. E sentendo il Pulcino Pio, si finisce per rimpiangere pure quell’agghiacciante canzone.
Nostalgia canaglia portami via.

"Ma 'sta roba sulla spalla non potevate metterla addosso
a Willy Smith? Quello non vede l'ora di fare il buffone..."
Men in Black 3 è costruito tutto sull’effetto nostalgia. Di una fantascienza molto anni ’90, con richiami diretti ai primi due episodi della serie e in particolare al primo. E pure alla fantascienza anni ’80, con evidenti e più che graditi richiami a Ritorno al futuro. E anche agli anni ’60, considerando come gran parte di questo episodio proprio lì sia ambientato. In questo episodio, il principe di Bel-Air viaggia infatti nel tempo, e senza l’aiuto di Delorean o coniglioni vari, per salvare la vita a un giovane Agente K. O meglio, a un non-giovane 29enne Agente K, interpretato con una azzeccata quanto ironica scelta dal 44enne Josh Brolin. Grande attore, sebbene qui monolitico come richiesto dal personaggio.

Sarà che con me il tema dei viaggi nel tempo funziona sempre come calamita attira attenzione (unica eccezione: La casa sul lago del tempo, davvero pessimo) e sarà che l’ambientazione 60s ha pur’essa sempre il suo fascino, sebbene i 60s ricreati nella pellicola non siano nemmeno paragonabili a quelli di Mad Men, eppure alla fine questo capitolo mi è sembrato più godibile rispetto ai primi due. Non dico mi sia piaciuto, però piaciucchiato sì.
Ci sono varie trovate carine, come l’Andy Warhol alieno, e c’è persino un tentativo, per quanto vago, di scherzare sul razzismo vigente all’epoca contro le persone di colore. E all’inizio fa pure la sua apparizione Nicole cognome impronunciabile Scherzinger, la cantante pussy delle Pussycat Dolls. Ho specificato che lei è la cantante perché le altre mica sono cantanti, sono ballerine, e a definirle ballerine e non spogliarelliste sono ancora stato gentile, e a definirle spogliarelliste e non escort sono stato ancora più gentile, e a definirle escort e non zoccole sono stato ancora ma ancora più gentile e a definirle zoccole e non…
Basta! La smetto.

C’è poi anche Michael Stuhlbarg, quello di Boardwalk Empire e di A Serious Man, qui simile al Robin Williams epoca La leggenda del re pescatore ma comunque piuttosto in parte, mentre non mi ha convinto il cattivone interpretato dal di solito divertente ma qui no Jemaine Clement, metà del duo Flight of the Conchords. Come cattivone è davvero poco credibile, persino come cattivone di una commedia.
Quanto alla regia, beh, è sempre quella che è. D’altra parte Barry Sonnenfeld è il regista di Wild Wild West, quindi non è che si possa pretendere molto di più.

"Guardate qui, cari lettori, e dimenticate che Cannibal abbia parlato bene di me!"
Alla fine è sempre tutta una questione di aspettative. Il cavaliere oscuro - Il ritorno mi sembra sia stato apprezzato di più da chi non aveva amato un granché i primi due capitoli della saga batmannolaniana e che quindi, non arrivando con enormi e insostenibili attese, è rimasta soddisfatta dal giocattolone. Chi invece sperava di non dover rimpiangere l’insostituibile Joker fatto vivere da Heath Ledger, è rimasto deluso.
Io da un terzo Men in Black non avevo alcuna aspettativa, nemmeno la più bassa, e quindi alla fine mi sono ritrovato con mia grande sorpresa a enjoyarmi, seppure moderatamente, lo spettacolo. Avrei continuato a vivere benissimo pure senza, a dirla tutta, però già che l’ho visto non mi è manco dispiaciuto.
Merito di Josh Brolin che come Tommy Lee Jones (non)giovane è più credibile di Tommy Lee Jones da vecchio e merito pure di Willy Smith che mi ha persino fatto ridere. Più di una volta. Non l’ho mai trovato divertente prima e ora sì? Proprio ora che è passato clamorosamente di moda? Sto davvero invecchiando.
Nostalgia canaglia.
(voto 6+/10)

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