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sabato 21 febbraio 2015

THE BEST OF ME TIRA FUORI IL PEGGIO DI ME





The Best of Me - Il meglio di me
(USA 2014)
Titolo originale: The Best of Me
Regia: Michael Hoffman
Sceneggiatura: J. Mills Goodloe, Will Fetters
Tratto dal romanzo: Il meglio di me di Nicholas Sparks
Cast: James Marsden, Michelle Monaghan, Luke Bracey, Liana Liberato, Gerald McRaney, Sean Bridgers, Caroline Goodall, Sebastian Arcelus
Genere: sparkstico
Se ti piace guarda anche: tutti gli altri film tratti dai romanzi di Nicholas Sparks

Paese che vai, usanze che trovi. Un antico detto popolare che oggi vale applicato anche ai luoghi virtuali di Internet, come questo blog. Ogni posto ha le sue tradizioni e pure qui a Pensieri Cannibali abbiamo le nostre. Ogni paese ha la sua sagra, Pensieri Cannibali ha la sagra del Nicholas Sparks, in cui il celebre scrittore americano viene cotto a puntino.
Non passa anno in cui non esca, puntuale come il Natale, un nuovo film di Woody Allen, un nuovo di Clint Eastwood e una nuova pellicola tratta da un romanzo di Nicholas Sparks, per chi non lo sapesse una specie di incrocio tra Alessandro Manzoni e Federico Moccia in salsa americana. Quindi sentimenti cristiani misti a un romanticismo disgustoso, svariati melodrammi, intrecci da soap-opera di quelli però più noiosi che goduriosamente trash, sviluppi da libretto Harmony, una serie di banalità assortite e frasi a effetto da baci Perugina. Il tutto accompagnato da un inquietante tocco di misticismo new-age, tanto per non farsi mancare niente.
Io di film tratti dai suoi romanzi ne ho visti parecchi, visto che mi voglio male, però non li ho visti tutti tutti, visto che non mi voglio così male. Nonostante me ne manchi qualcuno e nonostante non abbia mai letto i romanzi, ma solo visto gli adattamenti cinematografici, so esattamente come funzionano e quali ingredienti sono presenti ogni volta, al punto che potrei scriverne io un libro copia e vendere milioni e milioni di copie. Perché non lo faccio?
Invece di perdere tempo a scrivere una recensione di 'sto film di merda, potrei mettermi al lavoro sul "Nicholas Sparks fac-simile project". Ho già pronte alcune idee, tipo The Bababook, il sequel horror di The Notebook; Ho cercato il tuo nonno, la versione per la terza età di Ho cercato il tuo nome, e Vicino a te ho una fottuta paura, il prequel thriller di Vicino a te non ho paura.

giovedì 3 aprile 2014

LA FORMULA DELLA FELICITA’ = OLIVIA WILDE + TANTE PASTICCHE




La formula della felicità
(USA 2014)
Titolo originale: Better Living Through Chemistry
Regia: Geoff Moore, David Posamentier
Sceneggiatura: Geoff Moore, David Posamentier
Cast: Sam Rockwell, Olivia Wilde, Michelle Monaghan, Ken Howard, Norbert Leo Butz, Ben Schwartz, Peter Jacobson, Ray Liotta, Jane Fonda
Genere: impasticcato
Se ti piace guarda anche: American Beauty, Desperate Housewives, Breaking Bad

Esiste un destino, oppure è tutta una questione di semplici coincidenze?
È quanto mi sono chiesto pochi giorni fa. Era una vita che non ascoltavo Fatboy Slim e all’improvviso m’è venuta voglia di ascoltare Fatboy Slim. Non so bene perché. Sarà che la sua “Right Here Right Now” viene continuamente sparata come colonna sonora dello spot di un’auto. Il potere della pubblicità non è che abbia centrato in pieno il suo obiettivo. Non ho infatti avuto l’impulso all’acquisto immediato di una Nissan Qashqai, anche perché io odio i SUV, quanto all’ascolto immediato di Fatboy. E così mi sono andato a ripescare tutta la sua discografia, a partire dal suo album di debutto “Better Living Through Chemistry”.
Lo stesso identico giorno è uscito, non nei cinema bensì sul sito più o meno legale CineBlog01, una pellicola intitolata La formula della felicità. Embè, direte voi, e che c’entra questo?
Ve lo dico subito: il titolo originale del film è “Better Living Through Chemistry”, proprio come il disco di Fatboy Slim. Ho preso questo come un segnale dall’alto, un segno divino, e allora, dopo aver ascoltato l’album, mi sono guardato la pellicola. Tutto è connesso. “Le coincidenze non esistono,” ho pensato.
Il disco d’esordio di Fatboy Slim non mi ha entusiasmato molto. A quasi vent’anni dalla sua uscita, suona oggi un pochino datato e inoltre il buon dj e producer inglese con i suoi lavori successivi ha fatto di meglio. “Non importa,” ho pensato. Procedo lo stesso con la visione del film Better Living Through Chemistry o, com’è stato ribattezzato in Italia, La formula della felicità.

"Volevate vedere le tette di Olivia Wilde? E invece vi beccate le mie!"
Con l’album di Fatboy Slim il film non ha molto a che fare, se non che anch’esso appare alquanto superato. Sembra infatti una commedia di quelle che andavano una quindicina d’anni, quelle su un uomo in crisi di mezza età alla American Beauty. O anche di quelle un po’ in stile Desperate Housewives, con tanto di voce narrante fuori campo, che qui appare davvero fuori luogo e si sarebbe potuta tranquillamente evitare.
“Non importa nemmeno questo,” ho pensato, proseguendo nella visione. Deve comunque esistere un motivo per cui sono arrivato a guardare questo film. La visione ce l’ha messa tutta per dimostrarmi il contrario. La formula della felicità non è una schifezzona, questo no, è solo piuttosto anonimo e sa di già visto. La vicenda del farmacista disperato interpretato da Sam Rockwell succube della moglie Michelle Monaghan (consorte invece di Woody Harrelson in True Detective) e incapace di avere un rapporto con il disturbato figlio 12enne, uno che getta merda negli armadietti dei compagni di scuola, per quanto poco originale si lascia comunque seguire con grande facilità. A rendere il tutto più interessante è la prevedibile “svolta” esistenziale che, come in American Beauty, avviene grazie a una bionda. Non Mena Suvari coperta di petali di rose rosse, bensì Olivia Wilde in versione tossica dipendente da qualunque tipo di farmaco. Tra farmacista e drogata di farmaci non può che scattare la scintilla, nonostante entrambi siano (in)felicemente sposati, e a rendere la loro relazione ancora più eccitante ci pensano proprio i medicinali. Anche il farmacista (ex) disperato comincia così a consumare pasticche in ingenti quantità, si mette persino a farsele da solo improvvisandosi chimico un po’ in stile Breaking Bad, fino a che…

"Tossica a me?
Cannibal, ma come ti vengono in mente certe cose?"
Adesso non è che vi sto a raccontare tutto il film, anche perché ve lo dovete vedere pure voi, per scoprire se c’è una ragione profonda che vi ha portati a guardarlo. A parte il fatto che vi ho detto io di farlo. Alla fine personalmente un motivo io l’ho trovato. Mentre guardavo La formula della felicità avevo un terribile dolore perché un dannato dente del giudizio mi stava uscendo fuori. La soluzione al problema?
Impasticcarmi, proprio come fanno i protagonisti del film. Una soluzione cui potevo arrivare benissimo anche aprendo l’armadietto dei medicinali, ma mi piace credere che tutto accada per una ragione.
Fatboy Slim…
Better Living Through Chemistry…
La formula della felicità…
Una serie di eventi legati tra loro accaduti per portarmi via il dolore ai denti. O forse è stata solo una serie di semplici coincidenze?
(voto 5,5/10)

venerdì 14 marzo 2014

NON SERVE ESSERE TRUE DETECTIVE PER SAPERE QUAL È LA SERIE DEL MOMENTO




True Detective
(serie tv, stagione 1)
Rete americana: HBO
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Nic Pizzolatto
Regia: Cary Joji Fukunaga
Sceneggiature: Nic Pizzolatto
Cast: Matthew McConaughey, Woody Harrelson, Michelle Monaghan, Michael Potts, Tory Kittles, Alexandra Daddario, Lili Simmons, Kevin Dunn, Shea Whigham, Michael Harney, Brighton Sharbino, Erin Moriarty, Ann Dowd
Genere: alt-thriller
Se ti piace guarda anche: Twin Peaks, The Tree of Life, American Horror Story

Dopo aver visto True Detective, di notte non guardarete più il cielo stellato con gli stessi occhi. Questo per dire che sì, le serie tv possono cambiare la vita e sì, True Detective è una di queste.

Di cosa parla, questo tanto celebrato True Detective, serie trasmessa negli USA da HBO e in Italia da BOH, ancora non si sa?
Presentarla come serie crime non renderebbe giustizia per niente a ciò che è in realtà. True Detective non è tanto un’indagine su una sfilza di omicidi. Sì, ci sono anche quelli. La serie è costruita con la scusa di una storia thriller, uno delle più avvincenti e misteriose degli ultimi anni, ma non lasciatevi ingannare. True Detective è anche e soprattutto un’indagine sulla natura umana.
Al mondo ci sono due tipi di persona: quelli come Marty Hart (un fantastico Woody Harrelson) e quelli come Rust Cohle (un Matthew McConaughey over the top). Ci sono quelli che la vita semplicemente la vivono, e quelli che invece ci stanno a pensare sopra, a rifletterci, a farsi delle domande. Ci sono quelli che sanno godersi le cose e quelli che non riescono a separarsi dal loro eterno pessimismo cosmico. Al mondo ci sono due tipi di persona, ma tutti e due i tipi sono in qualche modo destinati all’infelicità. A cercare sempre qualcosa d’altro, qualcosa di diverso. Marty ad esempio ha una moglie e due figlie, eppure gli piace andare a scopare in giro. D’altra parte quando ti capitano tra le mani Alexandra Daddario…


e Lili Simmons, quella che già turba i sonni degli spettatori dell’altra grande serie del momento, Banshee…


…non puoi tirarti indietro. Marty/Woody Harrelson non ci pensa nemmeno a farlo, per quanto la sua mogliettina Michelle Monaghan non sia nemmeno lei niente male. In pratica True Detective è la serie più bella in circolazione con le tette più belle in circolazione. I due fatti credo siano in qualche modo strettamente connessi. E Woody Harrelson è il maledetto bastardo più fortunato in circolazione.

Ma lasciamo da parte le tette e torniamo ai nostri due protagonisti.
Nel mezzo del cammin della sua vita e degli anni ’90, il detective Marty si ritrova per una selva oscura, davvero oscura, e come compagno di viaggio per l’indagine della misteriosa e inquietante morte di tale Dora Lange si ritrova non uno come Virgilio, bensì uno come Rust. Uno che non è certo l’anima dei party.

“Sono un pessimista”
“Ok. Che significa?”
“Significa che faccio schifo alle feste.”
“Lascia che te lo dica… Non te la cavi un granché nemmeno fuori dalle feste.”


Dire di più su Rust Cohle non servirebbe. Bisogna vederlo. Rust Cohle è uno dei personaggi più fenomenali e memorabili di sempre, che si parli di tv, cinema o letteratura, Rust Cohle is the man.
Questo gioco di contrasti è il punto di forza dirompente della serie. Ok, un sacco di storie incentrate su due poliziotti differenti si basano su questo. Qui però non siamo dalle parti di un action alla Arma letale. Qui siamo, come detto, dentro un dramma esistenziale. I confronti tra Marty e Rust qualche risata la sanno anche regalare, però il loro è proprio uno scontro tra due modi del tutto opposti di vedere la vita. Cosa che non significa che non possano convivere. Anzi, i due true detectives sono talmente diversi l’uno dall'altro da essere perfetti insieme. Ebbene sì, questa è una vera e propria Bromance. In True Detective ci sono un sacco di tette, ci sono un sacco di tette di qualità elevatissima, eppure questa alla fine della fiera è la storia d’amore tra due uomini.
MARTY AMA RUST E RUST AMA MARTY, NA NANNA NANA, NANANA NANAAA
No, non è un amore omosessuale, bensì è il rapporto tra due persone che si completano a vicenda, senza scoparsi a vicenda.

Il contrasto tra due modi diversi di concepire la vita si può osservare anche nelle due figlie di Marty. Una è la ragazza popolare del liceo, la cheerleader, l’altra è quella alternativa, la ribelle. Marty si rivede più nella prima, mentre la seconda non la capisce. È come se si fosse trovato un Rust non solo come partner lavorativo, ma pure un Rust come figlia. L’indagine principale alla base della serie allora forse non è tanto quella sulla morte di Dora Lange e di tutti gli altri misteriosi casi a essa connessi. L’indagine è quella condotta da Marty, un uomo dalle mille contraddizioni, eppure fondamentalmente un uomo “normale”, un americano medio, il classico sbirro. La sua è un'indagine allo scoperta del “diverso”. Di quelli come sua figlia. Di quelli come Rust Cohle.
Possiamo considerare il carattere alquanto particolare di Rust come una conseguenza della perdita della sua figlia, ma in realtà probabilmente lui è sempre stato così. Uno che, anche quando è circondato dalle persone, si sente solo. Alone with everybody, come diceva il titolo di un album di Richard Ashcroft. Rust Cohle è sempre stato un disadattato. Uno estraneo al resto del mondo. Il mistero della serie non è tanto se i due riusciranno a pescare il pericoloso e misterioso serial killer che pare essersi lasciato una scia senza fine di morti in lungo e in largo per la Louisiana e dintorni, ma è: Marty riuscirà a capire Rust? Riuscirà a guardare il mondo, anche solo per un istante, attraverso i suoi occhi?

"Cioè, Woody c'ha pure le figlie fighe e la mia invece è morta?
In che mondo ingiusto viviamo?"
La domanda che vi starete facendo voi invece è: ma True Detective non era una serie crime?
No, ve l’ho detto. È qualcosa di differente. Tanto che alla risoluzione del caso, alle spiegazioni, viene dato uno spazio volutamente piccolo. Come dice Marty/Woody Harrelson, "Basta, non voglio saperne più niente."
True Detective è come un Twin Peaks, ma meno visionario. È come un The Tree of Life televisivo, per il libero fluire del tempo e per i rapporti famigliari, solo con molti più dialoghi, una trama thriller e nessun dinosauro. Presenta una forte componente spirituale, religiosa e filosofica, però è allo stesso tempo un prodotto terra terra. Per impostazione è come American Horror Story, visto che è una serie antologica in cui ogni stagione è una storia singola a sé stante, ma virato verso il thriller anziché l’horror.
True Detective è interpretato in maniera pazzesca, oltre ogni limite, soprattutto da Matthew McConaughey, qui alle prese con la sua prova più estrema, ancor più che in Killer Joe o in Dallas Buyers Club, ha un’ottima colonna sonora e una sigla splendida (“Far From Any Road” degli Handsome Family) ed è diretto da Cary Joji Fukunaga meglio di quasi qualunque film in circolazione, si veda il piano sequenza del finale della quarta puntata, che altroché il Cuarón di Gravity. È una storia tradizionale, la più antica storia del mondo, la battaglia tra luce e oscurità, ma è raccontata con una forza nuova (ogni riferimento a partiti politici NON è voluto), con uno stile talmente letterario e talmente cinematografico da trovare la sua collocazione ideale negli spazi dilatati di una serie televisiva.
True Detective è la luce più brillante che illumina il nero del piccolo schermo e, quando avrete finito di vederla, di notte non guarderete più il cielo stellato con gli stessi occhi.
(voto 9+/10)

lunedì 18 luglio 2011

The man who source the world

Source Code
(USA, Francia 2011)
Regia: Duncan Jones
Cast: Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan, Vera Farmiga, Jeffrey Wright, Michael Arden, Cas Anvar, Russell Peters
Genere: human sci-fi
Se ti piace guarda anche: Ricomincio da capo, Moon, L’esercito delle 12 scimmie, Matrix, Lola corre

Trama semiseria
Il soldato Donnie Darko è chiamato ancora una volta a salvare i destini del mondo. Ah, se non ci fosse lui… Questa volta la sua missione è trovare chi ha messo la bomba che ha fatto saltare un treno a Chicago, prima che l’Osama 2.0 della situazione faccia saltare per aria la città con un altro ordigno. Per qualche misterioso motivo che non vi spoilererò, potrà rivivere la scena del treno più e più volte. D’altra parte è pur sempre Donnie Darko!

Recensione cannibale
Il regista Duncan Jones, non contento di essere soltanto il figlio di un certo David Bowie, ha deciso di mettersi a fare il regista. Prima di fare pensieri impuri del tipo: “Anvedi sto fijo de papà e pure de mign…”, va detto che Jones non è il solito culattone raccomandato, ma ha dimostrato tutte le sue capacità esordendo con una delle pellicole di fantascienza più folgoranti degli ultimi anni, Moon. Ecco, avete capito? Prima di offendere le persone aggratis rifletteteci su. Vi sentite un po’ in colpa? Tranquilli, passerà.
Se Moon era un gioiellino che guardava a una fantascienza dal sapore 60s/70s, Source Code ha riferimenti più moderni, da L’esercito delle 12 scimmie fino a Matrix, ma soprattutto possiede un’umanità che quel pur pregevole esordio non prevedeva. Con questa sua seconda pellicola Duncan Jones è quindi atterrato sulla Terra.

Source Code è un treno che viaggia su due binari distinti. La prima parte del viaggio fila veloce, spedita verso una direzione thriller adrenalinica molto avvincente, roba che ti tiene incollato alla poltrona come fosse un Frecciarossa con su il motore di una Testarossa. Il meccanismo narrativo è incentrato su 8 minuti all’interno di un treno metropolitano che viaggia verso Chicago, con Jake Gyllenhaal che deve scoprire dove si trova una bomba e soprattutto chi l’ha piazzata su. Dopo 8 minuti la bomba esplode e Jake Gyllenhaal deve ricominciare tutto da capo, in una maniera analoga a quanto succedeva in Ricomincio da capo a Bill Murray, il meteorologo costretto a vivere sempre la stessa giornata. Solo che stavolta la situazione è un pochino più drammatica… Il secondo riferimento che viene in mente è invece quello al tedesco Lola corre, dove la protagonista aveva più “vite” da spendere come in un videogame. Solo che qui l’atmosfera è meno videoludica.
La storia come detto procede alla grande, però a un certo punto sorge il dubbio che il film possa rimanere intrappolato dentro un esercizio di narrazione avvincente ma fine a se stesso. Il dubbio per fortuna dura ben poco, visto che nella seconda parte il film lascia quel binario e deraglia fuori strada, prendendo una direzione del tutto personale, andando a scavare dentro il protagonista. È qui che il regista Duncan Jones abbandona il genere della fantascienza per realizzare un film umanista, il cui unico genere in cui è incasellabile sembra diventare quello del “bello”, con la parte finale del film che vola leggiadra verso la poesia pura.

In gran forma il cast, dal sempre grande Jake “save the world” Gyllenhaal a una Michelle Monaghan che ti fa effettivamente venire voglia di salvare il mondo, fino a un’eccellente Vera Farmiga, che qui sembra un versione aggiornata di Cate Blanchett.
Quanto al regista Duncan Jones, se continua così potrebbe diventare un po’ l’equivalente cinematografico del padre. O almeno è quanto gli auguro. Se Moon era il suo Space Oddity, questo è il suo The Man Who Sold the World. Bene, molto bene allora, ma ora cosa ci aspetta?
Naturalmente ch-ch-ch-ch-changes!
(voto 8/9)

lunedì 7 febbraio 2011

Party col folle

Parto col folle
(USA 2010)
Titolo originale: Due Date
Regia: Todd Phillips
Cast: Robert Downey Jr., Zach Galifianakis, Michelle Monaghan, Jamie Foxx, Juliette Lewis, RZA, Danny McBride, Charlie Sheen, Jon Cryer
Genere: road trip
Se ti piace guarda anche: Terapia d’urto, Road Trip, Una notte da leoni

Trama semiseria
Robert Downey Jr. si trova sull’East Coast per lavoro e sta per tornare dritto dritto a Los Angeles dalla mogliettina che di lì a poco partorirà. Peccato che sul volo beccherà un certo Zach Galifianakis che ovviamente gli farà perdere le staffe e lo farà cacciare dall’aereo. Invece di finire in Terapia d’urto come Adam Sandler con Jack Nicholson, Robert Jr. sarà costretto a un road trip in macchina con lo stesso tizio che l’ha fatto entrare in lista non-fly. E questo significa: canne assicurate! Perché avete mai visto Galifianakis in un ruolo in cui non si stona di brutto?

Recensione cannibale
Apertura dedicata al titolo italiano e per una volta non ho da parlarne male. Il titolo originale “Due Date” significa “scadenza”; mantenuto tale e quale da noi avrebbe assunto un significato però del tutto diverso e tradotto letteralmente avrebbe fatto pena. La decisione del doppiosenso di “Parto col folle” appare allora azzeccata e in linea con lo spirito della pellicola, persino più del poco entusiasmante originale, quindi per una volta un plauso ai nostri bistrattati titolisti. Ma che non si abituino troppo in fretta, ché Se mi lasci ti cancello è ancora difficile da cancellare dalla mia memoria.

Al di là di questo fatto davvero più unico che raro nel mondo della distribuzione cinematografica italiana, Parto col folle non si segnala per alcun altro elemento originale. La trama è infatti un sapiente miscuglio (scopiazzamento?) di Terapia d’urto con la coppia Sandler/Nicholson, più altri elementi dalle pellicole precedenti firmate da Todd Phillips. Il regista specializzato in comedy americane torna, dopo l’enorme successo di Una notte da leoni, sul luogo del delitto del suo esordio Road Trip, una pellicola ispirata da sue vere vicissitudini personali che Phillips evidentemente non ha ancora del tutto rimosso e che continua a tormentarlo nel sonno.

Il suo nuovo Parto col folle però pur seguendo quel modello non ne raggiunge gli stessi effetti comici, anche perché la sequela di gag e sketch sa di già visto in più occasioni. Gli splendidi paesaggi americani sarebbero poi potuti essere stati sfruttati meglio. A funzionare è però l’improbabile coppia formata dal sempre irresistibile Zach Galifianakis e dal divo Robert Downey Jr., un ottimo attore che però nella scelta dei suoi copioni negli ultimi tempi sta occhieggiando più al successo di pubblico che alla qualità: fino a che non fa la fine di Johnny Depp in The Tourist possiamo però ancora considerarlo salvo! Occhio, però. Sono quindi loro due la forza di un film che per il resto propone la solita galleria di personaggi strambi interpretati da una serie di cammeo illustri o quasi: c’è la rockstar Juliette Lewis in versione spacciatrice, il rapper RZA addetto alla security dell’aeroporto, un Jamie Foxx sempre più lontano dai tempi di Collateral e persino un momento Due uomini e mezzo con il bunga-bungattore americano Charlie Sheen.

Ci sono poi alcune gag in teoria politically scorrect, come Robert Downey Jr. che dà un cazzottone in pancia a un bambino e ha un duello con un tizio paraplegico, una scena di sega di gruppo padrone/cane, così come una visionaria sequenza da fattoni sulle note di “Hey You” dei Pink Floyd, però anche queste danno un forte senso di dejavu. Sarà che nell’ultima 15ina d’anni, diciamo dall’avvento di South Park in poi, tali espedienti sono stati usati un po’ da chiunque e quindi non sortiscono più tutta questa ilarità, né tantomeno scandalizzano.

Comunque il film si lascia guardare, a tratti fa sorridere, la coppia di protagonisti suscita simpatia e quindi è la classica sufficienza. Risicata, ma pur sempre un 6 in pagella che ti tiene lontano dagli esami di riparazione (ma, mi chiedo: esistono ancora gli esami di riparazione?) e ti consente di partire tranquillo per le vacanze. Magari insieme a un folle, che così è più divertente.
(voto 6)

Canzone cult: Band of Horses, “Is there a ghost”

sabato 4 settembre 2010

Baby when you're gone

Gone Baby Gone
(USA, 2007)
Regia: Ben Affleck
Cast: Casey Affleck, Michelle Monaghan, Ed Harris, Morgan Freeman, Titus Welliver, Amy Ryan, John Ashton
Links: imdb, mymovies

Cose che tutti sanno di Ben Affleck: è un attore così così, è un sex-symbol, è stato con Gwyneth Paltrow, è stato con Jennifer Lopez, è attualmente sposato con Jennifer Garner, ha fatto Armageddon, recita sempre a bocca aperta (come mi ha fatto giustamente notare Petrolio).
Cose che non tutti sanno di Ben Affleck: ha vinto un Oscar per la miglior sceneggiatura insieme all’amichetto Matt Damon, con cui ha scritto Will Hunting – Genio ribelle, ha vinto una coppa Volpi come miglior attore a Venezia per Hollywoodland, è uno dei bersagli prediletti degli autori di South Park (soprattutto quando stava con J. Lo), è un abituale collaboratore del regista nerd Kevin Smith, è un regista molto promettente.

Se il suo secondo film The Town è attualmente in concorso a Venezia (e vanta nel cast Jon Hamm, Blake Lively, Jeremy Renner oltre allo stesso Affleck), la sua prima prova dietro la macchina da presa Gone Baby Gone è tratta dal romanzo La casa buia di Dennis Lehane, lo stesso di Shutter Island e Mystic River. Ed è in particolare con quest’ultimo che il film ha molti punti di contatto, con una simile storia di una figlia scomparsa in un quartiere popolare degradato e criminale e con una simile voglia di risalire alla verità. Ben Affleck non è Clint Eastwood, questo è poco ma sicuro, però si aggira con sguardo sicuro per le strade di Boston, entra nelle vite dei personaggi, scava dubbi morali neanche da poco.
A indagare la scomparsa di una ragazzina figlia di una tossica ci pensa la coppia di detective amatoriali interpretata ottimamente da Casey Affleck (il fratello bravo a recitare) e Michelle Monaghan, con la loro relazione che risentirà delle conseguenze del caso seguito. Niente Mystic River però, stavolta tutto finirà in un mystic lake.
Ebbravo Affleck, anzi: ebbravi fratelli Affleck.
(voto 6,5)

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