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sabato 6 ottobre 2018

Ma quanto è puttano questo “Love” dei Thegiornalisti, che dura 39 minuti, ma che botta ci dà





Thegiornalisti “Love”


I Thegiornalisti sono gli 883 di questa generazione. Che poi è la mia, generazione. Tommaso Paradiso, il cantante e leader della band, è un 1983, quindi ha un anno in meno di me, ed è cresciuto con la mia stessa musica. Come dice la sua pagina Wikipedia, perché sì Tommaso Paradiso ha una pagina Wikipedia tutta sua e Wikipedia è la Bibbia della nostra generazione quindi ha sempre ragione, ha dichiarato di essersi approcciato alla musica all'età di 11 anni, nel 1994, dopo aver ascoltato “Definitely Maybe” degli Oasis. Io invece mi sono approcciato alla musica a 13 anni, nel 1995, dopo aver ascoltato “(What's the Story) Morning Glory?” degli Oasis. Vedete i punti di contatto?

martedì 20 febbraio 2018

Le canzoni di Marinelli





Fabrizio De Andrè – Principe libero
Regia: Luca Faccini
Cast: Luca Marinelli, Valentina Bellè, Elena Radonicich, Ennio Fantastichini, Davide Iacopini, Tommaso Ragno, Gianluca Gobbi, Matteo Martari


Bocca di Faber
Lo chiamavano bocca di Faber
o anche solo Luca, o anche solo Luca
Lo chiamavano Jeeg Robot
ma si confondevano, lui era lo Zingaro

Appena scese alla stazione
nel paesino vicino a Zena
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un genovese
ma parlava come Carletto Verdone, e come Er Pupone

domenica 6 settembre 2015

Apologia di Roma - Bangkok






A me i tormentoni estivi mica piacciono. Qualcuno sì, però più che altro quelli del passato tipo la geniale “Vamos a la playa” dei Righeira che quando era uscita ero troppo piccolo, avevo tipo 1 anno, perché mi potesse frantumare le palle. Anche perché non so manco se mi si erano ancora sviluppate.

martedì 2 dicembre 2014

MAN OF THE YEAR 2014 - N. 10 FEDEZ





Chi si aggiudicherà l'ambito (eddai, è solo un modo di dire) titolo di Man of the Year ovvero, se non speakkate l'inglese, l'uomo più importante e significativo dell'anno secondo Pensieri Cannibali?
A quei due o tre che vogliono scoprirlo dico di pazientare un po', perché la classifica è appena iniziata. Quest'anno non sarà una Top 20, bensì una Top 10. Prima di cominciare la scalata alla cima della decina 2014, vediamo chi ha conquistato il titolo nelle scorse annate:

2014 ???

E ora scopriamo chi c'è alla numero 10 della lista del 2014.


giovedì 16 ottobre 2014

COSÌ VICINI VICINI A CRISTINA DONÀ





Cristina Donà "Così vicini"
Cristina Donà l'ho sempre vista un po' come la nostra PJ Harvey. Lo so, è un paragone e come tutti i paragoni è limitativo e va preso per quello che è. Ciò non toglie che le ho sempre accomunate parecchio, non ci posso far niente. Sarà per via di quella loro vena da rockettare ribelli che le aveva contraddistinte negli anni '90. D'altra parte quello era il decennio della rabbia esistenziale e non poteva essere altrimenti. Seguendo l'ordine naturale delle cose, entrambe sono poi cresciute, dirigendosi verso un sound differente, più delicato, più riflessivo. Tutte e due hanno tirato fuori maggiormente la loro vena cantautorale, sempre senza rinunciare alla loro più che gradita anima indie. Nessuna delle due cantanti ha mai ceduto al lato pop/commerciale della musica. Non hanno ceduto alle forze del Male. Le chitarre elettriche hanno lasciato via via spazio ad arpeggi di acustiche e ad accompagnamenti pianistici, certo, ma entrambe non si sono mai vendute a produzioni radiofoniche o a qualcosa in cui non hanno creduto fino in fondo.


giovedì 18 settembre 2014

SILENZIO, QUI SI FA LA RIVOLUZIONE





Moro & the Silent Revolution
“Home Pastorals” (album)
“Seven Songs for Seven Musicals” (progetto audiovisivo)

Negli ultimi tempi c'è un genere che sta spopolando e nessuno sa bene il perché. Mi riferisco al folk. Un tipo di musica per tradizione lontano dalle logiche commerciali, che rifugge il vil denaro e il successo facile, come si può vedere anche nell'ultimo film dei Coen, A proposito di Davis. Adesso però viviamo in tempi strani e il folk ci viene tirato dietro ovunque. C'è la sua versione più mainstream e da stadio offerta dai Mumford & Sons, quella più adolescenziale di Ed Sheeran, quella più fantasiosa degli Of Monsters and Men, quella più pop dei Lumineers, persino la versione electro-danzereccia proposta da alcuni recenti brani del dj Avicii. Insomma, in questi giorni sembra che tutti facciano folk.

Tra le molteplici proposte, una delle più genuine che mi è capitato di sentire è quella degli italiani Moro & the Silent Revolution. Un gruppo che suona un folk-pop estremamente piacevole, ma mai ruffiano. Suona retrò, ma mai antico. Suona in qualche modo attuale, ma mai legato alle mode pseudo-folkeggianti del momento.
Il loro album Home Pastorals, pubblicato da Gamma Pop, propone una serie di brani semplici, giocati su melodie incantate per voce e chitarra che riescono a conquistare in maniera immediata. A colpire è la loro varietà sonora. Pur restando sempre all'interno dell'ambito folk, si passa da pezzi più allegri e spensierati, come “City Pastoral” e la contagiosa "Blamelessness", ad altri venati da una certa malinconia come “Sunkid” e “Golden”.

Non solo musica, comunque. I Moro & the Silent Revolution hanno realizzato un progetto audiovisivo molto affascinante intitolato Seven Songs for Seven Musicals. Di cosa si tratta? Alcune canzoni del loro disco fanno da colonna sonora a una serie di video in cui sono state montate scene tratte da vari film musicali americani girati tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta. Un'occasione perfetta dunque per sentire una manciata di pezzi folk come si deve e anche per dare una rispolverata a una serie di vecchie pellicole come All-American Co-ed, American Girl e Lights of Old Santa Fe, che faranno sorridere il pubblico di oggi abituato a effetti speciali e 3D e che invece faranno scendere una lacrimuccia nostalgica agli appassionati del cinema in b/n.





I Moro & the Silent Revolution si distinguono all'interno dell'affollato e inflazionato panorama folk odierno grazie a questo singolare progetto video e grazie alla loro musica, mai derivativa, sempre personale. Se proprio volete dei riferimenti sonori, comunque, ascoltandoli mi hanno riportato vagamente dalle parti di Fleet Foxes, Belle and Sebastian, The Coral, Turin Brakes e Kings of Convenience. Questi ultimi, citati anche dal critico musicale Eddy Cilia nella sua recensione, mi sono tornati in mente soprattutto perché il nome della band mi ha ricordato il titolo del loro album d'esordio, “Quiet Is the New Loud”. In maniera analoga i Moro & the Silent Revolution sono un gruppo che propone una rivoluzione silenziosa, ma che non merita affatto di passare sotto silenzio.
(voto 7/10)

Potete ascoltare e compare l'album “Home Pastorals” sulla pagina Bandcamp della band.

E, già che ci siete, passate a dare un ascolto pure all'EP “Homegrown”, colonna sonora del programma "Orto e mezzo", in onda su Laeffe (canale 50 del digitale terrestre), con cui la band dimostra di saperci fare, eccome, con le soundtracks.

martedì 10 giugno 2014

LE ARMI MUSICALI DEGLI ANIMARMA





Su Pensieri Cannibali è di nuovo tempo di lanciare band emergenti. E non intendo giù dalla finestra…
Ahahah, che battuta originale!
Dopo i punkettari Arevortik, è oggi il momento del pop-rock degli Animarma. Anche per loro apro con la stessa critica. Ma i ragazzi di oggi che razza di nomi danno alle loro band?
Sonic Youth, Sex Pistols, Dead Kennedys, Beastie Boys… questi sono nomi memorabili per un gruppo. Certo, ci sono poi band con nomi non eccezionali che hanno comunque fatto la storia della musica. Dico solo i Beatles. I coleotteri (e non scarafaggi come spesso si dice). Che nome è? Eppure…
Agli Animarma, nonostante il nome che si sono scelti non mi faccia impazzire, auguro quindi il loro stesso successo. Anche se credo che pure un successo un pochino inferiore a quello dei Beatles possa bastargli.
A livello musicale non siamo invece dalle parti dei Beatles, ma per quanto riguarda le fonti d’ispirazione della band restiamo sempre in terra inglese. Non credo sia solo una mia impressione, ma fin dal primo ascolto il punto di riferimento principale mi sembrano essere i Muse, soprattutto i Muse migliori, quelli dei primi album, e ciò è bene. Di contro, c’è da dire che in alcuni momenti il gruppo ricorda invece più Le Vibrazioni o i Negramaro, e ciò è meno bene.


Gli Animarma sono un gruppo bolognese giovanissimo, si sono formati nel 2011, hanno pubblicato il singolo “Big Bang” e ora un EP di 4 canzoni, tra cui "Quello che non sei" che potete ascoltare qui sotto. Sono quindi agli inizi e per loro i margini di miglioramento sono ancora ampi. Il consiglio che posso dar loro è quello di smarcarsi un pochino dal modello dei Muse per cercare un’identità sonora del tutto personale, e soprattutto di evitare le sbandate verso i territori non troppo esaltanti delle pop-rock band italiane sopra citate.
Il talento al gruppo non manca, tecnicamente suonano in maniera ottima, il cantante ha una gran voce e i ragazzi sanno come si scrivono canzoni efficaci e di buona presa. A questo punto devono solo trovare un suono maggiormente originale in occasione del loro album d’esordio vero e proprio, previsto in uscita nel corso del 2014 per la Fenix Records di Torino.
Quanto a voi gentili lettori, animo gente, armatevi di casse con un volume adeguato e date un ascolto a questi promettenti Animarma.

mercoledì 28 maggio 2014

NEL VORTICE DEGLI AREVORTIK




Arevortik “Danger”
Su Pensieri Cannibali oggi diamo spazio a una nuova e poco conosciuta band italiana. Poco conosciuta almeno fino ad ora, visto che dopo l’apparizione su questo blog le loro quotazioni schizzeranno alle stelle. Forse.


La band in questione di chiama Arevortik.
Ecco, io adesso non voglio essere subito cattivo, perché sono sicuro che avranno scelto con cura e dopo un’attenta riflessione come chiamarsi, però quello che mi chiedo io è: non è che potrebbero gentilmente trovarsi un altro nome? Sulla loro pagina Facebook c’è tutta una spiegazione dietro alla loro decisione (Arevortik è un termine che ha designato per molti anni addietro il popolo degli Armeni il cui significato è Figli del Sole poiché praticavano culti e inni in onore del Sole), ma il mio parere puramente personale è che, per quanto originale, non mi sembra un nome che funziona, che rimane impresso.

Una volta detto questo, passiamo alla cosa più importante, la musica. I pugliesi Arevortik suonano un punk-rock frizzante che a tratti prende direzioni più pop-punk. E qua la band potrebbe incazzarsi di nuovo con me perché, dopo aver massacrato il loro nome, li definisco pure pop-punk, che per qualcuno può anche essere un insulto, ma io lo intendo in un’accezione positiva. Più che dal punk duro e puro del 1977, siamo infatti dalle parti di certo pop-punk californiano anni ’90, soprattutto i Green Day dei primi tempi.

Il punto di riferimento principale degli Arevortik sembrano allora essere Billie Joe Armstrong e compagni, ma anche i Beatles. In mezzo ai pezzi originali molto punkeggianti del loro album d’esordio “Danger”, spicca infatti una intensa cover di “Across the Universe”, classico firmato da John Lennon e Paul McCartney coverizzato tra gli altri anche da Fiona Apple e Rufus Wainwright. Attraverso questa cover e attraverso la bella ballata conclusiva “It’s Time to Go” possiamo immaginare per il gruppo un futuro non strettamente legato a sonorità punk.
Sonorità punk che dominano la scaletta dell’album “Danger”, un concept album che ci racconta la storia del giovane Sam, e che sono più che piacevoli. Agli appassionati del genere, un ascolto lo consiglio. Tutti gli altri prendano comunque nota del loro nome, per quanto strambo, perché i ragazzi di Castellaneta sono ancora acerbi e hanno ampi margini di miglioramento, stiamo parlando pur sempre di un gruppo che si è formato nel 2012, ma in futuro potrebbero regalarci cose ancora più interessanti. Per adesso andiamo comunque a saltellare e a muovere la testa sulle note dei loro pezzi punkeggianti, oi!
(voto 6+/10)

Potete trovare “Danger” degli Arevortik su iTunes e Amazon, e ascoltarlo su Spotify.


sabato 24 maggio 2014

GUIDA GALATTICA AL RAP ITALIANO





La quarta puntata delle guide musicali galattiche fornite da Pensieri Cannibali, dopo Britpop, Grunge e Hip-Hop internazionale, si occupa di un genere molto, come dire? Odiato. Sì. Forse il rap italiano è il genere musicale più odiato d’Italia. La colpa? Fondamentalmente di una scena passata non sempre fenomenale e di una odierna ancora più discutibile, capitanata da nomi sputtanati come Moreno, Fedez ed Emis Killa. Soltanto perché loro fanno schifo, non significa però che sia tutta ‘nammerda.
Un altro motivo per cui il genere non è visto di buon occhio è il fatto che in Italia l’hip-hop tutto, e non solo quello nazionale, viene ancora considerato da molti come un tipo di musica di serie B. Perché questo?
Forse perché in Italia non c’è mai stata una forte comunità black, non come in altri paesi come Francia o Regno Unito, per non nominare gli USA. O forse perché da noi c’è ancora la concezione che solo il rock è musica di serie A, senza però considerare che i dischi rock davvero fondamentali usciti nel nuovo millennio si possono contare sulle dita di una mano. Monca.

Come sia o come non sia, la scena hip-hoppara italiana nel corso degli anni qualche cosa di interessante l’ha anche prodotta. Volendo provare a fare un brevissimo bignamino per babbani, possiamo dire che tra i primi a importare dagli Stati Uniti il rap c’è stato Jovanotti. Proprio lui. Per quanto sia sempre stato un po’ ai margini del movimento hip-hop e sbeffeggiato dagli intregralisti del genere, il Jova ha dato un contributo fondamentale per far conoscere la musica rap dalle nostre parti. La scena si è poi sviluppata negli anni ’90 grazie al successo di Articolo 31 e Sottotono, mentre nell’ underground si sono mosse le posse, oltre a varie realtà locali con il loro rap in dialetto, soprattutto in napoletano uè uè e in romanesco aò.
Dopo un periodo di stallo a livello commerciale, negli ultimi anni il genere è tornato sulla cresta dell’onda, grazie in particolare al fenomeno Fabri Fibra che, nel piccolo dello Stivale, ha rappresentato un po’ quello che Eminem è stato dall’altra sponda dell’Atlantico. Applausi per Fibra, dunque?
Da una parte sì, perché insieme ad altri rappers come Caparezza, Club Dogo, Mondo Marcio, Marracash etc. ha sdoganato definitivamente il genere nel mainstream, dall’altra parte no, perché ha (involontariamente) dato vita a tutta una serie di suoi cloni in tono minore, come i vari rapperoni citati in apertura di post.
Ma adesso basta polemiche e chiacchiere da bar e via alla musica, con i miei 10 pezzi di rap italiano preferiti di sempre. E, a fondo post, trovate anche la mia ormai tradizionale playlist Spotify.


Top 10 – Le canzoni di rap italiano preferite di Pensieri Cannibali

10. Piotta "Super cafone"



9. Club Dogo "Spaccotutto"



8. Sottotono "Tranquillo"



7. Fabri Fibra "Bugiardo"



6. Jovanotti "Non m'annoio"



5. Neffa e I messaggeri della dopa "Aspettando il sole"



4. Frankie HI-NRG MC feat. Riccardo Sinigallia "Quelli che benpensano"



3. Articolo 31 "Tranqi funky"



2. 99 Posse "Comuntwist"



1. Caparezza "Eroe (Storia di Luigi delle Bicocche)"




Ecco la playlist Spotify di Pensieri Cannibali dedicata al rap italiano

domenica 23 marzo 2014

UNA MOSCA NELLA PALUDE DELLA FOLLIA





Mosca nella palude “Ultrafuck”
Una mosca è volata fino alla mia palude, ma non sto parlando di insetti, né di qualcosa che ha che fare con un film di David Cronenberg, se non per la follia. Sto parlando di una band. E che band.
I Mosca nella palude sono un gruppo toscano composto da Giovanni Belcari, Luca Benedetti, Daniele Belcari, Giacomo Tongiani, Daniele Cecconi e Andrea Coco e hanno pubblicato da poco il loro valido album d’esordio “Ultrafuck”, che si segnala per un gran titolo e… basta.
Ah no, c’è anche la musica.

Il loro genere di appartenenza è il rock, però declinato in una maniera assolutamente personale e assolutamente pazza. La prima cosa che colpisce di questi ragazzi è proprio il loro essere fuori. Fuori, nel senso di fuori di testa, e lo dico come complimento. Lo so, non sono bravo a fare i complimenti, da questo punto di vista ho ancora ampi margini di miglioramento, però in questo caso va intesa come una cosa positiva, molto positiva. E sono fuori non solo di testa, ma anche dalla musica che va oggi per la maggiore. I Mosca nella palude non hanno infatti molto in comune con la scena indie attuale, né tanto meno con le molte lagne neo-folk che sono tanto cool, non si capisce bene perché, in questi tempi malati. Il loro è un rock che va a richiamare soprattutto sonorità popolari a cavallo tra fine anni ’80 e primi ’90. Cose come i Faith No More di Mike Patton, uno dei gruppi più fuori (anche qui lo intendo come complimento) nella storia della musica. Qua e là emergono inoltre inflessioni funk-rock alla Primus e alla Red Hot Chili Peppers, qualche influenza metal e nu-metal tra Korn e System of a Down e pure un pizzico di hip-hop alla Beastie Boys, il tutto riletto in chiave inedita e insana. La giovane band possiede ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto dovrebbe sviluppare meglio il suo lato melodico, anche se magari non è tra le sue principali priorità, però la sua proposta suona talmente fresca e devastante che si può anche chiudere un occhio su questo aspetto e aprire tutte e due le orecchie.
Detto in altre parole: “Ultrafuck” dei Mosca nella palude possiede un suono crossover ad alto grado di figosità, da suonare possibilmente a un volume da arresto.
Detto ancora in altre parole: io vi consiglio di ascoltarli. Se volete approfondire la loro conoscenza potete sentire qualche loro pezzo su ReverbNation, acquistare il loro album QUI, oppure seguirli sulla loro pagina Facebook, oltre a beccarvi il loro video per il pezzo "Beastie Toys" qui sotto.
Buon tuffo nella palude della follia!
(voto 6,5/10)

giovedì 13 marzo 2014

LE LUCI ALLA FINE DELLA CENTRALE ELETTRICA




Le luci della centrale elettrica “Costellazioni”
Meno male che è arrivato “Costellazioni”, il nuovo disco de Le luci della centrale elettrica, lo pseudonimo dietro cui si celano le parole sempre efficaci, insieme alla voce ormai inconfondibile, di Vasco Brondi. Il Vasco de ‘noantri, noi “diversi”, noi popolo indie.

Meno male che è arrivato così almeno l’Italia avrà altro di che (s)parlare all’infuori de La grande bellezza. Più che l’Italia, noi piccolo popolo indie dello Stivale, mentre il resto del paese continuerà a scannarsi tra grande bellezza sì e grande bellezza no o, peggio, tra Renzi sì e Renzi no.

Meno male che è arrivato perché il Vasco B, il Vasco per me davvero di serie A, è sempre un piacere risentirlo. Piaccia o meno, il suo stile così immediatamente riconoscibile è una delle poche cose originali e affascinanti capitate alla musica italiana negli ultimi anni. E poi altroché Vasco. Il Brondi è il nuovo Rino Gaetano, e diciamolo.

Meno male che è arrivato perché i dischi precedenti de Le luci li abbiamo consumati e mandati a memoria, ma ormai hanno fatto il loro tempo e avevamo bisogno di parole nuove, adatte a questi tempi di crisi sempre più in crisi. Vasco B risponde presente con una serie di testi ancora una volta spettacolari, fotografie perfette delle nostre vite, liriche rap cantate con stile da cantautore, poesie moderne che come le scrive lui, non c’è nessun altro in circolazione. Non dalle nostre parti. Non ai nostri tempi.

Meno male che è arrivato perché, insieme a dei nuovi notevolissimi testi, il Brondi è in continua crescita anche a livello musicale. Senti un suo pezzo e capisci subito che è lui, che sono loro, Le luci della centrale elettrica. Ciò nonostante, questa volta sono stati aggiunti ulteriori colori alla tavolozza sonora, capaci di andare oltre l'irreplicabile urgenza espressiva dell’esordio "Canzoni da spiaggia deturpata" e del già maggiormente variegato “Per ora noi la chiameremo felicità”. Dentro “Costellazioni” c’è un gusto più vicino al pop, come nel ritornello da tormentone indie del primo singolo “I destini generali”, con quel “pa pappa papapa” da stadio che riecheggia il “po poppo popopo” dei White Stripes featuring Tifosi italiani ai Mondiali 2006. C’è l’electro-funk sculettante “Ti vendi bene”, che nei locali più hipster quest’estate si potrebbe addirittura ballare, gridando “Dai tutti sul dancefloor con Le luci!”. C’è la quasi allegra e quasi hip-hoppara stile Beck di una volta “Questo scontro tranquillo”. C’è spazio per un assalto rock come “Firmamento”. C’è la sorprendente e toccante ballatona al piano “I Sonic Youth”, il pezzo con cui può sventolare gli accendini al vento senza vergogna chi è cresciuto con Sonic Youth e Smiths, anziché Venditti e Baglioni.

Meno male che è arrivato perché “Costellazioni” è un disco divertente. A suo modo. Nonostante i prevalenti toni solenni e le musiche tendenti a dir poco al melodrammatico, i testi riescono a regalare anche un sorriso ironico, come nella preghiera indie “Padre nostro dei satelliti”, per cui Vasco B meriterebbe di essere fatto Santo Subito.

Meno male che è arrivato “Costellazioni” perché è un disco in cui, aldilà del suo apparente pessimismo cosmico, Vasco Brondi fa intravedere delle luci alla fine del tunnel esistenziale in cui stiamo viaggiando.

Meno male è arrivato il nuovo disco de Le luci della centrale elettrica, perché è un bel disco. Un gran bel disco.
(voto 7,5/10)

martedì 4 febbraio 2014

CONTROSANREMO 2014: VIA AL VOTO!




Tra poco parte il Festival di Sanremo 2014 e qui su Pensieri Cannibali ci sarà modo di parlarne. Parlarne malissimo, naturalmente.
Nel frattempo è già iniziata la seconda edizione del ControSanremo organizzato dal sito L’OraBlù.
Il ControSanremo è composto da 4 categorie e da oggi fino a domenica potete votare le prime 2:
“Miglior voce femminile italiana” e
“Miglior dedica a una donna”.


Per scoprire gli artisti e le canzoni nominate, e soprattutto per votare, correte sul sito de L’OraBlù e scegliete i vostri preferiti nei sondaggi presenti sulla colonna destra.
Buon ControFestival a tutti!

martedì 19 novembre 2013

PINEAPPLEMAN, L’INDIE FOLK CHE ARRIVA DALL’ITALIA (MA CHE DAVERO?)



Ogni tanto mi arrivano le mail di band che mi contattano per farsi recensire. Cosa che mi lusinga sempre perché significa che c’è qualcuno a cui interessa la mia opinione. Really?
Molti di questi gruppi suonano però un mainstream rock italiano tra Ligabue e Vasco, tra Le Vibrazioni e i Negrita e non è che siano proprio il massimo, almeno per i miei gusti. Se quindi preferisco non parlare di loro sul mio blog non è per snobismo, ma è solo che non mi va di stroncare dei gruppi emergenti e sconosciuti. Mi sembra una crudeltà gratuita e inutile. Ben altro conto è invece massacrare quegli artisti già strapopolari che una bella stroncatura, quando fanno un disco da schifo, se la meritano tutta. Vero, Lady Gaga?

In mezzo a queste bande di rockone italiano non troppo entusiasmante, sempre a mio modesto e soggettivo parere, ogni tanto arriva qualche piacevole sorpresa. Una di queste sono i PineAppleMan, band di 6 elementi che si sono presentati come una band indie pop con venature folk, ma secondo me si sbagliano.
Oddio, non di molto. Secondo me sono infatti una band folk con venature indie pop. C’è differenza?
Sì, perché l’aspetto folk, acustico, intimo è la prima cosa che emerge, almeno ascoltando i tre brani che compongono il loro primo EP e che potete sentire sulla loro pagina Bandcamp. Per darvi un riferimento, a me ricordano i Fleet Foxes, gruppo di indie-folk statunitense che apprezzo particolarmente, e qualcosina dei Grizzly Bear, di Bon Iver e pure dei primi Arcade Fire, però fin dai primi istanti emergono con un sound loro. Un folk che getta uno sguardo Oltreoceano, ma lo fa con personalità e senza scimmiottare nessuno.
Vi invito quindi a dare un orecchio ai tre brani della IndieFolkBand PineAppleMan su Bandcamp, o almeno al primo, quello che preferisco, “Love in Japan”, un pezzo dalle atmosfere intense, che suona quasi come una preghiera e che vi prego di ascoltare qui sotto.



venerdì 25 ottobre 2013

IL POCO SORPRENDENTE ALBUM NUMERO 2 DE I CANI




I Cani “Glamour”
È uscito il nuovo disco de I Cani.
Che poi al giorno d’oggi dire che un disco è uscito è alquanto anacronistico e quasi quasi potrebbe essere un buon tema per una canzone dei Cani.
Che poi dire i Cani al plurale non è propriamente correttissimo, visto che più che una band vera e propria è il progetto individuale di tale Niccolò Contessa, romano de Roma.
Comunque, com’è questo nuovo disco dei Cani, anzi del Cane?
Dopo Il sorprendente album d’esordio de I Cani, a mancare qui è proprio l’effetto sorpresa, che rappresentava un buon 90%, facciamo anche un 99%, della forza di quel disco. Il poco sorprendente secondo album de I Cani suona pressappoco come il primo, soltanto un po’ più rock e un po’ più suonato, e un po’ meno hipster electro oh yeah. Suona anche più prodotto e meno indie.
I Cani allora si sono venduti? Sono diventati commerciali? Adesso passeranno anche su Radio Deejay One Nation One Station?
Non credo. I Cani hanno continuato a proseguire sulla stessa strada del lavoro precedente e qui sta anche il limite principale del nuovo disco. Scappato via di casa l’effetto sorpresa, restano delle canzoncine indie-rock oggi meno indie e più rock che in passato, bruttine a livello musicale e in cui la cosa più interessante sono sempre i testi. Come per Vasco Brondi e le sue Luci della centrale elettrica, anche Niccolò Contessa ha ormai definito uno “stile canino” (non intendo Alessandro Canino, non è caduto così in basso) immediatamente riconoscibile. Con la differenza non da poco che Le luci della centrale elettrica avevano tirato fuori un secondo album al livello del primo, o quasi.
Dopo l’ormai famigerata “Wes Anderson” e le numerose citazioni presenti sul disco numero 1, non mancano pure in questo secondo album de I Cani vari riferimenti, tutti più o meno hipster e radical-chic, da WhatsApp fino a Vera Nabokov, ché dedicare un pezzo al marito Vladimir sarebbe stato troppo scontato, dal Premio Tenco a Thurston Moore, passando per Pasolini e Jay-Z, Pasolini e Jay-Z, Pasolini e Jay-Z, ok, l'abbiamo capito: Pasolini e Jay-Z.
Più che un disco Glamour, un disco hipster. Il problema, oltre alla mancanza dell'effetto sorpresa e dell'affiorare di una certa maniera, cosa al secondo disco un pochino prematura, è che I Cani ormai sono troppo famosi e quindi è ora di sparare a zero su di loro. Già c’era chi gli sparava addosso ai tempi del sorprendente album d’esordio, figuriamoci adesso che hanno tirato fuori un dischetto mediocre. Oggi come oggi non c’è davvero niente di più hipster che dire: “A me I Cani stanno sui coglioni.”
Attenti a farlo. I Cani saranno anche famosi tra gli hipster e altri quattro cani gatti, o quattro poveri stronzi (per citare il pezzo "Non c'è niente di twee"), però, se andate per strada a dire una cosa del genere, rischiate che qualcuno i cani ve li sguinzagli contro…
(voto 5/10)


Potete ascoltarvi tutto il disco su Spotify che fa molto ma molto hipster.




venerdì 6 settembre 2013

MORENO VS. PD


BREAKING (BALLS) NEWS
Come riporta un noto quotidiano italiano:

Il rapper Moreno ripudia la Festa
"La mia musica non c'entra nulla col Pd"
 
"Fa un po' ridere che si dica che io suono alla Festa del Pd. Il mio concerto e la Festa democratica sono due cose diverse: la festa dell'Unità è alla Foce, il mio concerto è al Porto antico. Sono entrambi a Genova, ma in due zone distinte, ci vogliono due autobus per andare da una all'altra. Io vado al concerto di Moreno, cioè al mio show".

Il rapper genovese prende le distanze dalla Festa nazionale del Pd, dove domani sera terrà il concerto di chiusura. Al contrario di quanto accadeva fino a qualche anno fa, e certamente fino quando si chiamavano ancora Feste dell'Unità, chi sale oggi su quel palco lo fa come se fosse in un qualsiasi palasport. Nessuna necessità di sintonia o visione del mondo. 
da La Repubblica

Per il PD, finalmente una buona notizia.


giovedì 5 settembre 2013

FIGABUE




Figa, cioè, bella lì raga, il Figabue che io in amicizia chiamo anche il Figa se n’è uscito con un nuovo singolo, "Il sale della terra", che è forse quasi meglio delle ultime del Blasco e cioè suona troppo come tutte le altre sue canzoni ma ha anche un non so che di originale ma proprio non so che e a novembre esce pure il suo nuovo album che sono sicuro suonerà come tutti i suoi altri album e quindi sarà troppo ma troppo originale in un modo che non so spiegare e me lo sono già prenotato su ai tunz e se poi mi lamento che non arrivo a fine mese comprando certe ciofeche di dischi so’ solo cavoli miei.
Bella lì, bella liga ma, tanto per citare un suo "splendido" film, da zero a dieci quanto è bella 'sta nuova canzone?
Dite che siamo più verso lo zero?

"Certo che questo Cannibal è quasi più simpatico di me!"


sabato 15 giugno 2013

NUMA SOSA & THE GUACHOS, UN DISCO DA ARTISTA




Numa Sosa & The Guachos “Artista”
I Numa Sosa & The Guachos sono una band italiana. L’avreste mai detto?
Io no. Avrei immaginato provenissero dall’Uruguay, come il calciatore Ruben Sosa, quello dell’Inter. Remember?
I Numa Sosa & The Guachos sono un gruppo capitanato dall’argentino Numa Sosa ma di cui fa parte anche un blogger, Gregorio Arioli alias Greg Petrelli de Il blog dell’alligatore. Un collega, or dunque, e occuparsi di un collega è qualcosa che può creare sempre qualche imbarazzo, perché se poi ne parlo male, lui può sputtanarmi in qualche modo sul suo sito. E farebbe solo bene.
A scanso di equivoci, e prima che mi sputtani, specifico subito che i Numa Sosa & The Guachos nel loro genere sono bravi. Molto bravi. Qual è il loro genere? È un patchanka ska latino fresco e frizzante, accompagnamento ideale di un mojito in questo primo scorcio di (quasi) estate. Il genere in questione non è tra i miei preferiti in assoluto, io sono più per la musica darkona e deprimente, così come per l’elettronica fredda, ma questa è un’altra storia. D’inverno, un disco come il loro “Artista” non sarei quindi riuscito a digerirlo facilmente. Mi sarebbe suonato strano e fuori contesto. Adesso però è ora di tirare fuori i camiciotti estivi e gasarsi con questa musica più che piacevole. Sembra punk ma non è, serve a darti l’allegria.

I testi alternano italiano e spagnolo senza dimenticare l’inglese, i riferimenti musicali vanno dagli Ska-P ai Mano Negra di Manu Chao passando per Roy Paci, la musica dallo ska alla patchanka, con atmosfere latine e pure un inserto rap (in “Jurar y mentir”), un tocco di romanticismo (la ballata ma pur sempre sculettante “Quel che so dell’amor”), un bell’accompagnamento trombettistico del Petrelli a impreziosire il tutto, e in più una sorpresa pop con l’ultimo pezzo: l’album “Artista” è infatti chiuso da una loro allegra e skatenata versione di “Born This Way”, la hit di Lady Gaga.
Se sono riusciti a convincere me, possono farcela con chiunque. Premete allora play e fatevi contagiare dalla musica di Numa Sosa e dei suoi Guachos, vedrete e soprattutto sentirete che l’estate comincerà ufficialmente.
(voto 6,5/10)

Oltre al sound, occhio anche all’ottimo video animato che accompagna il loro singolo “Non voglio te”.



Potete trovare i Numa Sosa & The Guachos su:
MySpace (ebbene sì, esiste ancora)
E potete ascoltare qualche altra preview e acquistare il disco QUI

sabato 8 giugno 2013

DIO E’ PUNK?


DPG “And Punk Was With God”
Cos’hanno a che fare il punk e Dio?
Apparentemente niente, eppure grazie ai DPG trovano adesso un punto di comunione. “And Punk Was With God” è infatti il titolo del nuovo EP dei DPG, gruppo techno punk con sede a Castelfiorentino, in provincia ebbene sì dal nome del paese non l’avreste mai detto, di Firenze.
Una volta fatta questa premessa, dimenticatela. Dimenticate tutto. I DPG non sono un gruppo di Christian Rock né tantomeno di Christian Punk e con le altre band italiane in circolazione hanno ben poco a che vedere. Lo dico come nota positiva. Molto positiva.
Se uno pensa a un gruppo fiorentino, il primo nome che viene in mente è quello dei Litfiba. Ma i DPG non hanno niente a che fare con i Litfiba. Grazie a Dio. Quel Dio che qui se ne va a braccetto con il punk. E con il post-punk. I DPG hanno un bel suono post-punk, che mi ricorda i Public Image Ltd., il fenomenale gruppo che Johnny Rotten ha messo su dopo i Sex Pistols. Altre band che mi sono balenate alla mente durante l’ascolto dei 5 ipnotici brani di questo convincente EP sono Liars, Alec Empire, The Rapture e Soulwax. Questo giusto per citare qualche spirito che mi è sembrato affine, ma ciò non toglie che i DPG dimostrano di possedere un sound tutto personale, che mischia ritmi elettronici vicini alla techno con un’attitudine bastarda e punk. Musica che fa muovere la testa su e giù, su e giù, che vedrei bene suonata in un club underground di Berlino. Musica poco italiana che però sarebbe bello sentire più suonata anche dalle nostra parti. In attesa che ciò avvenga, probabilmente nell’anno del duemilaecredici, mi sparo questi DPG a un volume così alto come se non ci fosse un domani. E, soprattutto, come se non ci fossero dei vicini di casa.
(voto 7/10)

Potete ascoltare e scaricare il nuovissimo EP dei DPG su Bandcamp, insieme anche al loro primo lavoro “In the Beginning There Was Punk…”, con la modalità name your price, ovvero potete offrire quanto volete.
Di seguito vi propongo il mio pezzo preferito dall’EP, dal titolo che se riesci a sillabarlo correttamente vinci subito una gara di spelling: “Mamihlapinatapai”



martedì 28 maggio 2013

♥ MATTO


Se n'è andato Little Tony,
il ♥ matto della musica italiana,
il nostro Elvis the Pelvis in Roma.
Arrivederci baby



Antonio "Little Tony" Ciacci (1941 - 2013)

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