Oh, no! Oggi su Pensieri Cannibali si parla del nostro film, The Greatest Showman, un musical. Questo significa che...
Michelle Williams
...proprio così: Cannibal Kid si metterà a cantare. È inevitabile. Quello è quasi più insopportabile del cantante dei Modà. E forse persino di te. Ancora mi ricordo la noia che ho provato vedendoti, e sentendoti, in Les Misérables.
Cast: Emma Stone, Ryan Gosling, John Legend, Rosemarie DeWitt, J.K. Simmons, Finn Wittrock, Callie Hernandez
Io non vivo nella città degli angeli
qui se ti metti a cantare rischi che qualcuno ti strangoli
io sto in una città che si chiama Casale
dove tutti conducono un'esistenza assai banale
Io non vivo nella city of angels
qui le forze dell'ordine non sembrano Walker Texas Rangers
ogni tanto vorrei andarmene via
poi arriva qualcuno che mi dice: “Ma dove vuoi andare, pirla?”
e non fa manco la rima, meriterebbe proprio una sberla
Cast: John Lloyd Young, Vincent Piazza, Erich Bergen, Michael Lomenda, Christopher Walken, Renée Marino, Kathrine Narducci, Steve Schirripa, Freya Tingley
Genere: musicale
Se ti piace guarda anche: La bamba, Ray, Quando l'amore brucia l'anima – Walk the Line, Not Fade Away, Quasi famosi, Volare, Quei bravi ragazzi
Una cosa che mi piace di Clint Eastwood è il suo continuo uscire dagli stereotipi.
Mi piace il modo in cui un repubblicano vecchio stampo come lui ha trattato in maniera aperta e intelligente il tema dell'eutanasia in Million Dollar Baby e la questione razziale in Gran Torino.
Mi piace il fatto che il texano dagli occhi di ghiaccio noto per i suoi ruoli da duro e puro abbia girato uno dei film più smielati di sempre come I ponti di Madison County, per quanto quel film non mi sia piaciuto.
Mi piace immaginarmi il vecchio rude Clint tra il pubblico di Broadway mentre si commuove ascoltando le canzoncine commerciali anni '50 proposte dal musical Jersey Boys, in maniera analoga a quanto fa Christopher Walken nell'adattamento cinematografico.
Mi piace l'idea di Eastwood che, all'età di 84 anni, tenta ancora strade nuove e questa volta si cimenta con la trasposizione di un musical, un genere con cui si era confrontato solo nel lontano 1969, come attore ne La ballata della città senza nome.
Mi piace la prima parte della pellicola Jersey Boys, che racconta l'ascesa al successo dello scugnizzo Frankie Valli come cantante di un quartetto vocale che cambia più volte nome, fino a diventare i The Four Seasons. Si tratta di un romanzone di formazione classico, vagamente alla Scorsese, in cui le organizzazioni criminali mafiose fanno giusto da sfondo alla vita del parrucchiere aspirante cantante Frankie e un grande spazio viene affidato alla musica. Un biopic molto tradizionale, d'altra parte a Clint Eastwood non è che si chieda innovazione registica, che ricorda molti altri film musicali ma che possiede un buon ritmo, ben più sostenuto di altre pellicole retrò macchinose firmate dal regista come J. Edgar o il soporifero Changeling.
Mi piace meno la seconda parte della pellicola. Questo genere di storie dedicate a band e musicisti, di cui come esempi posso citare Ray, La bamba, Great Balls of Fire, Not Fade Away, Quasi famosi e Quando l'amore brucia l'anima – Walk the Line, tanto per dirne alcuni che Jersey Boys a tratti riecheggia, di solito è diviso in due tempi: l'ascesa e poi il declino. L'ascesa come detto è raccontata in maniera gradevole, anche se purtroppo manca quasi del tutto la componente sesso, droga & rock'n'roll, visto che il sesso è rappresentato in una maniera pudica che manco Steven Spielberg, la droga è una tematica che resta molto marginale, mentre di rock'n'roll nel pop sbarazzino di Frankie Valli & soci non vi è neanche l'ombra. I The Four Seasons possono semmai essere visti come i padrini dei gruppi vocali in stile New Directions della serie tv Glee, per non dire i Neri per Caso, e pure delle boy-band, considerando il modo di esibirsi in pubblico vestiti tutti uguali e accennando persino delle mosse di ballo. Nonostante la storia del gruppo appaia come una versione edulcorata di quella di una rock band, il tutto si lascia seguire con piacevolezza.
La grave pecca sta allora nella seconda parte, quella del declino. A mancare qui sono le emozioni forti. Il vero drama tipico di questo genere di storie. Sì, c'è un momento triste legato a un famigliare di un membro della band, non vi spoilero chi, però si tratta di un personaggio che pare buttato lì in mezzo a casaccio tanto per suscitare un po' di commozione. C'è anche il contrasto tra Frankie e un altro del gruppo, il gangsta Tommy, però niente che coinvolga più di tanto. Il film non riesce a decollare mai davvero e nella parte conclusiva si spegne progressivamente, finendo nella sua eccessiva durata per annoiare un pochino. Ho detto un pochino io che in questo genere di storie ci sguazzo e di biopic su musicisti e gruppi me ne sparerei uno al giorno, ma i meno appassionati potrebbero pure annoiarsi non solo un pachino, ma parecchio.
"Non mi piace quello che dice Cannibal su di me.
Penso che me ne andrò a piangere..."
Mi piace ancora meno quello che è il vero grande problema di questa pellicola non brutta, solo incapace di lasciare il segno. Clint Eastwood ha peccato di eccessiva fedeltà nei confronti del musical cui si è ispirato. O almeno così sembra. Io il musical Jersey Boys non l'ho visto. Non sono mai stato a Broadway e anche se ci andassi probabilmente non lo guarderei. L'impressione viene però fuori già solo andando a vedere il cast. Clint, oltre che gli stessi sceneggiatori, ha reclutato per lo più gli stessi interpreti dello spettacolo originale, ormai invecchiati di una decina d'anni rispetto alle prime rappresentazioni e quindi un po' fuori parte. Al di là di una questione anagrafica, ciò che funziona su un palco di Broadway non necessariamente funziona al cinema. Si veda Les Miserables. In quel caso il peso principale del film era che gli attori cantavano tutto, ma proprio TUTTO il tempo, cosa che per un musical visto a Broadway va bene, mentre visto su pellicola diventa una cosa difficile da reggere. Qui per fortuna non è così. I personaggi non si mettono a cantare invece di parlare. Le canzoni sono presenti quando i Four Seasons si esibiscono nei locali o in tv, o quando registrano in studio.
A non funzionare sono gli interpreti, fatta eccezione per Vincent Piazza, già visto nella serie Boardwalk Empire, l'unico del cast che sembra poter avere un futuro cinematografico, sebbene con quella faccia rischi di rimanere intrappolato nello stereotipo dell'italo-americano a vita. Gli altri tre Four Seasons invece non bucano lo schermo. Michael Lomenda è del tutto anonimo e il suo personaggio Nick è inutile, mentre Erich Bergen, che veste i panni dell'autore delle canzoni della band, sembra la versione inespressiva del nostro Alessio Boni. Il peso maggiore grava però sulle spalle del protagonista principale. Sono sicuro che John Lloyd Young a Broadway sia stato bravissimo e si sia meritato di vincere il prestigioso Tony Award, ma come attore cinematografico non funziona. Non ha carisma. Gli manca l'X-Factor filmico. Inoltre la sua voce è piuttosto fastidiosa e non rende giustizia al vero Frankie Valli, un po' come la pallida imitazione di Beppe Fiorello non era in grado di riportare in vita il ricordo del vero Domenico Modugno nella fiction Rai Volare.
Mi spiace allora per Clint Eastwood, ma ha fatto l'errore di apprezzare il musical in maniera eccessiva e di non averlo voluto cambiare più di tanto. Il cinema, un veterano come lui dovrebbe saperlo, funziona in maniera differente da uno spettacolo teatrale e il suo film finisce per essere troppo Broadway e poco Hollywood. Si veda il finale. La classica scena che a teatro è l'occasione per il cast di prendersi gli applausi, e magari la standing ovation del pubblico, e che invece in una sala cinematografica fa solo andare via gli spettatori mesti e con la faccia delusa del “Tutto qui?”.
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Il mio rapporto con i musical è storicamente complicato. Non ho mai retto granché quei film, soprattutto quelli della Disney come Mary Poppins ma non solo, in cui la gente all’improvviso si mette a cantare. Perché lo fa? Perché?
WHYYYYYY?
WHYYYYYY?
Tell me
WHYYYYYY?
WHYYYYYYY?
Non so perché si mettono a cantare. So solo che è una cosa che io non sopporto. Negli ultimi tempi però le cose erano cambiate. Tutto per merito di Moulin Rouge!, una pellicola in grado di rileggere in chiave post-moderna il genere, utilizzando dei classici della musica pop degli ultimi decenni, utilizzati all’interno di un’ambientazione di fine Ottocento.
Da lì in poi il musical non è più stato lo stesso e anche sul piccolo schermo il genere è stato riattualizzato in maniera interessante nelle primissime stagioni di Glee, che poi vabbè è svaccato alla grande, ma nei primi tempi era un prodotto originale.
Walking on Sunshine cancella invece i progressi fatti dal musical negli ultimi anni e torna a riproporlo in maniera vecchia e stanca. Come un Grease molto ma molto più imbruttito. O come una replica anonima di Mamma Mia!
L’operazione di ricontestualizzazione delle canzoni è poi fallimentare. Se in Moulin Rouge! l’uso di pezzi moderni inseriti in un contesto antico è geniale, qui il revival 80s è realizzato in maniera molto stereotipata e superficiale. D’altra parte…
Se la mia pelle è nel 2000
e la tua è ancora anni '80
non sai che non si esce vivi dagli anni '80
non si esce vivi dagli anni '80…
Non si conosce bene il motivo per cui i protagonisti del film d’un tratto di mettano a cantare, però le scelte non sarebbe neanche malaccio, a livello musicale. Certo, si tratta di brani stra famosi e non ci si è sbattuti manco un minimo per cercare qualche chicca meno nota del decennio, ma in ogni caso è sempre un piacere riascoltare brani come “Don’t You Want Me” degli Human League, “White Wedding” di Billy Idol, “Holiday” di Madonna, “Girls Just Wanna Have Fun” di Cyndi Lauper, “The Wild Boys” dei Duran Duran o la frizzante title track “Walking on Sunshine” di Katrina and the Waves.
Peccato che le riletture qui proposte siano degne di Amici di Maria de Filippi mentre la banalissima sceneggiatura e i terrificanti dialoghi hanno lo stesso spessore di un’esterna a Uomini e donne, tanto per restare in tema. L’uso dei brani inoltre è eccessivamente didascalico e letterale. Non c’è spazio per una rielaborazione creativa o un minimo di fantasia. Tutto è troppo scontato e prevedibile, un po’ come se io chiudessi questo post citando l’artista più popolare degli 80s, Michael Jackson.
Se la recitazione è a livelli di poracittudine totale, a livello vocale le cose non vanno molto meglio e l’unica a segnalarsi è la popstar Leona Lewis. Come cantante non mi fa impazzire. A livello sessuale però è una libidine e vederla con indosso la t-shirt “Italians do it better” è uno dei pochi – o dovrei dire l’unico? – motivo per sorbirsi questa porcheria. Peccato che non la facciano cantare
Boys, boys, boys
I'm looking for the good time
Boys, boys, boys
I'm ready for your love
Ah no, mi correggo: Leona non è l’unica cosa degna di nota. Anche le ambientazioni del Salento non sono niente male. Solo che per il resto di italiano c’è davvero poco o nulla. Conteso tra la porcella Annabel Scholey e la seriosa Hannah Arterton (sorella di Gemma Arterton), l’unico nostro connazionale presente nel cast insieme a Giulio Corso è il protagonista maschile Giulio Berruti. Bellissimo ragazzo, eh, come modello sono sicuro che funzioni alla grande, però come attore e pure cantante proprio non ci siamo. Per il resto, il “merito” di una schifezza del genere va tutto agli inglesi, in grado per una volta di realizzare un filmetto capace di far rimpiangere, e alla grande, Panarea e vanzinate nostrane varie. Non sarebbe stato male allora se qui dentro ci fosse stata più Italia, perché io sono un italiano, un italiano vero e allora…
Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano
Lasciatemi cantare una canzone piano piano
Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero
Sono un italiano, un italiano vero.
Se da un punto di vista musicale Walking on Sunshine fa venire voglia di riascoltarsi i pezzi degli anni Ottanta sì, però nelle versioni originali e non in queste riproposizioni da musicarello, da un punto di vista cinematografico fa venire una gran voglia di cambiare del tutto genere. Piuttosto che vedermi un altro schifo di musical come questo, mi faccio una serata thriller…
Cast: Allie MacDonald, Minnie Driver, Meat Loaf, Douglas Smith, Brandon Uranowitz, Kent Nolan, Ephraim Ellis, Melanie Leishman, Thomas Alderson
Genere: horror-musical
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Ho sempre paura, prima di guardare un film horror. Non perché mi diano realmente i brividi. Né è passato di tempo da quando una pellicola mi ha fatto venire la strizza. Ho paura perché negli ultimi tempi capita solo di vedere o delle ciofeche totali o delle mezze ciofeche. Quest’ultima categoria è la peggiore. Se mi guardo 1303 – 3D che è una merdaccia assoluta, a fine visione sono contento per aver assistito a qualcosa di davvero atroce. Se invece vedo solo un filmetto mediocre, come capita ormai troppo spesso, sento di aver solo perso del tempo per niente.
Quando capita di trovare un horrorino magari non eccezionale, ma valido, rimango proprio sorpreso. Stage Fright non farà gridare al miracolo, né farà gridare dalla paura, eppure per una volta sono arrivato a fine visione decisamente e piacevolmente soddisfatto. Per quanti difetti possa avere e per quanto possa rientrare a pieno diritto nella categoria dei B-movies, se non in quella degli Z-movies, Stage Fright ha dalla sua parte alcuni elementi che lo elevano a piccolo miracolo all’interno del panorama horror attuale. Tali elementi non riguardano tanto la parte più thriller e più spaventosa. L’intreccio “orrorifico” è parecchio prevedibile e la tensione non è che sia proprio alle stelle per tutta la durata del film.
La parte più interessante è quella umoristica, un elemento sempre gradito da queste parti. Non a caso tra i miei horror preferiti ci sono Scream e il più recente The Innkeepers. Stage Fright ha inoltre un’altra arma vincente, che lo contraddistingue dagli altri horrorini in giro: è un musical. Non si canta tutto il tempo, tranquilli sono io il primo a essere terrorizzato da robe insopportaaaabili come Les Miseraaaaaables, ma la componente canora qui è ben presenteeeeee ed è piuttosto gradeeevoleeeeeeee. Combinando questi due elementi, ne esce una divertente parodia del mondo dei musical dalle venature horror. Una gran combinazioni di generi molto vagamente dalle parti del The Rocky Horror Picture Show, cui va aggiunto pure un tocco metal e una leggerissima spruzzata di teen, per un risultato finale che sembra una variante dell’orrore di un episodio di Glee, e ricorda un pochino anche la puntata musical di Buffy l’ammazzavampiri.
Facciamo un passo indietro. Di cosa parla questo canteriiiino Staaaage Friiiiight?
ATTENZIONE SPOILER
La storia è ambientata in un campus estivo per giovani appassionati di musical.
Giovani sfigati, esatto.
In questo campus viene organizzato un musical che è una variante de Il fantasma dell’opera e nella cui rappresentazione di 10 anni prima era stata uccisa la protagonista, che è la madre di una delle ragazze del campus. La cuoca del campus, per la precisione. Una bella fighetta di cuoca del campus, giusto per essere ancora più precisi. A interpretarla troviamo tale Allie MacDonald, giovane fanciulla che come talento recitativo e vocale non è che si segnali più di tanto, però è perfetta per il ruolo grazie a quella sua faccia da innocente verginella messa sopra a un corpo fatto per il peccato.
Da quanto tempo sognavo di dire una frase del genere?
FINE SPOILER
Una trama piuttosto classica che mischia traumi famigliari del passato con la tematica della rappresentazione teatrale. Tanta roba messa sul menù e non tutti i piatti serviti sono gustosissimi. A far scorrere la visione veloce, senza intoppi e senza fare innervosire come capita molto spesso con gli horror contemporanei è la citata dose di ironia sempre presente, dall’inizio alla fine. Tra canzoni gaie, accenni hard-rock e qualche momento splatter nemmeno da poco, Stage Fright è un filmetto low-budget girato senza troppe pretese e in cui come attoroni celebri si segnalano giusto le (modeste) comparsate di Minnie Driver e del cantante Meat Loaf.
Alla fine, nonostante i suoi limiti, il film riesce laddove altre produzioni de paura (teoricamente) più blasonate falliscono: ovvero fare il suo porco dovere di intrattenimento estivo. Merce sempre più rara negli horrorini in circolazione oggi. Sarà forse merito della componenteeee muuuuuuuusicaaaaaaaal?
Tratto dalla serie di libri scritti da: Pamela Lyndon Travers
Cast: Julie Andrews, David Tomlinson, Glynis Johns, Dick Van Dyke, Karen Dotrice, Matthew Garber, Ed Wynn
Genere: musical disneyano AAARGH
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allegro e felice, pensieri cannibali non ha
Ciao bambini, come state? Ma voi riuscite a immaginarlo un film più odioso di Mary Poppins, una pellicola in cui all’improvviso tutti i suoi odiosi personaggi si mettono uno a uno a cantare canzoncine odiose? Io non ci riesco. Mary Poppins è persino peggio di Les Miserables, una roba in cui personaggi non tanto miserabili quanto odiosi cantavano tutto il tempo delle canzoncine odiose, ma un filo meno di queste.
Mary Poppins è qualcosa in grado di mettere alla prova la pazienza perfino del disneyano più accanito, figuriamoci la mia. Non so a voi, ma appena vedo degli uccellini e degli altri teneri animaletti che si mettono a cantare e a ballare, a me viene voglia di fare una bella grigliata di carne mista. Tutto in questo film grida “Disney!” a gran voce e a me non basta un poco di zucchero, per farmi andare giù la pellicola-pillola. Ciò che servirebbe sarebbe semmai meno zucchero, in questa disneyata zuccherosa in modo assurdo.
Al di là delle canzoncine supercalifragilistichespiralmerdose, non c’è un solo personaggio qui in mezzo a suscitarmi simpatia. Il padre è un padre pardone banchiere tiranno. Una specie di Monti in versione disneyana, visto che pure lui ATTENZIONE SPOILER PER CHI NON AVESSE ANCORA VISTO 'STO CLASSICO DEGLI ANNI ’60 nel finale diventa un malato di mente che cante le canzoncine supercazzole inventate da Mary Poppins. La madre è una suffragetta, peccato sia totalmente succube del marito padrone che porta a casa la pagnotta, alla faccia del femminismo. I due genitori sono comunque accomunati da una cosa: se ne sbattono altamente dei loro figli. I due pargoli d’altra parte sono l’incubo di qualunque tata d’Inghilterra non si sa bene perché, visto che appaiono come i bambini più tranquilli e soprattutto più noiosi del mondo. Che in realtà siano i figli di Fabio Fazio?
Se la bambina è semplicemente ininfluente e priva di personalità, il bambino dal canto sua ha la faccia da vecchio. E pure da scemo. Che in realtà sia proprio Fabio Fazio da piccolo?
Quanto alla protagonista, beh, Mary Poppins è una strega, ed è pure una stronza. Sempre lì a tirare fuori le sue magie e poi, appena la gente comincia a divertirsi, ecco che non va bene e diventa d’un tratto severa a cagaminkia. E toglitela, ‘sta scopa dal culo!
I personaggi minori sono anch’essi penosi, come lo Zio Albert che è una specie di versione idiota del Cappellaio matto di Alice nel paese delle meraviglie e racconta delle barzellette meno divertenti di quelle di Renzo Arbore.
C’è insomma qualcuno che si salva, in questo insopportabile filmetto?
Sì, uno sì. Bert, lo spazzacamino, uno che vorrebbe anche spazzare via le ragnatele in mezzo alle gambe di Mary Poppins, ma siamo pur sempre dentro un film della Disney, quindi figuriamoci. Manco un Mary Pompin, ci scappa. Manco quello.
In due ore e passa, non capita in pratica niente che riesca a risollevare una pellicola tanto celebrata ma che non propone altro se non una fastidiosa canzoncina dietro l’altra, con un unico brano decente. Mi riferisco ovviamente a Cam camin spazzacamin, pezzo tra l’altro di una tristezza infinita.
"Cannibal, tu da piccolo avresti avuto proprio bisogno di una come me!"
Persino il finale, che sembra poter smuovere un po’ le acque, si trasforma nel classico trionfo dei buoni sentimenti in cui il papà, dopo essere stato licenziato, viene subito riassunto. Va bene che allora erano gli anni Sessanta, ma vedere oggi in tempi di crisi questo qua che lascia il lavoro e poi se lo riprende nel giro di poche ore fa venire un discreto nervoso. In pratica, a differenza di altri film della Disney dove i cattivoni sono ben presenti e dove di solito sono anche i miei personaggi preferiti, qui non c’è nessun villain. Sono tutti buoni, massì persino i banchieri.
Se a qualcuno Mary Poppins ricorderà l’infanzia e teneri ricordi, a me fa solo rabbia. Rabbia è la parola che meglio rappresenta la mia visione di questo film superbuonistaespiralidoso. Ogni cosa in questo filmetto mi fa rabbia e se sento partire un’altra canzoncina disneyana giuro che vi mando tutti quanti affansupercalifragilistichespiralidoso…
Hey, non era quello che volevo dire. Volevo dire che vi fracasserei quelle vostre brutte teste supercalifragilistichespiralidose, anche se ti sembra che abbia un suono spaventoso, se lo dici forte avrai un successo strepitoso, supercalifragilistichespiralidoso.
Oh no!
Sono stato contagiato! Non riesco più nemmeno io a smetterla di cantare…
Vi siete mai chiesti cosa accadrebbe se realizzassero un remake italiano di Moulin Rouge!?
Io sì.
Non l’avessi mai fatto.
Ecco a voi Mulino Rosso!
Al posto di “Because We Can”, il “Can Can” nella versione remix di Fatboy Slim…
Il ballo del Qua Qua di Romina Power (Gigi D’Agostino remix).
Al posto di “Lady Marmelade” cantata da Christina Aguilera, Pink, Mya e Lil Kim…
“Lady Marmelade” cantata da Anna Tatangelo, Laura Pausini, Giorgia e la “rapper” Baby K.
Al posto di “Children of the Revolution” dei T-Rex…
“Meno male che Silvio c’è” del Popolo della Libertà all-star.
Al posto di "Smells Like Teen Spirit" dei Nirvana...
"Spirito" dei Litfiba.
Al posto di “Material Girl” di Madonna…
“Siamo donne” di Jo Squillo e Sabrina Salerno.
Al posto di Nicole Kidman…
Ruby Rubacuori nella parte di Satine, una ragazza che si prostituisce per arrivare a ballare al prestigioso Chiambretti Night.
Al posto di Ewan McGregor…
Beppe Fiorello. Chi se no? In Italia, quando c’è una parte in cui bisogna saper cantare e recitare, la danno sempre a Beppe Fiorello. Peccato che non sappia cantare, figuriamoci recitare.
Al posto di John Leguizamo…
Morgan nei panni di Toulouse-Lautrec che canta “L’assenzio” dei Bluvertigo.
Al posto di Kylie Minogue…
Luciana Littizzetto nei panni della fatina dell’assenzio cagaminkia che parla con accento piemontese.
Al posto di “One Day I’ll Fly Away”…
“Volare” di Domenico Modugno. E qui ci va bene.
Peccato sia nella versione cantata da Beppe Fiorello. E qui ci va meno bene.
Al posto di “All You Need Is Love” dei Beatles…
“Vattene amore” di Amedeo Minghi & Mietta.
"Magari ti chiamerò: Trottolino amoroso e dudu dadadà."
"Sai cosa, Ewan? Mi sono improvvisamente ricordata di avere un impegno urgentissimo..."
Al posto di “I Will Always Love You” di Whitney Houston…
“Ti amo” di Umberto Tozzi.
Al posto di “Heroes” di David Bowie…
“Si può dare di più/senza essere eroi” di Morandi-Ruggeri-Tozzi.
Al posto di “Your Song” di Elton John…
"Questo piccolo grande amore" di Claudio Baglioni.
Al posto di “Like a Virgin” di Madonna…
“Far l’amore” di Raffaella Carrà (Bob Sinclar Remix), in mash-up con “Tanti auguri” sempre di Raffaella Carrà e “Rewind” di Vasco Rossi.
"Ma 'ndo stiamo? Ad Arcore?"
Ahaaah ahaaah a far l’amore comincia tu
Com’è bello far l’amore da Trieste al Moulin Rouge
Ahaaah ahaaah a far l’amore comincia tu
L'importante farlo sempre con chi hai voglia tu
Ahaaah ahaaah a far l’amore comincia tu
La la la la la la la, fammi vedere
Ahaaah ahaaah a far l’amore comincia tu
La la la la la la la, fammi godere
Al posto di “El tango de Roxanne” di Sting…
“La tarantella di Laura non c’è” di Nek.
Al posto di “The Show Must Go On” dei Queen…
“Il più grande spettacolo dopo il Big Bang” di Jovanotti.
E al posto di “Nature Boy” di Nat King Cole…
“Vorrei avere il becco” di Povia.
Considerato il suo gusto per il kitsch, a Baz Luhrmann questo remake potrebbe non dispiacere nemmeno troppo.
Noi però forse è meglio se ci teniamo la sua versione.
Moulin Rouge!
(USA, Australia 2001)
Regia: Baz Luhrmann
Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Craig Pearce
Cast: Nicole Kidman, Ewan McGregor, John Leguizamo, Jim Broadbent, Kylie Minogue, David Wenham, Richard Roxburgh, Kiruna Stamell, Tara Morice
Tratto dal musical: Les Misérables di Claude-Michel Schönberg (musiche) e Alain Boublil (testi)
A sua volta tratto dal romanzo: I miserabili (Les Misérables) di Victor Hugo
Cast: Hugh Jackman, Anne Hathaway, Russell Crowe, Sacha Baron Cohen, Helena Bonham Carter, Eddie Redmayne, Amanda Seyfried, Aaron Tveit, Samantha Barks, Daniel Huttlestone, Isabelle Allen
Genere: canta tu
Se ti piace guarda anche: Rent, Nine, Sweeney Todd, Moulin Rouge!
Mi ha sempre fatto ridere questa espressione: I dreamed a dream. Ho sognato un sogno. E per forza, cosa dovevi fare? Incubare un incubo?
Comunque, “I Dreamed a Dream” è il brano più celebre e identificativo di Les Misérables, romanzo di Victor Hugo trasformato in uno dei musical di maggior successo nella storia di Broadway a partire dagli anni ’80, quando era al top della popolarità (non a caso viene spesso citato nel romanzo di Bret Easton Ellis American Psycho). Adesso è finalmente (finalmente?) diventato anche una pellicola cinematografica.
I dreamed a dream. Ho sognato un sogno. Nel sogno, non guardavo questo film ed ero più felice. Avrei potuto impiegare molto ma molto meglio le 2ore e 40minuti della durata del musical. Non so, ad esempio avrei potuto cominciare a giocare a Ruzzle, il gioco di parole che fino a qualche giorno fa non avevo mai sentito nominare e di cui adesso invece tutti parlano. Ovunque. Su Facebook, sui blog, per strada. Sembra di essere finiti nell’alba dei giocatori di Ruzzle viventi. C’è gente al volante che non guarda la strada per giocarci. Ne hanno parlato persino al TG5! A quel TG5 dove di solito la cosa più nuova di cui discutono è il nuovo disco di un nuovo artista emergente, un certo nuovo Vasco Rossi.
I dreamed a dream, dicevo. “I Dreamed a Dream” è un brano di sicuro impatto, non lascia indifferenti. È riuscito persino a trasformare Susan Boyle, e ho detto Susan Boyle, in una superstar mondiale, e ho detto superstar mondiale.
Figuriamoci allora se Anne Hathaway, grazie alla sua intensissima interpretazione nella parte di Fantine e soprattutto di questo brano, non riuscirà a portarsi a casa uno scontatissimo Oscar come miglior attrice non protagonista, dopo aver già vinto ai Golden Globes.
Non fraintendetemi, Anne Hathaway qui è davvero bravissima e l’Oscar sarà anche meritato, non certo un furto. Però non è il genere di performance recitative che preferisco. Troppo sopra le righe. Troppo eccessiva. Un talento troppo sbandierato. Come nel campo delle performance musicali fanno Andrea Bocelli, o Celine Dion o Mariah Carey. Nessuno mette in dubbio che abbiano un gran talento vocale, però io personalmente non riesco a sentirli se non munito di appositi tappi per le orecchie.
Anna Hathaway con la sua intepretazione breve ma intensa, pure troppo, rientra comunque tra le note più positive di questo Les Misérables e la scena in cui canta “I Dreamed a Dream” è impressionante per bravura recitativa. Il regista Tom Hooper invece strabilia parecchio di meno. Si limita a mettere la camera fissa su di lei e a far compiere tutto lo sforzo all’attrice. Così sono capaci tutti. Anche i Vanzina.
"Uh, mamma! Svegliateci quando il film è finito..."
Il film gode di una manciata di altre buone intepretazioni: Hugh Jackman se la cava bene, ma nel suo caso l’Oscar sarebbe davvero eccessivo. Bravi poi Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter (entrambi già nel musical burtoniano Sweeney Todd), protagonisti dei siparietti più divertenti, in grado di alleggerire un pochetto la situazione di un drammone che stava diventando insostenibile e in cui alle disgrazie personali dei miserabili protagonisti si aggiungono pure quelle legate alla Rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche. Va bene il dramma, va bene il melodramma, però Les Misérables più che un semplice drammone è un invito al suicidio.
A colpire in positivo, oltre ad Anne Hathaway, sono soprattutto i volti più nuovi: il bambinetto Daniel Huttlestone è il protagonista del momento musicale più figo, la scena in cui canta convintissimo “Look Down (Beggars)”. Perché sì, questo Les Misérables ha anche dei momenti buoni. Peccato che su 2 ore e 40 minuti ci siano giusto quelle 2 ore di troppo ad appesantire il tutto.
Non male anche l’emergente Samantha Barks, che arrivava già dalle versione concertale del musical. A lei è affidato l’altro brano più celebre de Les Misérables, ovvero “On My Own”. Più celebre almeno per me, visto che lo conoscevo grazie all’interpretazione di Katie Holmes/Joey Potter in Dawson’s Creek. Pensate un po’ voi su quali solide basi poggia la mia cultura.
"Non è il caso che continui a mentire dicendo che sono meglio di Marilyn,
tanto te la smollo lo stesso."
Tra gli altri giovani attori da tenere d’occhio, occhio appunto poi anche ad Aaron Tveit, già intravisto in Gossip Girl, e alla piccola Isabelle Allen, quella dell’inquietante manifesto della pellicola.
Mi ha convinto di meno invece Amanda Seyfried. Amanda sey fregna, okay, ma il musical non mi sembra troppo nelle tue corde. Continua a non dirmi nulla invece Eddie Redmayne, già anonimo protagonista di Marilyn (dove non era Marilyn, ma il giovane che ne era innamorato, nel caso aveste dubbi in proposito). Io sono il primo a sponsorizzare i giovani attori britannici, lui però no. Sarò comunque felicissimo se mi smentirà in futuro, ma di certo anche lui non mi sembra molto a suo agio con il musical e a livello vocale è il più miserabile del cast.
Se la cava a cantare Russell Crowe, d’altra parte è pure il leader di una rockband, i Russell Crowe & The Ordinary Fear of God, però dentro Les Misérables sembra davvero un pesce fuor d’acqua. Non che ci siano numeri di ballo, perché questo è uno di quei musical in cui non è che si balla. Non più di tanto. Si canta, sempre e soltanto. Il roccioso Russell Crowe comunque pare uno che si aggira in scena chiedendosi: “Ao’, io so’ Massimo, er Gladiatò. Che ce faccio in ‘sto musicarello per effeminati?”.
"Tutto bene, Anne?"
"No, mi si è rotto il karaoke. E mo' come faccio a esprimermi?"
La pellicola viaggia quindi a corrente alternata, tra intepretazioni, canzoni e scene più o meno apprezzabili. Il tutto tenuto insieme da una cura tecnica impeccabile, abiti e scenografie per carità magnifici, e dalla regia del menzionato Tom Hooper.
Riconosco a Tom Hooper di avere stile, un suo stile. Che poi a me questo stile faccia schifo, è un dettaglio non da poco. Adesso non so bene neanche quali termini tecnici sono più appropriati per descrivere il suo modo di girare. Propone spesso e volentieri delle inquadrature sbilenche, come fosse un Terry Gilliam privo però di tutto il talento visionario. Privilegia poi i primi piani e, come dire?, schiaccia la messa in scena, toglie profondità. Magari è solo un’impressione mia, ma quando guardo un suo film mi sento schiacchiato. Mi sento soffocare. Mi manca il respiro. Sto male fisicamente. È per questo che, dopo la già fastidiosa esperienza de Il discorso del re, quello che ha fatto una gran rapina agli Oscar di due anni fa, non ho mai visto il suo acclamato film d’esordio Il maledetto United, nonostante il Manchester United sia una delle mie squadre preferite. Perché ho paura del suo cinema. Mi fa stare male, maledetto Hooper.
"Al prossimo che si mette a cantare gli faccio saltare le cervella, intesi?"
La regia di Tom Hooper mi ha fatto stare male anche questa volta, nel caso ve lo chiedeste, ma non è la sola cosa ad aver avuto un effetto devastante sulla mia visione del film.
Non ho mai visto il musical da cui è tratto, quindi prendetele come considerazioni basate unicamente come supposizioni, ma un problema di Les Misérables il film è che ha troppo rispetto di Les Misérables il musical. E, per quanto riguarda gli adattamenti, l’eccessiva fedeltà per me non è mai un gran bene. Nel passaggio da un media a un altro vanno operate delle scelte, anche spietate se necessario. Guardando Les Misérables ho avuto l’impressione di un lavoro che a teatro sarebbe funzionato alla grande, ma su pellicola meno. Perché?
Perché questo musical è troppo… musical. Troppo cantato. I dialoghi sono pressoché inesistenti. Una scelta interessante, rischiosa, estrema. Dai risultati però devastanti per la psiche del miserabile spettatore. Terminata la visione del film, mi sono chiesto perché le persone intorno a me parlassero. Parlassero e non cantassero. Se odiate i musical quindi vi consiglio di girare al largo, perché questo film potrebbe farvi lo stesso effetto del sole per i vampiri: provocarvi combustione spontanea.
Per quanto mi riguarda, non sono mai stato un grosso fan dei musical. Ultimamente però ho apprezzato parecchio alcune rivisitazioni originali del genere, come Moulin Rouge! e Dancer in the Dark (che al confronto di questo era quasi una commedia goliardica), così come ho seguito con interesse il Glee dei primi tempi e pure l’altra serie musical Smash e tra poco vi parlerò pure di Pitch Perfect. Non partivo quindi del tutto a digiuno dal genere. Però vi assicuro che, se non siete fan hardcore dei musical, 2 ore e 40 minuti senza pause, tutte cantate, TUTTE cantate, vi faranno impazzire.
Ma perché diavolo cantate seeempreeeeeeeeee?
Vi fa così schifo parlareeeeeeeeee?
Non se ne può davvero piùùùùùùùù
e non mi resta altro che invocare Belzebùùùùùùù
Perché diavolo diavolo diavolo diavolo diavolo diavolo
(tutti in coro) DIAVOLO DIAVOLO DIAVOLO
perché diavolo cantate seeempreeeeeeeeeee?
Qualcuno me lo vuol spiegar?
qualcuno me lo sa spiegar?
La la la la la lalaaa? La la la la la la laaaaa?
Les Misérables ti mando fuori di testaaaaaaa.
Les Misérables ti fa gridare: “Ma bastaaaaaaa!”.
Poi basta. Mi è passata.
Dopo due giorni in cui sono andato in giro per strada a cantare e la gente, tra una partita a Ruzzle e l’altra, mi guardava come se fossi pazzo, alla fine l’ho capito chi sono les misérables del titolo: noi poveri spettatori.
(voto 5/10)
Post pubblicato anche su L'OraBlù, con la nuova locandina minimal firmata da C(h)erotto.
Cast: Julianne Hough, Diego Boneta, Tom Cruise, Russell Brand, Alec Baldwin, Paul Giamatti, Bryan Cranston, Catherine Zeta-Jones, Malin Akerman, Mary J. Blige, T.J. Miller
Genere: kitsch
Se ti piace guarda anche: Glee, Moulin Rouge!, Nine, Burlesque
Che tamarrata!
Una tamarrata con un grande Tom Cruise nella parte di un rocker ispirato a Bret Michaels, Axl Rose, Jon Bon Jovi, Anthony Kiedis, Nikki Sixx, Tommy Lee, al cantante degli Europe e a Satomi dei Bee Hive...
"Non ho più l'età per fare... che ora si è fatta? Le 8 di sera? Troppo tardi!"
...con la Barbie-gnocchetta Julianne Hough che è rock quanto un pezzo dei One Direction...
Cioè tantissimo!
XD
"Pettinata così sono più rock di Heather Parisi!"
...con il promettente Diego Boneta che assomiglia al protagonista del telefilmetal Todd and the Book of Pure Evil...
"Hey, baby, l'hai comprata la compilation di Natale di quel nuovo artista, quel Michael Bublé?"
"No, è troppo heavy-metal per me."
"Penso che tu non sia pronta per questa musica... ma ai nostri figli piacerà!"
...con Alec Baldwin nella parte di Mr. James Ford, con Russell Brand nella parte praticamente di se stesso, con un Bryan Cranston come al solito quando non è in Breaking Bad sprecatissimo, con una Catherine Zeta-Jones che sembra l’abbiano “ibernata nel culo di Margaret Thatcher”, con un’insopportabile scimmietta, con una sceneggiatura sfilacciata e con una selezione musicale che sembra uscita da Virgin Radio...
Tutto questo è Rock of Ages!
"Ma perché Katy Perry era sposata con te?"
"Ma semmai perché Kim Basinger era sposata con te?"
E poi?
Poi alcune scenette musicali sono ottime (tutte quelle con Tom Cruise), qualcuna divertente (Alec Baldwin + Russell Brand sulle note dei REO Speedwagon), qualcun’altra sembra una versione leggermente rock-oriented di High School Musical (quelle con Julianne Hough), qualcun’altra è penosa (Z-Jones in Chiesa) e qualcun’altra evitabile (Mary J. Blige che c’azzecca con il rock?).
"Dici che conciata così sembro più trans che rock? Certo che anche tu, con quel look da Ke$ha, non sei messa tanto meglio..."
Ambientato in un’epoca lontana lontana in cui la dubstep non era ancora stata inventata, Rock of Ages a tratti sembra una puntata di Glee in cui si cantano classici del rock anni ’80, ovvero una puntata di Glee qualsiasi, a tratti sembra una commedia 80s, a tratti è banalotto, a tratti è più un musical di Broadway che una pellicola cinematografica vera e propria, a tratti è piacevole e divertente.
"Ah, ma perché? C'ero anch'io in questa stagione?"
Glee
(stagione 3)
Che è successo a Glee?
È accaduto l’inevitabile, in qualunque produzione americana che si rispetti. Da celebrazione dei loser si è trasformato in una celebrazione del farcela a tutti i costi, un inno all’American Dream. È vero, qualche personaggio non è riuscito a realizzare completamente i propri sogni, eppure ognuno dei ragazzi del Glee club in qualche modo ce l’ha fatta, è cresciuto, è maturato, è diventato sicuro di sé. E se qualcuno non è entrato nell’università desiderata, poco male, così almeno tornerà pure nella prossima stagione.
Il personaggio più rovinato, forse uno dei più rovinati nella storia dei telefilms, non è stato uno degli sfigati dei cantanti del Glee Club, bensì la coach Sue Sylvester: idola totale nelle prime 2 stagioni, si è progressivamente spenta fino a diventare una versione addolcita di se stessa. È diventata una persona che la stessa vecchia Sue Sylvester prenderebbe a pallonate, e non solo, in faccia.
Tralasciando i nuovi personaggi che sono penosi e stendendo un velo pietoso su guest-star degne di una telenovela come Gloria Estefan, già cantante atroce, molti dei “vecchi” si sono fatti incosistenti, come il sempre più ingellato prof. Schuester o una Rachel Berry ormai parodia di se stessa. E vogliamo parlare del gran (?) finale di stagione?
"Gloria Estefan, lo sai che la tua musica mi ha davvero ispirata?"
"Sì, cosa?"
"La miglior cagata della mi vida!"
ATTENZIONE SPOILER
Rachel se ne va a New York City, specifichiamo meglio: a Broadway, coronando i suoi sogni di gloria, mentre Finn che le aveva chiesto di sposarla decide di mollarla per il suo bene e arruolarsi nell’esercito.
Ma dove siamo finiti? Ricordavo Glee come una serie firmata da Ryan Murphy, l’autore di Nip/Tuck e American Horror Story, e mi ritrovo in un romanzo di Nicholas Sparks? Considerando che Le pagine della nostra vita è citato all’interno dello stesso episodio finale, direi proprio che non è un caso.
A tenere in piedi, parzialmente, una serie ormai riempita solo da canzoncine cantate in maniera insopportabile sono le idole gay Brittany e Santana, gli idoli gay Kurt e Blaine e l’idola non gay Quinn. Ma lei il prossimo anno se ne andrà a prendere cazzi a studiare a Yale, lontana da tutti sti sfigati canterini e quindi, comparirà ancora nella serie?
Se la risposta è sì, c’è una possibilità che continui a seguire il telefilm.
Se la risposta è no, dichiaro guerra al Glee club come Sue Sylvester. Quella dei bei vecchi tempi.
(voto alla stagione: 5,5
voto al season finale: 5)
"Questo passaggio della sceneggiatura è terribile.
Chi l'ha scritto, Cannibal Kid?"
Smash
(stagione 1)
Smash ha messo la freccia di sorpasso su Glee.
A inizio serie non l’avrei detto. I primi episodi non mi avevano convinto molto e tutt’ora continuo a non essere convinto al 101%. Eppure Smash ha acquisito un suo fascino, una sua identità, che va al di là dell’essere una semplice versione più matura di Glee. Superare un Glee ormai oltre lo sbando non era certo impresa proibitiva, però Smash è riuscito a smarcarsi dal modello di riferimento con personalità. Discreta personalità, diciamo, visto che rimane pur sempre un serial musical ricco di stereotipi. In questo la produzione di Steven Spielberg si fa pur sempre sentire.
Tra le armi in favore di Smash ci sono una bella rivalità tra le due belle (e brave sia a cantare che a recitare) protagoniste, la bionda marilynnosa Ivy e la mora anti-marilyn Karen, più il fascino da dietro le quinte di una produzione teatrale e poi anche il fascino di Marilyn Monroe, mica la prima zoccoletta che passa, sulla cui vita il musical all’interno del serial è costruito.
"Andiamo, quel Cannibal non scrive poi tanto male.
Non da suicidarsi, almeno..."
Ah, c’è stata anche Uma Thurman come guest-star! E com’è andata?
Uma quando lavora con Quentin Tarantino dà merda a tutte e a tutti. Quando non la dirige il fido QT invece ahimé splende parecchio di meno. Il suo personaggio poi è stato, manco a dirlo, uno stereotipo vivente, quello della diva hollywoodiana che se la tira. Giudizio complessivo finale su Uma in Smash: così così.
La seconda stagione prenderà il via nel 2013 con una serie di personaggi inutili in meno. Tra quelli che si leveranno dalle palle, cioè non faranno più parte del cast fisso della season 2, ci sono infatti Dev, il fidanzato precisino di Karen, Frank il marito di Julia, Will l’ex di Julia, e soprattutto l’assistente di produzione Ellis, uno dei personaggi più odiosi nella storia tutta della tv.
Se, insieme ai personaggi inutili, riusciranno a togliere anche qualche stereotipo di troppo, Smash potrebbe davvero diventare una serie da standing ovation a fine show. Per ora si è guadagnata giusto qualche occasionale applauso.
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