(Italia 2011)
Regia: Giambattista Avellino
Cast: Luca Argentero, Paola Cortellesi, Paolo Ruffini, Myriam Catania, Claudio Bigagli, Marco Bocci, Roberto Citran, Massimo De Lorenzo, Harriet McMasters Green, Edoardo Gabbriellini, Max Mazzotta
Genere: finto contro
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Figli di papà. Chi non se l’è trovati tra le scatole, nel lavoro, a scuola e più in generale nella vita? (Ho detto figli di papà, in uno strano moto di politically correctismo, ma se preferite definirli figli di puttana siete liberissimi di farlo).
C’è chi dice no ci racconta la storia di 2 tipi (Luca Argentero e Paolo Ruffini) e una tipa (Paola Cortellesi) che si oppongono a questo sistema, a questo regime di nepotismo che affligge il mondo del lavoro, non esclusivamente in Italia, ma diciamo che da noi è il modello imperante e ci sguazziamo alla grande.
I tre uniscono le loro forze per abbattere questo sistema, con ognuno di loro impegnato a demolire il “figlio di papà” dell’altro. Per fare ciò, ricorrono però a tipici modelli all’italiana: lo stalking, le telefonate minatorie, l’assoldamento di extracomunitari per fare il lavoro sporco al posto loro, la (quasi) prostituzione maschile.
Vabbè, ma combattere un’ingiustizia con altre giustizie automaticamente porta alla Giustizia?
Personaggi che sarebbero risultati molto facilmente simpatici fanno quindi di tutto per diventare odiosi, con l’apice di quello interpretato da Luca Argentero, giornalista vittima del sistema di raccomandazioni che però appena intravede una mezza possibilità di carriera personale ci si butta dentro a capofitto in quegli stessi metodi di raccomandazione da lui condannati. Arrivando ad andare (quasi) a letto con la figlia di un pezzo grosso, nonostante nella telefonatissima storiella d’amore presente all’interno del film sia già innamorato della Cortellesi.
C’è chi dice no, a un film del genere. Io, ad esempio. Perché se le intenzioni sono più che lodevoli, i metodi utilizzati dai tre tizi per guadagnarsi la loro Giustizia personale sono parecchio discutibili e il messaggio del film finisce affogato nell’ipocrisia insieme alla marketta Tim che salta fuori puntuale come il titolo di un film italiano preso da quello di una canzone.
Nonostante la pessima scelta qui caduta su un pezzo di Vasco, la colonna sonora tenta una via internazionale con pezzi brit-rock carucci quanto poco in sintonia con le immagini, a far da accompagnamento ad alcune gag riempitivo di cui la sceneggiatura davvero scontata, prevedibile e noiosa è costellata. Pur partendo da un tema di maledetta attualità, il film presenta quindi una serie di personaggi che più stereotipati non si potrebbe e scivola in una sfilza di situazioni inverosimili: la cosa più assurda di tutte è che gli sbirri incastrano i protagonisti utilizzando il computer!
Sì, certo. Come no? L'unica volta che il film prova a uscire dagli stereotipi di turno, mi va a scegliere proprio la cosa più impossibile del mondo???
Altro problema, non da poco per una commedia, è che è davvero poco divertente. Gli attori poi non sembrano del tutto a loro agio nella parte dei falliti in cerca di riscatto: la Cortellesi è molto più convincente in Nessuno mi può giudicare, Paolino Ruffini è uno dei personaggi meno di talento usciti da Mtv e infatti è finito a condurre Colorado Cafè con Belén (e ho detto Colorado Café, non un sextape), Luca Argentero sarà invece anche il personaggio di maggior talento uscito dal Grande Fratello, ma questa non è una cosa di cui vantarsi troppo.
Tra le cose positive, va segnalato l’unico momento divertente e (vagamente) cinematografico, con un “raccomandato” che dopo essere stato drogato dai protagonisti si mette a cantare e a dar vita a un siparietto musical alla Gene Kelly, più l’interpretazione della promettente Myriam Catania, la più convincente del cast e quella cui è stato affidato il personaggio meno scontato, e il discreto finale sulle note dei Baustelle che risolleva un po’ le sorti di un film apparso fino ad allora piuttosto privo di idee azzeccate.
Alla fine l’impressione è comunque pressappoco la stessa di quella avuta da Immaturi (anche se C’è chi dice no è un filino meglio, concediamoglielo), altro sconfortante esempio di attuale immatura commedia all’italiana e altro esempio di tentativo fallito di parlare con intelligenza e con uno sguardo meno superficiale della precaria vita dei 30enni di oggi. La soluzione che propone al sistema di raccomandazioni (ovvero lo stalking, mica il merito o il talento lavorativo) è poi una cosa davvero sconfortante.
Se è facile identificarsi nei protagonisti, ritrovare nei loro problemi a fare carriera senza avere “calci nel culo” da parenti o amici potentati i nostri stessi problemi, questo non significa però automaticamente apprezzare un filmetto dalle capacità cinematografiche davvero limitate. Tanto che, ironia della sorte, si finisce per chiedersi: “Ma regista e sceneggiatore da chi sono stati raccomandati?”
(voto 5-/10)