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martedì 6 gennaio 2015

DU DEMON IS MEGL CHE UAN





Du Démon di G. Celestino
(romanzo, 2014)
Casa editrice: Edizioni della goccia
Pagine: 228

C'è un nuovo scrittore in città. Si chiama G. Celestino ed è un nome consigliato soprattutto agli amanti del genere noir e delle atmosfere gotiche. Il suo romanzo d'esordio “Du Démon” è infatti ambientato nella Londra di fine Ottocento e ci scaraventa dalle parti dei racconti di Edgar Allan Poe, o anche da quelle di un episodio a caso della serie tv Penny Dreadful. Siamo invece lontani dai thriller fighetti di oggi, quelli dei glaciali autori nordici. “Du Démon” è un giallo dai toni più caldi. Al di là della avvincente vicenda thriller presente, che racconta di una serie di misteriosi omicidi, l'indagine più interessante è quella all'interno dell'animo umano.
Attraverso il punto di vista narrato in prima persona dal protagonista, Jean-Nicholas Alexandre Blake, veniamo scaraventati dentro la sua psiche, dentro i suoi viaggi mentali e temporali. Proprio così. È un noir gotico ma la cosa più figa è che viene affrontato anche il tema dei viaggi nel tempo. La trama del libro parte in maniera semplice, tra morti ammazzati e un'infatuazione del protagonista nei confronti dell'affascinante femme fatale di turno, per poi diventare un racconto dall'intreccio complesso quasi quanto un film di Christopher Nolan, rimanendo comunque nell'ambito della comprensibilità. Tutti i nodi alla fine vengono al pettine, è bene dirlo.

“Du Démon” ha però in mano anche un'altra carta da giocare. Non solo indagini investigative, non solo viaggi nel tempo e nella mente, ma anche... poesia. L'esordio di G. Celestino si contraddistingue dal resto della “concorrenza” thriller per una forte vena poetica. Senza svelarvi troppo della trama, vi dico solo che il killer al centro del racconto lascia sui muri delle scene dei suoi omicidi alcune scritte. Dei versi poetici. Questa componente contribuisce a smarcare “Du Démon” dagli altri gialli in circolazione anche se, a voler trovare un difetto in questa scelta, a tratti rallenta un po' il ritmo della narrazione.

Il mix tra racconto noir e brani di poesia, senza dimenticare anche alcuni inserti teatrali, rende in ogni caso il romanzo di debutto del giovane autore piemontese G. Celestino una lettura parecchio originale. In quanto esordiente ha ancora da affinare il modo di bilanciare queste differenti componenti all'interno di un libro solo, però dimostra già una buona personalità e un suo stile. Classico e molto rispettoso della narrazione gotica da una parte, eppure moderno nell'alternare espressioni letterarie e generi differenti all'interno della stessa opera dall'altra.
La cosa più apprezzabile, almeno qui dalle parti di un blog che si occupa soprattutto di film come Pensieri Cannibali, è la sua forte natura cinematografica. Alcune scene le ho viste nella mia mente già bell'e pronte per essere trasposte in una sceneggiatura per una pellicola, magari girata da David Fincher.
Se volete leggervi un bel thriller-noir-gotico introspettivo e particolare, “Du Démon” di G. Celestino può fare al caso vostro. Lo potete ordinare presso le migliori librerie e lo trovate già presente sugli scaffali di quelle di Casale Monferrato e alla Mondadori di Vercelli. In alternativa, potete fare un salto sul sito della casa editrice Edizioni della Goccia, o richiederlo via e-mail all'indirizzo info@edizionidellagoccia.it, o ancora potete acquistarlo sul sito IBS.it.
Buona lettura e buona caccia di demoni.
(voto 7/10)

martedì 25 novembre 2014

DU DEMON, IL ROMANZO CHE SI GUSTA MEGLIO DELLA BIRRA





Buonasera gentili lettori, direttamente dalla splendida – si fa per dire – Casale Monferrato, ecco a voi il resoconto della presentazione di Du Démon, il romanzo d'esordio dello scrittore locale G. Celestino edito da Edizioni della Goccia. Il libro è destinato a diventare un nuovo cult all'interno del genere noir e gotico?
Soltanto il tempo ce lo dirà. Nel frattempo gustatevi tutti i dettagli sulla presentazione avvenuta domenica scorsa, magari sorseggiando una buona Bière du Démon.


Circa trenta presenti alla prima, altrettante copie vendute in una sola giornata, un Celestino che dimostra naturalezza e presenza scenica, alternando la seriosità dell'argomento Dark a simpatici aneddoti sulla costruzione del suo libro, senza risparmiare delle critiche nei confronti della staticità dell'arte in Italia; ottima partenza, dunque, per Du Démon, il primo romanzo di G. Celestino, edito da Edizioni della Goccia e presentato domenica 23 novembre a Casale Monferrato.

L'autore, accompagnato dall’editore Davide Indalezio, ha incontrato i numerosi lettori che hanno affollato la Libreria Coppo di via Roma, potendo così interagire con il crescentinese curiosi di conoscere le prime anticipazioni di un’opera che si presenta come una novità all’interno del panorama noir e gotico nostrano.

Già ospite al 'Casale Carta' in mattinata, assieme agli autori casalesi più rappresentativi, Celestino ha spiegato la genesi dell'opera, sostenendo di aver voluto omaggiare e celebrare con Du Démon la produzione letteraria di fine ‘800, genere a cui è sempre stato molto affezionato. «La letteratura di oggi ci ha abituati a un orrore più visivo, più collettivo – ha spiegato l’autore durante la presentazione - Questo romanzo è invece un ritorno a una paura più introspettiva, un’angoscia che nasce solo dall’oscurità che ci portiamo dentro. Sono sempre stato convinto che ogni piccola vicenda che ci accade durante la nostra esistenza formi il nostro background, le certezze su cui si fonda la nostra stessa vita. Du Démon racconta quello che succede a una persona quando queste certezze cominciano a vacillare e a sgretolarsi tra le dita».

Lo stesso titolo dell’opera, “Du Démon”, rispecchia questo concetto. «In francese, du démon significa “del Diavolo”. Anglicizzando però la pronuncia, si può quasi leggere “do daemon”, ovvero “fare il Diavolo”. Nel libro infatti non si parla del Diavolo in sé, ma del male che c’è in noi e di come ognuno si crei i propri demoni interiori».

Du Démon non è però la prima esperienza letteraria di Celestino, che già aveva in passato aveva pubblicato due raccolte di poesie. Ciononostante, l’autore ha voluto considerare questo romanzo come un vero e proprio esordio. «La poesia è un mezzo di comunicazione più immediato – ha spiegato ancora -, ma il romanzo permette di sviluppare più tematiche, più concetti, e di approfondirli maggiormente. Si può dire che questa opera sia una sorta di spartiacque, con cui ho deciso di lasciarmi alle spalle la poesia e di addentrarmi nel campo della narrativa».

«Du Démon non è il solito romanzo gotico - ha spiegato poi l'editore -, poiché al suo interno si può trovare molto di più delle classiche atmosfere cupe e misteriose, trasformandolo in una storia di formazione psicologica. Du Démon è un libro che può coinvolgere tutti, anche i non amanti del genere, poiché la trama è il pretesto per affrontare tematiche attuali che toccano l’essere umano da vicino, come l’angoscia, la solitudine e l’alienazione».

Du Démon può essere ordinato direttamente dal sito www.edizionidellagoccia.it inviando una mail all’indirizzo info@edizionidellagoccia.it o acquistato presso le librerie Coppo di Casale Monferrato e Montarolo di Crescentino, in attesa che raggiunga a breve anche altre zone, a seguito del tour promozionale ricco di appuntamenti.

giovedì 20 novembre 2014

APPUNTAMENTO COL NOIR





Siete appassionati di letteratura noir/gotica?
Questo weekend pensate, non si sa bene perché, di fare un salto nella zona del Monferrato?
Allora ho l'appuntamento che fa giusto al caso vostro. Domenica 23 novembre alle ore 16:30 verrà presentato in anteprima mondiale presso la Libreria Coppo di Casale Monferrato (AL), via Roma 85, il primo romanzo di G. Celestino, promettente scrittore casalese, anzi più per la precisione crescentinese.
Per l'autore non si tratta dell'esordio letterario assoluto, visto che ha già pubblicato le raccolte di poesie Tempus Fugit nel 2002 e Magnolia (no, non il film di Paul Thomas Anderson) nel 2010, però questo nuovo Du Démon rappresenta il suo debutto come romanziere.
In attesa di poterlo leggere e recensire, faccio intanto un plauso al titolo, a metà strada tra atmosfere gotiche e alcoliche, e vi lascio con l'opinione del mio amico critico Lucio de Monio, che a proposito di Du Démon afferma che: “Non è un libro sul Diavolo, ma sul Male nascosto in ognuno di noi... In più, le pagine quasi si bevono, in effetti, come un buon bicchiere di vino, perché è proprio questa l'attitudine di Celestino: come il vino che si assapora lentamente, l'autore rivela per gradi la vera essenza del suo scritto, tenendo noi lettori sempre più legati alla trama sino a un inaspettato, sorprendente finale”. Non male, che ne dite?
Qui sotto intanto vi propongo la trama di Du Démon.

Londra, 1890: il cadavere di un noto psichiatra, coinvolto in pratiche occulte, è rinvenuto in una stanza d'albergo. Sui muri della camera qualcuno ha appuntato undici poesie in stile ermetico. L'ispettore Alexandre Blake, sagace poliziotto dedito alle droghe e all'alcool, viene chiamato a indagare, scoprendo suo malgrado quanto profonde possano essere le radici della follia.
Attraverso omicidi, vortici passionali e differenti forme d'arte, Blake verrà catapultato in un oscuro universo gotico, in cui i fantasmi del passato e le proiezioni di un futuro angosciante lo condurranno faccia a faccia col progresso scientifico e con la verità.

Se siete stuzzicati da questa storia dalle tinte thriller potete fare un salto domenica per la presentazione del libro, altrimenti aspettate che l'autore arrivi anche nella vostra città. Sono infatti previste ulteriori date del suo tour internazionale. Tenete infine d'occhio il sito della casa editrice Edizioni della Goccia, visto che presto Du Démon sarà disponibile pure online, e la pagina Facebook dell'autore G. Celestino, dove c'è spazio non solo per parlare di noir, ma anche per vedere qualche bella fanciulla by Pandora, ottimo e consigliato Photostudio di Vercelli.

martedì 20 agosto 2013

IL TRANQUILLO CASO ELMORE LEONARD




Elmore Leonard è morto. Fossimo dentro uno dei suoi romanzi noir, la sua scomparsa sarebbe un caso da risolvere. Invece no. Se n’è andato per complicazioni in seguito a un ictus. Nessuna indagine. Nessun mistero.
Il mondo del cinema lo adorava e spesso e volentieri lo saccheggiava. Oltre al genere western con film come Quel treno per Yuma del 1957, poi rifatto anche 50 anni dopo, e la serie Justified, ha ispirato alcuni dei migliori e più frizzanti crime movies degli anni ’90 come Get Shorty e soprattutto Out of Sight di Steven Soderbergh e Jackie Brown, se non erro l’unica sceneggiatura di Quentin Tarantino tratta da un romanzo.
Elmore Leonard è morto, in maniera ordinaria. Forse gli sarebbe piaciuto morire in modo più pulp. O forse no, perché, in fondo, a chi piace morire?


Elmore Leonard (1925-2013)

venerdì 31 agosto 2012

Blackout is the new black

Blackout
(mini-serie UK in 3 puntate)
Rete britannica: BBC1
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Bill Gallagher
Regia: Tom Green
Cast: Christopher Eccleston, Ewen Bremner, Lyndsey Marshal, MyAnna Buring, Rebecca Callard, Branka Katic, Dervla Kirwan, Olivia Cooke, Andrew Scott
Genere: politically
Se ti piace guarda anche: Boss, Damages, Political Animals

Ho guardato la puntata pilota di Blackout. Com’era? Non me lo ricordo.
Il giorno dopo me ne ero dimenticato. Ho avuto un blackout.
Dunque, è una serie noiosa, di quelle per niente memorabili?
Nient’affatto, è solo che la sera in cui l’ho visto ero davvero stanchissimo e quindi sono crollato. Ma non è colpa della serie, promesso.
Dopo aver avuto questo blackout, ho fatto un secondo tentativo, più che meritato: Blackout è infatti una visione di quelle da non lasciarsi sfuggire. Non fate come me. Non addormentatevi. Seguitela con grande attenzione. Dopo tutto, sono appena tre puntate tre da un’oretta ciascuna, che vanno a formare una sorta di film lungo o di mini-serie molto mini. Ste cose gli inglesi le fanno spesso. Sono specialisti nelle mini-serie.

L’inizio di Blackout è molto ma molto noir. Il protagonista è un consigliere comunale con qualche problemino di alcool. E con qualche problemino, intendo che è un alcolista allo stato (quasi) terminale. Raramente ho visto qualcuno bere così tanto nel giro di così pochi minuti, sia in un film, in un telefilm o nella vita reale. Davvero dura tracannare più di quanto fa lui a inizio episodio. Ste cose gli inglesi le fanno spesso. Sono specialisti nel bere.
In una notte di assoluto delirio, oltre a sbronzarsi in una maniera colossale, principe Harry style, riesce anche a partecipare al balletto della figlia, a farsi una prostituta o quella che sembra essere una prostituta e a rimanere coinvolto in un omicidio. O a quello che sembra essere un omicidio.
Il giorno dopo, un uomo viene ritrovato in fin di vita. Chi l’avrà ridotto in quello stato? Lui?
Intorno a questo misterioso mistero si gioca una parte della misteriosa serie. Ma solo una parte, perché questo altro non è che appena l’inizio. Il bello, come si suol dire, o come dicono quelli bravi, deve ancora venire.
Il giorno dopo, rientrato da un hangover assurdo post-alcolico e post-coinvolgimento in un omicidio, il nostro sobrio protagonista va a fare visita a sua sorella, un noto avvocato cittadino. Quand’ecco che dei tizi armati sbucano fuori e cercano di farla fuori. Lui li nota e, da eroe quale non è mai stato in vita sua, frappone il suo corpo tra i proiettili e sua sorella. Il tutto ripreso dalle telecamere dei vari TG. Credo pure l’immancabile Studio Aperto.
Ed è così che il protagonista passa dall’essere un semplice consigliere comunale alcolista all’essere un eroe nazionale. Miracolosamente ancora in vita. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono, e c’è già chi lo vede come potenziale candidato a sindaco cittadino.

Succedono davvero un sacco di cose, nella puntata pilota di Blackout, e quindi vi confermo che se alla prima visione mi sono addormentato è solo perché gli occhietti mi si chiudevano da soli. E nelle sue successive puntate ci sono nuovi notevoli sviluppi, per una serie British che per la tematica politica affrontata in maniera nuda e cruda si offre come una sorta di Boss d’Oltremanica, con un protagonista/sindaco dai lati parecchio oscuri, ma allo stesso tempo con un’identità tutta sua e un tocco britannico inconfondibile.
Bella la fotografia, misteriose e molto dark le atmosfere, di livello cinematografico la regia e, ciliegina sulla torta, il piatto forte della gran parte delle produzioni inglesi: una recitazione di sballoso livello. Il protagonista Christopher Eccleston (Piccoli omicidi tra amici, The Others e Dottor Who tra le tante cose nel suo CV) è davvero calato nella parte, mentre nei panni della bionda zoccola c’è MyAnna Buring, attrice sexy ma dal volto leggermente inquietante che ultimamente tra il film Kill List e la mini-serie White Heat mi sto ritrovando dappertutto. E la cosa non mi dispiace. C’è poi anche Ewan Bremner, lo Spud di Trainspotting.
Quello che si presentava così…



E faceva cose così…



Se il protagonista di Blackout è quello alcolizzato, lui invece, sorpresa sorpresa, appare in panni per lui parecchio sobri e seri. E adesso si presenta così...


L’unica pecca della serie, se pecca può essere considerata, è che tutto sembra avvenire troppo in fretta e che con ciò che succede gli americani ci avrebbero fatto su almeno una stagione da 24 puntate. Qui al termine dei tre episodi ne vorresti ancora di più e invece, in attesa di sapere se questa mini mini-serie avrà mai un seguito, bisogna accontentarsi così.
In chiusura, volete un consiglio? Evitate i blackout mentali, come me, e cercate di ricordarvi di dare un’occhiata a Blackout.
(voto 7/10)


lunedì 9 aprile 2012

Di bugie vere e di false verità

Eravamo sulla mia Giulietta decapottabile quando lei mi sussurrò in un orecchio.
“Dimmi qualcosa di False verità. Ti preeego, sono curiosa…”
E io le raccontai di come fosse un film d’altri tempi, sia per ambientazione temporale, che per atmosfere e per ritmi. Ripetei anche più volte la parola “Affascinante,” sì, adesso lo ricordo bene. Era proprio quella la parola che dicevo più spesso per cercare di portarmi a letto una fanciulla. Non sempre funzionava, ma con quelle più facilmente impressionabili era un trucchetto che dava i suoi gustosi frutti.
“A-affascinante?” chiedeva lei a-affascinata. E sapevo già di averla in pugno.
“Sì, è una di quelle pellicole che non è che ti raccontino qualcosa di nuovo o di mai visto o di mai sentito prima. È piuttosto uno di quei film che ti sembra di aver già visto parecchie volte, eppure in qualche strano perverso modo riesce a rapirti e a portarti nel suo mondo.”
A-ammaliata, la ragazza non ne aveva ancora abbastanza. Bramava di conoscenza come io bramavo di sfilarle le mutandine. “E chi sono i protagonisti?” chiedeva.

“C’è Kevin Bacon, quello che ballava come un indemoniato in Footloose e che negli ultimi anni fa sempre la parte del cattivone. Non sempre è convincente, ma qui se la cava bene. Ha la parte di una star della tv americana anni ‘50, una specie di Mike Bongiorno o Corrado d’Oltreoceano, che conduce in coppia fissa con il fido partner Colin Firth, sì il premio Oscar de Il discorso del re. Quella vaccata de Il discorso del re, parere puramente personale. Fatto sta che i due rappresentano una specie di coppia alla Ric & Gian, alla Raimondo & Sandra, alla Gigi & Andrea, alla Cannibal Kid & Mr. James Ford, con Kevin Bacon che è quello spericolato e spregiudicato, mentre Colin Firth è l’anima quieta della coppia. O almeno così sembra, perché questa è una storia noir e quindi le apparenze sono ingannevoli e le verità, lo dice il titolo stesso, possono rivelarsi bugie.”
“Noir?” mi interruppe lei. “Quindi mi devo aspettare anche dei brividi?”
Sapevo di aver colto nel segno e di averla ormai decisamente impressionata.
“Beh, non c’è da rimanere terrorizzati, visto che i ritmi sono molto blandi, però qualche brividino sulla tua bella pelle color pesca può arrivare. I due conduttori-star televisivi infatti nascondono un inquietante scheletro nell’armadio: prima di uno show-telethon una ragazza è morta all’interno della loro suite. A una ventina d’anni di distanza, una giornalista interpretata da Alison Lohman (la biondina di Big Fish e Delirious) indaga sul misterioso cold case per un libro che sta scrivendo, scoprendo che dietro ci sono questioni sessuali e personali che coinvolgono direttamente i due insospettabili mattatori televisivi…”

“Non mi hai ancora convinta del tutto a vederlo,” disse lei sorridendo. Pur sapendo che la sua era una falsa verità, aggiunsi: “C’è anche uno splendido tema musicale, uno di quelli in grado di risuonarti a lungo nelle orecchie, c’è spazio per una citazione di Alice nel paese delle meraviglie, con una rappresentazione teatrale sulle note di White Rabbit, più una scena lesbo-erotico-lynchiana con Alison Lohman insieme ad Alice stessa! E so che tu adori Alice…”
“Chi non adora Alice nel paese delle meraviglie?” e sapevo che ormai l’avevo convinta. A guardare il film, e forse pure a sfilarle le mutandine. La Giulietta intanto procedeva veloce verso la mia villa tra le colline. Riguardo a ciò che successe dopo i ricordi precisi sono svaniti insieme al gusto dolce del vino e della sua ancor più dolce pelle color pesca. E poi chi può dire cosa è accaduto per davvero e cosa è stato solo una falsa verità?

False verità
(Canada, UK 2005)
Titolo originale: Where the Truth Lies
Regia: Atom Egoyan
Cast: Kevin Bacon, Colin Firth, Alison Lohman, Rachel Blanchard, Sonja Bennett
Genere: retrò
Se ti piace guarda anche: The Black Dahlia, L.A. Confidential, Strade perdute, Exotica
(voto 7+/10)


venerdì 10 febbraio 2012

Il caffè degli artisti non è quello che sembra

Angela Leucci “Café des artistes”
(raccolta di racconti)
Genere: noir
Pagine: 248
Casa editrice: Lupo Editore

Quando si deve parlare di un’opera realizzata da un collega blogger ci può essere qualche difficoltà.
Se ne parli troppo bene, puoi essere considerato di parte. Un markettaro ruffiano, insomma.
Se ne parli troppo male, sei davvero uno stronzo. Dai, non si fa. Che razza di persone sareste?
Ho avuto questo “problema” (ma se tutti i problemi fossero così nella vita, non ci potremmo lamentare troppo) nell’approcciarmi a Café des artistes, raccolta di racconti della “journalist, writer, blogger, snake charmer, go-go dancer, gay icon”, come lei stessa si definisce, Angela Leucci de Il blog della gazzella.
Problemone risolto dopo appena una manciata di pagine, visto che a me questo libro m’è piaciuto. Detto così in forma grammaticamente scorreggiona.
M’è piaciuto perché ha uno stile di scrittura citazionista e ironico poi non molto lontano dal mio. E a chi fosse eventualmente terrorizzato da tale definizione, dico però subito che sono presenti un numero molto inferiore di stronzate rispetto a quelle che scrivo io di solito. Anzi, di stronzate non ce ne sono proprio, ma al loro posto ci sono invece un pugno di ottimi racconti. 20 racconti, per fare il recensore preciso che vi fornisce le coordinate esatte.

Il primo, quello che potremmo definire il racconto portante, è anche la title track dell’intero “album”: Café des artistes (cliccate su Café des artistes se vi interessa acquistare il libro).
Di cosa parla? Di uno strafighissimo e mega radical-chic locale frequentato da parigini? Ehm, non proprio…
Il Café des artistes è un baretto aperto in una minuscola cittadina della Puglia da un certo Gianni Gallo insieme alla moglie Margherita Margarita.
Nota a margine: i nomi presenti in questi racconti sono fantastici, cito ad esempio Luca Harlem, Michele Lamorte, Rosa Misteriosa, Rosa Vanitosa e Alessandro Manzoni( (!), tanto per dirne alcuni.
Se nelle intenzioni del nuovo proprietario il suo nouvelle Café dovrebbe diventare un punto di ritrovo per artistoni o aspiranti tali, nella desolatezza del panorama di un paesino di provincia pugliese le cose si metteranno in maniera differente e il locale trendy (nelle intenzioni) si rivelerà un postaccio al centro di un misterioso crimine. Attorno a questo Café si snodano una molteplicità di personaggi, per un noir dal profumo di Twin Peaks ma in salsa tutta nostrana. Come un La ragazza del lago però ambientato non nel freddo Friuli bensì nel più caldo ed emotivo Salento. Con un'indagine che non viene affrontata attraverso un punto di vista scientifico alla CSI, meno male, ma più umano e ironico, proprio come nella creatura televisiva di David Lynch. E naturalmente non mancherà anche qualche sogno rivelatore…
Volendo proprio trovare un limite, e visto che questa non è una rece-marketta ruffianotta è mio dovere farlo, è un peccato che una storia così piena di sfaccettature, di personaggi, di vita (e di morte) si risolva in un racconto, per quanto lungo, quando sarebbe potuta essere sviluppata in un romanzo vero e proprio. Si arriva a fine racconto con insomma la voglia di scoprirne di più, su questi personaggi dai nomi assurdi, e di leggerne ancora.
Ma forse è meglio così. Meglio lasciare il lettore con ancora l’acquolina in bocca piuttosto che sfamarlo completamente. Questa è una regola che i bravi chef conoscono bene.

A compensare la nostra bramosa voglia di leggere di più ci pensano comunque gli altri racconti brevi presenti in questa raccolta. Frammenti, piccole storie, abbozzi di idee che compongono un quadro sfaccettato eppure con uno stile narrativo già parecchio personale e definito. Non male per l'autrice, appena alla sua opera seconda dopo il romanzo "Nani, ballerine e altre suggestioni".
I protagonisti dei racconti sono i più vari: ci sono insegnanti precarie, Alici nei paesi delle meraviglie, soldati, sorelle cannibali (come posso non apprezzare?), prostitute (ripeto: come posso non apprezzare? ahahah), ragazze cieche e c’è pure Paul McCartney. Oh yes, proprio lui.
Chicca personale: il racconto Le parole sono importanti, una sorta di variazione sul tema Misery non deve morire molto affascinante.

A completare il quadro, pieno di tinte e colori ben stesi, ci pensano due racconti scritti a quattro mani con Paolo Merenda, tra cui una curiosa vicenda a metà strada tra un’indagine alla Codice Da Vinci e un episodio di Ai confini della realtà.
L’unico problema è sempre quello che alcuni di questi racconti sembrano spunti per qualcosa che sarebbe potuto essere sviluppato ulteriormente. Ma forse è solo un problema mio che sono troppo legato alla forma del romanzo lungo, dannazione a me. E dannazione al romanzo.
Per il resto queste storie, questi racconti, sanno conquistare attraverso uno sguardo sempre obliquo. Anche quando partono in maniera più o meno normale, si trasformano sempre in qualcosa di anormale, particolare, strambo, proprio per questo pieno di fascino. E sanno evolversi anche in maniera inaspettata.
Un po’ come un posto che si chiama Café des artistes, dove immagineresti di trovarti in mezzo a un branco di intellettualoidi francesì con la puzzà sotto il nasò, in mezzo a gente tipo una Carla Bruni, tanto per non fare nomi, e invece ti ritrovi, per citare il già citato Manzoni, in tutt’altre faccende affaccendato.
(voto 7,5/10)

giovedì 10 novembre 2011

Bella Lynch

David Lynch “Crazy Clown Time”
Genere: noir
Provenienza: Mulholland Drive, L.A.
Se ti piace ascolta anche: Angelo Badalamenti, BlueBob, Julee Cruise, Chrysta Bell

Con David Lynch devi essere sempre pronto a viaggiare. Non puoi stare fermo. Non ti lascia stare fermo. Sia che ti scaraventi di soprassalto sulla poltrona mentre stai guardando un episodio di Twin Peaks “grazie” a qualche agghiacciante visione delle sue, di un trip mentale lungo il Mulholland Drive o all’interno dell’Inland Empire, o anche che si tratti di fare un on the road (relativamente) tranquillo sul tosaerba dell’Alvin Straight Superstar di Una storia vera.
A livello musicale è la stessa storia (vera). Dopo aver partecipato a vari progetti sotto altri pseudonimi, con o senza il fidato co-pilota Angelo Badalamenti, tra colonne sonore, produzioni e altre cose varie (vedi Dark night of the soul), giunge al debutto vero e proprio in ambito "pop" con un disco solista a suo nome intitolato Crazy clown time.
L’idea di pop che ne viene fuori è naturalmente quella deviata e malata che il 65enne può averne. È una sorta di pop music per discoteche piene di zombie (quindi per le discoteche normali può andare più che bene), come nel caso della già nota hit (almeno, nel mio mondo è stata una hit) Good day today, o per pub pieni di gente posseduta da demoni di varia natura come in Pinky’s dream, cantata in maniera sognante dalla grande Karen O degli Yeah Yeah Yeahs.



La voce della maggior parte degli altri pezzi, fornita dallo stesso Lynch, è più che altro un sussurro di chi sta cantando dall’altra parte. Non dall’altra parte dello studio di registrazione. Dall’Aldilà.
I Know è l’altro già pezzo uscito l’anno scorso, la più bella ballata country cantata da un alieno mai sentita.
(i video sia di I Know che di Good Day Today sono i vincitori di una competition scelti dallo stesso Lynch)


Strange and unproductive thinking si apre con una voce robotica piuttosto fastidiosa e purtroppo prosegue con la stessa voce robotica fastidiosa per 7 minuti e mezzo. Pezzo evitabilissimo, prendo atto di una terribile realtà: nemmeno David Lynch è infallibile. A questo punto tutto può succedere.
Proseguendo oltre questo passo falso, il resto della scaletta procede su atmosfere che sarebbero perfette per qualunque suo film, con apice nella title track Crazy clown time, il viaggio definitivo nell’incubo lynchiano, tra voci spaventose e gemiti orgasmici. Spaventoso. Stranamente sensuale. E spettacolare.
These are my friends è riflessiva, malinconica, roba da far sciogliere il cuore a un umano magari no, ma a un robot sicuramente sì e gli altri pezzi scorrono tra batterie rallentate, molto rallentate, e voci geneticamente modificate, confermando l’impressione di trovarsi di fronte a un disco di country alieno.
Non tutto è riuscito, l’auto nel tragitto prende un paio di buche, forse qualche pezzo più ritmato come Good day today avrebbe giovato al dinamismo del tutto, ma nel complesso non si può dire che il viaggio non sia stato affascinante. Ancora una volta.
Bella Lynch!
(voto 7/10)

Chrysta Bell “This Train produced by David Lynch”
Genere: spleen peaks
Provenienza: Inland Empire
Se ti piace ascolta anche: Lana Del Rey, Rebekah Del Rio, Julee Cruise, Cocteau Twins

Già che siamo in zona Lynch, vi segnalo anche l’album d’esordio di Chrysta Bell, prodotto e suonato dallo stesso poliedrico David Lynch. D’altra parte il titolo dell’album mette le cose subito in chiaro: This Train produced by David Lynch. Tanto per non aver troppi dubbi. Così come anche le note dell’album non lasciano spazio ad altri dubbi. Voce femminile su basi rallentate in slow-motion and, of course, un sacco inquiete. Pensate di non averla mai sentita? E invece no, almeno se avete visto Inland Empire, dove era presente in colonna sonora con la splendida meravigliosa Polish Poem, presente anche all’interno di questo album.


Il disco giusto da ascoltare nel mood relax, visto che i ritmi sono talmente lenti da far apparire i Sigur Ros un gruppo techno. Ma se siete rimasti incantati da Julee Cruise in Twin Peaks o da Rebekah Del Rio in Mulholland Drive, qui troverete musica suadente per le vostre orecchie bramose d’angoscia.
(voto 7/10)

giovedì 2 dicembre 2010

David Lynch dance

David Lynch: il regista? Sì. Il genio? Sì. Il mito? Già, proprio lui adesso a 64 anni si diletta anche a fare musica. Dopo alcune collaborazioni con Angelo Badalamenti e il progetto Dark Night of the Soul, questo è il suo pezzo di debutto in proprio “Good Day Today”. Suona come una versione da club delle musiche di “Twin Peaks” cantate da un alieno e ballate dal nano dei sogni dell’agente Cooper . Che dopo il commissionato “Dune”, il Lynch abbia per caso in mente un nuovo film fantascientifico?


Il pezzo è curioso e ha un’ottima atmosfera, ma l'altra chicca è lo spettacolare lato B del singolo, una “I Know” ipnotica e seducente proprio come le sue pellicole. E nel 2011 dovrebbe arrivare un intero album… i gufi stanno già drizzando le orecchie.

giovedì 18 novembre 2010

Oh Lindsay

Lindsay Lohan secondo me è un’ottima attrice. Lo so che questa affermazione farà immediatamente diminuire il counter dei lettori di questo blog di qualche unità, ma prima fatemi spiegare: Lindsay Lohan in fase pre-cocaina era davvero un talento emergente del cinema.
A soli 12 anni fa il suo esordio in “Genitori in trappola” e interpreta la parte di due gemelle diverse, una l’opposta dell’altra: una double performance da far invidia persino al campione del genere Edward Norton. Quindi in “Quel pazzo venerdì” si sdoppia di nuovo, visto che è una teenager che fa cambio di personalità con la madre Jamie Lee Curtis e a 18 anni diventa poi una superstar globale con “Mean Girls”, secondo me una delle commedie più cattive e divertenti degli ultimi anni e in cui Lindsay L offre ancora un’altra grande performance, probabilmente la migliore della sua carriera.

Di lì comincerà però lo sfacelo, almeno per l’opinione pubblica, tra i fiumi di alcool, droga, alcool, storie lesbo, arresti, ingressi e uscite dalla rehab, casini famigliari vari e qualche film non proprio riuscito: l’evitabilissimo remake “Herbie – Il super maggiolino”, le commedie così così “Baciati dalla sfortuna” e “Donne, regole e tanti guai!” e un annunciato cameo nel prossimo “Natale in Sudafrica” cui però non voglio credere, perché ci saranno pure modi migliori per pagarsi la droga che non fare un film di Neri Parenti, anche se Belen probabilmente conosce i giri giusti per procurarsi la roba.
Nonostante questo la carriera di Lindsay è comunque proseguita anche con ruoli in film validi e lavori per grandi registi: “Bobby” sull’omicidio di Bob Kennedy, “Chapter 27” sull’omicidio di John Lennon (che sia fissata con gli assassini di personaggi famosi?), l’ultimo film di Robert Altman “Radio America”, lo spettacolare “Machete” di Robert Rodriguez (di cui qui sotto vi propongo una scena assolutamente a caso).


In attesa di vederla nel temibile, fin dal titolo, “Incinta o quasi”, ho allora recuperato il criticatissimo “Il nome del mio assassino”, film che ha una media voto ridicola su Internet Movie Database (3,6!) e nel 2008 ha fatto incetta di Razzie Awards, gli Oscar per le pellicole più brutte. Qui Lindsay interpreta di nuovo un duplice ruolo ed è riuscita ad aggiudicarsi il Razzie di peggior attrice per entrambe le parti, un vero record!

Il nome del mio assassino
(USA 2007)
Titolo originale: I know who killed me
Regia: Chris Sivertson
Cast: Lindsay Lohan, Julia Ormond, Neal McDonough, Brian Geragthy, Gregory Itzin, Jessica Rose
Genere: noir?
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Boxing Helena, Inseparabili

Amate Lindsay Lohan? La odiate? In entrambi i casi avete delle buone ragioni per vedere questo film: se la amate, Lindsay è sempre maledettamente sexy (anche quando a un certo punto le vengono amputati un braccio e una gamba) e interpreta un’altra volta un ruolo doppio, di cui uno è quello di una spogliarellista! Se invece la odiate, vi divertirete a vederla torturata alla grande.

“Il nome del mio assassino” è certo un film porcata, ammettiamolo subito: confuso, sconclusionato, assurdo in maniera assurda. Detto questo, secondo me non è stato completamente compreso dalla critica che lo ha massacrato. E forse non è stato capito nemmeno dal regista stesso, perché questo in realtà non è un thriller-noir serio, questa è una parodia del genere. Poco importa che questo Chris Sivertson forse non ne avesse l’intenzione, ma il film è estremamente divertente nel suo susseguirsi di situazioni improbabili e senza senso, con qualche tentativo di imitare persino nientepopodimenoche David Lynch.

La storia è quella di Aubrey, una studentessa modello aspirante scrittrice che viene misteriosamente sequestrata da un pazzo maniaco. Quando la ritrovano, ha un braccio e una gamba amputati ma soprattutto crede di essere un’altra persona: Dakota, una spogliarellista parecchio sboccata e zoccola. In un misto tra un thriller, un soft porno, un noir non riuscito e una parodia (questa riuscita) di un noir, ci sono un sacco di scene che fanno veramente morire dal ridere e di trovate che lasciano a bocca aperta per lo stupore, fino a un finale davvero ma davvero pessimo. Però come si fa a voler del male a una porcata così ben congegnata?

Talmente uno scult totale da risultare quasi un cult.
(voto 6+)

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