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mercoledì 28 maggio 2014

NEL VORTICE DEGLI AREVORTIK




Arevortik “Danger”
Su Pensieri Cannibali oggi diamo spazio a una nuova e poco conosciuta band italiana. Poco conosciuta almeno fino ad ora, visto che dopo l’apparizione su questo blog le loro quotazioni schizzeranno alle stelle. Forse.


La band in questione di chiama Arevortik.
Ecco, io adesso non voglio essere subito cattivo, perché sono sicuro che avranno scelto con cura e dopo un’attenta riflessione come chiamarsi, però quello che mi chiedo io è: non è che potrebbero gentilmente trovarsi un altro nome? Sulla loro pagina Facebook c’è tutta una spiegazione dietro alla loro decisione (Arevortik è un termine che ha designato per molti anni addietro il popolo degli Armeni il cui significato è Figli del Sole poiché praticavano culti e inni in onore del Sole), ma il mio parere puramente personale è che, per quanto originale, non mi sembra un nome che funziona, che rimane impresso.

Una volta detto questo, passiamo alla cosa più importante, la musica. I pugliesi Arevortik suonano un punk-rock frizzante che a tratti prende direzioni più pop-punk. E qua la band potrebbe incazzarsi di nuovo con me perché, dopo aver massacrato il loro nome, li definisco pure pop-punk, che per qualcuno può anche essere un insulto, ma io lo intendo in un’accezione positiva. Più che dal punk duro e puro del 1977, siamo infatti dalle parti di certo pop-punk californiano anni ’90, soprattutto i Green Day dei primi tempi.

Il punto di riferimento principale degli Arevortik sembrano allora essere Billie Joe Armstrong e compagni, ma anche i Beatles. In mezzo ai pezzi originali molto punkeggianti del loro album d’esordio “Danger”, spicca infatti una intensa cover di “Across the Universe”, classico firmato da John Lennon e Paul McCartney coverizzato tra gli altri anche da Fiona Apple e Rufus Wainwright. Attraverso questa cover e attraverso la bella ballata conclusiva “It’s Time to Go” possiamo immaginare per il gruppo un futuro non strettamente legato a sonorità punk.
Sonorità punk che dominano la scaletta dell’album “Danger”, un concept album che ci racconta la storia del giovane Sam, e che sono più che piacevoli. Agli appassionati del genere, un ascolto lo consiglio. Tutti gli altri prendano comunque nota del loro nome, per quanto strambo, perché i ragazzi di Castellaneta sono ancora acerbi e hanno ampi margini di miglioramento, stiamo parlando pur sempre di un gruppo che si è formato nel 2012, ma in futuro potrebbero regalarci cose ancora più interessanti. Per adesso andiamo comunque a saltellare e a muovere la testa sulle note dei loro pezzi punkeggianti, oi!
(voto 6+/10)

Potete trovare “Danger” degli Arevortik su iTunes e Amazon, e ascoltarlo su Spotify.


domenica 23 marzo 2014

UNA MOSCA NELLA PALUDE DELLA FOLLIA





Mosca nella palude “Ultrafuck”
Una mosca è volata fino alla mia palude, ma non sto parlando di insetti, né di qualcosa che ha che fare con un film di David Cronenberg, se non per la follia. Sto parlando di una band. E che band.
I Mosca nella palude sono un gruppo toscano composto da Giovanni Belcari, Luca Benedetti, Daniele Belcari, Giacomo Tongiani, Daniele Cecconi e Andrea Coco e hanno pubblicato da poco il loro valido album d’esordio “Ultrafuck”, che si segnala per un gran titolo e… basta.
Ah no, c’è anche la musica.

Il loro genere di appartenenza è il rock, però declinato in una maniera assolutamente personale e assolutamente pazza. La prima cosa che colpisce di questi ragazzi è proprio il loro essere fuori. Fuori, nel senso di fuori di testa, e lo dico come complimento. Lo so, non sono bravo a fare i complimenti, da questo punto di vista ho ancora ampi margini di miglioramento, però in questo caso va intesa come una cosa positiva, molto positiva. E sono fuori non solo di testa, ma anche dalla musica che va oggi per la maggiore. I Mosca nella palude non hanno infatti molto in comune con la scena indie attuale, né tanto meno con le molte lagne neo-folk che sono tanto cool, non si capisce bene perché, in questi tempi malati. Il loro è un rock che va a richiamare soprattutto sonorità popolari a cavallo tra fine anni ’80 e primi ’90. Cose come i Faith No More di Mike Patton, uno dei gruppi più fuori (anche qui lo intendo come complimento) nella storia della musica. Qua e là emergono inoltre inflessioni funk-rock alla Primus e alla Red Hot Chili Peppers, qualche influenza metal e nu-metal tra Korn e System of a Down e pure un pizzico di hip-hop alla Beastie Boys, il tutto riletto in chiave inedita e insana. La giovane band possiede ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto dovrebbe sviluppare meglio il suo lato melodico, anche se magari non è tra le sue principali priorità, però la sua proposta suona talmente fresca e devastante che si può anche chiudere un occhio su questo aspetto e aprire tutte e due le orecchie.
Detto in altre parole: “Ultrafuck” dei Mosca nella palude possiede un suono crossover ad alto grado di figosità, da suonare possibilmente a un volume da arresto.
Detto ancora in altre parole: io vi consiglio di ascoltarli. Se volete approfondire la loro conoscenza potete sentire qualche loro pezzo su ReverbNation, acquistare il loro album QUI, oppure seguirli sulla loro pagina Facebook, oltre a beccarvi il loro video per il pezzo "Beastie Toys" qui sotto.
Buon tuffo nella palude della follia!
(voto 6,5/10)

martedì 19 novembre 2013

PINEAPPLEMAN, L’INDIE FOLK CHE ARRIVA DALL’ITALIA (MA CHE DAVERO?)



Ogni tanto mi arrivano le mail di band che mi contattano per farsi recensire. Cosa che mi lusinga sempre perché significa che c’è qualcuno a cui interessa la mia opinione. Really?
Molti di questi gruppi suonano però un mainstream rock italiano tra Ligabue e Vasco, tra Le Vibrazioni e i Negrita e non è che siano proprio il massimo, almeno per i miei gusti. Se quindi preferisco non parlare di loro sul mio blog non è per snobismo, ma è solo che non mi va di stroncare dei gruppi emergenti e sconosciuti. Mi sembra una crudeltà gratuita e inutile. Ben altro conto è invece massacrare quegli artisti già strapopolari che una bella stroncatura, quando fanno un disco da schifo, se la meritano tutta. Vero, Lady Gaga?

In mezzo a queste bande di rockone italiano non troppo entusiasmante, sempre a mio modesto e soggettivo parere, ogni tanto arriva qualche piacevole sorpresa. Una di queste sono i PineAppleMan, band di 6 elementi che si sono presentati come una band indie pop con venature folk, ma secondo me si sbagliano.
Oddio, non di molto. Secondo me sono infatti una band folk con venature indie pop. C’è differenza?
Sì, perché l’aspetto folk, acustico, intimo è la prima cosa che emerge, almeno ascoltando i tre brani che compongono il loro primo EP e che potete sentire sulla loro pagina Bandcamp. Per darvi un riferimento, a me ricordano i Fleet Foxes, gruppo di indie-folk statunitense che apprezzo particolarmente, e qualcosina dei Grizzly Bear, di Bon Iver e pure dei primi Arcade Fire, però fin dai primi istanti emergono con un sound loro. Un folk che getta uno sguardo Oltreoceano, ma lo fa con personalità e senza scimmiottare nessuno.
Vi invito quindi a dare un orecchio ai tre brani della IndieFolkBand PineAppleMan su Bandcamp, o almeno al primo, quello che preferisco, “Love in Japan”, un pezzo dalle atmosfere intense, che suona quasi come una preghiera e che vi prego di ascoltare qui sotto.



sabato 15 giugno 2013

NUMA SOSA & THE GUACHOS, UN DISCO DA ARTISTA




Numa Sosa & The Guachos “Artista”
I Numa Sosa & The Guachos sono una band italiana. L’avreste mai detto?
Io no. Avrei immaginato provenissero dall’Uruguay, come il calciatore Ruben Sosa, quello dell’Inter. Remember?
I Numa Sosa & The Guachos sono un gruppo capitanato dall’argentino Numa Sosa ma di cui fa parte anche un blogger, Gregorio Arioli alias Greg Petrelli de Il blog dell’alligatore. Un collega, or dunque, e occuparsi di un collega è qualcosa che può creare sempre qualche imbarazzo, perché se poi ne parlo male, lui può sputtanarmi in qualche modo sul suo sito. E farebbe solo bene.
A scanso di equivoci, e prima che mi sputtani, specifico subito che i Numa Sosa & The Guachos nel loro genere sono bravi. Molto bravi. Qual è il loro genere? È un patchanka ska latino fresco e frizzante, accompagnamento ideale di un mojito in questo primo scorcio di (quasi) estate. Il genere in questione non è tra i miei preferiti in assoluto, io sono più per la musica darkona e deprimente, così come per l’elettronica fredda, ma questa è un’altra storia. D’inverno, un disco come il loro “Artista” non sarei quindi riuscito a digerirlo facilmente. Mi sarebbe suonato strano e fuori contesto. Adesso però è ora di tirare fuori i camiciotti estivi e gasarsi con questa musica più che piacevole. Sembra punk ma non è, serve a darti l’allegria.

I testi alternano italiano e spagnolo senza dimenticare l’inglese, i riferimenti musicali vanno dagli Ska-P ai Mano Negra di Manu Chao passando per Roy Paci, la musica dallo ska alla patchanka, con atmosfere latine e pure un inserto rap (in “Jurar y mentir”), un tocco di romanticismo (la ballata ma pur sempre sculettante “Quel che so dell’amor”), un bell’accompagnamento trombettistico del Petrelli a impreziosire il tutto, e in più una sorpresa pop con l’ultimo pezzo: l’album “Artista” è infatti chiuso da una loro allegra e skatenata versione di “Born This Way”, la hit di Lady Gaga.
Se sono riusciti a convincere me, possono farcela con chiunque. Premete allora play e fatevi contagiare dalla musica di Numa Sosa e dei suoi Guachos, vedrete e soprattutto sentirete che l’estate comincerà ufficialmente.
(voto 6,5/10)

Oltre al sound, occhio anche all’ottimo video animato che accompagna il loro singolo “Non voglio te”.



Potete trovare i Numa Sosa & The Guachos su:
MySpace (ebbene sì, esiste ancora)
E potete ascoltare qualche altra preview e acquistare il disco QUI

sabato 8 giugno 2013

DIO E’ PUNK?


DPG “And Punk Was With God”
Cos’hanno a che fare il punk e Dio?
Apparentemente niente, eppure grazie ai DPG trovano adesso un punto di comunione. “And Punk Was With God” è infatti il titolo del nuovo EP dei DPG, gruppo techno punk con sede a Castelfiorentino, in provincia ebbene sì dal nome del paese non l’avreste mai detto, di Firenze.
Una volta fatta questa premessa, dimenticatela. Dimenticate tutto. I DPG non sono un gruppo di Christian Rock né tantomeno di Christian Punk e con le altre band italiane in circolazione hanno ben poco a che vedere. Lo dico come nota positiva. Molto positiva.
Se uno pensa a un gruppo fiorentino, il primo nome che viene in mente è quello dei Litfiba. Ma i DPG non hanno niente a che fare con i Litfiba. Grazie a Dio. Quel Dio che qui se ne va a braccetto con il punk. E con il post-punk. I DPG hanno un bel suono post-punk, che mi ricorda i Public Image Ltd., il fenomenale gruppo che Johnny Rotten ha messo su dopo i Sex Pistols. Altre band che mi sono balenate alla mente durante l’ascolto dei 5 ipnotici brani di questo convincente EP sono Liars, Alec Empire, The Rapture e Soulwax. Questo giusto per citare qualche spirito che mi è sembrato affine, ma ciò non toglie che i DPG dimostrano di possedere un sound tutto personale, che mischia ritmi elettronici vicini alla techno con un’attitudine bastarda e punk. Musica che fa muovere la testa su e giù, su e giù, che vedrei bene suonata in un club underground di Berlino. Musica poco italiana che però sarebbe bello sentire più suonata anche dalle nostra parti. In attesa che ciò avvenga, probabilmente nell’anno del duemilaecredici, mi sparo questi DPG a un volume così alto come se non ci fosse un domani. E, soprattutto, come se non ci fossero dei vicini di casa.
(voto 7/10)

Potete ascoltare e scaricare il nuovissimo EP dei DPG su Bandcamp, insieme anche al loro primo lavoro “In the Beginning There Was Punk…”, con la modalità name your price, ovvero potete offrire quanto volete.
Di seguito vi propongo il mio pezzo preferito dall’EP, dal titolo che se riesci a sillabarlo correttamente vinci subito una gara di spelling: “Mamihlapinatapai”



lunedì 20 giugno 2011

È una tribù che balla

Mi è bastato un solo ascolto per amarli con tutto me stesso!
Si chiamano Tribes, hanno un sound che riporta dritto dritto a brit-pop e alternative rock anni ’90, per ora se ne sono usciti con i singoli “We were children” e “Sappho” e, in attesa di qualcosa di più consistente tipo un album, mi chino preventivamente ai loro piedi in segno di venerazione, ché questo rischia sul serio di essere uno miei gruppi dell’anno…


sabato 18 giugno 2011

Mancu li cani

I cani “Il sorprendente album d’esordio dei Cani”
Genere: electro pop
Provenienza: Roma, ao'
Se ti piace ascolta anche: Iosonouncane, Baustelle, Max Gazzé, Dente

Ogni tanto - incredibile - anche in Italia succede qualcosa. E in questo caso forse non si tratta di una rivoluzione assoluta come qualche rivista musicale ha già cercato di spacciarla, ma comunque di una fresca novità tutta da sentire in questa estate italiana. Capita infatti che un cantautore molto sui generis italico arrivi con un suo stile tutto personale, subito molto definito e riconoscibile e così dopo Le luci della centrale elettrica e Dente ecco che è la volta di questo nuovo nickname/artista I cani, dietro cui si cela un ragazzo romano del 1986 che preferisce rimanere anonimo.
La musica che ci propone in questo suo sì davvero sorprendente album d’esordio è un electro pop rock composto da basi fatte al computer e racconti più o meno generazionali della gioventù (ma non solo) romana (ma non solo) di oggi. Brani cantati (e non abbaiati come qualcuno potrebbe immaginare) con testi più vicini al rap che non al barboso cantautorato italiano tradizionale, ognuno in grado di contenere vari versi memorabili come: “Andrò a New York a lavorare da American Apparel, io ti assicuro che lo faccio, o se non altro vado al parco e leggo David Foster Wallace,” nel singolone Hipsteria.


Il disco italiano indie (ma non solo) da procurarvi quest’anno? Oh sì! Altrimenti sarete considerati troppo poco hip e per Cannibal che vi segnala queste chicche allora hip hip, hurrah! Hip hip, hurrah! Hip hi…
“Allora, la smettiamo di fare tutto ‘sto casino, brutti drogati?” urla la gente dalle finestre, con un secchio d’acqua pronto per gettarcelo addosso. E quindi ok, basta con gli auto inni celebrativi e ascoltatevi questa musica tutt’altro che da cani.
(voto 7,5)


giovedì 9 giugno 2011

La canzone dell’estate che (forse) non sentirete mai in radio

 

Non capita spesso di rimanere così travolti da una canzone fin dal primo ascolto. Ma è quello che capita (o almeno è capitato a me) ascoltando questa “Revolver” del producer esordiente norvegese Philter, cantato da una vocina da bambina folk innestata su una base elettronica stile carillon che esplode all'improvviso: sentite che roba contagiosa. Altroché Jennifer Lopez, Danza Kuduro o Mr. Saxobeat... questa "Revolver" è il mio possibile pezzo killer dell’estate!

mercoledì 27 aprile 2011

Brit-poppe

Ecco un nuovo gruppo scoperto incredibilmente su Virgin Radio! Dico incredibilmente visto che di solito gli artisti più giovani che passano si chiamano Elvis Presley o Jerry Lee Lewis e nello spazio new generation sono capaci di trasmettere “Rock around the clock”.
Loro invece si chiamano Brother, sono inglesi anzi inglesissimi, hanno fatto uscire un paio di singoli e stanno preparando l’album d’esordio previsto per settembre insieme a Stephen Street, lo storico produttore dei Blur. E non a caso suonano proprio come… i Blur (e un filo anche come gli Oasis, of course), piena metà anni ’90, periodo d’oro del Brit-Pop, yeah yeah yeah.
Allora vai di revival, fratello


mercoledì 6 aprile 2011

E vaccinatevi, per Dio!

The Vaccines “What did you expect from the Vaccines?”
Genere: rocknrolla
Provenienza: Londra
Se ti piacciono ascolta: Strokes, Libertines, Arctic Monkeys, Interpol, Vines, Pulp
Pezzi cult: Wreckin' Bar (Ra Ra Ra), Post Break-Up sex


L’antidoto contro la musica noiosa? Ce la danno I Vaccines. Già definiti gli Strokes inglesi, gli sbarbi UK ricordano in effetti la freschezza dell’esordio dei newyorkesi, anche se la voce è più sull’Ian Curtisiano andante (e quindi di riflesso vengono in mente pure gli Interpol). Una manciata di canzoni esaltanti e dal tiro melodico notevole che sembrano uscite dalla colonna sonora di Skins (anzi, li hanno davvero suonati in Skins), tra qualche mese forse non saranno più niente di così memorabile però questo è uno dei pochi dischi rock’n’roll usciti negli ultimi mesi su cui valga la pena pogare. Merce sempre più rara, oggigiorno.
(voto 7+)


mercoledì 26 gennaio 2011

I nuovi Nirvana?

Creepoid “Horse Heaven”
Genere: slow grunge
Provenienza: Philadelphia, USA
Se ti piacciono ascolta anche: Alice in Chains, Vaselines, Nirvana
Pezzo cult: "Wishing Well"

I Creepoid sono i nuovi Nirvana. Nooo, vabbé adesso non esageriamo e non spariamo cazzate, era giusto per creare un po’ di sano e ingiustificato scalpore. Il cantante però ha una voce e soprattutto un modo di cantare piuttosto simili a Kurt Cobain, cosa che li rende degni almeno di un ascolto.
A livello di suoni c’è un numero minore di chitarre elettriche distorte (a un certo punto però arrivano pure qui), ma pur intrappolandoci dentro atmosfere meno soniche, i brani sono comunque nervosi, inquieti. La seconda cantante della band ha poi una gradevole voce che rende più varia la loro proposta, come fossero dei Sonic Youth acustici, mentre qualche pezzo va in direzioni radioheadiane. Dopo tutto, voglio dire, si chiamano pur sempre Creepoid (Creep + Paranoid Android?).
Un gruppo quindi leggermente derivativo che però sta cercando di trovare la sua strada e il suo suono. Acerbi, ma promettenti.
(voto 7-)

sabato 20 novembre 2010

Saturday music

3 band di perfetti sconosciuti da suonare in questo rainy saturday

I Naked and Famous sono un gruppo neozelandese perfetto per il sabato, electro ma non truzzi, ballabili ma non scemi, nudi ma non (ancora) famosi.
Potete ascoltare il loro album QUI




I Japanese Voyeurs sono un gruppo di sbandati alternative rock come quelli che si sentivono nei magnifici anni 90, tra Elastica, Hole e Sonic Youth. Il video di “Milk Teeth” è ai limiti del disgustoso, la canzone è ai limiti dell’esaltazione.
Per ora hanno fatto uscire giusto una manciata di pezzi, ma mi sono già messo in lista d’attesa per il loro album d’esordio.



Per chiudere questa breve schizzata rassegna, un altro gruppo di totalmente emergenti totalmente sconosciuti, i Funeral Party, band brit-rock yeah yes.

mercoledì 27 ottobre 2010

Chicken premiere

Gruppo: Peau
Album: Premiere mue
Canzone: Premiere mue
Provenienza: Francia
Genere: trip-pop o pop trip?
Se ti piace ascolta anche: Portishead, Elastica, Cibo Matto, Fever Ray, Bjork

Rivelazione dalla Francia. Di loro non ne so molto e forse nemmeno mi interessa saperne di più. Perché togliere fascino a qualcosa di così affascinante, proprio perché così maledettamente misterioso?
(voto 7+)

martedì 19 ottobre 2010

Jurassic Pork

Dinosaur Pile-Up “Growing Pains”
Provenienza: Leeds, Inghilterra
Genere: rock tirato
Se ti piacciono ascolta anche: Nirvana, Vines, Foo Fighters, Subways, Johnny Foreigner, Sky Larkin, Weezer, Ash

I Dinosaur Pile-Up sono uno di quei gruppi da spararsi a tutto volume la mattina al posto (o in aggiunta) della caffeina. O la sera tardi per non addormentarsi. Una botta di adrenalina yeeeah che ha molti debiti nei confronti dei Nirvana e che trova l’unico momento di pausa nella (peraltro pregevole) ballatona radioheadiana “Hey You”.
Già tra le band consigliate dall’NME, “Growing Pains” (che è pure il titolo originale della serie “Genitori in blue-jeans”) è un disco fresco e incosciente, come solo un album d’esordio può essere.
Cosa faranno questi ragazzi tra un paio di anni? Magari saranno spariti. Magari no. Nel dubbio, io intanto alzo il volume.
(voto 7)

lunedì 20 settembre 2010

Everything is everything


Everything Everything “Man Alive”
Disco d’esordio super esaltante, quello degli inglesi Everything Everything. Non poteva essere altrimenti, con i pazzeschi singoli tirati fuori da questo gruppo di scalmanati stralunati hooligans sonori, eppure sentendo tutto il materiale ivi presente vi è da strapazzarsi ulteriormente i capelli dalla gioia.
Ma come suona, di preciso? Giusto per rendere l’idea, diciamo un incrocio tra Talking Heads, Blur, Super Furry Animals, Futureheads e un gruppo di animali usciti dallo zoo.

Dentro “Man Alive” ci trovate il finale allucinato che porta direttamente in un’altra dimensione di “Qwerty finger”, il ritornello da fall in love immediato di “MY KZ, UR BF”, il fischiettio da spot tv di “Schoolin’”, il romanticismo soffice da Coldplay ubriachi di “Leave the engine room” e "Final Form", la ninna-nenia “Two for nero” e molto altro ancora.
Esordio inventivo e un disco da favola per persone che non credono alle favole.
(voto 7/8)

domenica 12 settembre 2010

Le streghe di Salem


Salem “King Night”
La notte del re. La fine del mondo. Il giudizio univers-cazzo-ale. La colonna sonora per il film più inquietante che vi sia mai capitato di vedere. Il rullante e i bassi che picchiano come se foste in un party hip-hop finito in un bagno di sangue bloody valentine con Trent Reznor che se la balla felice in un angolino. I Cocteau Twins remixati dai Crystal Castles. Aphex Twin come suonerebbe oggi se la smettesse di cazzeggiare in giro e facesse infine un nuovo disco vero. I Vangelis del futuro che musicano Blade Runner 2.0. Un sogno che diventa un incubo che diventa un sogno che diventa realtà. Musica post-wave, musica post-rave, post-electro, post-rap, post-vita: musica post-tutto.
I Salem non hanno nulla da invidiare alle loro concittadine streghe. Bruciano, con i suoni incendiari di un disco epi-epocale.
(voto 8)

venerdì 27 agosto 2010

Felicità

Fa male la felicità? È quello che si chiedono gli Hurts con questo “Happiness”, uno degli album d’esordio più attesi dell’anno.
Gli Hurts sono un duo alla Pet Shop Boys, che getta le radici (e forse qualcosa più) del proprio suono negli anni ’80. Dentro ci sono infatti le influenze tra gli altri di Tears for Fears, Talk Talk, New Order, Soft Cell, ABC, Heaven 17, Duran Duran, ma anche Mansun (uno dei gruppi migliori ma più sottovalutati dei 90s), Mika e Robbie Williams.
L’apertura con “Silver lining” è epica e mostra i due ragazzi in tutte le loro ambizioni, senza paura di far la figura degli esagerati. Cosa che forse un po’ sono, mentre “Better than love” è il singolo che già ha impazzato quest’estate pure da noi.


“Happiness” è una raccolta di hit fenomenali, dall’epicità epica di “Evelyn” alla maggiormente dancy “Sunday”, passando per le lacrime dell’inno desperate “Stay”, fino al duetto con la superstar Kylie Minogue in “Devotion”. E così gli Hurts probabilmente venderanno migliaia, milioni, miliardi di copie.
Tornando alla domanda iniziale, fa male la felicità?
Quella degli Hurts no, anzi è assolutamente piacevole (anche se a guardarli sulla copertina del disco non si direbbe) seppure, ed è il principale difetto dell’album, ogni tanto si avverte la sensazione di un eccesso di lamentosità e autocompiacimento nei pezzi.
Quella cantata da Albano & Romina invece, quella sì che fa male. Andiamo, chi cazzo è che si fa un bicchiere di vino con un panino?
(voto 6/7)

Potete trovare il disco QUI

lunedì 10 maggio 2010

Abba 2.0

Me li ha consigliati la mia ex collega stagista Mariella, questi Music Go Music, a segno che spesso gli stagisti ne capiscono di musica (ma non solo di musica...) più dei "potenti" che stanno in alto nella gerarchia lavorativa.
La loro musica, lo sentirete subito, è ad alto tasso di Abba. Lo so che magari storcerete il naso e direte: "Nah, non è roba che fa per me!" Poi però vi ritroverete a infilare le cuffiette nelle orecchie e ad ascoltarli di nascosto e a canticchiarli sottovoce sotto la doccia con un poco di vergogna...

Il loro irresistibile album d'esordio "Expressions" lo trovate QUI

giovedì 6 maggio 2010

Nine inch baby

Sono lontani i tempi in cui se la faceva (in tutti i sensi possibili) con Marilyn Manson. Trent Reznor si è sposato, ha messo la testa a posto e pure si è messo a fare musica con la neo-mogliettina, Mariqueen Maandig, cantante dei West Indian Girl. Invece di andare in luna di miele o sfornare un bebé, hanno pensato bene di far nascere un disco sotto il nome di How to destroy angels. Dal primo pezzo che ci fanno sentire, Trent ha ingravidato la novella sposa con una delle sue basi nineinchnailsiane malate, creando un pezzo trip-hop affascinante. Vedremo con l’album completo come il neonato crescerà…

lunedì 3 maggio 2010

Io te noi voi

Capita di scaricare un sacco di dischi dalle copertine fascinose e dai titoli promettenti. Capita che l’ascolto non sia poi tutta questa Divina Rivelazione. Capita qualche volta più rara che l’ascolto ti faccia sanguinare le orecchie dalla gioia di aver trovato un suono che era esattamente ciò di cui avevi bisogno, senza nemmeno ancora saperlo. E a farlo è pure un disco dalla copertina disgraziata fatto da una band con un nome che indica una seria crisi di identità.
I newyorkers Me You Us Them hanno però dalla loro chitarre distorte, dissonanti, con echi Sonic Youth/My Bloody Valentine ma non da solito gruppo che imita i Sonic Youth e i My Bloody Valentine. Hanno dentro un furore (furore sì, ecco la parola più adatta per descriverli) notevole. E fanno musica tirata, nervosa, roba che la mattina ti butta giù dal letto.

Sono ancora talmente poco conosciuti che in rete ho trovato ben poco materiale di qualità decente da farvi ascoltare. Il loro album però è davvero notevole, si chiama “Post-Data” e lo trovate QUI
(ascoltate qualche altro pezzo sul loro myspace)


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