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giovedì 24 maggio 2012

Dr. House at the end of the street

Dr. House – Medical Division
(serie tv, stagioni 1-8)
Titolo originale: House M.D.
Rete americana: Fox
Reti italiane: Fox, Italia 1, Canale 5
Creata da: David Shore
Cast: Hugh Laurie, Robert Sean Leonard, Omar Epps, Jennifer Morrison, Jesse Spencer, Lisa Edelstein, Olivia Wilde, Peter Jacobson, Kal Penn, Amber Tamblyn, Odette Annable Yustman, Anne Dudek, Charlyne Yi, Sela Ward, Jennifer Crystal Foley, Cynthia Watros, David Morse, Chi McBride
Genere: Dr. House music
Se ti piace guarda anche: Lie to me, Life, Scrubs, Shark

Fine della musica. Fine della House music.
Con un episodio conclusivo intitolato "Everybody Dies", che fa il verso al suo celebre motto “everybody lies”, il Dr. Gregory House, anche conosciuto come Lo zoppo per gli amici, sarà morto oppure no?
"Sono un genio, ma chissà perché nessuno ci crede..."
Facciamo un passo indietro.
Un passo gigante, visto che torniamo al 2004.

Dr. House è partito del tutto in sordina. Con E.R. – Medici in prima linea che cominciava a perdere smalto nonché seguito e in attesa dell’arrivo, di lì a poco, degli scopamici di Grey’s Anatomy, la gente bramava una nuova serie medica da cui farsi curare. Fin dagli anni ’60, quello medico è uno dei filoni seriali più fortunati. La soap General Hospital è partita nel 1963 e, pensate un po’, va avanti ancora oggi, giunta alla 49esima stagione. Se c’è qualcuno che ha visto tutti ma dico proprio tutti i suoi oltre 12.000 episodi, gli vado a stringere la mano. Pensate un po’ che onore. E pensate che io invece di episodi di General Hospital non ne ho visto nemmeno uno.
Il filone medico ha quindi da sempre, o perlomeno da quando c’è la televisione, tirato parecchio. House ha però rappresentato un caso a parte. Se la forza delle serie mediche, almeno credo visto che non sono un grande appassionato del genere, è quella di presentare le molteplici storie concatenate di svariati medici e pazienti, la forza di House M.D. la serie è stata invece nel suo protagonista unico e indiscutibile.

"Un'orgia con House? Scommetto che questa
scena è stata aggiunta da Hugh Laurie..."
Gregory House è il Mourinho, lo Special One dei medici. Di quelli televisivi, almeno.
Scorbutico, egocentrico o meglio egotomane, sicuro di avere una risposta a ogni quesito, geniale, drogato di Vicodin e non solo, puttaniere, misogino ma più che altro misantropo. House odia tutto e tutti. Si prende gioco in maniera ironica di qualunque malcapitato gli (mal)capiti a tiro. Tutto l’opposto del medico rassicurante che ti prende per la manina e ti dice che “Tutto andrà bene”.
House è uno stronzo. Inutile girarci tanto intorno. Lo so io, lo sa lui, lo sapete voi. Però è uno stronzo in grado di salvare delle vite. Il mondo quindi è un posto migliore, grazie a persone come lui. La verità, sconcertante, è questa. Quindi: viva gli stronzi!

Parlando a un livello più tecnicamente televisivo, House è uno dei personaggi più fenomenali venuti fuori negli ultimi 10 anni. E questo nemmeno solo a livello televisivo. Non è la prima volta che un pezzo di merda diventa il protagonista per cui, bene o male, fare il tifo. Basta solo menzionare l’Ebenezer Scrooge del Canto di Natale di Dickens, tra l’altro apertamente citato proprio nel finale della serie. Però rappresenta forse il primo esempio di protagonista del genere nel panorama seriale, visto che ad esempio il Dr. Cox in Scrubs è "solo" l’antagonista di J.D..
Un telefilm deve farci affezionare al suo protagonista per molti episodi, a volte per molte stagioni. Deve quindi essere qualcuno con cui poter empatizzare. In un altro periodo probabilmente un medico del genere non avrebbe funzionato. Gregory House è però arrivato al momento giusto, quando il mondo si era stufato dei soliti personaggi positivi ed era pronto per un (anti, ma molto anti)eroe come lui. House è stato un personaggio rivoluzionario per la tv. Uno stronzo di rivoluzionario. Un fottuto bastardo cui non ho potuto fare a meno di voler bene fin da subito.

House è partito in sordina, dicevamo poc’anzi. I primi episodi hanno funzionato da rodaggio e da noi è stato lanciato buttato addirittura nel palinsesto estivo di Italia 1. Poco a poco, il dottore più fuori di testa della tv è però diventato un fenomeno sociale, è entrato nella pop culture, nei linguaggi di tutti i giorni e la sua serie per un certo periodo è finita per essere una delle più seguite di sempre. In Italia è passata persino su Canale 5, dove era tipo dai tempi di Twin Peaks che non trasmettevano una serie americana in prima serata, è arrivata a conquistare milioni di telespettatori come non se ne vedano dai tempi di Dallas, e si è guadagnata pure una parodia a Mai dire gol (a dirla tutta a Mai dire martedì, però a me piace chiamarlo sempre Mai dire gol).


"Mitch Buchannon, t'ho fregato!"
La svolta? Secondo me c’è stata alla fine della prima stagione. L’episodio 21 della season 1 “Il caso House (Three Stories)” è stata una figata assoluta, una delle puntate migliori di sempre di una serie tv. Tanto di cappello allo sceneggiatore dell’episodio nonché autore della serie tutta David Shore. Attraverso le tre storie del titolo, tra cui una che vedeva coinvolta Carmen Electra (!), si scopriva il passato di Greg House e di come fosse diventato uno zoppo. Anzi, non uno zoppo qualunque, bensì Lo zoppo più famoso della tv.
Da lì in poi, House è entrato nel mito. Il punto di forza principale della serie è lui e solo lui, c’è poco da girarci intorno.

Come serie, House M.D. ha però comunque qualche altra carta da giocarsi. In particolare, il suo spunto vincente è quello di aver applicato ai casi medici un modello di indagine di tipo poliziesco, a metà strada tra il vecchio Sherlock Holmes e il “nuovo” (almeno ai tempi) CSI. La malattia trattata come un omicidio da risolvere. Un puzzle da decifrare in cui il Dr. House è uno specialista assoluto. Ci sono i ginecologi, i pediatri, i chirurghi plastici e così via. Gregory House è invece specializzato nel risolvere i casi più assurdi, a trovare malattie che spesso sono provocate dal suo stesso team.

"Andiamo, Wilson, non fare il timido. Se alla fine pure
Mulder & Scully si sono fatti, perché noi no?"
Il team è l’altro elemento cruciale della serie anche se, a differenza della gran parte delle serie mediche corali, il Dr. House resta sempre il centro assoluto. Ad accompagnarlo e ad aiutarlo nel trovare una risposta agli enigmi medici, che comunque il più delle volte risolve lui grazie a una geniale quanto folle intuizione, ci sono una serie di giovani medici promettenti. Il problema è che sono un semplice contorno. Chase, Cameron, 13, Foreman… sono tutti personaggi validi, ma quasi mai determinanti per gli esiti della serie.
L’unico in grado di tenere testa a quello psicopatico di protagonista è quindi Wilson (interpretato da Robert Sean Leonard, visto prima di allora ne L’attimo fuggente), il Watson dello Sherlock House. Il loro rapporto bromantico è la vera costante delle 8 stagioni, laddove invece gli assistenti possono anche cambiare, ché tanto la loro presenza/assenza non si farà sentire più di tanto.




"Scegli, House: puoi avere una sola gnocca a stagione...
E no: il tizio a sinistra non è una possibile scelta."
Con un bello scossone, la serie a partire dalla quarta stagione ha deciso di cambiare team/cast, inserendo vari nuovi personaggi come quelli interpretati da Kal Penn, che per me comunque rimarrà sempre il fumatissimo Kumar di American Trip, o dalla gnocca Olivia Wilde andata a sostituire once upon a Cameron, la gnocca originaria Jennifer Morrison, e che a sua volta verrà poi sostituita dalla nuova gnocca di ricambio Odette Yustman. Se oggi, da Skins a Game of Thrones, il “sacrificio” di alcuni personaggi in favore di altri è diventato di moda, allora era una mossa ancora parecchio inaspettata e coraggiosa.
Un difetto di House la serie è stato quello di non aver creato dei personaggi di contorno davvero forti, Wilson a parte. Però quando ci si trova davanti un protagonistone come Dr. House, non è che ci si possa lamentare troppo. E mi rendo conto solo ora di non aver ancora menzionato l’interpretazione di Hugh Laurie. Stavo per fare un post sulle 8 stagioni di Dr. House senza nemmeno parlare di Hugh Laurie. Forse perché mi sembra quasi superfluo. Il Dr. House è lui. Non si può immaginare questa serie con un altro attore. È stato fenomenale, a dir poco. Chissà adesso cosa combinerà, dopo un ruolo tanto iconico, lo Hugh Laurie? Le possibilità certo non gli mancano, visto che è anche scrittore, musicista, cantante (non un granché come cantante, a dirla tutta), ha anche un grande talento come attore comico e quindi ha solo l’imbarazzo della scelta.
Ma ora veniamo al gran finale.

ATTENZIONE SPOILER
Come già successo pochi giorni fa con Desperate Housewives, altra serie storica partita in quell’incredibile (almeno per la tv americana) 2004, anche House era una serie che avevo abbandonato da un po’ di tempo. Pure in questo caso verso la quinta stagione, tanto che si potrebbe parlare di crisi del quinto anno. Ho smesso di seguirlo in parte per un fisiologico calo di interesse da parte mia, in parte per una ripetitività delle situazioni, che si facevano sempre più assurde e improbabili. Fatto sta che il caro vecchio stronzo Gregory House l’avevo messo da parte. L’avevo trascurato. L'avevo mandato in casa di riposo.
Riprendendo gli ultimi 2 episodi mi sono di nuovo ritrovato con estremo piacere davanti al doc più idolesco di tutti i tempi. Le sue battute, la sua cattiveria, la sua perfida ironia. Tutto intatto, per fortuna. Soltanto, con un velo di malinconia indosso più accentuato. Sarà che il suo inseparabile amico Wilson sta per morire di cancro, ma anche House sembrava destinato ad andare incontro verso un finale buonista e strappalacrime.
Invece no.

"La Cuddy mi sa che abbiamo fatto male a non chiamarla..."
Per fortuna, c’è stato un finale in tipico stile House. Con questo non intendo sia stato prevedibile. Intendo che è stata la chiusa ideale, perfetta, che rappresenta in pieno tutto ciò che House è stato. Una conclusione emozionante, però non facilmente ruffiana.
L’ultimo episodio è stato costruito con visioni e comparsate dei vecchi personaggi, in una sorta di remix house del Canto di Natale, come menzionavamo (ma perché parlo al plurale?) prima. Da Jennifer Morrison alla ex Sela Ward, compaiono tutti i personaggi storici della serie tranne la Cuddy (Lisa Edelstein) che proprio non s’è vista. Why?
Il resto?
Scopritevelo da soli.


"Addio babbei!"
Non lo dico tanto per il gusto di fare il bastardo della situazione come Gregory in da House. Un po’ anche per quello, ma soprattutto perché l’episodio finale merita davvero di essere visto. Anche da chi, come me, aveva lasciato la serie da qualche tempo. Non è un series finale campato lì per aria velocemente e malamente così tanto per fare come quello delle Desperate Housewives. È lo splendido, toccante, più che degno traguardo di un percorso lungo 8 anni.

Tutti muoiono. Tutti mentono. Tutti cambiano.
E il Dr. House?
No, lui è sempre lo stesso stronzo. Per fortuna.
(voto alla serie 7,5/10
voto all’episodio finale 8/10)

domenica 30 gennaio 2011

And Soon the Darkness: Vedo la gnocca morta

Prendere il sole in costume può portare alla morte
And soon the darkness
(USA, Argentina, Francia 2010)
Regia: Marcos Efron
Cast: Amber Heard, Odette Yustman, Karl Urban, Gia Mantegna, Adriana Barraza, César Vianco
Genere: vacanze finite male
Se ti piace guarda anche: Rovine, Wrong Turn, Hostel
Uscita italiana: non ancora prevista

Trama semiseria
Due megagnocche americane se ne vanno in vacanza in bici in una zona remota dell’Argentina. Raccontata così sembra proprio che le due siano le vittime ideali per ogni pazzo maniaco della zona e, sorpresa…
in effetti va proprio così.

Recensione cannibale
And soon the darkness. Presto arriveranno le tenebre e presto arriverà pure un horror decente. A me piace parecchio il genere, mi diverte, però ci si imbatte anche in un sacco di film ciofeca e quindi ben venga una pellicola che, pur lungi dall’essere una pietra miliare, perlomeno riesce a costruire un ambiente e dei personaggi accettabili e a metterci pure una sana dose di tensione.

Bere alcolici può portare alla morte
Certo, esiste la possibilità che la mia percezione possa essere stata leggermente alterata dalla presenza delle due giovani attrici più sgnacchere del momento, ovvero la nuova Scarlett Johansson Amber Heard e la Megan Fox 2.0 Odette Yustman. Una più timidina e riservata, l’altra più puttanone. Una più riflessiva e posata, l’altra più puttanone, ribadisco. Lascio a voi il piacere di scoprire chi sia l’una e chi sia l’altra, perché comunque è una delle maggiori sorprese di questo film gradevole sì, ma che certo non ha l’originalità tra le sue armi principali. O meglio, potrebbe essere considerato originale se non fosse il remake dell'omonimo film inglese del 1970 e anche se non ci fossero già stati i vari Hostel, Rovine, Turistas, Piranha 3D e tutti gli altri horror eccetera ambientati in luoghi più o meno esotici eccetera e più o meno mortali eccetera eccetera eccetera.
Come in Shadow e 127 ore poi, le due protagoniste si muovono in bici e finiscono male: ci sarà per caso una cospirazione del cinema pro-Fiat e pro-giganti dell’auto per convincere che usare le bici, per quanto ecologista e salutare possa sembrare, in realtà è tremendamente pericoloso e ti porta in situazioni molto pericolose e persino alla morte? Può darsi, d’altra parte a me Marchionne mette più paura di molte creature horror, quindi non sarebbe una teoria nemmeno tanto campata per aria.

Andare in bici può portare alla morte
And soon the darkness si va dunque a inserire in un filone già parecchio trattato dal cinema horror di genere, quello di un gruppo di sciagurati ragazzi che invece di andare in vacanza, chessò, a Rimini dove alla peggio ti può succedere che un ubriaco sul pullman ti fotta il portafogli, oppure a Rapallo in Liguria dove la cosa più pericolosa che ti possa capitare di incontrare è il passaggio del trenino per i bimbi. Ché se non fate attenzione può essere un rischio pure quello, non credete.
La cosa più affascinante del film, oltre alle due topolone già citate, è comunque quello di riuscire a rendere in maniera efficace il senso di spaesamento che si prova in un paese straniero: in pratica lo stesso senso che provo io quotidianamente in Italia.
(voto 6/7)

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