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lunedì 4 gennaio 2016

Cannibal Movie Awards 2015 - Gli Oscar di Pensieri Cannibali





Dopo aver visto i peggiori, oggi tocca premiare anche i migliori.
I 20 film top dell'annata secondo Pensieri Cannibali sono già stati svelati, ma ora è tempo di riepilogarli e di assegnare anche qualche premio ad attori, attrici, registi, personaggi, scene, eccetera eccetera dell'ultima annata cinematografica.
Senza indugiare oltre, cominciamo.

Alcuni dei numerosi divi invitati ai Cannibal Awards 2015. Il fatto che poi nessuno di loro abbia accettato l'invito è un'altra storia.

sabato 2 gennaio 2016

Star Wars: Il risveglio di Forza Italia





Star Wars: Il risveglio della Forza
(USA 2015)
Regia: J.J. Abrams
Sceneggiatura: J.J. Abrams, Lawrence Kasdan, Michael Arndt
Cast: Daisy Ridley, John Boyega, Adam Driver, Oscar Isaac, Harrison Ford, Mark Hamill, Carrie Fisher, Andy Serkis, Domhnall Gleeson, Max von Sydow, Lupita Nyong'o, Peter Mayhew, Anthony Daniels, Gwendoline Christie, Greg Grunberg, Ken Leung, Simon Pegg, Billie Lourd, Daniel Craig, Michael Giacchino, Nigel Godrich
Genere: stellare
Se ti piace guarda anche: gli altri Star Wars

lunedì 3 agosto 2015

Ex Machina, il robot che mi farei





Avete presente Alan Turing?
No?
Nemmeno io sapevo bene chi fosse. Avete però presente Benedict Cumberbatch? E il film per cui era candidato all'Oscar, The Imitation Game?
Bravi. Lì, Benedict Cumberbatch aveva la parte di Alan Turing. Ci siete?
Avete poi presente il test di Turing?
No?
Non c'è problema. Vi spiego io cos'è: è un test non di quelli stupidi della personalità del tipo che si trovano su Facebook o che fa anche Pensieri Cannibali ogni tanto. È un test per determinare se una macchina è in grado di pensare, per verificare se un robot può essere considerato dotato di un'Intelligenza Artificiale vera e propria o meno. Se una persona ha l'illusione di avere a che fare con un'altra persona in carne e ossa, e non con un'interfaccia robotica, il test è passato.
Ad esempio, voi in questo momento credete di avere a che fare con una persona in carne e ossa che sta scrivendo, giusto?
State leggendo una pagina virtuale di un blog virtuale, ma siete convinti che quelle parole siano state scritte da qualcuno vero e proprio, giusto?

martedì 10 marzo 2015

A MOST VIOLENT YEAR, UN ANNO E UN FILM MOLTO VIUU-LEEENTI





A Most Violent Year
(USA 2014)
Regia: J.C. Chandor
Sceneggiatura: J.C. Chandor
Cast: Oscar Isaac, Jessica Chastain, David Oyelowo, Elyes Gabel, Catalina Sandino Moreno, Albert Brooks, Alessandro Nivola, Christopher Abbott, Pico Alexander
Genere: viu-lento
Se ti piace guarda anche: Margin Call, All Is Lost, Scarface, Due giorni, una notte

Non so proprio cosa passi per la testa al regista J.C. Chandor quando sceglie il tema da affrontare in un suo film. Il suo primo lavoro, Margin Call, è per me una delle migliori pellicole d'esordio degli ultimi anni. Margin Call parla di come l'attuale crisi economica è cominciata, a causa dei gomblotti architettati nel 2008 in quel di Wall Street. L'argomento finanziario può non interessare tutti, io non ne sono certo un patito, eppure il film riesce a spiegare tutto come se parlasse “a un bambino o a un golden retriever”. Inoltre, per quanto il mondo della finanza possa entusiasmare o meno, tratta di una questione con cui tutti abbiamo a che fare ancora oggi, perché la crisi ci ha toccato tutti. E con toccato intendo proprio in senso sessuale, visto che ce l'ha messo in quel posto.

martedì 11 febbraio 2014

A PROPOSITO DI DAVIS, DEL FOLK, DEI COEN, DI CAREY MULLIGAN E DI GATTI




A proposito di Davis
(USA, Francia 2013)
Titolo originale: Inside Llewyn Davis
Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Sceneggiatura: Joel Coen, Ethan Coen
Cast: Oscar Isaac, Carey Mulligan, Justin Timberlake, John Goodman, Garrett Hedlund, Ethan Phillips, Robin Bartlett, Max Casella, Adam Driver, Alex Karpovsky, Helen Hong
Genere: folk
Se ti piace guarda anche: Sugar Man, Fratello, dove sei?, I’m Not Here

Se non è mai stata nuova e non invecchia mai, è una canzone folk.
Llewyn Davis

La frase d’apertura del “nuovo” film dei fratelli Coen spiega bene il mio rapporto nei confronti sia del loro cinema che della musica folk. E nuovo va inteso proprio nel senso che dà il protagonista della pellicola, Llewyn Davis. Anche i film dei fratelli da Oscar quest’anno ignorati dagli Oscar sono così. È come se esistessero già da sempre. È come se si rifacessero ogni volta a qualcos’altro. Di riferimenti alla Bibbia è pieno il loro cinema, si veda A Serious Man. Quanto all’Odissea, non parliamone. Sono proprio fissati i Coen. Non contenti di averne fatto la versione musical folk con Fratello, dove sei?, pure qui c’hanno inserito un personaggio chiamato Ulisse.
Quale personaggio?
Questo non ve lo svelo. Anche se la vera Odissea è quella che vive il protagonista.

I film dei fratelli Coen sono come canzoni folk già esistenti che si divertono a reinterpretare nel loro personale modo. L’amore per questo genere di musica emerge qui ancora una volta forte e chiaro, al punto che A proposito di Davis avrebbe potuto intitolarsi A proposito del folk, o in originale Inside Folk anziché Inside Llewyn Davis. Il film è liberamente ispirato alla biografia del musicista e cantore anni ’60 Dave Van Ronk, ma più che raccontare di lui o di quello che ne è il suo alter-ego fittizio ovvero Llewyn Davis, racconta uno stile di vita. Raccontare poi è una parola grossa. Quella scritta dai Coen è dichiaratamente una sceneggiatura priva di una vera e propria trama. È più un girovagare a zonzo insieme al loro protagonista. Un gattonare di casa in casa, di strada in strada, di città in città. Come un vagabondo. Come un micio randagio.

"I'm bringin' sexy back (yeah), them other fuckers don't know how to act.
Penso che ancora non siate pronti per questa musica...
ma ai vostri figli, diciamo ai vostri nipoti, piacerà."

Tutto il fascino, così come anche i limiti del film stanno qui. Per certi aspetti questa è una pellicola poco coeniana in senso stretto, e di questo da loro non-fan non posso che essere felice. I momenti non-sense, pur presenti, qua sono più contenuti.
A parlare qui, più ancora che i personaggi strambi pur sempre presenti, sono le canzoni. Belle, molto belle, soprattutto quelle cantate da Justin Timberlake, alla facciazza di chi tanto lo disprezza perché è troppo pop. Questa è una non storia che parla di musica e della vita del musicista. Non il musicista figo rock’n’roll oh yeah con le groupie attaccate al pene e una pera attaccata al braccio, quanto il lifestyle del musicista folk perdente che cerca di tirare avanti in quel di New York City a inizio anni Sessanta, prima che il genere venisse riportato in auge da un certo Bob Dylan. Sotto questo aspetto, A proposito di Davis è un lavoro assolutamente riuscito. Allo stesso tempo, per quanto il film possa non essere troppo coeniano, Llewyn Davis è invece uno dei più coeniani tra i personaggi presenti nella galleria del loro cinema. È un loser totale, uno che non vuole pensare al futuro, a progettarsi una vita, a essere come dicono gli altri.
Questo per quanto riguarda gli aspetti positivi, tra cui io ci metto dentro decisamente anche l’ottima interpretazione di Carey Mulligan. Ha un ruolo piccolo, però in una manciata di memorabili scene riesce a ritrarre bene il suo personaggio, che è un po’ l’opposto della deliziosa protagonista di An Education; nonostante riprenda il look anni ‘60 con frangetta di quel film, riesce qui a dar vita a una stronza come poche. Eppure, così come successo anche ne Il grande Gatsby, è talmente adorabile che persino nei panni di personaggi odiosi non riesce a farsi odiare del tutto. Oh Carey, quanto sei cara.
"Ma la smettete di chiedermi Father And Son e Wild World?
Vado in giro con un gatto, ma non sono Cat Stevens!"

Eppure manca qualcosa, qualcosa in grado di trasformare la simpatia/empatia per questo loser, questo Llewyn Davis, e trascinarci davvero “inside”, dentro la sua vita, dentro la sua mente, dentro il suo cuore. Se la passione per la musica folk dei Coen emerge cristallina, così non è per il protagonista. Perché fa musica? È quasi come se la odiasse.
Inoltre la mancanza di una vicenda forte in grado di tenere davvero sulle spine a un certo punto si fa sentire. Più che raccontare una storia, come le ballate folk spesso sanno fare, A proposito di Davis ha un andamento da improvvisazione jazz, non c’è alcuno sviluppo e la trama gira attorno a se stessa. What goes around… comes around, come direbbe Justin Timberlake, qui relegato a un ruolo francobollo in cui non riesce a brillare molto come attore, ma solo come cantante.
Un altro problemino del film è proprio questo. I personaggi minori restano relegati troppo sullo sfondo, si vedano John Goodman e Garrett Hedlund buttati nella mischia a casaccio e incapaci di imporsi.

Alla fine, i Coen non si smentiscono mai. Decidete voi se vada presa più come una cosa positiva o negativa. Nonostante il mio non-amore nei loro confronti, questo film a me comunque è piaciuto. Sì, direi che mi piaciuto. Tra le pellicole dei fratelli registi lo metterei al secondo posto giusto dietro Fargo. I film dei Coen sono sempre un viaggio e questa volta ammetto che il viaggio in loro compagnia è stato per me più piacevole del solito, grazie anche a una fotografia che ricrea perfettamente quel mood alla The Freewheelin’ Bob Dylan, per altro già reso da Cameron Crowe in Vanilla Sky.



Però, c'è sempre un però. Una volta arrivati a destinazione, l’impressione è anche questa volta di non essere andati da nessuna parte, di aver girato a vuoto. Un bel girare a vuoto, ma pur sempre un girare a vuoto. Questo è il cinema dei Coen, un tipo di cinema che mi fa lo stesso effetto del folk, genere che occasionalmente ascolto anche e non mi dispiace, ma che di rado mi prende fino in fondo. L’ultima volta mi è capitato con la musica di Rodriguez scoperta grazie a Sugar Man, quasi un gemello in versione documentaristica di A proposito di Davis. Come una canzone folk, i loro film non invecchiano mai ma allo stesso tempo non dicono niente di nuovo. Così è il loro cinema, prendere o lasciare. E io per questa volta prendo, anche perché questa è una pellicola molto gattosa felina. E come fai a non volere bene a un gatto, o a una Carey Mulligan, o a un povero cantante folk sfigato?
(voto7,5/10)


"Llewyn Davis non funziona, amico! Dovresti trovarti un nome d'arte, qualcosa tipo... Gatto Panceri."

lunedì 3 ottobre 2011

In che scuola guida insegnano a farsi Carey Mulligan e subito dopo fracassare il cranio a uno?

Drive
(USA 2011)
Regia: Nicolas Winding Refn
Cast: Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Oscar Isaac, Ron Perlman, Christina Hendricks, Albert Brooks, Russ Tamblyn
Genere: fuoriserie
Se ti piace guarda anche: Driver - L’imprendibile, Collateral, Somewhere, Breaking Bad

Nicolas Winding Refn ha abbandonato il suo campetto danese ed è andato a giocare in serie A. Non intendo sostenere che in Danimarca non si possano fare buoni, anche ottimi campionati film. Lars Von Trier ne è l’esempio più lampante. Così come anche in serie B o nelle serie minori si può esprimere un gran calcio.
Però quando ti ritrovi ad allenare una grande squadra, tutto è più facile. Sì, ci sono maggiori pressioni, ci sono i giornalisti che ti pressano a tutto campo, il presidente che ti marca stretto. Però hai i campioni, hai le strutture, le facilità, migliori assistenti, etc., insomma hai un aiuto maggiore per conseguire grandi risultati.

Refn finché faceva da solo poteva impegnarsi finché voleva, però non poteva fare tutto al meglio. Come sceneggiatore ad esempio aveva dimostrato lacune già in Bronson, così come nell’acerba Pusher-trilogia, fino ad arrivare al Valium per eccellenza del cinema mondiale Valhalla Rising. Refn però ha un talento visivo pazzesco, questo l’ho sostenuto persino nella mia certo non tenera stroncatura di quel suo ultimo valhalla-film.
Imparando dagli errori, Refn ha deciso così di concentrarsi, almeno a questo giro, sulla cosa che gli riesce meglio, la regia, con uno script affidato a uno sceneggiatore esterno e con l’ausilio dei mezzi hollywoodiani. Cosa che non significa per forza passare a fare film commerciali o idioti o con supereroi e/o vampiri. In questo caso significa semplicemente poter lavorare con un cast della Madocina (Ryan Gosling + Carey Mulligan + Bryan Cranston di Breaking Bad + Christina Hendricks di Mad Men + Russ Tamblyn di Twin Peaks!) e avere una sceneggiatura tratta da un romanzo dell’autore noir James Sallis che, per quanto non così sconvolgente, contiene almeno le basi: ovvero i personaggi e, soprattutto, un cuore.
La ciliegina sulla torta sarebbero dovute essere le musiche di Angelo Badalamenti, ma alla fine queste sono state realizzate dal meno conosciuto Cliff Martinez.
Dite che nemmeno Angelo Badalamenti è così conosciuto???
Chiedete chi è Angelo Badalamenti?
Volete che mi tagli le vene qui in diretta Internet?
Volete un cazzo di sacrificio umano?
Uff, allora, per chi non lo sapesse Angelo Badalamenti è solo il più grande compositore di musiche da film (e serie tv) di tutti i tempi.
Ennio Morricone?
Sì, bravo, bravissimo, enorme Ennio Morricone. Però Angelo Badalamenti con il suo lavoro per David Lynch ha raggiunto le vette del mio Olimpo personale.
Il tema di Twin Peaks vi basta per rinfrescarvi la memoria?
Non vi basta? Ma se non conoscete nemmeno questo vuol dire che il mio blog non solo ha fallito la vittoria ai Macchianera Awards (il premio di miglior sito cinematografico dell'anno è infatti andato a Cineblog), ma ha fallito proprio la sua missione.
Ha insomma fallito in toto.


Quando poi ti ritrovi come protagonista un immenso Ryan Gosling al posto di quel pesce lesso di Mads Mikkelsen di Valhalla Rising (con cui questo film per fortuna non ha nulla cui spartire), tutto è mooooolto più facile e per Refn dirigere diventa comodo come guidare con il pilota automatico. O come guidare la Ford Focus, quella che secondo lo spot cambia le marce da sola, frena da sola, si parcheggia da sola e intanto ti fa pure un pompino. Se voi si parcheggia da sola sulle strisce, a un incrocio o davanti alla stazione dei carabinieri, la multa però non se la paga da sola.


Il regista danese Refn, rendendosi conto di essere in serie A, non si è comunque limitato a inserire il pilota automatico e si è inventato una regia precisa, pulita, dannatamente efficace e con alcuni lampi di bellezza assoluti. Qualcuno ha menzionato la scena dell’ascensore prima bacio/massacro dopo?

Comunque di cosa parla questo Drive? Non l’abbiamo detto finora perché 1) a quanto pare tutto il mondo dei blogger ne ha già parlato e 2) secondo me la cosa più importante non è cosa racconta, ma come lo racconta. Già che ci siamo diciamo però brevemente a uso e consumo di chi non l'avesse ancora visto che il film non è solo un film sulla guida e sul rapporto con l’auto, cosa che comunque è visto che si ritrova per protagonista uno che si chiama Driver e di professione fa l’autista non di taxi, non di autobus, bensì trasporta i criminali dopo le rapine e nel tempo libero fa lo stuntman cinematografico e lavora pure in un officina, tanto per ribadire che le auto gli piacciono un pochetto. Il film racconta inoltre una storia d’amore molto delicata, all’Orientale direi quasi. Più tradizionale la parte “criminale”, che ha comunque il merito di regalarci qualche scena di ultraviolenza gratuita notevole, perlomeno se siete tra i drughi cui piace il genere ultraviolenza.

La cosa più bella di Drive è però l’atmosfera che riesce a creare. Un omaggio a Driver - L’imprendibile di Walter Hill, quanto agli anni ’80, una visione che viaggia da qualche parte tra American Gigolo, il cinema di Michael Mann e la Los Angeles dei romanzi di Bret Easton Ellis, ma anche un film tremendamente moderno e attuale, grazie a una prima scena di tensione fenomenale che sembra uscita dal videogame Driver però girata meglio molto meglio e alla soundtrack elettronica impreziosita da pezzi di Kavinsky, Riz Ortolani, Chromatics, Desire e soprattutto da una delle canzoni più belle mai sentite in un film e non solo in un film: A real hero del procuder francese College featuring il duo canadese Electric Youth.
Si può dire quel che si vuole, ma una canzone del genere fa già da sola un gran bel pezzo di film. Senza A real hero, Drive sarebbe un po’ come Top Gun senza Take my breath away dei Berlin, per dire o, cambiando totalmente genere, Apocalypse Now senza The End dei Doors.


Questa volta con Refn tutto funziona in maniera magica, il viaggio procede alla grande nonostante non racconti una storia sostanzialmente nuova o mai sentita e nonostante i ritmi lenti ma avvolgenti e con improvvise accelerazioni (che ricordano la serie tv Breaking Bad, e non a caso è presente Bryan Cranston), confermando come quest’anno i premi al Festival di Cannes siano stati davvero azzeccati e così, dopo la Palma d’oro a The Tree of Life, il premio alla regia per questa piccola meraviglia ci sta tutto.

Va bene farsi le ossa nei campionati minori, ma adesso con grandi attori, una colonna sonora spettacolosa e una sceneggiatura semplice ma finalmente degna di questo nome, Refn è arrivato in serie A e finalmente ha potuto mostrarsi per quello che è: un fuoriclasse del volante e della macchina da presa. Anzi, di più:
A real human being and a real hero
(voto 9/10)

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