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martedì 26 novembre 2013

AMERICAN GIGOLO – PUTTANO AMERICANO




Cosa si fa ‘sta sera, eh raga? Facciamo un bel puttan-tour?
Eddai, vediamo un po’ cosa offre la strada. Mi raccomando: portatevi dietro il ca$h, quello bello pesante, perché questa sera si fa un puttan-tour di lusso. Un puttan-tour cinematografico.
Pronti?

Ad aprire la strada, letteralmente, troviamo la Pretty Woman Julia Roberts. O forse dovremmo dire Pretty Lady, visto che ormai è una MILFona di una certa età. Sempre affascinante, in ogni caso.


Non male, però vediamo che altro c’è in giro…
Mira Sorvino?
Nah, non m’è mai piaciuta, quella.
Dea dell’amore?
Dea dell’amore un cavolo!


Chi altri c’è?
Oh, tu guarda chi si rivede, Audrey Hepburn!
Beh, non sarebbe male restare tutta la notte con lei e poi il mattino dopo andare a fare Colazione da Tiffany. Teniamola presente, anche se ho come il sospetto che sia un pochino morta, tra le riprese di quella pellicola e oggi. Chissà?


Vabbè, tanto c’è Demi Moore, ma lei accetta solo una Proposta indecente e io, con questa economia attuale, non posso proprio fargliela. Al massimo posso farle una proposta indecente nel senso di scandalosamente bassa. Ah Demi, 10.000 delle vecchie lire ti vanno bene?
No, eh?

"I soldi non fanno la felicità...
Chi l'ha detta 'sta stronzata?"

Attenzione, attenzione, chi vedo laggiù in fondo?
Charlize Theron!
Mooolto bene. Charlize Theron è un bel figon…
Aspettate, però, aspettate un attimo raga. A vederla da vicino non è poi tutto ‘sto splendore. Questa sera si è presentata senza trucco in versione Monster e mi sa che non combinerà dei grandi affari…

"Hey, perché nessuno vuole vedere le mie chiappe come nello spot Martini?"

Facciamo un salto al Moulin Rouge? Lì ci lavora Nicole Kidman e dicono che la da via facile.
Dite che spenderemmo di più per il volo fino a Parigi?
E dite anche che se arriviamo con Ryanair e non con un jet privato la Nicole non ci si fila manco di striscio?


Hey, ma quella non è Jodie Foster in versione Taxi Driver?
Sì sì, è proprio lei.
Mmm, però… troppo giovane. Troppo. Chiamate Gabriele Paolini.


Vediamo un po’, con qualche annetto, ma non troppi, di più c’è la Giovane e bella di Francois Ozon, Marine Vacth.
Bonjour, anzi bonsoir. Quanto vuoi, giovane e bella?
Quanto???
Ma t’attacchi, sei troppo cara, baby prostituta!

"Ma bussare non è più di moda?"

Facciamo che tornare dalla cara vecchia pretty woman Julia Roberts, che è un po’ più economica.


Ciao Julia, come vanno gli affari?

Procedono a rilento?

C’è crisi anche sulla strada?

Guarda, è davvero un momentaccio in tutti gli ambiti lavorativi, pure nel tuo…
Vabbé, comunque, andiamo a farci un giro?

Nooo! Ma come per stasera hai finito? Devi andare a rimboccare le coperte ai tuoi figlioletti? E vabbè, ma allora chi mi consigli?

Un uomo???
Un uomo no, dai.

Aspetta, dici che è un tuo vecchio amico? Il tuo più caro vecchio amico, quello con cui hai girato il super
successo Pretty Woman e pure quella menata di Se scappi, ti sposo?
Per Richard Gere posso fare un’eccezione. Ma solo per il Richard Gere di American Gigolo, che è tipo l’uomo più figo di tutti i luoghi, di tutti i laghi, di tutti i film e di tutti i tempi. Non sono gay, ma potrei diventare gay per il Richard Gere di American Gigolo.

Come dici Julia? Non hai mai visto American Gigolo?
Sei tutta strada e chiesa e non hai tempo per guardare dei film?
Ma questo non è proprio recentissimo. È del 1980… Comunque non c’è problema, te lo racconto brevemente io.

American Gigolo
(USA 1980)
Regia: Paul Schrader
Sceneggiatura: Paul Schrader
Cast: Richard Gere, Lauren Hutton, Hector Elizondo, Bill Duke, Brian Davies, K Callan, Carol Cook, Carol Bruce, Frank Pesce
Genere: mercenario
Se ti piace guarda anche: American Psycho, The Canyons, Drive, Pretty Woman

Tutto parte con “Call Me”, pezzone dei Blondie scritto e prodotto dal vanto nazionale Giorgio Moroder, autore di tutta la fenomenale e super 80s colonna sonora del film.



Manco questa canzone qui ti dice niente, Julia? Ma in che mondo vivi, porca puttana?

Oops, scusa. Non volevo offenderti.
Canzone simbolo, colonna sonora simbolo e naturalmente anche il film è uno dei simboli supremi di ciò che sono stati gli Anni Ottanta. Più che una semplice pellicola, American Gigolo è gli Anni Ottanta.
La storia poi dovresti sentirla parecchio vicina, cara Julia. Il protagonista è un puttan… cioè un prostitut… Come diavolo devo chiamarlo oggi? Escort maschile è politically correct abbastanza?
Lo chiamo gigolo, come fa il titolo del film, e faccio prima, anche se mi resta un dubbio: ma gigolo si scrive con l’accento o senza?

Comunque sia, Richard Gere è Julian Kay, un bellissimo gigolo che va soprattutto con donne mature perché – come dice – con le ragazzette è troppo facile, non c’è gusto, non c’è sfida. Dopo il Dustin Hoffman de Il Laureato, possiamo considerare quindi Julian un precursore, uno dei primi amanti del genere MILF quando il genere MILF non era ancora ufficialmente nemmeno nato.
Il nostro gigolo si passa un sacco di MILFone in quel di Los Angeles, se ne va in giro in auto con un sottofondo musicale spudoratamente 80s come farà poi il Ryan Gosling di Drive, abita in un loft arredato in maniera minimal-chic che verrà ripreso pari pari nel film American Psycho, è fissato con l’allenamento e la cura del proprio corpo, anche in questo caso come il Patrick Bateman di American Psycho, e un giorno viene accusato di omicidio, vagamente come capita in American Psycho. In pratica, American Psycho deve molto ad American Gigolo, fin dal titolo. Diciamo che il mondo di Bret Easton Elllis tutto deve molto a questa pellicola di Paul Schrader ed è un po’ anche per questo che dall’unione delle loro due menti malate mi aspettavo grandi cose, invece hanno tirato fuori The Canyons, un filmetto senza arte né parte che non è così male come quei cattivoni della critica hanno detto, ma non è certo il capolavoro che poteva essere.

Ma adesso mi sa che sto divagando, Julia. Tornando ad American Gigolo, riesce laddove The Canyons fallisce: nel coniugare una trama dalle tinte thriller con il ritratto socio-antropologico di un personaggio bello bello in modo assurdo, quanto vuoto vuoto in modo assurdo. Un puttano superficiale cui interessano solo i soldi e l’aspetto fisico. Dietro al suo egoismo e al suo egocentrismo, c’è però dell’altro. Julian Kay è pieno d’amore da dare al mondo. A lui non interessa tanto il suo piacere personale, quanto dare piacere alle donne, un po’ come il suo discepolo Christian Troy della serie tv Nip/Tuck. Il suo aspetto e i suoi modi nascondono questo suo lato intimo, da benefattore dell’umanità.

American Gigolo riesce a dare un ritratto splendido e stilosissimo non solo di un’epoca, di un decennio, ma anche di un personaggio meno superficiale di quanto potrebbe sembrare in superficie appunto e anche parecchio ambiguo, visto che ci lascia sempre con il dubbio. Il dubbio se considerarlo un bluff o qualcosa di più di un manzo, se considerarlo un assassino oppure uno che, in fondo in fondo, è un buono e non solo un bono.
La pecca principale del film, che per tutta la sua durata riesce a mantenere quest’ambiguità, è il finale. Un happy ending romantico che stona con la cattiveria mostrata fino a quel momento. Una conclusione, scusa se te lo dico Julia, degna delle tue peggiori commediole romantiche stracciapalle.
In ogni caso si può anche dimenticare il finale e concentrarsi su una pellicola per il resto a suo modo perfetta, grazie anche e soprattutto a un Richard Gere all’apice della sua forma fisica e recitativa. Al di fuori di questo film, e del sottovalutato The Mothman Prophecies – Voci dall’ombra, è un attore che non amo e non ho mai amato particolarmente però, cara la mia Julia, se mi porti qui il Richard Gere dei tempi di American Gigolo, giuro che me lo faccio. Se poi vuoi partecipare pure tu, per fare una cosa tre, per me non c’è problema.
Vabbuò, Julia Roberts, adesso ti lascio andare dai tuoi figlioli, che s'è fatto proprio tardi, tanto il mio numero te l’ho lasciato e quindi ricordati di una cosa: Call meee!

Non hai capito il riferimento, neh?
Dopo aver messo a letto i tuoi figli allora corri a vederti American Gigolo, che non si può non averlo visto almeno una volta nella vita, porca puttana!
Oops, scusa. Non volevo offenderti di nuovo, pretty woman, walking down the street, pretty woman, the kind I like to meet...
Ma manco questo riferimento hai capito?
(voto 7,5/10)

martedì 19 novembre 2013

PAOLO DI CANYONS




The Canyons
(USA 2013)
Regia: Paul Schrader
Sceneggiatura: Bret Easton Ellis
Cast: Lindsay Lohan, James Deen, Nolan Gerard Funk, Amanda Brooks, Tenille Houston, Gus Van Sant, Jarod Einsohn, Victor of Aquitaine, Jim Boeven
Se ti piace guarda anche: The Informers, The Hills, Le regole dell’attrazione, Al di là di tutti i limiti, American Psycho, Plush, American Gigolo

Ah, la vita dei belli, ricchi e famosi, o quasi famosi. Troppi soldi, troppo sesso, troppo lusso, troppo tutto. Hanno delle esistenze davvero infelici, miserabili, vuote. Non si può che provare pena per loro. A raccontarcele quest’anno c’hanno pensato in tanti. Bling Ring, Spring Breakers, Il grande Gatsby, l’italiano La grande bellezza… sono tutte variazioni sul tema del vuoto esistenziale dei "privilegiati" e tra l’altro hanno generato alcune delle migliori pellicole dell’annata, almeno a mio modestissimo parere. Adesso ci prova pure questo The Canyons, diretto dal Paul Schrader di American Gigolo, uno dei film simbolo per eccellenza degli 80s, e con una sceneggiatura scritta dal re, dal campione assoluto nel narrare le vite di questo tipo di personaggi: Bret Easton Ellis.


Immagine NON tratta dalla serie The Hills.
Per la prima volta alle prese con uno script cinematografico tutto suo, e peraltro nemmeno tratto da alcun suo lavoro letterario, con The Canyons Ellis gioca a fare l’Ellis. Si auto omaggia, si cita da solo: “Oggi nessuno conosce più nessuno”, dice il porno attore James Deen, riprendendo il mantra de Le regole dell’attrazione: “Nessuno conosce nessuno veramente.” Sostanzialmente, Ellis replica se stesso. Ne è consapevole. Già l’aveva fatto nel suo ultimo libro, Imperial Bedrooms, in cui andava a riprendere il protagonista Clay, alcuni personaggi e alcune situazioni del suo esordio, Meno di zero. Laddove però su carta riusciva a mantenere ancora la sua feroce ironia, almeno in parte, qui sembra essersi stancato lui per primo del gioco che sta giocando. Tutto quello che rimane è il vuoto.

Il vuoto è sempre stato presente, è sempre stato il vero grande protagonista dei suoi romanzi, quasi tutti diventati anche pellicole cinematografiche, dal citato Meno di zero (in Italia il film è stato intitolato Al di là di tutti i limiti) a Le regole dell’attrazione, passando per la raccolta di racconti Acqua dal sole (che ha ispirato il film The Informers) fino al suo lavoro più celebre, American Psycho, più gli ottimi e sottovalutati Glamorama e Lunar Park, gli unici due per il momento a non essere ancora finiti su grande schermo. Un vuoto mai raccontato da nessuno con tanta profondità. Fino ad ora. Fino a questo The Canyons.

Bret Easton Ellis io ti adoro, io ti venero, io ti amo. Sei l'unico scrittore al mondo per cui mi sono sbattuto a chiedere l'autografo. A te ho persino dedicato la mia tesi di laurea specialistica. Però mi sa che l’hai perso. Cooosa? Come, cooosa…
Il tuo tocco magico. Dov’è quel tuo irresistibile cattivissimo senso dell’umorismo, in questi Canyons?
All’apparenza, The Canyons può sembrare una soappona trash, con qualche vago eco thriller. Può apparire come una versione cinematografica di The Hills, la serie finto-reality di Mtv con Lauren Conrad. E l’apparenza inganna, si dice. Vero, tante volte è vero, solo non in questo caso. In questo caso, dietro a ciò che appare in superficie non c’è molto altro.

Are we sure?

Altra immagine NON tratta da The Hills. Ma ne siamo proprio certi?
We'll slide down the surface of things” si diceva nel romanzo Glamorama, citando “Even Better Than the Real Thing” degli U2. Qui si prova, a scivolare sotto la superficie delle cose. Si prova a scavare ed è difficile, davvero difficile trovare qualcosa. Tutto appare perfetto, girato in maniera cool e ultra patinata dal veterano Schrader, con dialoghi fatti di aria fritta eppure scritti con scioltezza e classe da Ellis, accompagnati da una colonna sonora dalle forti influenze 80s composta da Brendan Canning del collettivo indie canadese Broken Social Scene e con un cast che tutto sommato funziona. Il pornodivo James Deen per una volta recita con la faccia e non (solo) con il cazzo ed è una cazzo di rivelazione. È un volto ellissiano ideale. Così com’è molto ellissiano anche l’inespressivo Christopher Nolan Gerard Funk Soul Brother, un biondino che sembra Justin Bieber con qualche anno, ma non molti, di più.

E Lindsay Lohan?


Lindsay Lohan alla tenera età di 27 anni ne dimostra quasi il doppio, però nuda fa sempre la sua porca figura. Pare una MILF, ma se non altro una MILF sexy. Tra lei e la 26enne Anna Tatangelo, non so chi sembri più anziana. Forse Lindsay. Il suo volto è gonfio, ormai quasi interamente deturpato dalla chirurgia estetica, e nella parte finale, con un primo piano impietoso, Paul Schrader ce lo mostra chiaramente, in quello che è il momento più vero dell’intera visione. Finalmente si riesce ad andare sotto alla superficie delle cose e la diva Lindsay appare sfatta, distrutta, una nullità. Se c’è una cosa che questo The Canyons ci vuole dire, forse, è che le vite splendide di questi famosi o quasi famosi sono miserabili, infelici e brutte quanto e più delle nostre, di quelle di noi, comuni mortali. Qui sta il senso del film, forse. O forse no, e forse non è manco importante capirlo. Per citare un dialogo del film:
Continuo a non capire.
Non serve. Non capire a volte è meglio.

In ogni caso, Lindsay Lohan appare qui in una versione quasi reality, quasi come se recitasse la parte di se stessa e offre così un’interpretazione lontana parente del Mickey Rourke di The Wrestler; non agli stessi livelli, eppure a suo modo convincente.
Tutto appare allora perfetto in The Canyons e se fosse uscito negli 80s sarebbe potuto diventare un cult. Oggi invece appare come un esercizio di stile, non terribile come dipinto da molti critici, ma pur sempre un esercizio di stile. Le tematiche ellissiane sono tutte presenti, solo che sono cose che dice già da 30 anni e le ha già dette meglio, molto meglio, nei suoi romanzi. Qua e là viene fuori ancora la sua solita brillantezza, come quando Lindsay Lohan chiede a una sua amica (amica, oddio, conoscenza… conoscenza, oddio frequentazione) “Tu ami veramente il cinema?” e lì emerge chiaramente come a nessuno di quelli che vediamo nel film, e che lavorano tutti nell’ambiente hollywoodiano, interessi una cippa di cinema. Sono dei vampiri che succhiano il sangue all’industria. Anche in questo caso comunque niente di nuovo. Ellis queste cose ce le ha mostrate fin dai tempi di Meno di zero e solo a parole, con una potenza maggiore di quanto fatto qua con l’aiuto delle immagini di Schrader.

ATTENZIONE SPOILER
Nel finale, pur di movimentare un po’ la situazione, molto calma anche nei momenti soft porno che, a parte giusto un’orgia a 4 non offrono grandi cose, Ellis tira fuori l’escamotage dell’omicidio, così il film in videoteca può essere inserito tra i thriller. Peccato che le videoteche non esistano più e questa sequenza appaia come un modo per accontentare il suo pubblico. Rispettare lo stereotipo. Il trailer della pellicola annuncia che si tratta di un film scritto dall’autore di American Psycho e quindi non si può non metterci dentro un po’ di violenza. Non si può non inserire un omicidio, per quanto del tutto gratuito. Solo che ormai Ellis è come uno dei suoi personaggi. Ha già provato e fatto qualunque cosa e adesso è stanco, annoiato da tutto e da tutti, non ha più nulla di nuovo da dire e l’unica cosa profonda in questi canyons è la delusione.

Bret, pensavo di conoscerti e pensavo che non mi avresti mai deluso. Molti miei idoli del passato mi hanno deluso o mi stanno diludendo, da Billy Corgan degli ormai inascoltabili Smashing Pumpkins a una Lady Gaga scaduta nel trash nel tempo di pronunciare la frase “15 minuti di popolarità”, e temo che pure Darren Aronofsky con il nuovo Noah possa entrare presto a far parte del club. Tanto per la cronaca, nel ristretto club di chi invece non mi ha mai deluso, non più di tanto almeno, ci sono giusto Damon Albarn, i Radiohead, Kanye West, i Daft Punk, Quentin Tarantino e Terrence Malick.
Pensavo di conoscerti, Bret, e speravo che almeno tu non lo facessi, che tu non mi deludessi, ma a quanto pare avevi ragione: nessuno conosce nessuno veramente.
(voto 6-/10)



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