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mercoledì 25 febbraio 2015

HUNGER GAMES: IL CANTO DE IL VOLO





Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I
(USA 2014)
Titolo originale: The Hunger Games: Mockingjay - Part 1
Regia: Francis Lawrence
Sceneggiatura: Peter Craig, Danny Strong
Tratto dal romanzo: Il canto della rivolta di Suzanne Collins
Cast: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Donald Sutherland, Woody Harrelson, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Sam Claflin, Natalie Dormer, Willow Shields, Paula Malcomson, Elizabeth Banks, Jena Malone, Stanley Tucci, Jeffrey Wright, Elden Henson, Sarita Choudhury, Stef Dawson
Genere: rivoluzionario
Se ti piace guarda anche: gli altri Hunger Games, le foto di Jennifer Lawrence nuda

Dunque, dove eravamo rimasti?
Proprio non me lo ricordo. Hunger Games fa così tanto... 2012. Prima di passare del tutto di moda, la saga tratta dai romanzi di Suzanne Collins ha però ancora da sparare il suo gran finale, sdoppiato per l'occasione in due parti. Il classico espediente per raddoppiare gli incassi?
Nooo, ma perché pensate subito male?
A guardare questo capitolo 1 de Il canto della rivolta in effetti a tratti il dubbio viene. La prima parte della pellicola in particolare inizia con ritmi molto bassi, qua e là ci sono poi alcune scene che fanno tanto riempitivo e in più qualche sequenza sembra del tutto superflua. Eppure...
Eppure il film funziona, come d'altra parte già i due precedenti episodi Hunger Games e Hunger Games: La ragazza di fuoco. La sensazione di trovarsi di fronte a un antipasto anziché a una portata principale vera e propria non svanisce quasi mai nel corso della visione, però il tutto risulta piacevole come un aperitivo ben fatto. E neppure troppo bimbominkioso, ci crediate o meno.

giovedì 15 gennaio 2015

LA GUERRA DI MIKE NICHOLS





Mike Nichols è stato un ottimo regista, capace di regalare tre pellicole che, a loro modo, hanno segnato tre generazioni e tre epoche parecchio differenti e distanti tra loro. Solo per questo, un posticino d'onore nella Storia del Cinema se l'è guadagnato. Per questo, e per aver fatto diventare Natalie Portman una spogliarellista con tanto di parrucca rosa, ma questo credo di averlo già detto.

Il laureato, manco c'è bisogno di dirlo, è la pellicola probabilmente più identificativa della generazione degli anni Sessanta. Dustin Hoffman in piscina e a bordo della Alfa Romeo Spider “Duetto”, le canzoni dei Simon & Garfunkel, Mrs. Robinson che è stata forse la prima MILF nella Storia del Cinema, uno dei finali più spettacolari di sempre... Insomma, un vero e proprio cultone.
Altro decennio, tutt'altra musica e tutt'altra storia: Una donna in carriera. Pellicola simbolo dello yuppismo al femminile, della self-made woman che risponde al self-made man di pozzettiana memoria.
Passa il tempo, cambiano le mode, arriva Internet e l'ormai vecchiotto Mike Nichols si adegua. Closer è la commedia romantica, o sarebbe più corretto dire l'anti-commedia romantica definitiva del nuovo millennio, capace di parlare il linguaggio delle chat e riscrivere il genere delle romcom in maniera spietata.
Tre film che hanno saputo fotografare il loro tempo come pochi altri. Tre film notevoli, che per il resto però in comune non è che abbiano poi molto. A questo punto una domanda sorge legittima: Mike Nichols è stato sì un ottimo regista, ma è possibile considerarlo anche un grande Autore?

martedì 4 novembre 2014

A MOST WANTED HOFFMAN





Ho visto un film, ma non ricordo più il titolo. Devo scrivere la recensione per Pensieri Cannibali e mica posso pubblicare un post senza dire come si chiama la pellicola. Sembrerei uno sprovveduto...
Voglio dire, sembrerei ancora più sprovveduto del solito. E adesso come faccio?
Meglio non farsi prendere dal panico e riordinare le idee. Nessuno faccia la spia. Vietato pure la consultazione di Google e di IMDb. Voglio arrivarci da solo. Allora, se non sbaglio, e sbagliare è una cosa che faccio spesso, si tratta di un film tratto da un romanzo di quel tizio che aveva scritto anche La talpa. OhMioDio!
La talpa è stata una delle visioni più noiose della mia intera vita. Non a caso si è pure guadagnato l'ambitissimo Valium Award di Pensieri Cannibali come film più palloso dell'annata 2012. Perché allora ho recuperato un'altra pellicola ispirata a una sua storia, tra l'altro un'altra vicenda piuttosto simile per intrecci spionistici?

Un team di esperti impegnato a trovare il misterioso titolo del film.

Chi lo sa? Probabilmente sarà stato per via del regista.
Dietro la macchina da presa di questo film c'è... chi è che c'è?
Non ricordo il suo nome, ma dev'essere lo stesso che aveva firmato The American, il vincitore dell'ancora più ambito premio di Peggior film dell'anno di Pensieri Cannibali, questa volta edizione 2010.
Perché diavolo mi sono andato a vedere una roba dietro la quale si celano gli autori di due delle peggiori ciofeche cinematografiche in cui mi sono imbattuto nel corso della mia brillante – scusate, ve l'ho detto che ogni tanto mi sbaglio – carriera da blogger?

Il motivo più ovvio: in questo film ci doveva essere della figa. E infatti c'è. Della figa di altissima qualità, di cui ricordo pure il nome: Rachel McAdams. Avrò anche dei problemi di memoria, ma quando si tratta di gnocca questi spariscono immediatamente.
Mamma mia, quanto è bella Rachel McAdams?!?


Qui appare per lo più struccata, nella parte di una avvocatessa non particolarmente infighettata, ma quanto è bella lo stesso Rachel McAdams?!?
E poi è pure brava. In questa pellicola offre davvero una notevole prova di recitazione. Ricordo che non era la sola. Ricordo che l'intero cast del film era di ottimo livello. Soprattutto il protagonista...


Oh, ecco. Ora ricordo perché ho visto questo film.
Non è stato per il regista, che pure oltre al terribile The American aveva girato il pregevole Control, il biografico su Ian Curtis dei Joy Division. Non è certo stato per l'autore del romanzo da cui è tratto e per una volta non è nemmeno stato per la figa. L'ho visto per Philip Seymour Hoffman. È il suo ultimo film da protagonista e quindi non potevo perdermelo.
La pellicola poi non è nemmeno malaccio. Considerando che è una spy-story dai ritmi sonnacchiosi proprio come La talpa, mi sarei aspettato di annoiarmi a morte e invece no. Sarà per via dell'affascinante ambientazione crucca, per la precisione Amburgo, città ben poco utilizzata dal cinema internazionale, almeno che io sappia. O sarà perché la vicenda di spionaggio “riflessivo”, vagamente dalle parti dello splendido Zero Dark Thirty o di serie notevoli (o almeno un tempo notevoli) come The Americans e Homeland, con le sue riflessioni attualissime sul confronto Occidente VS Islam che su di me hanno sempre una certa presa. O sarà perché per tutto il tempo sono rimasto in attesa che la visione decollasse, che succedesse qualcosa, e invece niente. Il film stuzzica, sembra sempre lì lì per trasformarsi in un filmone e, anche se ciò non accade, tu passi due ore con quella speranza. È già qualcosa. È già meglio di niente.
Ma se questa pellicola, per quanto irrisolta, sospesa e tutto fuorché entusiasmante, non mi ha annoiato e in fondo non mi è dispiaciuta, è soprattutto per merito suo. Il suo personaggio non resterà tra i più memorabili da lui interpretati nel corso della sua carriera, ma lui offre un'interpretazione davvero notevole, con la sua enorme bravura che, dopo essersi trattenuta per 120 minuti, esplode nella scena conclusiva del film. Philip Seymour Hoffman è grande, grandissimo, ancora una volta. Ancora un'ultima volta.
Sì, ma come si chiama, questa sua ultima pellicola da protagonista?

Ah già, ora ricordo. Si tratta del solito banale anonimo titolo messo dalla distribuzione italiana: La spia.
Uh, che titolone indimenticabile! Chissà come ho fatto a scordarmelo?

La spia – A Most Wanted Man
(UK, USA, Germania 2014)
Titolo originale: A Most Wanted Man
Regia: Anton Corbijn
Sceneggiatura: Andrew Bovell
Tratto dal romanzo: Yssa il buono di John le Carré
Cast: Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Rachel McAdams, Willem Dafoe, Grigory Dobrygin, Daniel Brühl, Nina Hoss, Mehdi Dehbi
Genere: spione
Se ti piace guarda anche: The Americans, Homeland, Tyrant, 24, La talpa, Zero Dark Thirty
(voto 6/10)

mercoledì 19 febbraio 2014

THE TRUMAN (CAPOTE) SHOW




Truman Capote – A sangue freddo
(USA, Canada 2005)
Titolo originale: Capote
Regia: Bennett Miller
Sceneggiatura: Dan Futterman
Ispirato al libro: Capote di Gerald Clarke
Cast: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Clifton Collins Jr., Mark Pellegrino, Bob Balaban, Chris Cooper, Bruce Greenwood
Genere: freddo
Se ti piace guarda anche: Infamous – Una pessima reputazione

A caldo, la morte di Philip Seymour Hoffman mi ha lasciato davvero di merda.
A freddo, posso dire che continua a essere una merda, ma sto cominciando ad accettare la cosa, con calma.
In questi giorni di lutto e sconforto, ho recuperato finalmente un film fondamentale nella carriera dell’attore americano, Truman Capote – A sangue freddo, “soltanto” la pellicola che gli ha fatto vincere l’Oscar.
Perché non l’avevo ancora visto?
Il solito insieme di coincidenze sfortunate. Magari ti scarichi una versione che non si vede benissimo e allora rinunci in favore di qualche altra visione. Lo riscarichi, dici: “Domani lo vedo” e poi il giorno seguente dici lo stesso e poi passano gli anni e ogni estate, quando hai tempo per i recuperi, ti riprometti di andarlo a ripescare, solo che è un film troppo poco estivo, ma davvero troppo poco, e allora niente. C’è voluta allora una ancor più sfortunata occasione come la morte dell’attore perché finalmente mi decidessi a vederlo.
Ho fatto bene?
Sì, perché la prova interpretativa di Philip Seymour Hoffman nei panni del giornalista e scrittore Truman Capote è superlativa e la storia parecchio avvincente. Da un punto di vista cinematografico invece non è che mi stessi perdendo una pietra miliare, visto che la regia di Bennett Miller, che poi avrebbe diretto pure un altro film che poco mi ha impressionato come L’arte di vincere – Moneyball, è parecchio piatta e anonima. Presente quelle regie invisibili tipo Muccino quando è andato negli USA?
Ecco, quel genere di anonimo. Ed è un vero peccato perché una simile meravigliosa performance recitativa di P.S. Hoffman avrebbe meritato ben altra compagnia. Il film è freddo, glaciale, in questo è anche fedele al personaggio che ritrae, solo che gli manca quel “di più”, in grado di farlo passare da una visione interessante a una realmente memorabile. Gli manca il cambio di passo, la svolta registica, il momento di elevazione a grande opera cinematografica. Gli manca poi pure l’originalità che ha invece contraddistinto il rivoluzionario lavoro di Truman Capote.

"Questo capitolo devo proprio riscriverlo! Sembra scritto da Cannibal Kid..."
Correva l’anno 1959 quando una famiglia come tante di un paesino sperduto nel Kansak veniva uccisa in circostanze brutali e misteriose. Un caso di cronaca sorprendente e clamoroso in un posto dimenticato da Dio così come fino ad allora anche dal crimine. Un caso in grado di scatenare la curiosità non solo degli Studio Aperto, Salvo Sottile o Roberta Bruzzone dell’epoca, ma anche di uno dei più celebri giornalisti e scrittori di quel periodo, Truman Capote. Il suo scopo era quello di scrivere un articolo di approfondimento, più che sull’omicidio in sé, su come la comunità locale avesse vissuto quel traumatico evento. Un articolo poi tramutatosi in un libro vero e proprio, un mix mai tentato prima tra stile romanzesco da fiction e cronaca vera. Da qui sarebbe nato A sangue freddo, una pubblicazione svolta sia per la narrativa che per il giornalismo successivi. In un’epoca di grandi cambiamenti sociali, culturali e politici, anche Truman Capote nei primi Anni Sessanta faceva la sua parte rivoluzionando la scrittura moderna. Su questo aspetto la pellicola non si sofferma più di tanto, così come a livello stilistico e formale risulta ben lontano dall’essere un prodotto rivoluzionario, o anche solo vagamente originale.

"Mi fugo una siga. Tanto sarà mica questa ad ammazzarmi..."
Va riconosciuto al film di Miller di non scadere nel solito thrillerino, come la trama poteva suggerire. Truman Capote – A sangue freddo ci racconta non tanto di un omicidio, quanto della genesi di un’opera fondamentale per come la cronaca viene trattata oggi. Ciò che non riesce a fare è scavare davvero all’interno della personalità dei suoi personaggi, i criminali della storia così come anche gli altri, che rimangono giusto un contorno. La forza della pellicola, tra una regia pallida e una vicenda intrigante ma che non riesce a decollare del tutto, è allora il protagonista. Lui e solo lui. Philip Seymour Hoffman fa vivere Truman Capote su grande schermo in maniera pazzesca. Si annulla del tutto dietro al personaggio, al punto che fin da subito mi sono lasciato alle spalle la tristezza per la notizia della sua morte e nel film non ho visto Philip Seymour Hoffman. Nel film ho visto Truman Capote. Questo è ciò che un grande attore deve fare. Questo è ciò che Philip Seymour Hoffman sapeva fare. Questo è ciò che ce lo fa rimpiangere adesso e credo ancora per molto tempo.
(voto 6,5/10)

Per ricordare il grande attore scomparso, io e il solito gruppetto di blogger abbiamo pensato di dedicare questa giornata ai suoi film e alle sue interpretazioni. Questi sono gli altri contributi che potete trovare in questo triste ma (spero) bello Philip Seymour Hoffman Day.

Il Bollalmanacco
In Central Perk
White Russian
Viaggiando Meno
Non c'è Paragone
Cinquecento Film Insieme
Montecristo
Director's Cult
50/50
Scrivenny 2.0
Combinazione Casuale


lunedì 3 febbraio 2014

P.S. HOFFMAN



No. Non lo voglio scrivere, il necrologio su Philip Seymour Hoffman.
No. Non lo scrivo, così facciamo finta che non sia mai successo.
Quando se ne va un attore amato, per noi cinefili è come perdere un amico. Ok, magari non lo conoscevamo di persona, però attraverso il suo lavoro, attraverso la sua arte, ci ha regalato delle emozioni, ci ha consegnato dei personaggi che sono diventati quasi degli amici. Come il Lester Bangs di Quasi famosi – Almost Famous, il maestro di giornalismo che tutti avremmo voluto avere.


O come il Caden Cotard del poco conosciuto capolavoro Synecdoche, New York, capace di accompagnarci su quel grande palcoscenico chiamato vita.


O ancora come il Dustin Davis di Twister, il cacciatore di tornado cazzaro in quello che è stato uno dei miei film guilty pleasure degli anni ’90.


O come il mio preferito, il ruolo che me l’ha fatto conoscere e adorare, l’infermiere Phil Parma di Magnolia, l’uomo che sarebbe bello avere al proprio fianco sul letto di morte.


Quando se ne va un attore come Philip Seymour Hoffman, interprete pazzesco di quelli citati e un sacco di altri film da The Master a La 25a ora, da Onora il padre e la madre al Truman Capote che gli è valso l’Oscar, per noi cinefili è come perdere un amico. Quindi non farò nessun necrologio. Scriverlo significherebbe riconoscere che se n’è davvero andato e, finché non lo faccio, è come se fosse ancora tra noi.



P.S. Anche se non te ne sei andato, mi mancherai.

martedì 10 dicembre 2013

HUNGER GAMES – LA RECENSIONE DI FUOCO




Hunger Games – La ragazza di fuoco
(USA 2013)
Titolo originale: The Hunger Games: Catching Fire
Regia: Francis Lawrence
Sceneggiatura: Simon Beaufoy, Michael Arndt
Tratto dal romanzo: La ragazza di fuoco di Suzanne Collins
Cast: Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Donald Sutherland, Philip Seymour Hoffman, Sam Claflin, Jeffrey Wright, Amanda Plummer, Jena Malone, Stanley Tucci, Lenny Kravitz, Paula Malcomson, Willow Shields, Lynn Cohen, Toby Jones
Genere: affamato
Se ti piace guarda anche: Hunger Games, Jumanji, Battle Royale

PREMESSA 1
Attenzione: questo è un post lungo e delirante.
Leggete soltanto a vostro rischio e pericolo!

PREMESSA 2
Non credete a chi vi dice che odia la saga di Hunger Games. Sta mentendo. Perché non fa figo dire che è una figata. Perché è roba da teenagers. Perché è roba da femmine. Perché è troppo commerciale. Chi vi dice che la saga di Hunger Games è una cagata pazzesca, probabilmente però è proprio il primo che in gran segreto si è emozionato a rivedere sullo schermo Katniss Everdeen.
O magari non l’ha mai visto. Mi piacciono proprio, le persone che giudicano qualcosa a priori.
Che merda, Hunger Games!
“L’hai visto?”
No. Ma pare sia peggio di Twilight.
“E quello l’avevi visto?”
“No, però sembra fosse peggio persino dei Take That.”
Ma che c’entrano loro? E comunque, l’hai mai sentiti i Take That? Alcune loro canzoni non erano male.
“No, però mi hanno detto che erano peggio pure dei Duran Duran.”
Ma l’hai mai sentiti i Duran Duran?
“No, ma…”
E così all’infinito. Andando oltre i propri pregiudizi, andando oltre quello che dice la “ggente”, andando oltre anche alla banalità che vi sto per rivelare: nella vita è sempre bene farsi un’opinione propria e si può cambiare idea rispetto a quanto si immaginava per solo sentito dire. A parte su Twilight, che quello vi garantisco che è 'nammerda e basta.

LA STORIA
(ATTENZIONE SPOILER)
Che succede, in Hunger Games – La ragazza di fuoco?
Dopo aver vinto gli Hunger Games e pure un Oscar, Katniss Everdeen/Jennifer Lawrence è ancora la ragazza con i piedi per terra di una volta. Non si è montata la testa e tanto meno Peeta/Josh Hutcherson. Adesso camminano solo in slow-motion e con costosissimi abiti infuocati di Cinna & Gabbana addosso, ma a parte questo per loro è tutto come prima.


A un anno di distanza dalla gloria mondiale, Katniss è sempre più vicina a Gale/Liam Hemsworth, il quale non sta più con la sua ragazza storica, Miley Cyrus, che da fan degli oggetti inanimati l’ha mollato per mettersi a limonare il libro di Hunger Games.


In prossimità dei nuovi Hunger Games, Katniss e Peeta devono lasciare la loro nuova casa nel “Villaggio dei vincitori”, che alla faccia del nome sembra Auschwitz, e sono chiamati a partecipare a un tour mondiale di stadi e arene insieme a Vasco e al Liga, che hanno accettato di far loro d’apertura musicale. Ma c'è un problema: all’infuori del Distretto 11, il secondo distretto più povero e sfigato del globo anche noto come Italia, Vasco e il Liga non li conosce nessuno e così prima di procedere con le tappe successive vengono brutalmente giustiziati. Evvai!!!

Scusate per lo slancio d’entusiasmo. Meglio tornare professionali, prima che dall’alto decidano di far fuori pure me. Il distretto più sfigato in assoluto, se ve lo stavate chiedendo, è il Distretto numero 12, anche noto come Grecia. È qui che sono cominciate alcune rivolte e forme di protesta, dopo che Katniss alla fine della precedente edizione del Grande Fratello di Survivor di X-Factor degli Hunger Games aveva osato sfidare le regole del gioco e del sistema oppressivo che domina tutto il mondo.
Ecco un’immagine delle proteste che si sono diffuse pure nel Distretto 11, quello italiano.


Ed ecco un’altra immagine delle proteste, prima che il Liga venisse giustiziato…


"Ragazzi, ora sì che siamo pronti per un ricevimento da Alfonso Signorini!"
Dopo il tour mondiale dei precedenti giochi, è finalmente il momento di uccidere qualcun altro, ovvero iniziare una nuova edizione degli Hunger Games. Visto che si tratta della 75esima edizione, il super cattivone, il Presidente Coriolanus Snow (Donald Sutherland) insieme agli autori del programma, ancora più perfidi di quelli del Grande Fratello, decidono di scopiazzare L’isola dei famosi e organizzare una stagione dedicata ai VIP, cioè i vincitori delle precedenti edizioni.
Ogni Distretto deve partecipare con un concorrente maschio e uno femmina. Per il Distretto 12, come maschio tra Peeta e Haymitch/Woody Harrelson viene estratto Peeta. E' proprio uno sfigato, 'sto ragazzo!

Come femmina, l’ardua scelta è tra Katniss e Katniss. E poi tra i nomi in lizza c’è anche quello di una certa Katniss.
E dall'urna esce il nome di…
Katniss, che sorpresa!
Mentre sale sul palco, scivola però su una buccia di banana messa lì dal perfido Snow.

"Questa me la pagherai cara, dannato Snow!"

Tutti nel Distretto 12 avevano scommesso sull’uscita del suo nome, quindi quando un’emozionata e quasi commovente Lady Gaga Effie/Elizabeth Banks lo legge, in piazza scoppia un boato e i ragazzi cominciano a fare caroselli sulle loro automobili immaginarie, poiché sono troppo poveri per avere auto vere. Prima di rendersi conto che Katniss veniva data dai bookmakers 1 a 1 e quindi non ha fatto vincere manco un euro a nessuno.

"Mi chiedo quante lampade dovrò ancora farmi,
se voglio diventare più scuro di Carlo Conti."
Tornata la calma al Distretto 12, Katniss e Peeta vanno in ritiro per prepararsi agli Hunger Games e Haymitch li convince a stringere qualche alleanza, perché quest’anno i concorrenti sono tutti molto agguerriti, essendo vincitori di precedenti edizioni, non solo degli Hunger Games ma pure di altri reality e talent-show vari. Ci sono nomi “importanti” come quelli ad esempio di Emma Marrone e Leon Cino di Amici, Jonathan e Floriana del Grande Fratello, Marco Mengoni e Chiara di X-Factor.
Nel corso degli allenamenti, Chiara di X-Factor si mette a cantare “Somewhere Over the Rainbow” come nella pubblicità della Tim e viene subito mortalmente trafitta da Katniss con una freccia. Judy Garland dall’alto dei cieli la ringrazia, nel Distretto 12 partono nuovi caroselli su auto immaginarie e i giudici decidono di chiudere un occhio sul fatto che gli Hunger Games non fossero ancora ufficialmente iniziati.
Poco ispirati dai nomi sconosciuti degli altri concorrenti presenti, Katniss e Peeta decidono di allearsi con il bellone Finnick/Sam Claflin e con la sua partner, la nonna dei Croods, una vecchina di 120 anni che, pur di conquistarsi i suoi 15 minuti di celebrità prima della morte, ha deciso di proporsi come volontaria per gli Hunger Games. Iscriversi a un corso di ballo liscio era troppo semplice?


"Mmm... io sono molto più affascinante di quella mummia!"

"Eddai Lenny, sto probabilmente per morire in maniera brutale.
Me lo fai un pezzettino di Are You Gonna Go My Way?"
Dopo più di un’ora di film, ecco che comincia la nuova edizione degli Hunger Games, che promette di essere ancora più esplosiva e letale della prima. Sbucano così fuori nebbie nocive, scimmie urlatrici, ghiandaie imitatrici che replicano la voce di Chiara che canta deturpa “Somewhere Over the Rainbow” e vengono pure loro fatte subito fuori brutalmente da Katniss, che così diventa sempe di più la beniamina del pubblico a casa. Vabbè, anche il fatto che sia una bella sgnacchera la aiuta.
A parte questo, non è che succedano poi grandi cose e così, per animare un’edizione un po’ spenta, Katniss si mette a limonare con Peeta, che è una cosa che fa sempre salire gli ascolti e fa felici tutti. Persino Gale. Se non altro è contento che questa volta la sua tipa non lo tradisca con un martello. Sono piccole soddisfazioni.
Due ore dopo, finito di limonare con un disidratato Peeta, Katniss apre gli occhi e vede in cielo un arcobaleno. Le torna in mente “Somewhere Over the Rainbow” nell’orripilante versione di Chiara e pensa: “Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima? Dev’essere l'arcobaleno la chiave di tutto!”. Scaglia così una freccia “over the rainbow”, sopra l’arcobaleno e il cielo viene giù, mettendo così fine agli Hunger Games – VIP Edition.

Mentre tutto brucia e si sfalda, Katniss viene portata in salvo con Haymich e Finnick, che le comunicano con tatto che il Distretto 12 e tutte le persone che conosce sono: “Morti! Morti stecchiti! Non li rivedrai mai più, Katniss cara, tié!”.
E lei reagisce così...


Dopo averle fatto questo innocente scherzetto, Haymich e Finnick le dicono che in realtà la madre e la sorellina bimbaminkia sono ahinoi ancora vive, così come Peeta, il quale però si trova a Capitol City dove viene torturato in una maniera agghiacciante, con l’ascolto 24 ore su 24 a tutto volume di “Somewhere Over the Rainbow” naturalmente nella versione cantata da Chiara. Sulle note agghiaccianti della sua interpretazione si chiude la pellicola, che ci dà appuntamento il prossimo anno, con la prima parte del capitolo finale: Il canto della rivolta. Brought to you by Tim.



Cosa mi aspetto che capiti, nel gran finale della saga?
Fondamentalmente questo...


IL FILM
Hunger Games – La ragazza di fuoco stilisticamente non è poi molto differente dal precedente capitolo. Il cambio di regia, nel passaggio da Gary Ross a Francis Lawrence, non si è fatto sentire più di tanto. Dopo tutto, per quanto la adori, si tratta pur sempre di una saga commerciale e il nome del regista diventa un optional che finisce per risultare un elemento di secondo piano rispetto ad altre componenti del brand. In questo caso non è troppo un male, visto che Francis Lawrence arrivava da pellicole orride come Io sono leggenda e Constantine, così come da una robettina innocua come Come l’acqua per gli elefanti con Robert Pattinson, e per la prima volta qui è invece riuscito a tirare fuori una regia decente. Miracolo.
Nonostante la sostituzione in cabina di regia, anche questo La ragazza di fuoco mantiene i pregi quanto i difettucci del primo episodio. In entrambi i casi, la parte più convincente e coinvolgente è quella iniziale, con la costruzione di un’atmosfera scurissima, angosciante, senza speranza. Sembra The Walking Dead, solo senza zombie e recitato meglio. Quando cominciano gli Hunger Games e le sequenze più action, lì invece vengono fuori i limiti della pellicola. In questo secondo episodio i pensieri non vanno però più tanto dalle parti di Battle Royale, come per il primo episodio, bensì di… Jumanji.

"Da cosa si capisce che il nostro rapporto è più finto di quello
di Tom Cruise con Katie Holmes?"
Ho capito perché mi piace tanto questa saga di Hunger Games. A parte per Jennifer Lawrence. Non ho ancora parlato di Jennifer Lawrence? Sto facendo un post su Hunger Games e lei l’ho menzionata appena? Un attimo e ci arrivo…
Prima voglio parlare di Jumanji. Al di là dei riferimenti al mito greco di Teseo contro il Minotauro, o a film come Battle Royale, Rollerball e The Running Man, rivisti però in una chiave più moderna, con tanto di sguardo parodistico nei confronti dei vari reality, talent e survival show e con tanto di storie d’amore in bilico tra realtà e fantasia come quelle di Tom Cruise, gli Hunger Games mi hanno fatto tornare in mente Jumanji, pellicola con Robin Williams e Kirsten Dunst tra i miei cult infantili assoluti. Anche qui i protagonisti sono “costretti” a partecipare a un gioco loro malgrado e non c’è niente da fare, devono partecipare fino alla morte o fino alla vittoria, superando una serie di prove assurde con animali pericolosi, avverse condizioni climatiche, persino un clima più secco di quello che ci sarà ai prossimi Mondiali in Brasile, e quant’altro. Un gioco spietato, alla faccia dei film per ragazzi. Certo, la violenza in Hunger Games non è mai esibita in maniera eccessiva, ma se vi aspettate una pellicola splatter potete rivolgervi altrove, perché i film di questa serie non sono horror, e non sono nemmeno tanto robe sci-fi o fantascientifiche. Hunger Games in realtà è soprattutto una saga… politica.

POLITIK
Hunger Games è una saga che, alla faccia degli scettici, ha qualcosa da dire, a livello socio-politico. Insomma, a livello politico ha molte più cose da dire di un – faccio un nome del tutto a caso – Matteo Renzi. Ma lasciamo perdere Renzi, in fondo, come dice la frase simbolo della pellicola: "Ricorda chi è il tuo nemico." E il nemico vero resta sempre BerluSnow.
Con Hunger Games non siamo ai livelli di 1984 di George Orwell, va bene, ve lo concedo, però per essere una serie rivolta prevalentemente agli adolescenti (ma poi mica tanto) è molto più impegnata delle altre saghette fantasy e young adult in circolazione. Harry Potter – tanto per fare un altro nome a caso – di che parla? È la solita favoletta per bambini sul Bene contro il Male, ed è anche caruccia e tutto, ma quali connessioni ha con l’attualità, con la società?
Non vi viene in mente niente?
Vi do un piccolo suggerimento: nessuna.

Hunger Games è inoltre un esempio di moderno femminismo. Come Buffy, come le girls di Spring Breakers, come – massì esageriamo – come le Pussy Riot. Katniss è un’eroina dei nostri giorni che non ha bisogno di essere protetta dagli uomini, come ad esempio la Bella di Twilight sempre in attesa di essere salvata dal vampiro vegano o dal lupacchiotto mannaro a torso nudo. È semmai Katniss a salvare sia Peeta, che vabbè più che un uomo è un derelitto umano, che Gale/Liam Hemsworth, fustigato in una scena quasi sadomaso per la gioia di tutte le sue fans. Persino Miley Cyrus dopo aver visto tale sequenza ha abbandonato per un attimo martelli, libri, vibratori e altri oggetti vari e ha ripreso interesse nei suoi confronti.
Katniss è una moderna Che Guevara, una Salvatrice, un’ispiratrice di una sommossa popolare, persino al di là di quelle che sono le sue intenzioni. Come spesso avviene, com’è accaduto probabilmente anche a Gesù Cristo, la gente tende a mitizzare alcune persone e a prenderle da esempio e loro magari lì per lì non si rendono nemmeno conto di questa enorme responsabilità. È quanto capita a Katniss Everdeen. Lei punta semplicemente a sopravvivere e a far sopravvivere la sua famiglia, più che a sfidare il Sistema, eppure con i suoi gesti diventa un modello da seguire per la popolazione del suo e pure degli altri distretti. È un’eroina, suo malgrado, attuale più di tutti quei bidu mascherati della Marvel o di Superman.
E dopo paragoni con Superman, Gesù, il Che, le Pussy Riot e quant’altro, forse è meglio se la chiudo qui perché sto cominciando a sproloquiare un tantino. Forse.

JENNIFER LAWRENCE E IL RESTO DEL CAST
Stavo per chiudere il post senza manco parlare di Jennifer Lawrence?
Pensavate veramente che vi potessi tirare un brutto scherzetto del genere?
Per chi mi avete preso, per il perfido Presidente Snow/Donald Sutherland?
Avrei potuto sì, perché per Jennifer Lawrence le parole ormai sono quasi superflue, però non lo farò. Se nel primo episodio già se la cavava bene, questa volta, forte dell’Oscar vinto per il bellissimo Il lato positivo, ha tirato fuori un’interpretazione ancora più positiva. Potete essere fan scatenati delle saghe di Twilight e di Harry Potter fin che volete, però dai, non si può nemmeno paragonare le performance attoriali dei loro protagonisti. Disse uno che ha appena paragonato Katniss Everdeen a Jesus.
Jennifer Lawrence è di un altro pianeta rispetto agli imbambolati (senza offesa per le bambole) Kristen Stewart e Daniel Radcliffe. Per quanto alcuni elementi della saga di Hunger Games possano magari anche essere considerati debolucci, Katniss Everdeen viene fatta vivere su grande schermo da una straordinaria Jennifer Lawrence, come in altri filmoni commerciali non capita spesso mai di vedere. Basta un suo solo sguardo, e ti fa la sequenza da sola. Cito ad esempio ATTENZIONE SPOILER il finale FINE SPOILER, oppure la scena in ascensore.
Non so bene perché, ma negli ultimi tempi l’ascensore sta diventando una location ideale per girare grandi scene. Qui non si raggiunge il sublime come in Drive, però in ascensore avviene il momento più divertente della pellicola, con Jena Malone che si spoglia davanti agli occhi di Woody Harrelson e Josh Hutcherson, scatenando la gelosia di Jennifer che le regala un’occhiataccia impagabile.


Che poi ci sono Jennifer Lawrence, Jena Malone, Woody Harrelson, Josh Hutcherson e c’è pure Philip Seymour Hoffman, l’altro premio Oscar della pellicola Philip Seymour Hoffman. E c’è anche Amanda Plummer che era tipo dai tempi di Pulp Fiction che non la vedevo!!!
Ma Porco Snow, come si può non amare un film con un cast del genere?

LA FINE DEI GIOCHI
Che altro vi posso dire?
Adoro la saga di Hunger Games e se questo mi rende un bimbominkia, lo accetto. Tanto lo ero comunque. E poi zitti voi che magari vi sono piaciuti i robottoni di Pacific Rim ma la quarta elementare l’avete finita da un pezzo…
C’è poco da fare. Chi più, chi meno, siamo tutti bimbiminkia. Sì, anche voi che state leggendo storcendo la boccuccia. E io, io sarò bimbominkia per Katniss Everdeen forever!
(voto 7,5/10)


mercoledì 18 settembre 2013

UNA FRAGILE ARMONIA, NON UNA FRAGILE PELLICOLA




Philip Seymour Hoffman che suona
Una fragile armonia
(USA 2012)
Titolo originale: A Late Quartet
Regia: Yaron Zilberman
Sceneggiatura: Seth Grossman, Yaron Zilberman
Cast: Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Christopher Walken, Mark Ivanir, Imogen Poots, Liraz Charhi, Wallace Shawn, Nina Lee
Genere: classico
Se ti piace guarda anche: Una canzone per Marion, Il concerto

Qual è la differenza tra una rock band e un quartetto d’archi?
La rock band brinda alla figa. Il quartetto d’archi brinda alla Fugue, intesa come fuga musicale (vi rimando a Wikipedia perché non sarei in grado di spiegare cos’è con parole mie), e intesa come nome del gruppo messo insieme dai protagonisti.

"Viva la fugue!"

Questo per darvi subito l’idea della pellicola che vi troverete davanti, se mai vi avventurerete in una visione simile. Capite bene che si tratta di un film dai toni assai differenti da un Almost Famous, tanto per citare un altro film a tema musicale.
Se siete patiti di musica classica, comunque, questo film vi farà venire. È come 8 Mile, con la classica al posto del rap. La colonna sonora comprende interpretazioni di brani di Beethoven, Haydn, Bach, Strauss, più pezzi originali creati dal grande Angelo Badalamenti, che qui dimentica le atmosfere inquiete di Twin Peaks e dei lavori fatti per il suo compare preferito David Lynch e si concentra pure lui in una serie di composizioni molto… classiche, indovinato!
In più, tutti i personaggi parlano di musica classica, suonano in teatro, in studio, oppure si esercitano, o insegnano. Insegnano cosa? Matematica? Letteratura? Educazione fisica?
Ma va. Insegnano musica classica, ovviamente.

Gente che suona

Philip Seymour Hoffman, che qui interpreta la parte del secondo violinista della band, ascolta musica classica persino facendo jogging. Io per andare a correre ascolto invece soprattutto roba dubstep o hip-hop o pop-rock o comunque dotata di un certo ritmo (ma non con bpm troppo elevati, devo mica fare i 100 metri piani).
Ecco qui, giusto per spezzare l’andatura classica del post, la playlist dei pezzi che mi caricano di più per correre al momento, ascoltabile con Spotify. E se non avete Spotify siete più superati di P.S. Hoffman e dei suoi amichetti del quartetto d’archi.




Nonostante Una fragile armonia sia l’apoteosi della celebrazione della musica classica, il film riesce ad appassionare e coinvolgere anche i meno patiti del genere. Oddio, se proprio odiate la classica con tutti voi stessi, preferirete una mazzata sulle palle piuttosto che immergervi in tale visione, ma se il genere non vi fa del tutto schifo, qui vi ritroverete di fronte a un film con un’atmosfera molto classica, girato anch’esso in maniera classica, leggermente da indie movie radical-chic Sundance classic syle ma non troppo, e interpretato alla grande. In modo sì un po' classico, ma comunque alla grande. I 4 protagonisti membri del quartetto fanno a gara a chi è più bravo. Sia a livello musicale, e qui vince il meno conosciuto del lotto, l’attore ucraino Mark Ivanir, sia a livello recitativo, e qui invece ad avere la meglio è il solito enorme Philip Seymour Hoffman. Bravi pure Christopher Walken e Catherine Keener, mentre la rivelazione è Imogen Poots, giovane bionda già avvistata ne I segreti della mente – Chatroom  e Fright Night – Il vampiro della porta accanto, qui in grado di tenere testa alla grande a un cast di simile livello e pronta quindi a stupirci ancora, in futuro.
Segnatevi il suo nome. Lo ripeto a scanso di equivoci: Imogen Poots, non Imogen Boobs.

Una gnocca che suona

Oltre a beccarvi un cast in formissima, se non siete patiti di classica perché mai dovreste guardarvi un film come questo?
Perché, insieme alla parte più strettamente musicale, Una fragile armonia ci fa anche entrare dentro la vita dei membri del quartetto d’archi, ci fa sentire tutte le tensioni che si sono accumulate tra loro in 25 anni di collaborazione e che esplodono quando il più vecchio, Christopher Walken, annuncia l’imminente ritiro per via del Parkinson.
Musica classica, Parkinson…
E che due maroni! Mi rendo conto che non possano essere gli argomenti più appealing per la visione di un film. Superato lo scoglio del primo movimento, Una fragile armonia si rivela però a sorpresa una sinfonia potente, che fluisce alla grande e con tutti gli strumenti che si incastrano alla perfezione: musica, malattia, ma anche amori e passioni che trascinano fino alla fine, magari non come un’opera di Beethoven, ma sicuramente più di una composizione di quel bidone musicale che risponde al nome di Giovanni Allevi.

Ancora gente che suona

Non sarà la pellicola più divertente e d’intrattenimento dell’anno, eppure Una fragile armonia merita un ascolto, pardon una visione. Anche perché, come spiega in una splendida scena del film Christopher Walken ai suoi studenti di musica, parlando di un suo collega:

Casals metteva in rilievo le cose buone, quelle che gli erano piaciute. Era incoraggiante. E il resto, lasciatelo agli imbecilli o, come si dice in spagnolo, chi giudica contando gli errori.

È quello che si cerca di fare anche qui, a Pensieri Cannibali, almeno nei giorni positivi. A parte le volte in cui ci si diverte a demolire del tutto qualche sciagurato film, come ad esempio World War Z, si cerca sempre di trovare del buono anche in pellicole che non sono dei capolavori. E Una fragile armonia non è un capolavoro, ma è un film tutt’altro che fragile e che al suo interno ha delle cose buone. Parecchio classiche, però buone.
(voto 7/10)


Tanto per cambiare, della gente che suona


lunedì 4 marzo 2013

THE MASTER, UN FILM SU SCIENTOLOGY NON SU OSCAR GIANNINO

The Master
(USA 2012)
Regia: Paul Thomas Anderson
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Cast: Joaquin Phoenix, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams, Rami Malek, Ambyr Childers, Jesse Plemons, Amy Ferguson, Laura Dern, Madisen Beaty
Genere: magistrale
Se ti piace guarda anche: Il petroliere, Arancia Meccanica, Kynodontas

Dì il tuo nome.
Cannibal Kid.

Ripetilo.
Cannibal Kid.

Ripetilo.
Cannibal Kid.

Ripetilo.
Veramente mi chiamo Marco Goi.

I fallimenti del passato ti tormentano?
Avessi avuto anche dei grandi successi, probabilmente sì. Non avendone avuti, i fallimenti non mi disturbano più di tanto.

Credi che Dio ti salverà dalla tua ridicolaggine?
No, sarebbe una missione troppo grande persino per lui.

Conosci L. Ron Hubbard?
Intendi Ron, il cantante Rosalino Cellamare, quello di Vorrei incontrarti tra cent’anni?

No, non intendo Ron. Conosci L. Ron Hubbard?
Sì, l’avevo incontrato cent’anni fa in un’altra vita. Era una persona piacevole, cordiale, un gran mattacchione, uno che raccontava barzellette, cantava sulle barche, poi si è montato la testa, si è messo a fare il santone, a scrivere libri mistici, a fare terapie ipnotiche, a fondare sette… Io non ho niente contro le sette, né ho niente contro Scientology. Giammai. Non chiudetemi il blog, per favore. Non ho detto niente di male. Semmai parlo spesso bene di Tom Cruise. Ottimo attore. Ciao, Tom.

Ti è piaciuto The Master?
Mi è piaciuto, anche se è una visione a tratti scomoda e spiacevole, ma alla fine nel post-visione mi ha travolto come le onde della prima inquadratura mi avevano fatto immaginare. Io da Paul Thomas Anderson mi aspetto sempre un masterpiece. Va detto che con questo film ci è solo andato vicino. Vicinissimo. Il suo The Master non regala un’enorme soddisfazione immediata, ma è comunque una di quelle pellicole che rimangono, che ti si appiccicano addosso, che non si dimenticano facilmente. E poi ha una prima parte splendida. Raggiunge picchi di intensità giganteschi soprattutto nel confronto tra Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman. Che due attori pazzeschi che sono. Fanno a gara a chi è più bravo dell'altro e alla fine non si riesce mica a scegliere. Anzi sì: Joaquin Phoenix è gigantesco. Da Oscar. Altroché Daniel Green Day Levi’s. Amy Adams pure lei è brava, però il suo ruolo è abbastanza marginale e la nomination agli Oscar è già stata generosa.
Nella seconda parte invece il film si smarrisce un pochino. Come chi si affida a un culto per trovare la sua via, perché non sa fare altrimenti. E poi nel finale si ritrova. Allontanandosi dal culto e cercando la libertà. In pratica è un capolavoro a metà. Un master, ma non un masterpiece.

"Certo che questo Cannibale le spara più grosse di Hubbard..."
Quindi ti è piaciuto o non ti è piaciuto, The Master?
Un film come questo va oltre il concetto di piacere o non piacere. È un’opera totale talmente grande che la sua intera portata non può essere colta immediatamente. È come se esistesse da sempre, da un trilione di anni. Nella sceneggiatura qualche elemento forse sarebbe perfettibile, ma chi sono io per pensare anche solo di criticare un lavoro del genere? Un film come questo richiede trilioni di anni di debolezze ed errori per essere compreso in pieno.

Cosa ne pensi di Paul Thomas Anderson?
Io adoro Paul Thomas Anderson, ieri ho pure dedicato un post tutto a lui e ai suoi film precedenti. Le aspettative che avevo nei confronti di questo suo nuovo lavoro erano quindi esorbitanti, troppo. Io venero Paul Thomas Anderson come gli adepti di Scientology adorano il grande L. Ron Hubbard. Ho detto grande, visto? Non ho intenzione di parlarne male. Non boicottatemi il sito, vi prego scientologisti. E con vi prego non intendo in senso religioso. A meno che non vogliate che lo faccia in senso religioso.

"Che puzza! Chi l'ha sganciata?"
Cosa ne pensi di Paul Thomas Anderson?
Come dicevo, io venero Paul Thomas Anderson e qui dirige davvero da Dio. Sia detto senza offesa per alcun altro credo o culto religioso, chiaro? Io non voglio offendere nessuno e non voglio che la grande e potente Scientology mi faccia causa in alcun modo. Io rispetto Scientology e anche questo film lo fa. Comunque il St. Paul Thomas Anderson dirige con uno stile ancora più classicheggiante rispetto ai primi tempi, non troppo distante da Il petroliere. Il tono è altrettanto solenne, eppure qui dentro ci sono alcune scene che mi hanno fatto molto ridere. A tratti ho pensato che The Master fosse una commedia. Tutti l’hanno spacciato per un filmone serio e serioso e in parte lo è. In alcune scene è invece assolutamente divertente. Qualcuno potrebbe pensare sia una presa per i fondelli di Scientology, del solo e unico L. Ron Hubbard cui il personaggio di Philip Seymour Hoffman è vagamente ispirato, però non lo è. È profondamente rispettoso del culto di questa setta, pardon religione, del suo fondatore e master supremo, delle sue tecniche di ipnosi all’avanguardia fondamentali per entrare in contatto con la propria anima e superare i propri problemi personali. Sì, è un film rispettoso. Non è una presa per i fondelli di Scientology. Almeno Credo.

Pensi che a L. Ron Hubbard sarebbe piaciuto questo film?
Il grande solo unico e onnipotente L. Ron Hubbard era davvero un personaggio. Un personaggione. Una sagoma. Sono andato a spulciare qualche informazione su di lui su Wikipedia, che potremmo considerare un po’ la Bibbia del sapere moderno o, se preferite, per usare un linguaggio più scientologista, è il Dianetics per noi che navighiamo su Internet. Dando una rapida occhiata, Hubbard ha avuto una vita parecchio interessante. Piena di aspetti affascinanti così come di lati oscuri. Penso che L. Ron Hubbard avrebbe desiderato una pellicola a lui interamente dedicata. Cosa che The Master non è. È un film solo in parte su di lui, o meglio sul suo alter ego Lancaster Dodd interpretato da Philip Seymour Hoffman. O che forse il suo vero alter ego nel film sia Freddie Quell, il personaggio di Joaquin Phoenix? Anche Hubbard in fondo ha iniziato dalla marina militare… La mia è solo una supposizione. Con il massimo rispetto per il grande L. Rosalino Cellamare Hubbard, sia inteso.

"Splendido post, Cannibal. Scientology approva."
Pensi che a Tom Cruise sia piaciuto questo film?
Paul Thomas Anderson ha regalato a Tom Cruise uno dei ruoli più memorabili della sua carriera, Frank T.J. Mackey di Magnolia, anche lui a suo modo un master, un master su come rispettare il cazzo e domare la fica. Un master rispettabile pure lui. Credo che Tom Cruise abbia un po’ storto il naso all’idea di un progetto come questo The Master vagamente ispirato a Scientology, ma poi si è reso conto che quella è solo una vaga ispirazione iniziale e la pellicola esplora anche altre tematiche e, insomma, ci poteva andare giù molto più pesante nei confronti della setta, pardon della religione di cui Cruise è adepto, pardon seguace, pardon finanziatore, pardon membro.
Il film parla anche d’altro, oltra alla Causa simil Scientology. Parla del rapporto tra maestro e allievo. Tra guru e adepto. Tra padrone e asservito. Di come il primo sia niente senza il secondo. Il rapporto che si instaura tra Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix mi ha ricordato un po’ quello tra il padre padrone e i figli in Kynodontas. Il suo modo di istruirli, di educarli, non è così lontano. Più che un rapporto tra due uomini alla pari, che poteva sfociare in un buddy movie oh yeah, The Master ci presenta un rapporto tra uomo e animale. O quello che lui considera un animale.
Il film poteva poi essere anche una pellicola romantica. A un certo punto ci illude, con il rapporto tra il marinaio io vagabondo che son io Joaquin Phoenix e la giovane verginale Doris, interpretata da Madisen Beaty, possibile nuova Evan Rachel Wood e sti cazzi. Il film in questa parte sembra possedere un cuore e invece no. Paul Thomas Anderson non ci sta. Il suo è un film più cerebrale che di cuore e questo è un suo limite. Vorresti amare The Master ma non ce la fai. Non del tutto. È però anche un suo pregio perché così non scivola nel solito polpettone romantico. E poi PTA aveva già detto tutto quello che c’era da dire sull’amore nello splendido sottovalutatissimo Ubriaco d’amore, così come nel finale di Magnolia sulle note di Save Me. Cos’altro poteva aggiungere?
The Master non è un film sull’amore. È un film sulla solitudine dei numeri primi. È un film su un maestro e sul suo discepolo e sul suo discepolo che sfugge a una Cura Ludovico di kubrickiana (a proposito di Maestri) memoria e alla fine a sua volta diventa maestro. Seppure a modo suo. Seppure nella variante più sessuale. Perché The Master è più un film sul sesso, che sull’amore. Sugli istinti primoridiali e su come il potere della mente possa domarli. O non possa domarli.

"Se ti conci così, non lamentarti poi se non ti danno l'Oscar..."
Da un film che si intitola The Master ti aspettavi una pellicola erotica sul bondage, vero?
No, lo smentisco in maniera categorica.

Da un film che si intitola The Master ti aspettavi una pellicola erotica sul bondage, vero?
Ok. Lo ammetto. Paul Thomas Anderson, il tuo film è notevole, però una bella scena di bondage la potevi anche mettere. O dobbiamo aspettare che esca la porno parodia con Sasha Grey?

Cosa ne pensi di Scientology, per davvero?
Io ci tengo a ribadire fortemente un concetto: io non ho niente contro la sette, pardon le religioni. Questo post è stato assolutamente rispettoso di Hubbard, di Tom Cruise e di Scientology. Proprio come The Master.
O forse no?
(voto 8,5/10)



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