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lunedì 25 giugno 2018

A casa Muccino tutti bene, ma non benissimo





A casa tutti bene
Regia: Gabriele Muccino
Cast: Stefano Accorsi, Carolina Crescentini, Elena Cucci, Tea Falco, Pierfrancesco Favino, Claudia Gerini, Massimo Ghini, Sabrina Impacciatore, Gianfelice Imparato, Ivano Marescotti, Giulia Michelini, Sandra Milo, Giampaolo Morelli, Renato Raimondi, Stefania Sandrelli, Valeria Solarino, Gianmarco Tognazzi, Elisa Visari


Gabriele Muccino is back in Italy!

Aò, ma come sto a parlà? Gabriele Muccino è finalmente tornato in Italia dopo aver fatto il figo, o cercato di fare il figo a Hollywood, li mortacci sua. Per qualche tempo gli è anche andata bene, a sto fijo de na... ma non benissimo. Ha girato il film peggiore e più ruffiano della sua intera carriera, e forse dell'intera storia del mondo, ovvero La ricerca della felicità, con cui ha ottenuto un grande successo di pubblico, il plauso della critica e pure una nomination agli Oscar per l'interpretazione del principe de Tor Vergata... volevo dire de Bel-Air. Poi con Sette anime la gente ha cominciato a rendersi conto che i film ammericani di Muccino erano delle gran fregnacce e la fortuna ha cominciato a voltargli le spalle.

domenica 11 febbraio 2018

Sanremo 2018: L'Italia è una vecchia che balla e un Baglioni che canta





La vita è troppo breve per sprecarla a guardare Sanremo. E Sanremo è troppo lungo per essere umanamente sopportato.
Quest'anno non ho visto il Festival. Io sono fatto così: o faccio una full immersion 5 serate su 5 senza perdermi un istante, commentando tutto ma proprio tutto, compresi gli spot, sputando veleno in ogni occasione, oppure ignoro l'evento del tutto.
Allora uno a questo punto si chiede: “Va beh, 'a stronzo, ma allora 'sto post a che serve?”.
Serve per consigliarvi di non guardarlo. Potete trovare di sicuro di meglio da fare. E serve per aggiungere che a dirla tutta non è che l'ho ignorato del tutto. In Italia è impossibile. Anche se non lo guardi direttamente, Sanremo è nell'aria. È ovunque. E così qualcosina l'ho seguita. Poco in diretta. Giusto qualche momento della prima serata. Molto in differita, tra sito Rai Play, YouTube e social. Mi sono anche scaricato la compilation del Festival e così ho fatto i compiti a casa, dando un ascolto alle canzoni. Per alcune è stata davvero dura.
Da quanto ho visto e sentito, e da quanto non ho visto e non ho sentito, queste sono le mie impressioni.
E comunque i primi 3 classificati, ovvero i vincitori Ermal Meta e Fabrizio Moro, Lo Stato Sociale e Annalisa, per una volta tanto non sono niente male!


mercoledì 4 ottobre 2017

Tra moglie e marito non mettere una recensione, mettine due





Moglie e marito
Regia: Simone Godano
Cast: Kasia Smutniak, Pierfrancesco Favino, Valerio Aprea, Francesca Agostini, Gaetano Bruno, Paola Calliari, Marta Gastini

+

Qualcosa di troppo
Titolo originale: Si j'étais un homme
Regia: Audrey Dana
Cast: Audrey Dana, Eric Elmosnino, Alice Belaïdi, Christian Clavier


Le recensioni di lui nel corpo di lei

Vivere senza cazzo è un po' come vedere la Roma senza Totti: se pò fà, ma è una gran sofferenza. Devo però riconoscere che anche la vagina qualche soddisfazione sta cominciando a darmela. Tralasciando la cosa del sanguinamento che è allucinante. Dio, certo che a te le donne devono aver fatto davvero soffrire parecchio, per infliggere loro una punizione del genere.
In compenso, gli orgasmi ora sì che sono una bomba. Daje! Com'è che diceva quel tipo in Trainspotting? Prendete l'orgasmo più forte che avete mai provato. Moltiplicatelo per mille. Neanche allora ci siete vicini. Ecco qualcosa del genere.
Inoltre, che figata è avere le tette? Vogliamo parlarne?
Forse meglio di no, che non vorrei risultare troppo sboccato e ora che sono dentro a un bel corpo femminile mi sento più aggraziata... volevo dire aggraziato.

lunedì 26 ottobre 2015

Suburra - Ma fija de 'na miggnotta Capitale





Suburra
(Roma 2015)
Regia: Stefano Sollima
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Giancarlo De Cataldo, Carlo Bonini
Tratto dal roma-nzo: Suburra di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo
Cast: Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Giulia Elettra Gorietti, Greta Scarano, Antonello Fassari, Adamo Dionisi, Jean-Hugues Anglade
Genere: romano de Roma
Se ti piace guarda anche: Gomorra - La serie, 1992, La grande bellezza

Aò, 'a stronzi!
'A bbrutti fiji de 'na miggnotta!
Lo so che avete fatto. Avete visto Suburra, ma nù l'avete vvisto ar cine. L'avete visto a scrocco senza pagà sur l'Internette ed è 'na cosa che nù se fa'. Manco li Casamonica lo farebbero. Dovete sostenere er cine itajano. Er cine finanziato dà reggione Lazio. Basta che nù siate da' Lazio.
Mejo 'n fijo che guarda I Cesaroni, che 'n fijo da' Lazio!
E a proposito de Cesaroni, ma che l'avete visto Amendola, porcoddue?

mercoledì 29 gennaio 2014

RUSH, LA RECENSIONE SFIDA




La recensione di Rush di James Hunt
Wooo oooh, che sballo di film!!!
Ovviamente intendo le parti in cui ci sono io. Davvero cool ed esaltanti. Le scene in cui c’è Niki Lauda invece sono noiose e quelle potete mandarle avanti veloce, che tanto non vi perdete nulla. Il resto del film però è una bomba, con belle fighe, belle corse e bella musica. Continuo a vedermelo e a rivedermelo, anche perché non è che abbia poi molto altro da fare, qua. Mi hanno sbattuto in Purgatorio per via di quell’incidentino capitato a Niki. Un po’ è stata colpa mia lo ammetto, però adesso il grande capo spero mi prenda presto lassù in Paradiso con sé. O che altrimenti mi spedisca giù all’Inferno, dove pare diano dei party grandiosi a cui non mi spiacerebbe affatto partecipare. Qua in Purgatorio sto anche seguendo quanto capita a Michael Schumacher. È una cosa noiosa tipo le scene di Niki Lauda in ospedale, però il finale è da thriller. Il grande capo non ha ancora deciso quale destino affidargli. A lui comunque un poco ci tengo, perché Michael Schumacher come pilota era un precisino in stile Lauda e come uomo pure, eppure qualcosa in comune ce l’abbiamo: sia io che lui non si sa bene se siamo buoni o cattivi. Boh, chissà? Non lo sappiamo nemmeno noi. L’unico che può stabilirlo è il grande capo lassù. Sperando prenda una decisione al più presto, ché la cosa sta cominciando a diventare un pochetto pallosa. Prenderà Schumi con sé in Paradiso, lo spedirà all’Inferno, lo manderà da me in Purgatorio così avrò finalmente un rivale alla mia altezza con cui fare le gare, oppure deciderà di tenerlo ancora un po’ sulla Terra?
(voto di James Hunt 7,5/10)


La recensione di Rush di Niki Lauda
Allora. Non state a dar retta a quello stordito di James Hunt. Sì, in alcuni momenti il film Rush è uno “sballo”, come piace dire a lui che è morto ma si crede di essere ancora un ggiovane, mentre per altri aspetti lo è di meno. Analizziamo allora la pellicola in maniera razionale. Ci sono alcune cose che funzionano, altre meno, altre sono migliorabili, come la Ferrari, quella macchina di merda che mi avevano dato da guidare e che io ho contributo a rendere un vero “sballo”.

Questi americani. La prima cosa che si nota è che ci mettono sempre un sacco di enfasi e di retorica. Quella buona per commuovere il grande pubblico, ma con me non funziona, anche se il film parla di me. Di me e di quell’altro. James Hunt. È vero che tutto sommato lo stimavo e sono vere le parole inserite a fine pellicola. Però è una cosa che ho detto una volta in un momento di debolezza, in un determinato contesto e quindi adesso non è che James Hunt fosse la mia persona preferita nell'intero mondo. Sì, è stato un buon rivale, ma non ingigantiamo la cosa più del necessario, sebbene agli americani piaccia tanto ingigantire le cose. Quindi sì, io James Hunt lo stimavo, ma non è che lo amavo o cosa, che credete?

Nonostante le mie riserve per un progetto del genere, mi tocca comunque ammettere che sono riusciti a portarla bene sullo schermo, la nostra sfida, questi dannati americani. Questo dannato Ron Howard, uno di cui, tra blockbusteroni come Il codice da Vinci e schifezze come Il dilemma e Il Grinch, non è che mi fidassi molto. Eppure qui fa il suo dovere, diligente e poco fenomenale a livello registico, ma efficace quel che basta. Già la nostra sfida è stata epica di suo, figuriamoci con tutti i mezzi del grande cinema hollywoodiano. Il film allora funziona. È un buon intrattenimento. Corre via veloce in tutte le sue parti, soprattutto quelle che vedono me protagonista, ovvio. Le scene con James Hunt saranno anche fighe e divertenti e tutto, peccato il suo personaggio abbia ben poca sostanza. La vera anima della pellicola sono io. Io che rappresento un tipo di pilota diverso dal solito. Un “nerd” se volete, almeno in confronto a quello spaccone di un bellone di un campione di un James Hunt. Prima un nerd e poi, dopo l’incidente, un mostro. È lì che si cela il vero spettacolo del film. Belle e palpitanti le gare, ma a far risultare vincente la pellicola è principalmente il mio personaggio, e diciamolo senza troppa modestia.

Per il resto, la pellicola qualche lacuna e qualche difetto lo presente. Adesso io non è che me ne intenda di cinema quanto di automobili. In quanto rompipalle precisetti della situazione non posso comunque fare a meno di notare come la regia di Ron Howard sia persino troppo classica e patinata. La sceneggiatura firmata da Peter Morgan (quello di Frost/Nixon e Hereafter), per quanto perfettamente orchestrata, lascia poi vari aspetti in superficie e si limita a puntare soprattutto sulle parti più spettacolari della vicenda. I personaggi femminili (quelle fregne di Olivia Wilde e Natalie Dormer più l’affascinantissima Alexandra Maria Lara) hanno lo spessore di una figurina e la parte italiana… beh, su quella meglio stendere un velo pietoso. Per interpretare Clay Regazzoni non c’era davvero nessuno meglio di Pierfrancesco Favino? Non so, a 'sto punto tra un po' ingaggiavano Beppe Fiorello... E quei due tizi italioti che mi offrono un passaggio a un certo punto della storia?
Ma che davero?
Comunque dai, la smetto di fare il precisetti della situazione e dico che tutto sommato questo film mi è piaciucchiato. Tra tutte le cose, ce n’è però una che non mi va davvero giù. Per fare James Hunt hanno preso quel figaccione di Chris Hemsworth e per interpretare me hanno chiamato Daniel Brühl?
Bravissimo attore, eh, però fisicamente non credo mi somigli molto. Io avrei optato per qualcun altro. Non so, Brad Pitt ad esempio. O Ryan Gosling. Sì, quello che in Drive stava sempre in auto. Non potevano prendere lui? Sembriamo gemelli separati alla nascita, non credete?
(voto di Niki Lauda 6,5/10)


Rush
(USA, Germania, UK 2013)
Regia: Ron Howard
Sceneggiatura: Peter Morgan
Cast: Chris Hemsworth, Daniel Brühl, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Natalie Dormer, Pierfrancesco Favino, Stephan Mangan
Genere: veloce
Se ti piace guarda anche: Driven, Giorni di tuono, Cars
(voto di Cannibal Kid 7/10)


martedì 17 settembre 2013

WORLD WAR ZUMBA




World War Z
(USA, Malta 2013)
Regia: Marc Forster
Sceneggiatura: Matthew Michael Carnahan, Drew Goddard, Damon Lindelof
Ispirato al romanzo: World War Z di Max Brooks
Cast: Brad Pitt, Mireille Enos, Daniella Kertesz, Matthew Fox, James Badge Dale, David Morse, Peter Capaldi, Pierfrancesco Favino, Fana Mokoena, Moritz Bleibtreu, Ruth Negga, Abigail Hargrove, Sterling Jerins
Genere: mortale
Se ti piace guarda anche: Io sono leggenda, Independence Day, The Walking Dead

Le epidemie si diffondono in maniera rapida e inspiegabile. La mania per la Zumba Fitness, ad esempio, non ha alcun senso. Un giorno nessuna l’ha mai sentita nominare e il giorno dopo sembra che tutti la pratichino o la vogliano praticare. In palestra, sulle spiagge, per strada. Perché una disciplina che si basa sul muoversi come degli spastici alle note di musica di merda ha avuto un così rapido e globale successo?
Un’epidemia ugualmente inspiegabile si diffonde in World War Z, con la differenza che gli zombie sono meno letali della Zumba. A un certo punto, da un momento all’altro, sbucano fuori da tutte le parti dei morti viventi e si moltiplicano sempre più. Come i seguaci della zumba. Fino a che non si riesce a trovare un vaccino. Nel caso della zumba, un buon rimedio possono essere dei tappi per le orecchie, nel caso degli zombie, se esiste una cura, la scoprirete forse solo morendo o guardando questo film. Non so quale delle due cose sia peggio.

Approcciandosi con World War Z, non bisogna commettere l’errore di aspettarsi un film sugli zombie. Sì, gli zombie ci sono. Ce ne sono a tonnellate. Ce ne sono più che in qualunque film di Romero, anche perché probabilmente questo film è costato più di tutti i film di Romero messi insieme e con la computer grafica ne hanno potuti aggiungere a iosa.
“Che facciamo oggi? Aggiungiamo qualche idea alla sceneggiatura, che è parecchio scarsuccia?”
“Ma no, aggiungiamo degli zombie al computer.”
“Evviva!”

"Aggiungiamo altri zombie, non ce ne sono ancora abbastanza!"

World War Z non è un horror. È il più classico dei classici film catastrofisti o di invasioni di alieni, solo che negli ultimi tempi vanno forte gli zombie e allora, anziché qualche calamità naturale o gli alieni, ci hanno messo gli zombie.
World War Z assomiglia così a Sharknado, solo realizzato con quasi 200 milioni di dollari in più, recitato un filo meglio ma non troppo e con miriadi di zombie che sostituiscono le miriadi di squali. Peccato sia anche molto meno divertente. Se volete un altro paragone assurdo dei miei, World War Z è come la trasposizione cinematografica di The Walking Dead se la girasse Roland Emmerich. Solo che il nome del regista in questo caso è quello di Marc Forster.
Marc Forster nella sua carriera ha girato un sacco di film molto differenti tra loro, da Monster’s Ball a Il cacciatore di aquiloni, è passato dal raccontare la vita dell’autore di Peter Pan in Neverland a quella di 007 in Quantum of Solace, passando per la commedia grottesca Vero come la finzione e il thriller onirico Stay – Nel labirinto della mente. Potete chiamarlo un regista versatile, io preferisco chiamarlo un regista mercenario. Gli danno dei soldi e lui gira il film, senza metterci un minimo di tocco personale. Niente di male in questo, però non chiamatelo Autore. Forster qui oltre che confermarsi anonimo, offre per di più una pessima prova di regia anche a livello di cinema mainstream, soprattutto nelle scene d’azione, fracassone e concitate, ma del tutto prive di ritmo. Come la maggior parte delle persone che si cimentano con la Zumba.
Le scene di inseguimento con gli zombie sono appassionanti quanto vedere un tuo amico che gioca a Resident Evil. Vorresti giocare tu, ma lui non ti smolla il joypad e così l’unica cosa che ti resta fare è sperare che muoia. Non il tuo amico che sta giocando, solo il suo personaggio. Lo stesso vale per il film. Non vorresti vedere morire Brad Pitt o tanto meno Mireille Enos, la grande protagonista della purtroppo cancellata serie The Killing, solo vorresti veder morire i loro personaggi, in modo che possano recitare in qualche film migliore di questo.

"Ragazze, cantiamo una canzone? Come fa quella famosa dei Cranberries?"

In World War Z c’è pure Pierfrancesco Favino. No, chiariamolo subito: contrariamente a quanto si possa pensare, non ha la parte dello zombie. Errore madornale da parte del casting. Gli avessero affidato il ruolo dello zombie, il prossimo anno avremmo visto Favino in nomination agli Oscar come miglior attore non protagonista. Anche se il vero zombie del film è lui, il protagonistone assoluto, Brad Pitt. Sia che se ne stia tranquillo a casa sua, che in mezzo a un’armata di zombie, la sua espressione non cambia. Non è mai stato un attore fenomenale, ma certo che da quando sta con Angelina Jolie è peggiorato. D’altra parte, chi va con lo zombie impara a zombiecare.

"Daje Pierfrancé, 'nnamo a zappà la tera che è mejo!"

Certo che Brad Pitt, oltre ad essere imbambolato, in questo film porta pure sfiga. Dove va lui, inizia un’Apocalisse Zombie. In Israele ad esempio hanno costruito una muraglia per tenere fuori dalle palle i morti viventi, arriva lui e questi riescono a scavalcare, manco fossero fan dell’attore in calore. Il Brad Pitt comunque non si fa trovare impreparato; è abituato a sfuggire a orde di fans e quindi riesce a salvare la pellaccia. Gli va bene che non erano presenti delle Miley Cyrus arrapate, che quelle sono micidiali. Sono capaci di attaccarsi persino a un martello e manco uno esperto come lui riuscirebbe a salvarsi.

Se come film di zombie fa pena, anche come film apocalittico World War Z non funziona un granché. Il suo limite maggiore è il suo prendersi eccessivamente sul serio. Non ci sono momenti di alleggerimento e non c’è neanche una battuta. Nemmeno quando Brad Pitt si presenta a una tipa che ha perso una mano e le dice:
Comunque io mi chiamo Gerry” e lei risponde “E io mi chiamo Segen”, pronunciato Seghen. Voglio dire, la tipa è senza una mano e si chiama Seghen e a Brad non viene in mente di fare qualche battuta idiota? Sul serio?
Qualcosa tipo: “Per perdere una mano devi esserti data da fare non solo con l’esercito israeliano, ma pure con quello palestinese, vero?
Oppure: “Basta Seghen! Siamo in mezzo a un’Apocalisse Zombie, adesso non sono dell’umore.
O anche solo un innocuo: “Smettila di piagnucolare. Sei proprio una mezza Seghen.

Invece niente. Questo film fa sempre sul serio. Un’accusa del genere potrebbe essere mossa anche contro The Walking Dead, serie peraltro molto criticata in rete, però il bello del telefilm è un altro: la mancanza di speranza. In The Walking Dead ormai tutti, o quasi, si sono rassegnati a vivere in un mondo di zombie. Quella è la nuova realtà che devono accettare. World War Z è invece il solito film in cui non si accettano le cose come stanno e il solito eroe da solo, o quasi, contro tutti cercherà di salvare il mondo, riportandolo a ciò che era prima.
Ciò che stupisce è vedere che la sceneggiatura è stata firmata anche da Drew Goddard, l’autore del geniale Quella casa nel bosco, e da Damon Lindelof, uno dei co-creatori di Lost. Evidentemente, hanno dato una rilettura veloce allo script, hanno aggiunto i loro nomi e si sono intascati l’assegno da 6 zeri della produzione. Non c’è altra spiegazione.
Potrei fare il bravo e cercare di trovare qualcosa di buono, in questo film, ma davvero non mi viene in mente niente. Non c'è niente da salvare. World War Z è una pellicola di serie Z e fa schifo. Quasi quanto la zumba.
(voto 3/10)



Per rimediare al vero pessimo finale, Pensieri Cannibali vi svela
IL FINALE ALTERNATIVO DI WORLD WAR Z

Brad Pitt torna a casa e ad attenderlo c’è la moglie, Angelina Jolie.
“Angelina noooooooOOOOOOO!” grida guardandola. “Hanno trasformato anche te in una zombie. MaledettiiiiiIIIIIIIIIII!”
“Brad, ah stronzo. Ma che te urli? So’ sempre io, la Angelina tua, in (poca) carne e (tante) ossa e questa è la mia solita faccia super espressiva. Come diavolo fai a confondermi con uno zombie?”



lunedì 8 ottobre 2012

Un post in piedi in Paradiso

"Che voto c'ha dato, quel fetentone di Cannibal?"
Posti in piedi in Paradiso
(Italia 2012)
Regia: Carlo Verdone
Cast: Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Micaela Ramazzotti, Nicoletta Romanoff, Diane Fleri, Nadir Caselli, Maria Luisa De Crescenzo, Valentina D’Agostino, Giulia Greco
Genere: in crisi
Se ti piace guarda anche: Io, loro e Lara, L’amore è eterno finché dura, C’era un cinese in coma

Carlo Verdone ai tempi della crisi.
Basta una frase per riassumere per intero la sua “nuova” (si fa per dire) pellicola. Il resto, potete anche immaginarvelo da soli. Se avete familiarità con il suo cinema e soprattutto con le sue ultime prove, non avrete bisogno di una grande fantasia.
Se poi vi racconto in breve la trama, gli sviluppi successivi li capirete già da soli, senza nemmeno che io abbia il bisogno di spoilerarvi niente. Peccato, perché è un piacere perverso spoilerare. Sai che fai qualcosa di sbagliato, ma non puoi farne a meno. E allora voglio spoilerarvi il finale: alla fine tutti muoiono! Provano così a entrare in Paradiso ma sono in troppi, c’è più coda che alle poste italiane e allora rimangono in piedi. Da qui il titolo del film.

No, non è vero che va a finire così. In realtà, il vero finale è ancora più una cagata di questo.

"5? Ma come 5? Quello sta fuori!"
Torniamo alla trama del film, quella vera: Carlo Verdone e i prezzemolini del cinema italiano Marco Giallini e Pierfrancesco Favino sono tre uomini di mezza età che non si conoscono, ma che per casini personali e finanziari finiscono a vivere insieme. Espediente narrativo molto da sitcom, e infatti la inutile sitcom americana The Exes parte proprio da un’ideona del genere, che però può aprire a varie situazioni comiche e persino a riflessioni sulla situazione attuale, su come la crisi economica abbia cambiato gli stili di vita eccetera. Due porte che il film di Verdone apre anche, solo che: dal punto di vista comico è uno dei suoi film più avari di risate liberatorie e i momenti davvero esilaranti sono assenti; dal punto di vista “drammatico” è scontato, piatto, non dice niente di nuovo.

Quanto a Marco Giallini e Pierfrancesco Favino, alla faccia della crisi loro lavorano come due forsennati e dopo A.C.A.B. tornano pure a farsi vedere insieme. È vero che se la cavano discretamente bene pure qui alle prese con la commedia, almeno per gli standard nostrani, però un po’ di ricambio nelle facce del cinemino italiano no, eh?

"Carlé, ripetimi ancora: che voto hai detto che ci ha dato?"
"Solo 5, anche se c'è 'sta gran fregna della Ramazzotti con gli occhiali da hipster."
E poi, naturalmente, c’è la storia del Carletto con la donna più giovane. Che poi è il vero motivo per cui si mette d’impegno a lavorare su un film nuovo. Dopo le varie Claudia Gerini, Regina Orioli (ma che fine avrà fatto?), Natasha Hovey di Compagni di scuola (che fine avrà fatto pure lei?), la nevrotica Margherita Buy (una che era meglio perderla che trovarla) e la Laura Chiatti dell’ultimo Io, loro e Lara, è il turno ora di Micaela Ramazzotti. Micaela Ramazzotti, già ammirata in La prima cosa bella e - meglio precisarlo - NON parente dell’insopportabile Eros Ramazzotti, raccoglie in pieno il testimone di classica tipa verdoniana: immancabilmente fissata con uomini più vecchi - diciamo anche mooolto più vecchi - di lei, gnocca quanto stramba e naturalmente nevrotica. Ma non ai livelli di Margherita Buy, grazieDio.
Come gnocca bonus compare poi Diane Fleri, nei panni della ex di Verdone, perché non solo si deve fare donne molto ma molto più giovani di lui, ma deve pure divorziare da donne molto ma molto più giovani di lui.

"Tié, Cannibal. Tu su Metro ti puoi solo sognare di scrivere!"
Io comunque non gli riesco a voler del male, al Carletto. Però è davvero porello, il suo ultimo film. Dignitoso più di altre pellicole made in Italy viste negli ultimi tempi, quanto allo stesso tempo del tutto inutile e prevedibile dall’inizio alla fine. Come intrattenimento di livello medio-basso e una serata disimpegnatissima può andare bene, però io da un Verdone pretenderei ancora un intrattenimento non dico alto ma almeno di livello medio-alto. Illuso me.
E il finale super mega buonista no, Carlè. Eddaje, che ‘mme combini? Un finale così nun se pò vedè.

Carlo Verdone ai tempi della crisi. Economica, ma soprattutto di idee. Un po’ come questo post in cui sono andato a riciclare la frase di apertura per la chiusura.
Che dici, Carlé, so riciclare le idee abbastanza per poter scrivere la sceneggiatura del tuo prossimo film?
(voto 5/10)

mercoledì 6 giugno 2012

A.C.A.Z. (All Celerinis Are Zozzis)

A.C.A.B. All Cops Are Bastards
(Italia, Francia 2012)
Regia: Stefano Sollima
Cast: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Domenico Diele
Genere: celerino
Se ti piace guarda anche: Polisse, This is England, The Shield, Diaz,Scialla

Celerino, figlio di puttana.
Non sto cercando di insultare nessuno. È solo che questa cantilena, questo coro da stadio, è la cosa che più rimane impressa in testa finita la visione di A.C.A.B.. Quando un film si fa ricordare solo, o quasi, per una cosa del genere, per un inno da ultras, fate voi se entrerà nella storia del cinema…
A.C.A.B. prende il titolo in prestito da una canzone dei 4-Skins, gruppo di punk skinheads degli anni ’80, un inno più o meno nazi contro i poliziotti bastardi (anche in questo caso non sto cercando di insultare nessuno, lo dice la canzone e pure il titolo del film).


Il giro di basso del pezzo è simile a quello di “Seven Nation Army” dei White Stripes, usata a inizio pellicola e che suona quasi come una sigla. Cosa interessante, perché A.C.A.B. potrebbe essere la puntata pilota piuttosto valida di una serie tv. Quello che manca invece è l'odore del cinema vero. Con questo non voglio intendere che le serie televisive siano di serie B rispetto ai films. Assolutamente no. Chi mi conosce lo sa, non sono più carabiniere. E, citazioni di Alberto Tomba a parte, chi mi conosce lo sa che adoro i telefilm.
Però c’è differenza tra i due mezzi. A.C.A.B. suona come la premessa per qualcos’altro. Introduce i personaggi, nessuno particolarmente memorabile comunque, ce li fa incontrare, ci fa stringere la loro mano, ma non riusciamo a conoscerli davvero fino in fondo. Non riusciamo ad avere una vera conversazione con loro. Solo un veloce scambio di battute. Rimangono stranieri che intravediamo di sfuggita e che poi se ne vanno senza lasciare un segno nelle nostre vite. Per questo dico che come pilot potrebbe funzionare. Stuzzica un po’ di curiosità e lascia intravedere degli sviluppi che eventualmente potrebbero portare a una serie tv valida. Eventualmente. Se l’apertura è da sigla tv, anche la chiusura sospesa sulle note cool dei Kasabian lascia presagire a qualcosa che verrà dopo, a un secondo episodio. Non essendo l’episodio pilota di un telefilm, come pellicola a sé stante lascia invece parecchio perplessi.
Non è un caso allora che il regista esordiente nel cinema Stefano Sollima arrivi proprio dall’esperienza di Romanzo Criminale - La serie, che non starò a commentare visto che ho visto soltanto l’episodio pilota, non mi ha entusiasmato e poi l’ho abbandonata. Un Sollima che a livello visivo se la cava anche bene, peccato che al suo film manchi qualcosa. Cosa? Manca il film.

"Giocate tranquilli, Azzurri, ma se fate pena agli Europei ve famo un culo così!"
A.C.A.B. ha spezzato in due il pubblico e la critica, tra chi l’ha esaltato come grande novità per il cinema italiano, finalmente una pellicola coraggiosa e moderna, e chi l’ha bollato come una boiata assoluta, una visione stereotipata del corpo di polizia, uno pseudo documentario sulle forze dell’ordine o poco più.
Questa volta mi tocca fare la Svizzera neutra della situazione, benché odi farlo, e tenderei a sminuire sia gli entusiasmi degli uni che le critiche feroci degli altri.
Di nuovo, fondamentalmente, in questo film non c’è niente. Per il cinema italiano vecchio non come la politica italiana, ma quasi, capisco che possa anche apparire come qualcosa di moderno o quantomeno al passo coi tempi, però il confronto con ad esempio il ben più vitale cinema francese di oggi è impietoso. Polisse ad esempio parte da un assunto parecchio simile, quello di raccontare in maniera nuda e cruda, senza filtri né censure, la vita di un corpo di polizia. In quel caso l’Unità di Protezione dei minori di Parigi, in questo caso i celerini (figli di puttana) di Roma.
Ma chi o cosa è un celerino (figlio di puttana)? Meglio chiedere a Wikipedia per una risposta precisa ed esauriente.

“Celerino è il nome tradizionale degli agenti della Polizia di Stato impegnati nelle operazioni di ordine pubblico. Il nome deriva da "la Celere", ovvero l'insieme dei "Reparti Celeri" autotrasportati di Pubblica Sicurezza istituiti nell'immediato dopoguerra dal ministro Giuseppe Romita adibiti al pronto intervento (da cui il nome) di piazza. Oggi questo servizio viene svolto dai Reparti Mobili della Polizia di Stato.”


"Occhio, Cannibal, che se fai il furbo ce n'è anche per te!"
Se Polisse riesce a rendere a 360° non solo la vita professionale ma anche gli aspetti personali dei suoi vari protagonisti, lo stesso non si può dire di un ACAB che se la cava ancora ancora nel raccontare la dimensione lavorativa degli sbirri, ma fallisce ampiamente nell’offrire un vero spaccato sul piano personale. Ci sono un sacco di stereotipi, che non metto in dubbio siano anche veri, come le simpatie nazi-fasciste (ma This Is England era tutt'altra cosa), il tipo che si sposa con la cubana, l’altro tipo che cerca l’aiuto di un politico del PDL (cosa che probabilmente impedirà al film di passare mai su Mediaset), però è tutto raccontato in maniera superficiale. Anche gli stessi legami tra i celerini non sono poi così definiti. Si parla tanto di spirito di squadra e di attaccamento ai valori (quali?), ma il momento di unione maggiore è giusto quello di un episodio di nonnismo goliardico.

Cercando invece tra gli aspetti positivi, i personaggi non prendono vita del tutto, è vero, eppure lasciano la voglia di scoprire qualcosa in più su di loro. Su tutti spicca soprattutto il celerino perennemente incazzato interpretato da Pierfrancesco Favino, attore che sto rivalutando negli ultimi tempi, ma anche gli altri non sarebbero poi così male, in bilico come sono tra l’essere dei veri inglorious basterds e il cercare di tirare avanti dignitosamente con le loro vite. Sono sbirri stile The Shield all’amatriciana che sfogano le proprie frustrazioni personali sul lavoro, eppure hanno anche qualche lampo di umanità e di senso della giustizia che in qualche distorto modo ogni tanto viene fuori. Personaggi certo non positivi eppure nemmeno del tutto negativi, personaggi quindi sfaccettati e vivi che avrebbero avuto solo bisogno di un maggior approfondimento.

Già pronto il sequel del film...
Il film di Sollima, tratto dall’omonimo libro del giornalista Carlo Bonini e l'approccio giornalistico se sente, non riesce a trovare una via del tutto sua. Tra tentazioni di un approccio documentaristico contrapposto a un approccio spettacolare, finisce per prendere una via spesso più videoclippara che cinematografica e soprattutto rischia in diversi punti di finire nel cronachistico, con troppi riferimenti all’attualità (ormai non più così attuale), dal caso Reggiani alla morte di Gabriele Sandri. Così come anche un’altra produzione italiana recente come Romanzo di una strage (Diaz invece devo ancora vederlo), non riesce a trasformare la cronaca in grande cinema, appiattendosi quando va male su stilemi ancora troppo vicini alle fiction nostrane, oppure  quando va bene agli speciali di Mtv News, peraltro alcuni, come quello sui ragazzi terremotati di L’Aquila, più interessanti di questo ACAB.

Pur con vari limiti e difetti e pur avendomi lasciato con una sensazione di ennesima occasione fallita per il cinema italiano, l'esordio di Sollima è comunque una visione che vale la pena di affrontare ed è in grado di fornire qualche spunto di riflessione. In più, una bella scena ce la regala pure, grazie al pogo liberatorio di Favino sulle note di “Police On My Back” dei Clash.
Anche se la “canzone” che rimane impressa nella testa alla fine è un'altra…
Celerino, figlio di puttana.
(voto 5,5/10)

martedì 3 aprile 2012

Romanzo di uno stage

Romanzo di una strage
(Italia 2012)
Regia: Marco Tullio Giordana
Cast: Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Fabrizio Gifuni, Michela Cescon, Laura Chiatti, Denis Fasolo, Giorgio Colangeli, Luigi Lo Cascio, Omero Antonutti, Thomas Trabacchi, Giorgio Tirabassi, Fausto Russo Alesi, Giorgio Marchesi, Andreapietro Anselmi, Stefano Scandaletti, Francesco Salvi, Luca Zingaretti
Genere: storia d’Italia
Se ti piace guarda anche: La talpa, Buongiorno, notte, La meglio gioventù

Romanzo di una strage è un gran bel romanzo. Racconta in maniera dettagliata e impeccabile una delle pagine più misteriose della storia recente d’Italia: l’attentato di Piazza Fontana a Milano nel 1969.
Un attentato terroristico le cui responsabilità, ancora tutte da verificare e accertare, rimarranno probabilmente per sempre con un grande punto interrogativo, nonostante la pellicola riesca a far luce almeno su alcuni punti. Il grande merito del film del Marco Tullio Giordana è quello di presentarci tutti i fatti, tutti i protagonisti, da diverse angolazioni. Ne esce una storia dannatamente articolata, ricca di personaggi e sottotrame (non tutte ben sviluppate). Una vicenda molto complessa che ricorda, anche per le atmosfere 70s e per una fotografia simile, La talpa.
Io ho odiato La talpa. O meglio: io mi sono addormentato con La talpa, una delle visioni più noiose degli ultimi tempi. E forse di sempre.
Se ricordare La talpa è dunque un punto che qualcuno troverà a favore, mentre io di sicuro lo considero a sfavore, preciso però subito che il film dell’M.T. Giordana è parecchio più coinvolgente. Sarà perché anche uno sbadiglio è più coinvolgente de La talpa. O sarà perché la vicenda riguarda in maniera diretta il nostro paese. Non solo il passato, non solo gli anni ’70 del terrorismo e della strategia della tensione, ma riesce anche a parlare del e a far riflettere sul presente.

"Mr. Ford che tiene una lezione di cinema??? Io me ne vado!"
Oggi viviamo in un’Italia radicalmente cambiata. In mezzo ci sono stati “solo” Berlusconi e il berlusconismo. Eppure negli ultimi tempi si è ritornati a parlare, spesso a sproposito, di attentati terroristici alla democrazia e di clima ostile alla politica.
Riguardo all’odio nei confronti della politica e dei politici, non v’è dubbio. Solo che oggi all’ideologia si è sostituita l’apatia. Gli anni ’70 erano tutta un’altra storia, ma alcuni punti di contatto si possono comunque intravedere.
Ad esempio l’Aldo Moro interpretato da Fabrizio Gifuni ricorda per certi versi Mario Monti. Un riflesso di certo non voluto, visto che le riprese del film credo siano finite prima del suo insediamento come Chicken Premier.
Così come si possono vedere linee di similitudine tra i movimenti anarchici 70s e quelli No Tav di oggi.
La strage di Piazza Fontana, ciò che è successo prima e ciò che succede dopo, sono indagati molto bene da questa pellicola, una visione assolutamente consigliata perché in grado di porre interrogativi spinosi. Un ottimo esempio di pellicola impegnata, e ciò non spaventi i potenziali spettatori. È chiaro che se volete passare una serata all’insegna del cazzeggio è meglio dedicarsi a Tre uomini e una pecora, mentre se volete staccare del tutto il cervello potete godervi Ghost Rider 2. Però ogni tanto fa bene anche far girare in testa quei 2 neuroni pigri e pensare a questo paese. A come vanno le cose. A chi ci governa. A dove eravamo, a dove siamo e a dove stiamo andando.

"Speriamo il figlio sia mio e non di Fabri Fibra..."
Capolavoro, dunque?
No, ho detto che è un grande romanzo. Peccato che, nonostante il titolo, non si tratti di romanzo bensì di cinema. Ed è da questo punto di vista che purtroppo mi tocca constatare un livello non eccelso. Lo dico con grande dispiacere, visto che il Giordana è l’autore di una perla come La meglio gioventù, senza dubbio una delle mie pellicole italiane preferite di sempre.
Se La meglio gioventù nasceva come mini-serie tv, quando in realtà sapeva diventare grande cinema, qui è il contrario: Romanzo di una strage nasce come film, quando forse sarebbe stato meglio come fiction tv. La regia non ha grandi guizzi o trovate, non ci sono invenzioni dal punto di vista visivo, la colonna sonora è a dir poco piatta, si viaggia su blandi ritmi da prima serata Rai (ma almeno di qualità, specifichiamo), la componente thriller poteva essere giocata molto meglio, alcune scene di dialogo sono tirate eccessivamente per le lunghe e la storia è narrata in una maniera troppo lineare e precisina. Una scelta consapevole, dettata molto probabilmente dal cercare di rendere giustizia a una vicenda che Giustizia non ha trovato.

"Politici italiani che perepè quà-qua quà-quà perepè"
"Oops, Valerio... mi sa che il figlio non è tuo..."
Non del tutto convincete anche il cast. Per i livelli italiani siamo sopra la media, ma guardando all’estero non ci siamo. Valerio Mastandrea in particolare come protagonista non funziona. Più che un agente detective, sembra un ultrà romanista capitato lì sul set per caso. Non aiuta la moglie Laura Chiatti, bella figa sì, ma brava attrice? Andiamo, siamo seri! Meglio Denis Fasolo, con la sua parlata veneta accentuata, odiosa e per questa azzeccata per un personaggio parecchio odioso, e soprattutto un ottimo Pierfrancesco Favino, attore che non ho mai considerato granché ma che qui mi ha sorpreso in positivo. Merito anche del personaggio umanamente meglio caratterizzato, l’anarchico Giuseppe Pinelli, mentre il ritratto degli altri personaggi è realizzato con tinte troppo fredde. E anche qui il paragone che ritorna alla mente, ahimé, è quello de La talpa.

Un cinema civile di cui in Italia abbiamo bisogno ora più che mai è dunque il benvenuto. Peccato solo che sulla forma ci sia ancora parecchio da lavorare. Paradossalmente il grande pregio del film di Giordana, quello di aver cercato la completezza nel raccontare la Storia, è anche il suo più grande difetto, poiché finisce per risultare troppo storico, troppo cronachistico e troppo poco cinematografico.
Ottimo come romanzo di una strage. Così così come film di una strage.
(voto 6,5/10)

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