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domenica 16 ottobre 2011

Indignados

America, cosa ci hai tolto?
Ieri sono avvenute proteste in tutto il mondo da parte di centinaia di migliaia di Indignados. Come è andata a finire nel mondo e come è andata a finire in Italia l'abbiamo visto tutti.
La vera domanda però è: ma indignati per cosa, per la crisi economica?
Sì, anche, però il motivo principale in realtà è un altro: la cancellazione di The Playboy Club, che il network americano NBC ha deciso di eliminare dal suo palinsesto dopo la messa in onda di appena 3 episodi…

The Playboy Club
(serie tv, stagione 1, primi 3 episodi)
Rete americana: NBC
Rete italiana: non arrivato (e a questo punto dubito arriverà)
Creato da: Chad Hodge
Cast: Amber Heard, Eddie Cibrian, Laura Benanti, Jenna Dewan-Tatum, Naturi Naughton, Leah Renee Cudmore, Sean Maher, Wes Ramsey, David Krumholtz, Troy Garity, Katherine Cunningham
Genere: patinato
Se ti piace guarda anche: La coniglietta di casa, Pan Am, Mad Men

The Playboy Club è l’autorevole detentore del ben poco ambito titolo di primo floppone floppissimo della stagione televisiva autunnale americana. I risultati di ascolto delle prime tre puntate sono infatti stati piuttosto disastrosi e la serie è andata incontro a una tragica, prematura soppressione.
Cosa che mi fa porre varie e profonde domande sul mondo in cui viviamo.
È vero, la serie ha un sacco di limiti: è scritta piuttosto malamente, cerca di essere un nuovo Mad Men senza avvicinarsi nemmeno lontanamente, il belloccio protagonista maschile Eddie Cibrian non ha neanche un’oncia del fascino e della classe di Don Draper/Jon Hamm, la maggior parte dei personaggi non brilla certo per spessore o simpatia, la presenza “oscura” di spalle o al telefono di Hugh Hefner (o di un simil-Hugh Hefner che dir si voglia) è una pacchianata fastidiosa ed evitabile, la componente thriller sembra davvero campata per aria e, soprattutto, pur chiamandosi The Playboy Club è una serie castigatissima e “pudica” se paragonata a show come Californication, The L Word o True Blood, con le tematiche dell’emancipazione femminile e dell’omosessualità che sono accennate in maniera troppo timida… e questa non è che solo una parte dell’elenco dei suoi difetti.
Però, c’è un però.
Grande come una casa.
Macchedico? Grande come una mansion. Una Playboy Mansion.
In questa serie c’è Amber Heard.
E non è finita: c’è Amber Heard in versione coniglietta di Playboy!
Avete capito bene: aboliremo l’ICI su tutte le prime case…
Ah no, scusate, mi hanno passato il discorso sbagliato.
Rifacciamo.

Avete capito bene: Amber Heard lavora come cameriera nel primo mitico originale Playboy Club, quello fondato nella Chicago anni ’60 come sorta di versione formato locale del magazine di Hugh Hefner; un luogo dove si intrecciano le storie dei vari personaggi, nonché una sorta di anticamera per molte cameriere conigliette che poi potrebbero diventare vere e proprie playmate fotografate sulla rivista Playboy.
E adesso gli americani, dopo appena tre puntate certo non perfette ma che comunque in confronto a quelle di Terra Nova hanno la statura del capolavoro, già vogliono bocciare una serie del genere? Cioè, la guerra in Afghanistan la portano avanti dal 2001 e alle conigliette di Playboy non concedono più di 3 puntate?
Io personalmente a un telefilm con Amber Heard (s)vestita da coniglietta darei il rinnovo sulla fiducia per almeno 10 stagioni di 22 episodi l’una. Per di più riuscite a immaginare qualcosa di più bello di Amber Heard che balla il twist? Evidentemente il pubblico yankee non la pensa così e quindi cercherò di farmene una ragione.

Cos’altro funziona comunque in questa serie, o meglio abbozzo di serie, a parte Amber Heard, che tra l’altro oltre a essere uno splendore d’altri tempi e avere il physique du rôle perfetto per la parte se la cava pure bene a recitare?
Nient’altro?

Un tizio si è suicidato perché sapeva che non avrebbe
più potuto vedere Amber Heard in versione coniglietta
Non proprio. Le atmosfere 60s infatti riescono ad avere sempre il loro fascino, sebbene non siano all’altezza della ricostruzione di Mad Men, o dell’altra nuova e più azzeccata serie Sixties Pan Am. Le musiche poi sono di buon livello, con artisti che ricreano concerti realmente avvenuti nel locale (o almeno, penso sia così), ad esempio la cantante pop Colbie Caillat che interpreta la parte di Lesley Gore con la sua memorabile “It’s my party”, oppure Ike & Tina Turner (non Ike & Tina Turner veri, ma degli attori/cantanti che li impersonano).
Per il resto, il grande problema della serie sembra uno, e decisamente paradossale. Nonostante la presenza di Amber Heard e di una serie di graziuose figliuole coume Jenna Dewan-Tatum (moglie di Channing Tatum con cui ha girato il dimenticabile Step Up) e Naturi Naughton (che era Lil’ Kim nel film Notorious B.I.G.), la serie manca l’obiettivo di essere sexy, eccitante, sensuale. I 60s qui ricreati all’interno del locale non sembrano un luogo misterioso e hot. È vero che Playboy non è Hustler e l’essere patinato è una sua prerogativa, però l’insieme è davvero troppo freddo. E per una serie che si basa sul marchio Playboy non c’è peccato peggiore. Probabilmente è per questo che non ha funzionato.
Però io comunque mi domando una cosa: vogliamo davvero vivere in un mondo in cui viene cancellata una serie con Amber Heard coniglietta?
(voto 6/10)


Per fare il punto attuale della situazione sull'autunno televisivo americano, decisamente più combattuto e interessante del campionato di calcio (per lo meno se siete interisti), ecco le serie cancellate finora:
The Playboy Club
Free Agents
How to be a gentleman
Charlie’s Angels

Hanno invece avuto la conferma per una stagione completa:
Hart of Dixie
Revenge
Suburgatory
Up all night
Whitney

lunedì 27 giugno 2011

Apocalypse Wow

Apocalypse Now
(USA 1979)
Regia: Francis Ford Coppola
Cast: Martin Sheen, Marlon Brando, Robert Duvall, Dennis Hopper, Laurence Fishburne, Harrison Ford, Frederic Forrest, Sam Bottoms, Scott Glenn, Francis Ford Coppola, Colleen Camp, Linda Carpenter, Cynthia Wood
Genere: odissea nella guerra
Se ti piace guarda anche: La sottile linea rossa, Full Metal Jacket, Platoon

Per la serie: anche la rivalità con il mio blogger-nemesi Mr. James Ford può portare a qualcosa di buono. Dopo una discussione con quel guerrafondaio sui film di guerra, genere cinematografico che io in genere non amo molto, ho deciso di recuperarmi Apocalypse Now (in goduriosa versione Redux), che colpevolmente ammetto di non aver mai visto. Fino a pochi giorni fa.
Avevo fatto male? No, perché secondo me i film vanno gustati al momento giusto della propria vita e magari fatta qualche anno fa questa visione non mi avrebbe sconvolto così tanto. E invece si vede che era arrivata l’ora giusta. L’ora “Apocalisse ora”.


La cosa che più ha colpito di questo film (tra l’altro appena uscito in Blu-Ray per quegli sbadati come me che se l’erano perso) non è stata tanto la tanto celebrata interpretazione di Marlon Brando o il risolvimento finale, perarltro grandiosi. È tutta la lunga prima parte, quella dell’attesa che cresce, quella che pur non trattandosi di un thriller monta su una suspence incredibile, quella del grande mistero che avvolge la figura del Colonnello Kurtz prima ancora di poterlo vedere: sentiamo la sua voce registrata, leggiamo il suo curriculum vitae bellico, ne sentiamo parlare ma rimane un punto interrogativo avvolto in una nuvola.
Attraverso gli occhi del protagonista Martin Sheen, il padre di quel degenerato di Charlie (che non fa surf, ma si fa solo delle gran pornostar e delle gran piste di coca), ci troviamo di fronte all’orrore l’orrore della guerra in Vietnam. Non attraverso scene di puro pietismo o espedienti da lacrime facili, né tanto meno attraverso quella retorica tronfia ed epica che attraversa tanti war movies, e neanche con una prevedibile condanna della guerra. No no. Niente di tutto ciò, bensì tutta la follia dei soldati americani. Più che un film sulla guerra o sulla violenza, lo definirei quindi un film sulla follia umana.

Il Colonnello Kilgore interpretato da Robert Duvall è il numero uno. Un capo supremo. Un folle supremo. Un cretino supremo. Un annusatore di Napalm al mattino. Un’anticipazione fuori di testa del Colonnelo Kurtz. Il senso senza senso della guerra in Vietnam, ma in fondo di qualunque guerra, sta tutto nella scena in cui invita i suoi soldati a fare surf mentre dal cielo piovono missili. Cos’altro ci deve dire di più Coppola? Omini che giocano alla guerra. La guerra come divertimento. La guerra come droga, ci confermerà poi in seguito Kathryn Bigelow con il suo The Hurt Locker da Oscar (tiè Avatar!). La guerra come casa, ci dice quel Martin Sheen che dal Vietnam non riuscirà mai a venirne fuori. La sua testa rimarrà per sempre lì.
Le donne presenti nel film cercano di ridare umanità ai soldatini deumanizzati dalla guerra, ma ci riescono? Mi sa proprio di no. Le conigliette di Playboy compaiono come una fantasia che improvvisamente si materializza, come un’oasi in mezzo al deserto, e come tali vengono trattate, con il soldato che invece di godersi la compagnia della fanciulla le mette una parrucca per farla sembrare la coniglietta di un altro mese. Una fantasia che diventa realtà, ma continua ad essere vissuta come una fantasia: effetto di una guerra che ha fatto perdere ai soldati qualunque concetto di cosa sia la vera realtà.

Un’Odissea lunga e avvincente, soprattutto sorprendente, che ci porta a sprofondare sempre più in un’Apocalisse spaventosa e allo stesso tempo stranamente estremamente affascinante e, tra una cavalcata delle Valchirie entrata nella leggenda e un formidabile Dennis Hopper che probabilmente ha recitato del tutto strafatto, Martin Sheen arriva infine all’uomo-obiettivo della sua missione segreta (si fa per dire, segreta). Il colonnello Kurtz appare un uomo stanco, proprio come Silvio Berlusconi in questi giorni. Una persona che ha davvero visto e fatto di tutto e che ormai sembra stufo persino della venerazione che lo circonda. Al di là del fatto che il personaggio interpretato da Marlon Brando sia molto più profondo e intenso nelle sue riflessioni esistenziali e adotti una via comunicativa ben lontana dai proclami Dux-style del Berlusca, i due mi sembrano davvero simili. Hanno violato le leggi comunemente accettate e se ne sono create di proprie, creandosi un seguito che si avvicina al fanatismo religioso, eppure non ce la fanno più. Sono arrivati a fine corsa e hanno bisogno di qualcuno che abbia il coraggio e la prontezza di staccar loro la spina, qualcuno che faccia smettere di battere il loro cuore di tenebra. Kurtz lo troverà nel capitano Willard, l’altro invece lo sta ancora cercando.

In questa Disneyland bellica che ci mostra un Vietnam inedito tra surfisti, conigliette, colonnelli impazziti e soldati psicopatici, Francis Ford Coppola fa un uso estremamente moderno del montaggio e della colonna sonora, con una The End dei Doors che assume il ruolo di protagonista assoluta, suggerendoci come l’inizio sia in realtà la vera fine del film e viceversa, e questa è una cosa che forse sarà stata detta da moltissime altre analisi sulla pellicola, o forse è solo un viaggio mentale che mi sono fatto io.
Forse Martin Sheen nemmeno c’è mai stato in Vietnam.
Forse è tutto un sogno post-alcolico che ha vissuto nella sua stanzetta di motel.
Forse invece ci siamo andati noi, in Vietnam, a uccidere i colonnelli Kurtz delle nostre esistenze.
(voto 10)


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