Visualizzazione post con etichetta prigione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta prigione. Mostra tutti i post

domenica 27 luglio 2014

JAMESY BOY, LETTERA DALLA PRIGIONE




Cari lettori, buon giorno. Che poi si dice buongiorno tutto attaccato oppure buon giorno staccato?
Va beh. Cari lettori, ciao. Così va meglio. Almeno spero per voi. A me invece le cose non vanno troppo bene. Il luogo da cui vi scrivo questa lettera è buio, triste, solitario. No, non è la mia cameretta, è la mia cella. Sono finito in prigione. Mi hanno sbattuto dentro. Prima o poi doveva succedere. Con tutte le cazzate che scrivo sul blog qualcuno doveva pur denunciarmi, anche se non mi aspettavo sarebbe stato il mio amico Darren Aronofsky che non ha molto gradito il mio post dedicato al suo ultimo film Noah.
Forse dovrei riferirmi a lui come al mio ex amico Darren Aronofsky, visto che è stato lui a sbattermi dietro le sbarre, però sono un inguaribile ottimista e conto su un nostro riappacificamento quando ci rivedremo faccia a faccia, più o meno tra quattro anni, quando avrò finito di scontare la mia pena.

Vi starete chiedendo come me la cavo qua dentro e devo dire che è dura. Ci sono tutte questa saponette che scivolano e farsi la doccia è davvero un problema. Con gli altri detenuti poi non vado molto d’accordo. Mi prendono tutti per il culo. O forse sarebbe più corretto dire che mi prendono il culo?
L’unico con cui vado d’accordo è un ragazzino penso minorenne. Anche a lui prendono sempre il culo e in cambio gli danno delle sigarette. Tanto in Italia la prostituzione minorile non è reato, l’hanno stabilito di recente dei magistrati, giusto?
James, questo è il nome del ragazzetto, mi racconta spesso la sua storia. Dice che dalla sua vita è stato persino tratto un film, Jamesy Boy. Io non ci credo. Sono qui dentro da appena qualche settimana e stanno già uscendo delle pellicole che non ho mai sentito nominare? Non è possibile.

La sua vicenda comunque è piuttosto particolare. Di altri film su storie simili ne hanno fatti diversi, come Alpha Dog, Black & White, Bully, se vogliamo anche Spring Breakers. Quei film in cui ci sono dei ragazzini bianchi che si comportano come dei gangsta di colore e non sempre ne sono all’altezza. Un po’ come i registi di queste pellicole non sempre sono all’altezza di Larry Clark o Harmony Korine e l’autore di Jamesy Boy, almeno stando a sentire quanto racconta James, è l’esordiente totale Trevor White e non so se è al loro livello. Non credo. Ce ne sono pochi di registi ganzi come loro in circolazione. Così come ce n’erano pochi di blogger cinematografici ganzi come me, modestamente, quando ero libero. Qui dentro di film ormai non riesco a guardarne quasi più, se non quelli che ci fanno vedere tutti insieme nella sala comune. Peccato siano sempre gli stessi: Le ali della libertà, Il miglio verde, Cesare deve morire o Bronson. Ultimamente hanno cominciato a farci vedere pure una serie tv, Orange Is the New Black. Bella eh, però non sarebbe male se ogni tanto ci proponessero anche qualcosa che non sia ambientato in prigione.
Vista la limitatezza delle proposte cinematografiche e televisive, di musica non parliamone – in filodiffusione passa solo “Prison Song” dei System of a Down 24 ore su 24, anche di notte! – sto meditando di chiudere Pensieri Cannibali e di aprire un nuovo blog che vorrebbe essere una versione 2.0 de Le mie prigioni. Devo prima vedere se riesco a collegarmi a Blogger. Qui dentro ci fanno usare Internet per pochi minuti e solo dietro richiesta e la maggior parte dei siti non sono nemmeno accessibili. Possiamo andare giusto su YouPrisoner e Guardiecarcerarie.com, mentre l’unico sito porno visitabile è Undertheshower.org, che è meno sexy di quanto si potrebbe immaginare dal titolo.

Non vedo l’ora di uscire da qui per poter scoprire se il film Jamesy Boy esiste per davvero. Prima di vederlo magari mi recupero qualche pellicola non ambientata dietro le sbarre, ma poi sono curioso di guardarlo. Chissà se è valido come dice James e come dice anche Rumplestils Kin. Sembra abbia un bel cast in cui svettano il promettente giovanissimo Spencer Lofranco, la solita cucciolosa Taissa Farmiga, la solita MILFosa Mary-Louise Parker, Taboo dei Black Eyes Peas ebbene sì, e pure dei ritrovati James Woods e Ving Rhames. Da come ne parla lui sembra una versione teen di American History X, Hurricane o del citato Orange Is the New Black, però non dev’essere la solita minchiatina adolescenziale, quanto un’opera in grado di raccontare le scelte sbagliate che possono portare un ragazzotto dritto in galera. Io ne so qualcosa. Mai parlare male di un film tratto dalla Bibbia. Adesso ho capito la lezione, caro Darren Aronofsky.
Un’altra cosa che ho imparato è godermi i piccoli piacere che si possono trovare in un posto come questo. Adesso ad esempio sono molto felice perché mi hanno detto che continuerò ad avere la “camera singola”. Doveva arrivare un detenuto nuovo, un certo Silvio, ma a quanto pare a sorpresa l’hanno assolto e quindi la cella per ora resta tutta mia. Evvai. Finalmente una bella notizia.

Per il momento è tutto.
Saluti dal carcere.

Cannibal Kid



Jamesy Boy
(USA 2014)
Regia: Trevor White
Sceneggiatura: Lane Shadgett, Trevor White
Cast: Spencer Lofranco, Mary-Louise Parker, Rosa Salazar, Taissa Farmiga, James Woods, Ving Rhames, Ben Rosenfield, Taboo
Genere: teen carcerario
Se ti piace guarda anche: Alpha Dog, Black & White, Bully, Orange Is the New Black, American History X, Boy A
(voto 6,5/10)

"I Black Eyed Peas fanno cagare!"
"Ripetilo, se hai il coraggio..."
"I Black Eyed Peas fanno cagare. Soprattutto le tue parti rappate, caro Taboo!"


mercoledì 11 luglio 2012

The Way Back: Prison Break ai tempi di Stalin

"Mi han detto che il tatuaggio della farfallina è passato
di moda, e allora ho ripiegato su questo..."
The Way Back
(USA 2010)
Regia: Peter Weir
Cast: Jim Sturgess, Ed Harris, Colin Farrell, Saoirse Ronan, Mark Strong, Dragos Bucur
Genere: fuga per la vittoria libertà
Se ti piace guarda anche: Prison Break, Defiance, L’uomo che verrà

Qual è la cosa più importante nella vita?
Dite l’amore? Dite l’amicizia? Dite il rispetto? Dite la fi*a?
Ok, forse c’avete anche ragione, ma c’è una cosa che conta ancora di più: la libertà. Senza di essa non ci può essere spazio per nient’altro ed è per questo che non riesco a immaginare niente di più terribile di una dittatura, sia essa di tipo fascista, nazista, comunista o berlusconiana…
In The Way Back ci troviamo in pieno stalinismo, con un gruppo di poveri Cristi condannati ad anni ed anni di prigonia in un gulag siberiano perché accusati, con pretesti piuttosto pretestuosi (altrimenti che pretesti sarebbero?), di essere contro il regime. Tutto intorno al campo di prigionia le condizioni naturali sono alquanto avverse, tanto per usare un eufemismo: le temperature si aggirano intorno ai meno 40 gradi, c’è un tempo da lupi e infatti ci sono i lupi per davvero in giro (tranquilli niente lupi mannari, questo non è un teen fantasy), e nel caso i protagonisti della storia riuscissero anche a fuggire in mezzo alla neve, su di loro c’è una taglia che pende e chiunque li uccida verrà ricompensato generosamente. In condizioni più estreme che ad Alcatraz, un gruppo di impavidi decide comunque di tentare il fugone, una sorta di Prison Break ai tempi di Stalin. Perché ci provano? Perché, come ho detto, la libertà è la cosa più importante che ci sia.
Ok, forse dopo la fi*a, ve lo concedo!

"Che palle, qui non c'è manco la connessione Internet.
Come facciamo a leggere l'opinione cannibale sul nostro film?"
The Way Back è il nuovo film dell'australiano Peter Weir, sì il regista di The Truman Show e L’attimo fuggente e di un sacco di altri titoli, che giunge sì a 8 anni di distanza dal suo ultimo Master & Commander, per la serie: sì, c’è qualcuno che ci mette più di Terrence Malick a sfornare una nuova pellicola. Anche questa volta il Weir ci racconta una storia bella e importante, un tantino anti-comunista, anzi talmente tanto che diciamo potrebbe piacere persino a Berlusconi. Peccato che il concetto di libertà espresso non sia esattamente quello promosso dal leader della Mediaset Freedom…
La partenza tra i gulag è ottima, sebbene le pretese di realismo siano piuttosto relative, visto che a interpretare dei polacchi e dei russi hanno messo attori britannici come Jim Sturgess o l’irlandese Colin Farrell… ma vabbè, alla fine sono così bravi da farcene dimenticare. Farrell in particolare è un attore che mi è sempre piaciuto (Daredevil escluso, specifico) ma qui in particolare l’ho trovato in una delle sue interpretazioni più convincenti. In un cast quasi esclusivamente maschile, si segnala poi Saoirse Ronan, attrice qui non al suo massimo, ma solo perché le sue altre performance in Amabili resti, Espiazione e nel recente Hanna sono state qualcosa di oltre modo strepitose.

"Ma spendere una parte del budget per un condizionatore no, eh?"

Se la storia dei prigionieri in fuga all’inizio riesce a coinvolgere e a catturare, il film paga però l’eccessiva durata, o sarebbe meglio dire che è lo spettatore a pagarla con dosi leggere di noia. Nonostante la lungaggine e qualche sbadiglio di troppo, The Way Back si fa comunque ricordare con piacere grazie anche a un bel finale, seppure un pochino troppo ruffiano, un po’ come il resto del film. Però un inno alla vera libertà (e non al popolo della libertà) da queste parti è sempre il benvenuto.
E adesso via di qua, siete liberi anche da questo post.
(voto 6,5/10)

sabato 21 gennaio 2012

Voglio evadere da Alcatraz: la serie, mica la prigione

Sulla rete e su faceboom è tutto un fiorire di commenti entusiasti, tipo J.J. is back, J.J. I love you, J.J. marry me! e allora me lo guardo pieno di fiducia, questo nuovo Alcatraz che viene definito come la nuova creatura di J.J. Abrams e minuto dopo minuto mi chiedo sempre più:
ma hanno visto la stessa roba che ho visto io, o si sono guardati un vecchio episodio di Lost?

Alcatraz
(serie tv, stagione 1, episodi 1-2)
Rete americana: Fox
Rete italiana: Premium Crime, dal 30 gennaio
Creata da: Elizabeth Sarnoff, Steven Lilien, Bryan Wynbrandt
Cast: Sarah Jones, Jorge Garcia, Sam Neill, Parminder Nagra, Jeffrey Pierce, Jonny Coyne, David Hoflin,  Santiago Cabrera, Jason Butler Harner
Genere: il passato ritorna
Se ti piace guarda anche: Fringe, Shutter Island, Il miglio verde, Person of Interest, 4400

Alcatraz è quasi peggio degli Alcazar.
Chi sono gli Alcazar? Non vi ricordate? Beati voi.
E visto che se no ve ne state troppo beati, sucateveli qui sotto


"Ah, che relax! Sembra quasi di stare in crociera... oops!"
Crying at the discoteque. Parliamo di discoteche, allora? Parliamo dell’Alcatraz di Milano, discoteca rock e non solo in cui ho assistito al primo concerto italiano dei Muse, quando li conoscevamo solo noi indie-fighetti e non suonavano ancora a Wembley o a San Siro? Quella volta che ho pagato insieme al nongiovane futuro solito idiota Francesco Mandelli?
Eh no, che sarebbe troppo interessante. Parliamo invece di Alcatraz la serie tv, il nuovo parto di J.J. Abrams. In realtà, per questa Alcatraz J.J. non figura tra i creatori o gli sceneggiatori, ma solo tra i produttori. Quindi caccia il grano e poco altro. Eppure il suo zampino un pochino si sente. O quasi. Sono infatti presenti i flashback proprio come in Lost, è vero, sono copiati spudoratamente, ma il tutto appare ad essere gentili come la versione sfigata di Fringe. Quanto a Fringe, che per carità è anche una serie valida, ma se già quella non mi appassiona molto, figuriamoci questa.
Una rassicurazione almeno la posso fare: non ci troviamo di fronte a una boiata assoluta come Terra Nova, l’altra recente serie trasmessa da Fox, pompatissima prima che partisse, spompatissima dopo la visione della sola puntata pilota. Però di sicuro non ci troviamo nemmeno di fronte al nuovo Lost. Scordatevelo.

Potrei dire di essere rimasto deluso, da questo Alcatraz, ma in realtà non è così. Dal trailer e dalle prime immagini viste sapevo già in maniera piuttosto precisa a cosa andavo incontro. E per quanto abbia adorato Alias e Lost e apprezzato pure il suo ultimo film Super 8, il solo nome di J.J. Abrams non basta più per farmi gridare al miracolo. Anche perché nel frattempo il signorino ha firmato cose decisamente pessime come la modestissima serie spionistica Undercovers e il mediocrissimo Person of Interest. E di queste due c’aveva messo pure le sue idee a livello di sceneggiatura, figuriamoci cosa ne esce da Alcatraz in cui si è limitato a mettere i dollari. Credo anche non pochi dollari. Buttati.

"Dai, faccio un po' il pirla che se no in 'sta serie non succede un bel nulla..."
Qual è il problema principale di questa serie?
Stereotipi, stereotipi e ancora stereotipi. Questa serie è un campionario di assortiti stereotipi.
La protagonista è diventata detective perché suo padre era poliziotto e portava i suoi casi a casa, però è stata cresciuta dallo zio, perché vorrai mica fare una serie in cui il personaggio principale ha due normali genitori e nessun passato oscuro? Ovviamente la tipa ha avuto pure un trauma recente: ha visto morire il suo partner in polizia, precipitato giù da un cornicione in una scena molto Vertigo (seee, magari). Da allora la tipa non riesce a trovare nessun altro partner con cui lavorare, fino a che non appare Jorge Garcia, il mitico “coso” Hugo di Lost che qui è un po’ il personaggio nerd-simpatico di turno. Peccato che i suoi momenti divertenti siano limitati a giusto un paio di battutine nemmeno troppo riuscite a episodio. Un po’ troppo poco per continuare a seguire questa serie con interesse.
"Avete visto questo attore? Si chiama Sam Neill.
È dal 1994 che non lo si vede più in qualcosa di decente..."
A stereotipizzare (non so se sia un verbo, ma facciamo finta che lo sia) il tutto ci pensa poi la solita atmosfera da grande enfatica pomposo produzione hollywoodiana, fatta di inquadrature jurassicparkiane (aaancora? i 90s sono finiti da un pezzo!) sull’isola su cui è situata la prigione più famigerata del mondo, quella su cui tutto il mondo in questo momento vorrebbe spedire un certo “capitano” di crociere italiano. E magari pure qualche sceneggiatore televisivo a corto di idee...
A proposito non di crociere ma di Jurassic Park: ci sta pure Sam Neill. E negli ultimi tempi si sa che dove c'è Sam Neill, ci sta anche puzza di merda in arrivo.
E poi non mancano i soliti espedienti, le frasi a effetto tipo: “Welcome to Alcatraz” (eh sì, si sono proprio sprecati!) con la musica in crescendo e lo stacco sul più bello. Sul più bello si fa per dire, visto che non assistiamo manco a mezzo colpo di scena in grado di farti chiedere: “E mo’ adesso che succederà mai?”, talmente il tutto è prevedibile. A meno che non abbiate mai visto una serie da prima di X-Files e in tal caso Alcatraz vi sembrerà davvero sorprendente.
Altro grave, gravissimo difetto di partenza di questa serie? Sarah Jones come protagonista non regge, né a livello recitativo, né per simpatia, né per il personaggio e soprattutto: non è nemmeno gnocca!
E pure la sigla. Sì, persino la sigla fa cagare.

Andiamo J.J., dopo Evangeline Lilly e Jennifer Garner
'sta qua è il meglio che sei riuscito a tirar fuori?
Vogliamo continuare a demolire questa serie? Vogliamo proprio farci del male? E facciamolo.
La storia fa acqua da tutte le parti e, almeno a me, ha suscitato un interesse giusto di poco superiore alle vicende raccontate nel film La talpa. ZZZZZZZZZZZZZ
La raccontiamo? E raccontiamola…
Un uomo, scomparso da Alcatraz nel 1963, ritorna nel presente con lo stesso aspetto di allora. E fino a qua è una cosa che diciamo possa risultare credibile a livello narrativo (sebbene a livello di realtà non lo sia di certo), perché comunque su questa cosa è giocato tutto il mistero della serie. Com’è possibile che questi prigionieri siano spariti nel nulla nel ’63? Chissà?
Ammesso e non concesso che ce ne freghi qualcosa di scoprire la risposta a questa domanda, cui probabilmente non si arriverà nel giro di una sola stagione, questo tizio si ritrova nel presente e, molto prevedibilmente, cerca vendetta contro i tizi che gli stavano sulle palle quasi 50 anni prima. Come fa però ad aggirare tutti i più moderni sistemi di sorveglianza, considerando che, in quanto uomo degli anni Sessanta, manco sapeva dell’esistenza, di tali sistemi di sorveglianza? Questo è il vero mistero della serie.

L’episodio pilota di quella che era una delle più attese serie tv dell’anno si risolve quindi in una semplice e stra-già-vista storia di vendetta personale da action movie anni ’80, ma senza nemmeno la tamarraggine tipica di quei film. Considerando che altri candidati al titolo portasfiga di “nuovo Lost” come FlashForward e The Event erano partiti con pilot decisamente più riusciti e promettenti, salvo poi scadere in fretta, questo Alcatraz parte messo peggio di loro. Magari poi compirà una traiettoria inversa e nei prossimi episodi si riprenderà, però certo è che questo NON è il nuovo Lost, né mai lo sarà. Lo ribadisco nel caso qualcuno si fosse il perso la scena precedente in cui lo dicevo.

"Ma quanto mi manca Lost? L'unica è compensare col cibo..."
MOMENTO FLASHBACK DEL POST:
“…non ci troviamo di fronte a una boiata assoluta come Terra Nova, l’altra recente serie trasmessa da Fox, pompatissima prima che partisse, spompatissima dopo la visione della sola puntata pilota. Però di sicuro non ci troviamo nemmeno di fronte al nuovo Lost. Scordatevelo.” Cannibal Kid

RITORNO AL PRESENTE:
La parziale ambientazione carceraria crea vaghi collegamenti con Shutter Island (ma senza un briciolo del suo mistero e fascino), Il miglio verde (ma senza quell’omone nero dai poteri soprannaturali cui non si poteva fare a meno di voler bene) e Prison Break (ma senza la stessa adrenalina). Però è solo una copertura. Così come la componente mystery, pure questa non certo una novità, considerando come oggi non esista in pratica nessuna nuova serie senza un minimo di mystery. E allora cosa è in realtà questo Alcatraz? Qual è la sua vera natura?
Fondamentalmente si tratta di una variante leggermente paranormale del classico crime procedural stracciamaroni, con una puntata dedicata a un diverso criminale in ogni episodio. Insomma, che noia che barba. Tutto già visto. Tanto rumore per nulla, chi ha orecchie per intendere intenda, si stava meglio quando si stava peggio, l’erba del vicino è sempre più verde, campa cavallo che l’erba cresce e frasi fatte del genere. Tanto è tutto uno stereotipo.
J.J. Abrams, pure tu mi sei diventato uno stereotipo?
Che tristezza, non ci sono davvero più le mezze stagioni.
(voto 5-/10)

sabato 8 gennaio 2011

I miei film dell'anno 2010 - n. 13 Il profeta

Il profeta
(Francia)
Regia: Jacques Audiard
Cast: Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi, Leïla Bekhti
Genere: carcerario
Se ti piace guarda anche: Cella 211, Scarface, American History X, Bronson

Trama semiseria
Il 19enne Malik viene condannato a 6 anni di carcere e lì dentro sarà istruito al crimine e non solo a quello. La prigione cambia le persone, è vero, e serve per renderle ancora più potenti, intelligenti e criminali di quando sono entrate. Evvai: basta scuola, basta lavoro. Se volete davvero imparare qualcosa, da domani tutti in galera!

Pregi: è un’educazione criminale raccontata con una potenza devastante
Difetti: picchia talmente duro che è un film difficile da amare incondizionatamente

Attore cult: l’emergente Tahar Rahim, impressionante come la trasformazione del suo personaggio nel corso della pellicola
Scena cult: la cruda prova cui viene sottoposto il protagonista, uccidi o sarai ucciso
Canzone cult: “Bridging the gap” di Nas

Leggi la mia RECENSIONE


mercoledì 5 gennaio 2011

I miei film dell'anno 2010 - n. 23 Cella 211

Cella 211
(Spagna)
Regia: Daniel Monzón
Cast: Luis Tosar, Alberto Ammann, Marta Etura, Antonio Resinas, Carlos Bardem
Genere: rivolta carceraria
Se ti piace guarda anche: Il profeta, Bronson, Prison Break, Fuga per la vittoria, Le ali della libertà, Il miglio verde

Trama semiseria
Juan, sosia ufficiale del calciatore Raul, arriva con un giorno d’anticipo al suo nuovo posto di lavoro da secondino, per fare una bella impressione. Come quasi ogni volta che al lavoro fai qualcosa di non richiesto, si rivelerà un’autentica stronzata. Infatti per una serie di circostanze davvero sfigate, quando capita per di lì scoppia guarda caso una rivolta carceraria senza precedenti. Per cercare di uscirne vivo, Juan finge quindi di essere un nuovo carcerato. Il folle capo della rivolta Malamadre gli crederà?

Pregi: un film sull’amicizia/rivalità macho alla Point Break/Fast & Furious con una sceneggiatura davvero brillante e adrenalinica da fare invidia a Hollywood (a quando un remake?), con in più risvolti socio-politici più tipicamente europei
Difetti: c’è poca figa. Sarà mica perché è principalmente ambientato in un carcere maschile? Chissà?

Personaggio cult: Malamadre, o meglio de puta madre
Scena cult: il delirio quando scoppia la rivolta

Leggi la mia RECENSIONE

mercoledì 21 aprile 2010

Prison Break

Cella 211
(Spagna, 2009)
Titolo originale: Celda 211
Regia: Daniel Monzón
Cast: Luis Tosar, Alberto Ammann, Marta Etura, Antonio Resinas, Carlos Bardem

“Non fuggire in cerca di libertà quando la tua più grande prigione è dentro di te.” Jim Morrison

Il genere carcerario negli ultimi tempi sembra essere diventato uno dei mezzi migliori per raccontare le contraddizioni anche della società che sta al di fuori dalla gattabuia. La cosiddetta società “libera”. In Francia l’ha fatto lo splendido “Il profeta”, in Spagna il campione al box-office e trionfatore ai Goya (gli Oscar iberici) “Cella 211”.

Juan, per fare buona impressione, si presenta con un giorno d’anticipo al lavoro come secondino. Solo che quando il tuo nuovo posto di lavoro è un carcere, forse faresti meglio a startene a casa con la mogliettina incinta. Anche perché proprio quel giorno nella prigione scoppia una rivolta e lui rimane dentro alla cella 211. Vestito in abiti civili, si fa passare per un nuovo detenuto e riesce ad entrare nella grazie di Malamadre, il leader dei detenuti, una sorta di Vin Diesel ispanico. Dall’interno proverà a mettere fine alla ribellione, ma bastano poche ore dietro le sbarre e la tua concezione del mondo può cambiare radicalmente.
Nelle menzogne, tra Malamadre e l’agente sotto copertura Juan nasce una profonda amicizia che ricorda “Fast & Furious” e naturalmente anche il precursore del genere: “Point Break” di Kathryn Bigelow. Strepitoso il personaggio di Malamadre, un leader criminale con le idee chiare in testa che fa scoppiare tutto ‘sto casino non per evadere, ma per far valere i diritti e migliorare le condizioni dei reclusi in tutta la nazione.

Il film funziona dunque alla grande su due piani. Uno più incentrato sull’azione e sui meccanismi di tensione che è roba da far invidia e molte sceneggiature hollywoodiane (non mi stupirebbe se ne facessero un remake magari proprio con Vin Diesel). La storia è notevole fin dall’inizio con una descrizione dell’ambiente che ricorda la prima parte di “Shining” dedicata all’Overlook Hotel e in grado poi di mantenere costante l’interesse grazie ad alcune svolte narrative non scontate.
Su un altro piano è un’ottima riflessione sulle dinamiche sociali e anche un grido di protesta sulla condizione nelle carceri. Perché anche da una gabbia può partire una rivoluzione.
(voto 8)

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. L'autore, inoltre, non ha alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti relativi ai post e si assume il diritto di eliminare o censurare quelli non rispondenti ai canoni del dialogo aperto e civile. Salvo diversa indicazione, le immagini e i prodotti multimediali pubblicati sono tratti direttamente dal Web. Nel caso in cui la pubblicazione di tali materiali dovesse ledere il diritto d'autore si prega di Contattarmi per la loro immediata rimozione all'indirizzo marcogoi82@gmail.com