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martedì 23 luglio 2013

NON POSSO PIU’ FARE A MENO DEL MIO PUSHER




Pusher II
(Danimarca, UK 2004)
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn
Cast: Mads Mikkelsen, Zlatko Buric, Leif Sylvester, Anne Sørensen, Øyvind Hagen-Traberg, Kurt Nielsen
Genere: sfacciato
Se ti piace guarda anche: Pusher, Pusher 3

“Qualcuno dice che ho problemi nel ricordarmi le cose.”
Chi l'ha detto?
“Non me lo ricordo.”

Pusher è figo. Uno di quei film che ti trascina dentro. Ma Pusher II è ancora più figo. Uno di quei rari casi in cui il sequel è migliore del primo. Parlare di sequel nel caso di Pusher II appare comunque un po’ improprio. Più che un sequel, è uno spinoff. O come un episodio di una serie tv che si concentra su un personaggio differente, come capitava in Lost e come capita in Skins. In Pusher II possiamo infatti dimenticarci del pusher Frank, che non compare manco in un cameo ma viene giusto menzionato in un’occasione. Questa volta il protagonista è Tonny, ovvero Mads Mikkelsen, un personaggio che avevamo già visto nel primo episodio e che appariva come un cazzaro di prima categoria. Una cosa ribadita anche in questo nuovo capitolo, dove c’è però una costruzione migliore e decisamente più approfondita del personaggio. Se lo stile registico rimane pressappoco immutato, sebbene ci sia una migliore cura nella fotografia, Refn fa un salto di qualità soprattutto nella sceneggiatura. La vicenda non è particolarmente elaborata, ma questa volta il personaggio di Tonny “arriva” di più allo spettatore.

"Guarda qua, c'è un articolo di Cannibal Kid. E' la nuova rivista per cui scrive."
Uscito di gattabuia, Tonny va a lavorare con il padre, ‘sto raccomandato, con cui ha un rapporto conflittuale.
Naturalmente, la galera non è che gli sia servita un granché e lui resta sempre un cazzone assoluto, un cazzone che si barcamena tra furti, bordelli e spacci di droga insieme al suo compare, che questa volta non è Franky bensì un tizio che in maniera molto milanese viene chiamato Il Figa. Un’altra piccola storia su un piccolo criminale, indagato con una maggiore profondità a livello personale e famigliare. Resta un film freddo, tipicamente danese, ma qui Refn getta ancora più le basi per l’esplosione totale del suo stile che avverrà con Drive, si veda e soprattutto si senta anche l’uso delle musiche qui realizzato in maniera più efficace rispetto al numero 1.
Bello Pusher, ma per una volta il sequel batte l’originale. Forse perché non è un sequel sequel vero e proprio?
(voto 8/10)


Il divertimento sul set secondo quel simpaticone di Refn.
Pusher 3
(Danimarca 2005)
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Nicolas Winding Refn
Cast: Zlatko Buric, Marinela Dekic, Slavko Labovic, Ramadan Huseini, Ilyas Agac
Genere: spiaccicato

Altro giro, altra corsa. Se il primo capitolo ci raccontava una settimana nella vita del pusher Frank e il secondo il periodo successivo al rilascio di prigione del mezzo criminale Tonny, il terzo episodio di Pusher si concentra sull’unico personaggio apparso in tutti e tre i film della saga, ovvero il re della droga, il serbo Milo interpretato da Zlatko Buric. Questa volta l’azione è concentrata in appena un paio di giorni e in particolare nella notte in cui si celebra la festa del 25esimo compleanno di sua figlia Milena.
Dei tre protagonisti incontrati finora, Milo è quello meno appealing. Fisicamente perde il confronto con Kim Bodnia e Mads Mikkelsen, sorry Zlatko non uccidermi, e anche a livello caratteriale, essendo un personaggio più chiuso ed ermetico. Nonostante questo, ci troviamo di fronte a un (quasi) tutto in una notte serrato e avvincente, giusto un filo sotto ai primi due capitoli. Refn gira con il suo solito stile stiloso, in grado di portare in maniera naturale dentro la vita dei suoi personaggi, anche se a questo turno sembra girare il tutto un po’ più col pilota automatico.

Con Pusher 1 c’era l’eccitazione della prima volta, l’emozione di vedere al debutto un fenomeno della regia. Con Pusher II si andava oltre, spingendo su una storia e su un personaggio ancora più coinvolgenti. Con Pusher 3 Refn gioca invece la carta di una maggiore riflessività, aumentando progressivamente il ritmo solo nel finale. Non facendo un centro pieno come con gli altri due capitoli, ma riuscendo in ogni caso a chiudere il cerchio della trilogia in una maniera a suo modo perfetta.
La chiusura è raggelante, oltre che violenta e splatter al punto da far apparire i primi due episodi come roba per educande. Se in Frank e Tonny, benché tutto fuorché modelli di virtù, si intravedeva ancora un lampo di speranza, questo capitolo ci offre il ritratto di un uomo che, nonostante l’amore per la figlia, è desolato, prosciugato, senza più possibilità di redenzione. Ci offre il ritratto di un’umanità che, come la piscina dell’ultima inquadratura, ha ormai perso anche la sua ultima goccia di umanità.
(voto 7/10)

Post pubblicato anche su The Movie Shelter.

lunedì 22 luglio 2013

PUSHER TO THE LIMIT


Pusher
(Danimarca 1996)
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Jens Dahl, Nicolas Winding Refn
Cast: Kim Bodnia, Mads Mikkelsen, Zlatko Buric, Laura Drasbæk, Peter Andersson, Slavko Labovic, Nicolas Winding Refn
Genere: spacciato
Se ti piace guarda anche: Pusher 2, Pusher 3, Bleeder, Drive

Una settimana nella vita di un pusher. Non è un nuovo reality di Cielo, non è il sostituto di Teen Mom su Mtv, bensì è il film d’esordio di Nicolas Winding Refn. Il danese che tutti amiamo per Drive e che qualcuno, come me, allo stesso tempo odia anche per il comatoso Valhalla Rising. Prima dell’esplosione mondiale, prima del suo ingresso nella Hollywood che conta, prima della sua venerazione a livelli quasi religiosi e terrencemalickiani, tutto ha avuto inizio con Pusher.
Come anticipato, Pusher parla di un pusher, uno spacciatore, uno che si guadagna da vivere vendendo la roba. Che vi aspettavate, d’altra parte, con un titolo del genere? Un film su un chierichetto? Nel mostrarci una “tranquilla” settimana del suo protagonista, Refn non si risparmia certo. Da una materia tanto pulp, il regista ha tirato fuori un film tanto pulp con sesso (più parlato che fatto), droga e rock’n’roll, così come scatti di violenza improvvisi, qualche rissa e scene leggermente splatterose. Da una materia così pulp, volendo il Refn avrebbe potuto esagerare ancora di più, d’altra parte eravamo proprio nel mezzo dei pulpissimi anni ’90, ma il suo intento non sembra quello di voler stupire a tutti i costi per gli eccessi di quanto filma. Il danese sembra voler stupire più per la messa in scena, che per cosa mette in scena. E ci riesce alla grande.

"Cos'è, stai cercando di fare la tua versione di Blurred Lines?"
In quanto opera d’esordio, ci troviamo di fronte a un film ancora acerbo, eppure lo stile del regista emerge già con prepotenza. La primissima scena, i titoli di testa che ci introducono i personaggi con il loro nome scritto in sovrimpressione, ci riportano nel mezzo di una scelta stilistica tipicamente anni ’90. Considerata la tematica tossica, l’impressione iniziale è allora quella di potersi trovare di fronte a una copia danese di Trainspotting o poco altro. Bastano pochi minuti e l’impressione si rivela subito sbagliata. Sbagliatissima. Refn non sembra avere l’intenzione di copiare nessuno, semmai è alla ricerca di uno stile proprio. Uno stile che in apparenza può sembrare di stampo documentaristico, ma non è così. Il regista non adotta quello stile mockumentary che nel nuovo millennio avrebbe conosciuto grande fortuna. Refn segue i personaggi con macchina da presa a mano, segue da vicino il suo pusher protagonista, per fortuna evitando quell’effetto tremolante da mockumentary, appunto. Pur girando con un budget ridotto, Refn fin dal suo esordio vuole fare Cinema, grande Cinema, non robette dal sapore amatoriale. Pusher passa così dall’essere un potenziale clone pulp dei successi in auge negli anni Novanta, o dall’essere un potenziale documentario pseudo realistico sulla vita di uno spacciatore, all’essere un piccolo e prezioso saggio cinematografico su come seguire un personaggio e gettarci all’interno della sua vita. Una lezione da cui sembra aver tratto insegnamento anche il Darren Aronofsky di The Wrestler e Il cigno nero, pellicole in cui si instaura un rapporto quasi fisico tra macchina da presa e personaggio in una maniera molto vicina a quanto visto in questo Pusher.

Naturalmente questo folgorante esordio getta anche le basi per il Refn-style successivo, quello che sviluppato a dovere e con alcuni accorgimenti lo porterà a realizzare il suo capolavoro, Drive. Un elemento fondamentale nella riuscita di quest’ultimo è la scelta delle musiche. L’atmosfera electro-pop tanto anni ’80 e contemporaneamente attuale getta la pellicola in una dimensione fuori dal tempo molto originale. In Pusher invece la selezione musicale è più scontata e tipicamente anni ‘90. A tratti la soundtrack del film spacca parecchio, però non colpisce fino in fondo. Per la scena dell’inseguimento del pusher con i poliziotti, viene ad esempio usato un pezzo punk-rock; una scelta efficace, quanto prevedibile, laddove quella di Drive risulta parecchio più imprevedibile.

"Smettila Mads, non te lo do' il pugnetto!"
Altro elemento che non convince del tutto è la costruzione del personaggio protagonista, il pusher Frank, interpretato da un ottimo  Kim Bodnia, che tornerà anche nel successivo film di Refn, Bleeder. Seguiamo questo personaggio per un’intera settimana, eppure non scatta mai nei suoi confronti una vera empatia. La freddezza emotiva credo sia una scelta precisa del regista, qui anche sceneggiatore a quattro mani con Jens Dahl, però a coinvolgere maggiormente sono i personaggi secondari. Sono loro a regalare i momenti più “umani” alla pellicola: il picchiatore che confessa il suo sogno di aprire un ristorante, o la prostituta innamorata del pusher Frank, così come la madre dello spacciatore che cerca di aiutarlo finanziariamente, e una maggiore umanità la si ritrova persino nella sbruffonaggine del suo amico Tonny, interpretato dal sorprendente esordiente Mads Mikkelsen, che ritroveremo protagonista assoluto di Pusher II. Una freddezza emotiva che verrà risolta in Drive in maniera non ruffiana o cuoriciosa, solo regalando al protagonista Driver un maggiore sentimentalismo. Rendendolo più umano, “a real human being, and a real hero”.

Il finale di Pusher è sospeso, proprio come quello di Drive. Laddove quest’ultimo lascia però con la sensazione di aver assistito a qualcosa di pienamente riuscito e con un gusto buono, Pusher lascia un po’ l’amaro in bocca. Un esordio folgorante, un talento registico genuino da tenere d’occhio, ma anche l’impressione che manchi qualcosa. Col senno di poi, possiamo comunque dire che Refn con Drive riuscirà a portare a completo compimento quanto di buono mostrato con un esordio che, sempre col senno di poi, non si è rivelato un fuoco di paglia, ma una fiamma pronta a divampare.
(voto 8-/10)

A domani, con nuove recensioni refniane che fanno parte della Refn Week.


Post pubblicato anche su L'OraBlù, corredato dal minimal poster creato per l'occasione da C[h]erotto, e postato, tanto per esagerare, pure su The Movie Shelter.


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