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lunedì 4 luglio 2016

A Bigger Splash, un'estate troooppo da radical-chic





A Bigger Splash
(Italia, Francia 2015)
Regia: Luca Guadagnino
Sceneggiatura: David Kajganich
Cast: Tilda Swinton, Matthias Schoenaerts, Ralph Fiennes, Dakota Johnson, Corrado Guzzanti
Genere: estivo
Se ti piace guarda anche: Io ballo da sola, Swimming Pool, Un momento di follia, Un'estate in Provenza, This Must Be the Place

Figa, dove andate in vacanza quest'estate?
A Borghetto Santo Spirito?
Ma siete proprio dei barboni!
Figa, io invece sono appena tornato da Pantelleria con i miei amici: il Matthias Schoenaerts – uno troooppo figo! – il Ralph Fiennes – uno troooppo scemo! – e la Dakota Johnson, una che in Cinquanta sfumature di grigio sembra una troooppo figa di legno e poi si trasforma in una troooppo porca senza limiti, e qua uguale.
E poi c'era lei, la padrona di casa, la rockstar: la Tilda Swinton. Cioè, io lei non me la farei mai e poi mai, ché la trovo sexy quanto il Signor Burns nudo, ma tanto sono cavolacci del Matthias Schoenaerts che se la deve ciulare e credo che per farlo prima si riempia di Viagra, però comunque lei è troppo una rockstar. Solo che quest'estate era senza voce e una rockstar senza voce è come un pornodivo senza cazzo: inutile.

Figa, io non ci sono nelle foto perché le han fatte scattare tutte a me, anzichè farsi dei selfie come le persone civili.

lunedì 9 giugno 2014

GRAND BUDAPEST MATRIOSKA




Correva l’anno 2014. Sì, lo ricordo bene. Era appena uscito il mio ultimo film, Grand Budapest Hotel. Ne ero molto fiero perché rappresentava bene tutto il mio cinema, il mio intero stile racchiuso in un’opera sola. Con un po’ di timore, all’epoca andai a cercare alcuni commenti in rete. Tra di essi ve n’erano molti positivi, alcuni entusiastici, ma ce n’era uno che mi lasciò piuttosto perplesso. Il sito lo ricordo perché aveva un nome molto particolare, si chiamava Pensieri Cannibali. Cannibal Thoughts. WTF? All’epoca uscivo con una studentessa universitaria italiana e, per migliorare la mia conoscenza della lingua, cercavo recensioni delle mie pellicole scritte in quello strano idioma. Non capivo ogni singola parola, però comprendevo il senso generale. Nella sua recensione l’autore del blog, un certo Cannibal Kid, apprezzava il mio Grand Budapest Hotel, ma allo stesso tempo lo considerava un lavoro incompiuto. Ricordo che commentai il post scrivendo: “Non dire stronzate, ragazzo cannibale. Questo è il mio film più bellissimo!”.
Lui rispose: “Ma impara l’italiano, Wes Anderson!”
E io contro ribattei dicendo: “Un giorno lo farò, stronzetto, un giorno lo farò!”
In quel periodo mi trasferii in Italia, cominciai a girare lì i miei film, abbandonai i miei soliti affezionati attori feticcio come Bill Murray, Adrien Brody, Tilda Swinton, Jason Schwartzman, Owen Wilson e gli altri e scoprii nuovi straordinari attori locali come Gabriel Garko, Francesco Arca, Elisabetta Canalis. Mi misi anche a collaborare con grandi intellettuali italiani come i fratelli Vanzina ma, chissà perché, da allora la critica internazionale mi voltò le spalle. Tutti, tranne Cannibal Kid. Dopo quel nostro acceso primo scontro verbale, diventammo grandi amici e lo siamo tutt'ora. Adesso allora mi è venuta la curiosità di andare a recuperare la sua vecchia recensione su Pensieri Cannibali del mio Grand Budapest Hotel. Chissà, magari non aveva poi tutti i torti...

Grand Budapest Hotel
(USA, Germania 2014)
Titolo originale: The Grand Budapest Hotel
Regia: Wes Anderson
Sceneggiatura: Wes Anderson
Ispirato ai lavori di: Stefan Zweig
Cast: Ralph Fiennes, Tony Revolori, Saoirse Ronan, Tom Wilkinson, Jude Law, F. Murray Abraham, Adrien Brody, Willem Dafoe, Mathieu Amalric, Tilda Swinton, Harvey Keitel, Jeff Goldblum, Léa Seydoux, Jason Schwartzman, Owen Wilson, Bob Balaman, Fisher Stevens, Giselda Volodi
Genere: wesandersoniano
Se ti piace guarda anche: Fantastic Mr. Fox, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, I Tenenbaum

Grand figlio di buona donna, Wes Anderson. I suoi film sono sempre dei dolcetti deliziosi, ma dal gusto spesso dolceamaro. Dei dolcetti che vanno scartati con cura, come nel caso di Grand Budapest Hotel, un film stratificato, costruito con una cura mostruosa, con un’attenzione a ogni più piccolo dettaglio pazzesca. Riguardo a quest’ultima pellicola, ho sentito soprattutto due tipi di pareri: i primi sono quelli degli hipster del tutto esaltati come questa.


E poi ci sono quelli più tiepidi, che parlano invece di sterile esercizio di stile. A me le vie di mezzo non piacciono, però per una volta devo schierarmi nel partito dei dannati moderati. La verità, almeno in questo caso, forse sta davvero nel mezzo.
Da una parte, Grand Budapest Hotel è un film diretto alla grande. Wes Anderson raggiunge qui una fluidità di movimenti della macchina da presa, e anche della narrazione, come mai prima d’ora. A livello estetico, il soggiorno in questo hotel è davvero un piacere per gli occhi. Un incanto continuo, ricco di trovate registiche come l'alternarsi del formato in 16:9 con quello in 4:3. Anche in quanto a sceneggiatura, Wes Anderson tira fuori dei lampi di genio, delle chicche notevoli, dei momenti spassosi. Grand Budapest Hotel è un inno alla narrazione, a partire dalla sua struttura a scatole cinesi, ma vista l’ambientazione esteuropea è meglio dire in stile matrioska, di racconto nel racconto nel racconto nel racconto.

Dall’altra parte Grand Budapest Hotel è un film volutamente monco, diviso in 5 capitoli che sarebbero dovuti essere 6. Manca quello dedicato ad Agatha, il personaggio di Saoirse Ronan. Il narratore, il Lobby Boy dell'hotel ormai cresciuto, decide di troncare quasi del tutto quella parte del racconto, una pagina ancora troppo dolorosa della sua vita. Si ha così la sensazione che manchi qualcosa, qualcosa di fondamentale, che sarebbe stato capace di trasformare la pellicola da splendida esperienza estetica, a visione anche davvero emozionante. Grand Budapest Hotel è un film matrioska che rivela poco a poco i suoi strati, ma alla fine decide di non mostrarci l’ultimo. Il cuore.

Grazie al suo senso dell’umorismo particolare, e qui più incisivo e nero del solito, Wes Anderson ci regala un’ottima macchina da intrattenimento a metà strada tra commedia e thriller. L’impressione è però quella di un film che parla più al cervello che al cuore. Impressione confermata dai molti riferimenti più o meno ricercati, dalle comedy slapstick de ‘na vorta al cinema muto, dalle vaghe implicazioni politiche fino alla dedica finale a Stefan Zweig, come viene ben spiegato in questo post del blog La balena bianca:

A sciogliere i nostri dubbi, ecco che giunge la dedica finale: a Stefan Zweig.
Tutto all’improvviso si fa chiaro, semplice, quasi commovente. Un’opera così cesellata, dalla finezza e dalle atmosfere mitteleuropee, non poteva che rifarsi a questo romanziere di inizio novecento, troppo rapidamente dimenticato dopo la sua tragica morte. Caso eccezionale quello dello scrittore austriaco, autore prolifico e dal successo mondiale (le sue opere vennero tradotte in cinquanta lingue), egli può essere considerato il primo autore di bestseller dell’età contemporanea, le avventure da lui descritte spaziavano dai viaggi in terre esotiche ai drammi più sottilmente psicologici, e i suoi protagonisti, come ci ricorda Silvia Montis nell’introduzione a una delle sue raccolte, erano “eroi involontari a confronto con un interrogativo epocale, sui quali si è abbattuto il pesante sigillo della Storia”, proprio come i due protagonisti di Grand Budapest Hotel, semplici inservienti nella bufera dei mutamenti geopolitici. Ma la vicinanza di Anderson allo scrittore austriaco è ben più profonda, di natura stilistica; assistiamo infatti a un evento sensazionale: la traduzione perfetta di un linguaggio letterario nel suo omologo cinematografico. Perché se i film di Anderson appaiono come giochi dal meccanismo perfetto, essenziali e impreziositi dalla cura del dettaglio, sempre la Montis ci ricorda che Zweig era “un cultore della rinuncia, dell’editing a levare anziché a irrobustire, del dettaglio fatale nascosto in un umile aggettivo anziché esplorato in un passaggio auto compiaciuto. Distillava, tagliava, asciugava: il movimento era sempre mirato. Il racconto, un congegno a orologeria”.
Wes Anderson, dunque, con questa dedica, svela molto più di quanto si possa pensare. L’opera di Zweig non è una semplice ispirazione, ma un modello di poetica e di intenti, quasi il regista americano volesse seguire persino la stessa sorte dell’autore austriaco, spazzato via dalla storia della letteratura contemporanea, colpevole di intransigenza formale.

Quanto a me, come detto sto nel mezzo. Lunga da me accusare Wes Anderson di intransigenza formale, devo ammettere che nel caso di Grand Budapest Hotel è la forma ad avermi colpito di più rispetto ai contenuti. Sarà perché io in generale sono un fan della forma (e soprattutto delle forme).
Nonostante qualche lampo di umanità, i personaggi che popolano il Grand Budapest Hotel e i suoi dintorni non riescono a trasformarsi del tutto in persone in carne e ossa, come invece capitava nel precedente stupendo e quello sì davvero toccante film del regista Moonrise Kingdom. Ma probabilmente è solo colpa mia. Avrei voluto meno Ralph Fiennes, attore che continuo a non sopportare, e più Saoirse Ronan! È quasi come se Wes Anderson in fase di montaggio avesse fatto il Terrence Malick della situazione e avesse sforbiciato di brutto il suo personaggio. Quello che avrebbe potuto regalare più emozioni a un film che invece resta una visione molto da Est Europa. Un’affascinante quanto fredda matrioska.
(voto 7,5/10)

Questo era quanto diceva Cannibal Kid su Pensieri Cannibali nell’ormai lontano 2014. Ora che parlo perfettamente l’italiano, ho capito fino in fondo l’intero contenuto del post. La mia impressione rispetto ad allora però non è cambiata e la ribadisco ancora una volta: “Non dire stronzate, ragazzo cannibale. Questo è il mio film più bellissimo!”.
Wes Anderson

sabato 5 ottobre 2013

KATE WINSLET – THE COUGAR READER




David Kross che legge per Kate Winslet
The Reader – A voce alta
(USA, Germania 2008)
Titolo originale: The Reader
Regia: Stephen Daldry
Sceneggiatura: David Hare
Tratto dal romanzo: A voce alta – The Reader (Der Vorsleser) di Bernhard Schlink
Cast: Kate Winslet, David Kross, Ralph Fiennes, Lena Olin, Bruno Ganz, Vijessna Ferkic, Karoline Herfurth
Genere: nazi cougar
Se ti piace guarda anche: Changeling, Schindler’s List

The Reader – A voce ALTA è un film che affronta le tematiche di pedofilia e nazismo. Manca solo Miley Cyrus e poi tutti gli argomenti più spinosi e discussi nella storia dell’umanità sono qui affrontati.
Quando si trattano tematiche importanti e difficili, sono tutti subito pronti a gridare a voce ALTA al “CAPOLAVORO!”, al “FILMONE!”.
***ATTENZIONE SPOILER Un film su una donna responsabile della morte di 300 persone durante l’Olocausto? Di sicuro si tratterà di un “CAPOLAVORO!” di un “FILMONE!”. FINE SPOILER***
Se una pellicola parla invece di un gruppo di zoccolette che nella vita vuole solo divertirsi e fare casino come Spring Breakers o Bling Ring, o di un gruppo di spogliarellisti superficialoni come Magic Mike, allora si tratterà sicuramente di una cazzata. Per me non è così. Per me è più il contrario. In ogni caso, più di chi si racconta, più di cosa si racconta, l’importante è il come, e The Reader racconta una storia anche intrigante, a tratti, soprattutto all’inizio, ma lo fa male. Lo fa in maniera banale, piatta.
Breaking Bad non è stata una grande serie perché ha parlato di un povero prof. di chimica malato di cancro. Breaking Bad è stata una grande serie perché ha evitato ogni sorta di banalità o facile pietismo e perché il modo in cui è stata realizzata è stato: “BOOM!”, sia detto ad voce ALTA.

Ancora David Kross che legge per Kate Winslet
The Reader parte anche piuttosto bene. La prima parte è da tipico romanzo di formazione. Meglio ancora, da iniziazione sessuale. È di questo che si tratta. Il sedicenne Michael viene sedotto da una donna più grande di lui di vari anni, Hanna Schmitz, quella che oggi chiameremmo una cougar, una panterona, una signora a cui piacciono i ragazzetti ggiovani. In altre parole: Demi Moore. Nella Germania Ovest del 1958 però le cougar non erano ancora di moda e quindi la loro relazione era segreta.
Bene, questa parte va bene. Kate Winslet riesce a regalare al personaggio di Hanna la giusta carica di sensualità, nonostante a me fisicamente non abbia mai fatto impazzire e Michael finisce per diventare una sua innocente vittima. Un bel donnino che vuole farselo tutto il giorno? Povero ragazzo.
Mentre lei insegna a lui l’ars amatoria, lui legge a lei, che è analfabeta, dei romanzi, dei libri a voce ALTA. Poco a poco la loro relazione si trasforma da qualcosa di soltanto fisico in qualcosa di più…

Sempre David Kross che legge per Kate Winslet.
E poi dicono che i giovani non leggono più...
A questo punto Hanna ottiene una promozione e sparisce nel nulla. Passa il tempo, siamo negli anni Sessanta, Michael è passato dall’essere un apprendista gigolò a un apprendista avvocato e, mentre studia un caso in tribunale, si ritrova di fronte l’ex amante, la cougar, e scopre che…
***ATTENZIONE SPOILER DI NUOVO*** La cougar era una nazi. A causa sua sono morte 300 donne. *FINE SPOILER DI NUOVO***
È qui che il film deraglia sui binari del legal drama banalotto e anche, diciamolo, noioso. Non un noioso alla Changeling, ma un noioso abbastanza da smaronarsi. La pellicola vorrebbe fare della discontinuità il suo punto di forza, invece diventa la sua grande debolezza. Passano gli anni, cambia il contesto storico, i personaggi crescono e cambiano. Cambiano anche parecchio: l’interprete di Michael da giovane, l’attore tedesco David Kross, si trasforma in Ralph Fiennes e i due attori non hanno davvero un granché in comune, se non lo sguardo imbambolato. A parte quello, ci va un grande sforzo di immaginazione per pensare che siano lo stesso personaggio. Kate Winslet invece fa tutto lei, sia la cougar di mezza età, che la cougar quando diventa una cougar vecchietta e per essere brava è brava, però questa è una delle sue migliori interpretazioni?
A me non sembra.
L’attrice inglese, che oggi 5 ottobre 2013 compie 38 anni, ha avuto ben 6 nomination agli Oscar e l’unico l'ha vinto proprio per questo ben poco eccezionale film?
Bah, solita cagata dell’Academy. Kate si è comportata parecchio meglio in parecchi altri film. Quali?
Ecco la mia TOP 8 delle migliori interpretazioni winslettiane di sempre (almeno tra i suoi film che ho visto):

8. Revolutionary Road
7. Titanic
6. Creature del cielo
4. Se mi lasci ti cancello
3. Carnage
2. Holy Smoke


La neo 38enne cougar oggi è la protagonista del Kate Winslet Day, quindi vi potete beccare un sacco di recensioni dei suoi film da parte dei miei colleghi blogger cinefili che partecipano alle celebrazioni:


"Pure la cartina ti devo leggere? Cosa non si fa per una chiavata..."
Nonostante nella sua carriera abbia fatto di meglio, Kate Winslet è comunque il grande punto di forza di un film che via via si sfilaccia, con i vari passaggi cronologici poco legati tra loro, e che fanno andare la pellicola dalle parti dello sceneggiato televisivo, e sul finale persino da quelle del drammone alla Nicholas Sparks. Una vera occasione mancata, perché con protagonista una nazi cougar pedofila sarebbe stato lecito aspettarsi una pellicola più forte, potente, cattiva. Così non è. D’altra parte il regista è lo specialista nelle pellicole ruffiano-buoniste Stephen Daldry, quello di Molto forte, incredibilmente vicino e Billy Elliot. L’unica arma che usa è la solita: il montaggio parallelo che a quanto pare è la sua sola risorsa stilistica. Se in un film come The Hours, la sua pellicola migliore, il giochino gli riusciva ancora discretamente, qui sembra invece di assistere a una fiction Rai un minimo più curata. Peccato per Kate, la protagonista di giornata che s’è dovuta beccare una stroncatura. D’altra parte qui si sta a celebrare l’attrice, ma mica si sta a fare all’amore con tutti i suoi film, come il suo personaggio qui fa con il primo ragazzetto che le capita a tiro.
(voto 5/10)


sabato 9 marzo 2013

SKYFALL, NON MI HAI FATTO SKYFO

Skyfall
(UK, USA 2012)
Regia: Sam Mendes
Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan
Cast: Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Naomie Harris, Bérénice Marlohe, Ben Whishaw, Rory Kinnear, Albert Finney
Genere: spionistico
Se ti piace guarda anche: Il cavaliere oscuro, gli altri film su James Bond

Il mio nome è Boh. James Boh.
Se cercate qualcuno che vi dica tutto sull’agente 007, qualcuno che abbia letto tutti i libri di Ian Fleming, qualcuno che vi sappia citare ogni punto di contatto con i film precedenti, che vi faccia notare quali sono le novità di questo ultimo Skyfall, qualcuno che vi nomini tutte le Bond Girls e le canzoni usate, ecco avete sbagliato agente. A parte giusto le Bond Girls e le canzoni, io del magico e avventuroso mondo di James Bond non ne so niente.
Se cercate invece il punto di vista di qualcuno che si approccia per la prima volta a una visione bondiana, io sono l’agente che fa al caso vostro. L’ultimo Bond-vergine rimasto al mondo. Chi infatti non ha mai visto un film con protagonista 007?
Io. Fino ad ora ero sempre rimasto immune al fascino dell’agente più cool del mondo, o per lo meno della Gran Bretagna. Sarà che non mi hanno mai attirato i suoi vari interpreti. Nemmeno Sean Connery, per cui (lo so che dirò una bestemmia) ho sempre provato una congenita antipatia. Non lo so perché, a me gli scozzesi in genere stanno pure simpatici. E adoro tutto, ma proprio tutto della cultura britannica. James Bond però proprio no. Come detto, fino ad ora.

"Certo che non è giusto: Daniel Craig tutto fighetto,
mentre a me m'hanno conciato da far skyfo."
Skyfall è riuscito a riportare alle stelle l’hype nei confronti del brand Bond. Con un’operazione di marketing da ammirare e di cui ogni esperto nel settore dovrebbe prendere appunti, Daniel Craig in versione 007 si è presentato a prendere la Regina Elisabetta durante la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Londra. Un evento di nicchia, seguito giusto da qualche miliardo di persone nel mondo. Per la canzone deputata a fare da tema musicale al film è stata poi scelta soltanto la cantante che ha venduto più dischi negli ultimi anni, una certa Adele, in grado più tardi di portarsi a casa l’Oscar, cosa mai successa a un brano bondiano.
Con due mosse appena, di cui una muovendo la regina del Regno Unito e l’altra muovendo la regina della musica, il nuovo film di James Bond aveva quindi già posto le basi per uno scacco matto globale senza precedenti. Le altre due pellicole con protagonista Daniel Craig Casino Royale del 2006 e Quantum of Solace del 2008 avevano infatti risvegliato l’interesse mondiale nei confronti del personaggio, dopo la lunga parentesi Pierce Brosnan, però niente a che vedere con il successo di Skyfall, riuscito ormai a superare il miliardo di dollari di incasso a livello worldwide.
Tutto merito di un’astuta e clamorosamente riuscita operazione di marketing, oppure dietro si cela anche della sostanza cinematografica, come le numerose critiche positive ricevute dalla pellicola lasciavano intuire? Tra i soldi spesi per la campagna promozionale, alcuni sono stati utilizzati anche per pagare i giornalisti pregandoli di parlarne bene, oppure una visione la merita davvero?

James Bond a suo agio in un museo tanto quanto
un elefante in un negozio di cristalli.
Da buon agente operativo, se non altro a livello cinematografico, ho cercato di indagare per scoprirne di più. Per una volta ho messo da parte le mie resistenze nei confronti di un personaggio così affascinante per tutto il mondo, ma che a me invece non ha mai affascinato minimamente. Un incentivo me l’ha dato la regia di Sam Mendes, regista che apprezzo parecchio fin da quel gioiellino d’esordio di American Beauty. Sinceramente, mi giravano le palle a perdermi un film di Sam Mendes, di cui ho visto l’intera Opera, solo perché sono sempre stato un anti-Bond. Alla fine allora ho ceduto e… mi è piaciuto. Non mi ha magari esaltato a livelli assurdi, non m’è venuta voglia di recuperarmi tutte le altre pellicole su 007, ma se non altro Skyfall non mi ha fatto sky-fo.
E pensare che sono partito con il mirino puntato sull’obiettivo e alla prima sequenza stavo già per sparare. Una lunga, e per quanto mi riguarda poco appassionante, scenona d’azione. Un inseguimento inverosimile, ovvero proprio ciò che mi aspettavo alla vigilia. Poi invece succede l’inaspettato. A Bond sparano per davvero.
Oh, mio Dio! Per una volta che mi metto a vedere un film con 007, me lo fanno fuori subito?

"Hanno cancellato la tua serie The Hour, Ben? Mo' so' cazzi amari per tutti!"
Ovviamente Bond non è davvero morto, però il film sa sparare qualche altro bel colpo riuscito, a partire da dei titoli di testa di un’eleganza infinita, accompagnati dalle splendide note del tema musicale cantato da Adele, di diritto tra i migliori nella Storia bondiana. Per quanto non abbia una enorme, anzi, per quanto non abbia alcuna conoscenza delle altre pellicole, le canzoni usate in 007 le conosco bene e Skyfall di Adele non sfigura affatto al fianco delle memorabili “Diamonds Are Forever” e “Goldfinger” cantate da Shirley Bassey, oltre alla splendida “Nobody Does It Better” di Carly Simon.

"Bond, non vengo a letto con te finché non hai imparato a
pronunciare il mio nome correttamente. Capito?"
"Tutto chiaro, Bernarda Merlo."
La pellicola scivola poi via benissimo, nella prima parte grazie allo humour british contenuto nei dialoghi tra il roccioso Daniel Craig e il giovinastro Q interpretato dall’ottimo Ben Whishaw (uno dei protagonisti della purtroppo cancellata serie UK The Hour), grazie ai flirt innocenti con Naomie Harris e quelli meno innocenti con Bérénice Marlohe, Bond girl da togliere il fiato. E poi grazie alle atmosfere Christopher Nolan friendly in cui piomba la pellicola nella sua seconda parte, quella in cui entra in scena Javier Bardem (che a me invero non ha convinto del tutto) in versione terrorista cattivone. Tutti a scomodare il paragone con Il cavaliere oscuro e io che faccio? Devo confermare pure io tale paragone. Non avendo grande confidenza con il genere action, Sam Mendes deve aver preso molti appunti durante la visione dei Batman nolaniani, e si vede.
Skyfall non presenta quindi niente di radicalmente nuovo, a livello cinematografico, però è un film che ha stile. Un film che ha saputo affascinarmi. Anch’io per la prima volta sono rimasto rapito dal fascino bondiano. Rapito magari è un termine esagerato, visto che nell’ultima parte la pellicola si adagia troppo sul versante action e lì mi ha stupito decisamente meno.
Nel complesso allora devo riconoscere il fallimento della mia missione. Ero stato inviato per sparare a zero su zero zero sette, invece alla fine mi sono fatto conquistare dalla vittima. D'altra parte dovevo già immaginarmelo: nei film va sempre a finire così.
(voto 6,5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, accompagnato da un nuovo super styloso poster realizzato dall'emerito C(h)erotto.



mercoledì 16 novembre 2011

Brutto figlio di babbana

L’hanno menata per 10 lunghi anni, gli incassi dell’intera saga basterebbero da soli a risolvere il problema del debito pubblico italiano (ehm, forse no, è davvero troppo alto!), i libri che l’hanno ispirata hanno venduto più copie della Bibbia e l’hanno fatto finire così?
Dico: cooosì?

Harry Potter e i doni della morte: Parte II
(UK, USA 2011)
Titolo originale: Harry Potter and the Deathly Hallows: Part 2
Regia: David Yates
Cast: Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Ralph Fiennes, Matthew Lewis, Alan Rickman, Tom Felton, Bonnie Wright, Evanna Lynch, Jason Isaacs, Helena Bonham Carter, Maggie Smith, David Thewlis, Ciaran Hinds, Kelly Macdonald, John Hurt, Katie Leung, Jim Broadbent, Clemence Poesy, Jamie Campbell Bower, Emma Thompson, Gary Oldman
Genere: potteriano
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Cominciamo dall’inizio. Se ve le siete perse, potete recuperare la mia
Breve guida babbana almagico mondo di Harry Potter (dedicata ai primi 6 capitoli cinematografici della saga)
e la recensione de
Ma se non avete tempo e/o voglia riassumo rapidamente le puntate precedenti dicendo che pur partendo da un approccio scettico e “babbano” alla materia potteriana, nel corso del tempo avevo cominciato ad affezionarmi a questi piccoli maghetti bastardelli, e quindi ero curioso di scoprire se con l’ultimissima parte dell’ultimissimo capitolo della serie mi sarei trasformato per magia in… un principe azzurro?
No, in un potteriano DOC.

A opporsi alla mia mutazione completa da babbano a potteriano vi è però un elemento importante. Quella di Potter è una saga per alcuni (anzi, per un sacco di gente) mitica, ma per quanto mi riguarda le manca un’ingrediente fondamentale: l’ironia. Quella che rende indimenticabili e davvero entertaining serie più o meno fantasy anche a chi come me non è un fan assoluto del fantasy in senso stretto. Mi riferisco in particolare ai casi di Buffy - L’ammazzavampiri che ha segnato gran parte delle saghe multimiliardarie degli ultimi anni sia sul piccolo che su grande schermo, ma anche alle recenti e spettacolari serie britanniche come Misfits e The Fades, senza dover tornare indietro fino agli anni ’80 alle avventure dei mitici Goonies. In tutti questi casi troviamo scontri epici, creature fantastiche, battaglie all’ultimo sangue, però non manca mai quella presenza di un velo di umorismo che aiuta non solo ad alleggerire l’atmosfera, ma che ci ricorda di come fondamentalmente solo di una fantasy si tratti. E anche se si trattasse di realtà, è sempre importante mantenere uno sguardo ironico di fronte a tutto, anche alle vicende più serie e drammatiche. Altrimenti si rischia di finire nel patetismo e nelle più diaboliche trappole strappalacrime.
E sì che da ironizzare sul maghetto Fotter ci sarebbe più di un motivo…
A cominciare della sua omosessualità latente, mica tanto latente, visto Harry sta sempre lì a menarsi la sua bacchetta magica, invece di cedere alle avance di Hermione e della sorella ninfomane di Ron, cui concede giusto un mezzo bacetto dopo 14 film.
E poi, altra cosa: ad Hogwarts fanno tutte ‘ste magie assurde, ma le lenti a contatto non le hanno ancora inventate? E se proprio non vuole rinunciare ai suoi occhialetti, Harry non può almeno sostituire quelle ridicole lenti rotonde con quelle rettangolari da fighetto hipster milanese?

Tralasciando quindi la grave mancanza di ironia all’interno della serie, la curiosità per questo capitolo è tutta incentrata sul grande finale e quindi le prime scene scorrono come un mero antipasto, un riempitivo che funge da passatempo ma non regala momenti indimenticabili, al contrario de I doni della morte: Parte I che conteneva almeno 2 o 3 tra i momenti migliori dell’intera saga.
La scena con Hermione/Emma Watson che si finge Bellatrix/Helena Bonham Carter ad esempio è simpatica, però niente di che. Il volo sul volatile gigante poi non raggiunge certo, non me ne vogliano i potteriani DOC, i livelli di magia e poesia di quelli di Bastian a “bordo” di Falkor (per gli amici oggi anche noto come Victoria Beckham) sulle note di Neverending Story di Limahl. E ho detto Limahl!

"Prima di morire, massì carichiamo una foto su Facebook!"
Al ritorno a Hogwarts di Harry, succede quindi una cosa incredibile: viene accolto tra applausi e ovazioni generali, quando in una qualsiasi altra scuola normale uno come lui sarebbe stato vittima dei bulli, pestato a sangue e gettato con la testa dentro il cesso. Altroché applausi.
Una cosa davvero odiosa di Harry Potter è la sua totale assoluta bontà. Nel suo aiutare persino i cattivoni che si sono sempre messi contro di lui come Dago Malfoy e suo padre Renato Zero (per quanto poi scorpiremo l’abbia fatto più o meno per il suo bene) tocca limiti che anche Madre Teresa di Calcutta avrebbe trovato stucchevoli e fatto venire un prurito alle mani persino a Gandhi.
Ma se una parte di Lord Voldemort vive dentro Harry Potter, com’è che lui è così buono e teneroso?

Scena presente solo nel director's cut Harry Fotter
La prima ora e fischia del film scorre quindi piuttosto inutile, però era da mettere in conto, con la parte più interessante che si rivela essere quella dedicata al flashback su Severus e i genitori di Harry, l’unico momento che rivela qualcosa di più sui personaggi.
Una bella scena, finalmente, però non importa: quello che importa è il gran finale, ma che dico? Il super gran finale, quello con lo scontrone fatidico tra Harry Potter e Voldemort. Roba da far impallidire le Blog Wars tra il sottoscritto Cannibal Kid e Mr. James Ford.
E invece…

A livello di epicità, la battaglia finale di massa tra il Bene VS il Male non può competere con gli scontri pazzeschi de Le due torri e Il ritorno del re nel Signore degli anelli. Non c’è storia. Roba che se facessero uno scontro tra le due saghe, Harry finirebbe schiantato come il Napoli contro il Barcellona.
Il bacio così, improvviso e frettoloso tra Hermione e Ron appare come un momento gettato via, più che una scena romantica come ‘sti due poveri cristi avrebbero meritato. 10 anni di tira e molla ed è tutto questo che viene concesso loro? Ma che crudeltà!
Comunque non importa nemmeno questo. Quel che importa è Harry VS Voldemort.



"Conosci un buon chirurgo plastico, Harry?
Voglio un nasino nuovo come Paris Hilton..."
Round 1:
Harry Potter si dichiara “Ready to die, come Notorious B.I.G., yo bitch!”.
 “Il ragazzo che è sopravvissuto, venuto a morire”, replica contento Voldemort, pregustandosi una sfida di quelle infinite tipo quando da ragazzino si scontrava con gli amici a Street Fighter.
Così Voldemort passa all’attacco e pianta un raggio fotonico alla Dragon Ball che manda subito Harry Potter al Creatore.
O qualcosa del genere, visto che in una scena alla Matrix Revolutions finisce in una sorta di Aldilà con quella lagna di Albus Silente che io speravo già di non dovermi più sorbire.
Harry is dead and noone cares, canta vittorioso Voldemort, mentre il cadavere del maghetto più effeminato del mondo viene riportato da Hagrid a Hogwarts, in una scena che sembra di assistere alla Passione di Cristo, soltanto meno antisemita.
Ma Harry non è morto. Harry è ancora vivo… Uuuuh, che sorpresona!

Arriviamo così al Round 2: Harry VS Voldemort, again.
Moh la facciamo una sfida più decente?
Questa volta è Voldemort  a fare la fichetta e dopo una lotta senza esclusione di colpi (ma dove?) in cui Harry ottiene il prezioso aiuto del più sfigato di tutta Hogwars: Neville Paciock, che uccide il misterioso e pericolosissimo serpente. Ma pericolosissimo perché? Manco era un black mamba…
Il momento Neville stile rivincita dei nerd riporta alla mente Sam, l’improbabile quanto vero eroe del Signore degli anelli. Solo che in quel caso aveva un senso, visto che si era rivelato fin da subito come uno dei personaggi più interessanti dell’intera saga. Qui invece Neville non l’hanno mai cagato di striscio, se non per brevissime scene più o meno comiche, e poi all’improvviso mi diventa un supereroe? Mi sembra ‘na roba campata per aria così tanto per…
Panico pa-panico pa-panico paura!
Il colpo di grazia al temibile (ma dooooooove???) Voldemort glielo dà poi naturalmente Harry, perché l’eroe dev’essere a tutti i costi lui. D’altra parte il nome sui titoli di testa e sui libri è il suo, Harry Potter, mica Neville Paciock (o Neville Longbottom in inglese). Credete avrebbero venduto tutti ‘sti fantastiliardi di copie, di libri che si intitolavano tipo Neville Paciock e la pietra filosofale?
Con una facilità irrisoria, Harry disintegra così il temutissimo (ma ddda chi?) Voldemort, che si rivela una delle più grandi ciofeche di villain di tutta la storia del cinema. Una parte del (de)merito va di certo a Ralph Fiennes che, per quanto truccato di tutto punto, ha la credibilità come super cattivone di un Pikachu. Il resto lo fa la sua voce, che parla in mondovisione manco fosse Berlusconi con le sue cazzo di reti pubbliche e private unificate.
Ma ormai è finita.
Per tutti e due!

"Ocio, che se sniffi troppa coca ti vengono le narici come le mie!"
Ammazza che cattivone si è rivelato questo Voldemort: sono bastati un paio di bimbiminkia (mancava giusto Justin Bieber), che nemmeno si sono impegnati più di tanto, per mandarlo al tappeto. Dopo essersi resi tutti quanti conto che questo “mago” era un buffone impostore peggio di Silvan e a sconfiggerlo non ci voleva niente, Harry Potter non viene portato in trionfo né niente. Quando prima era tornato a Hogwarts era stato accolto da applausi, una ola, e scene di groupie che gli lanciavano le mutandine addosso, e adesso che ha eliminato una volta per tutte il più cattivone tra tutti i cattivoni non c’è manco uno che gli dice: “Bravo Harry, ben fatto.”
Vabbè, ma finisce così?
Non ancora…

L’ultima scena dovrebbe essere quella più toccante, visto che è ambientata 19 anni dopo che Voldemort è mort, con i nostri tre maghetti ormai cresciuti e adulti e un mezzo secondo di commozione l’ho anche quasi avuto.
La cosa migliore è Hermione/Emma Watson, che così conciata si rivela una gran bella MILF e finalmente non è più peccaminoso (e illegale) fare pensieri impuri su di lei. Con il trucco a Harry Potter invece ci sono andati giù davvero troppo pesanti. Facendo due conti, al termine delle avventure avrà avuto circa 18 anni + i 19 passati = 37 anni circa. Perché allora l’hanno conciato in un modo che neanche il Nongio quando fa il Father ne I soliti idioti è piazzato così male?
Harry con la mogliettina zoccoletta dai capelli rossi che non mi ricordo come si chiama da una parte ed Hermione e Ron dall’altra portano così i figlioletti nella stazione al binario 9 e ¾, quello magico che conduce dritti a Hogwarts. È la quadratura del cerchio, la fine dove tutto era iniziato, va bene. Ma dalla saga più fantasiosa e magica della letteratura contemporanea non era forse lecito attendersi un finale un minimo più fantasioso?
E invece no. Tutto è gettato lì in maniera veloce, così come lo scontro tra Harry e Voldemort. Spero che nel libro la Rowling abbia trattato i lettori con maggiore rispetto e abbia proposto un finale un pizzico più emozionante. Nel film invece mi sembra che tutta la parte finale sia stata buttata lì alla buona, come se avessero pensato: “Massì, basta. Sono 10 anni che la tiriamo avanti, finiamola più in fretta che possiamo”.
Ma già che c’erano, i furboni hanno anche pensato bene di tenersi una porta aperta per un’eventuale nuova serie futura, con protagonisti già bell’e pronti i figlioletti di Hermione, Ron, Harry e della tipa rossa che non mi ricordo il nome.

E così che finisce il mondo di Harry Potter, non con un bang, ma con un lamento.
Il lamento mio. Dopo 8 film 8 pensavo che per me ci sarebbe stato il lieto fine. Avevo immaginato che da scettico babbano quale ero in partenza, giunto al finale mi sarei trasforfato in un potteriano in lacrime per l’ultima scena. E invece l’ultimo film, che già pregustavo come il migliore, si è rivelato il più deludente della serie.
Affranto non perché Harry Potter è finito, ma da come Harry Potter è finito, ho allora deciso di immaginare un finale alternativo.
Come l’avrei fatto finire io?

"Dai cazzo, GianHenry!"
IL FINALE CANNIBALE
19 anni dopo aver sconfitto Voldemort, Harry Potter è un uomo alcolizzato e depresso che non ha più uno scopo nella vita, non avendo più un acerrimo nemico contro cui combattere. E così si sfoga con una relazione extraconiugale con Hermione, che l’ha sempre guardato con occhi pieni di desiderio del tipo: “Minchia come ti scoperei, Harry,” mentre il povero Ron non l’ha mai guardato così. E come passatempo, anziché fare incantesimi, Harry si sfoga a menare i figlia perché stanno scoprendo le loro prime magie.
Quando la moglie di cui non ricordo il nome becca Hermione mentre gli fa un soffocone, Harry rimane solo, divorziato e senza amici, giacché anche Ron gli volta le spalle. Nell’unico giorno del mese in cui il giudice gli consente di vedere i figli, Harry porta i suoi ragazzi allo zoo come nel primo film e qui ha una rivelazione. Mentre il suo figlioletto piccolo, quello che più gli assomiglia, l’Harry 2.0 insomma, sta combinando un altro dei suoi soliti casini, a lui viene in mente una cosa: rifilargli un bel coppino con la sola imposizione delle mani: “Coppinum coppinum, coppinum supremum!”
Ed ecco che il figlioletto cade a terra con la faccia nel fango ed Harry ride. Ride felice come un bambino, felice non lo era più stato negli ultimi 19 disastrosi anni lontano da Hogwarts. Capisce allora che è lì che deve tornare. A Hogwarts.
Grazie alle solite raccomandazioni e calci nel culo, Harry si guadagna una cattedra da docente in “Poteri stupidi applicati” e lì le cose procedono alla grande. Fino a che una studentessa minorenne non lo denuncia per molestie sessuali, perché a quanto dicono le voci diffuse in quel di Hogwarts, pare le abbia gridato: “Beccati sta bacchetta magica!”.
Qui per l’ex maghetto ha inizio una lunga battaglia legale, ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.
Ciao Harry!
(voto 6-/10)

domenica 3 aprile 2011

Quando m’han detto "film in costume" immaginavo delle tipe in bikini

La duchessa
(UK, Francia, Italia 2008)
Titolo originale: The Duchess
Regia: Saul Dibb
Cast: Keira Knightley, Ralph Fiennes, Hayley Atwell, Dominic Cooper, Charlotte Rampling
Genere: storico
Se ti piace guarda anche: Marie Antoinette, Elizabeth, L’altra donna del re

“Un uomo o è libero oppure non lo è. Il concetto di libertà è un assoluto. Del resto non si può essere moderatamente morti, o moderatamente amati o moderatamente liberi. Dev’essere una cosa o l’altra.”
Georgiana Cavendish

Trama semiseria
La storia della duchessa del Devonshire Georgiana Cavendish, uno di quei nomi alla Valeriana & Katiana di Uomini & donne solo che per fortuna siamo alla fine del Settecento e quei mostri Maria de Filippi non li aveva ancora partoriti. Anzi, non era ancora nata la televisione e, pensate, nemmeno Mediaset. Comunque non è che fossero tempi molto belli pure allora, perlomeno se non eri un uomo e perlomeno se non eri almeno un duca.
La giovane & cool duchessa Georgiana/Keira Knightley si sposa infatti con quello stronzo di Ralph Fiennes e lui la tradisce in ogni occasione possibile persino inculandosi delle scimmie. Ok, forse quest’ultimo dettaglio me lo sono inventato scrivendo in pericolosa fase post-alcolica, però la povera Georgiana viene usata davvero soltanto per dargli un figlio maschio. Peccato che prima arrivi una femmina, poi un’altra femmina, quindi una femmina illegittima e l’erede maschio tardi a nascere… Quando infine arriverà lo chiameranno Claudiano?

Recensione cannibale
Con i film in costume ho un rapporto conflittuale, anzi diciamo non sono proprio il mio genere. Il mio pollice va su quando ci sono dei lavori in grado di innovare e rinnovare la tradizione come la Marie Antoinette con tanto di Converse e colonna sonora new-wave partorita dai sogni di Sofia Coppola (e dai miei), mentre per quanto riguarda il resto preferisco starmene seduto in un angolino a guardare distaccato e impaurito. A questa Duchessa ho comunque voluto concedere una possibilità, vuoi per Keira Knightley, vuoi per un trailer che mi ha convinto o per il post di Silvia aspirante personaggio austeniano, vuoi ancora per Keira Knightley. E sì, fondamentalmente se l’ho visto penso sia stato per Keira Knightley.

La Duchessa presenta una vicenda non molto dissimile da Marie Antoinette e comunque dalla maggior parte dei film in costume ambientati a fine ‘700, se vogliamo dirla a tutta, o almeno così immagino visto che non è che ne abbia visti molti, epperò è in grado di farsi apprezzare anche da un anti-storico come me per la grande eleganza e cura formale; non a caso nel 2009 è stato premiato con l’Oscar per i migliori costumi e ha avuto una nomina pure per la miglior scenografia. Un film visivamente molto curato non solo nei dettagli delle ambientazioni e dei costumi, ma anche nella fotografia e nella bellezza delle immagini. O forse è solo un’impressione dovuta al fascino emanato da Keira Knightley in ogni singola scena.
Il suo marito cinematografico è invece quell’odioso di Ralph Fiennes in un ruolo odioso per cui è quindi perfetto. Fiennes è un attore di quelli che non capisco, fatta eccezione per Strange Days, l’unica occasione in cui l’ho trovato ottimo. Per il resto mi risulta davvero insopportabile, anche se peggio ancora è suo fratello Joseph Fiennes, un attore che ha il dono di rovinare ogni cosa che tocca, ultima in ordine di tempo la serie FlashForward: lanciata come nuovo “Lost”, con lui come protagonista le buone intenzioni si sono ben presto volatilizzate.

Tornando al film in costume, nella seconda parte della Duchessa affiora un filo di noia, ma può benissimo essere colpa mia più che del film di per sé, visto che comunque faccio fatica a coinvolgermi totalmente in vicende e personaggi così lontani nel tempo (per quanto nella protagonista compaiano parecchi barlumi di modernità), ma soprattutto faccio fatica a non trovare ridicole quelle parrucche che persino un trans si vergognerebbe a mettere.
Nel complesso un’ottima pellicola storica, con alcuni momenti parecchio intensi, diretta con talento dal promettente Saul Dibb e interpretata alla stra-grande da Keira Knightley. Ma questo ormai è un fatto praticamente scontato.
Comunque avrà anche ricevuto l’Oscar per i migliori costumi, ma a Keira non hanno fatto indossare nemmeno un bikini... Stiamo scherzando?
(voto 7-)

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