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martedì 19 aprile 2016

Il segreto dei suoi occhi, un film più rifatto di Nicole Kidman





Il segreto dei suoi occhi
(USA 2015)
Titolo originale: Secret in Their Eyes
Regia: Billy Ray
Sceneggiatura: Billy Ray
Ispirato al film: Il segreto dei suoi occhi (El secreto de sus ojos) di Juan José Campanella
Cast: Chiwetel Ejiofor, Nicole Kidman, Julia Roberts, Joe Cole, Alfred Molina, Dean Norris, Michael Kelly, Zoe Graham, Niko Nicotera
Genere: rifatto
Se ti piace guarda anche: Il segreto dei suoi occhi (2009), Cold  Case

Non è poi così male avere una pessima memoria. Puoi ad esempio vedere il remake di una pellicola girata appena una manciata di anni fa, una pellicola che pure ti era piaciuta e parecchio, e sembrarti come se fosse nuova. Quasi.
È in quel quasi però che risiede la differenza fondamentale tra il godersi una visione nuova di pacca e una riciclata. È nella sensazione di déjà vu che ti accompagna dall'inizio alla fine che sta quella piccola, ma fondamentale differenza.
Non avendo una gran memoria, non sono in grado di elencare con precisione analogie e differenze tra Il segreto dei suoi occhi versione argentina originale del 2009 e Il segreto dei suoi occhi versione statunitense "tarocca" del 2015. Posso però notare che non si sono manco sbattuti a cambiare il titolo e che si sono limitati a modificare qualcosina a livello di trama e di dettagli, giusto per americanizzare e modernizzare il tutto. Ad esempio hanno sostituito il calcio con il baseball, e hanno passato l'ambientazione dall'Argentina a cavallo tra anni '70 e '90 agli Usa post 11 settembre. Niente comunque di troppo fantasioso o in grado di stravolgere l'originale. Cosa che da un lato è un bene, dall'altro rende questo remake del tutto inutile, come d'altra parte lo sono quasi tutti i remake.

venerdì 25 marzo 2016

Point Bleah





Point Break
(USA, Germania, Cina 2015)
Regia: Ericson Core
Sceneggiatura: Kurt Wimmer
Cast: Luke Bracey, Edgar Ramirez, Teresa Palmer, Delroy Lindo, Ray Winstone, Clemens Schick, Matias Varela, Max Thieriot, Nikolai Kinski
Genere: rifatto
Se ti è piaciuto questo: con il Prison Break originale ti farai una sega

Ci sono 8 prove per dimostrare il proprio coraggio e raggiungere l'illuminazione. Questo almeno secondo il remake di Point Break. Si chiamano le 8 prove di Ozaki e consistono in 7 sfide ai limiti dell'impossibile, come gettarsi con uno snowboard da una discesa di montagna ripidissima, o cavalcare un'onda che farebbe cagare nelle mutande, anzi nel costume persino Kelly Slater. L'ottava sfida invece nessuno sa in cosa consista...
Nessuno tranne me. Io l'ho scoperto.
L'ottava prova di coraggio di Ozaki consiste proprio nel guardare il remake di Point Break.

domenica 10 agosto 2014

DELIVERY MAN, L’UOMO DAL SEME MAGICO





Delivery Man
(USA 2013)
Regia: Ken Scott
Sceneggiatore: Ken Scott
Ispirato al film: Starbuck – 533 figli e… non saperlo!
Cast: Vince Vaughn, Cobie Smulders, Chris Pratt, Britt Robertson, Jack Reynor, Matthew Daddario
Genere: clonato
Se ti piace guarda anche: Starbuck – 533 figli e… non saperlo!, Generation Cryo: Fratelli per caso

Delivery Man è un film inutile, ma nella sua inutilità riesce a rendersi utile. Questa pellicola è infatti la rappresentazione più cristallina della crisi, o meglio del vuoto creativo attuale che c’è a Hollywood. Con questo non intendo parlare del cinema americano in generale, capace di proporre cose interessanti soprattutto in ambito indie. Mi riferisco alle major cinematografiche che continuano a sfornare sequel, prequel, reboot o in questo caso remake la cui necessità sta sotto lo zero. Il riciclo delle idee è stato sempre fatto anche in passato, per carità non lo metto in dubbio. Solo in questo preciso momento storico si sono raggiunti nuovi impensabili picchi.

"Carino questo Starbuck. Perché non lo rifacciamo scena per scena?"
Delivery Man altro non è che il remake di Starbuck – 533 figli e… non saperlo!, pellicola canadese recentissima, uscita in patria nel 2011 e che in Italia è arrivata appena pochi mesi fa, da me tra l’altro puntualmente recensita. Non stiamo parlando di un film realizzato in Kosovo o in Transilvania, bensì di un film del Canada, nazione confinante con gli Stati Uniti. Se si sono sucati Celine Dion, gli americani per una volta potrebbero sucarsi anche una pellicola girata in lingua francese. Invece no. Piuttosto che doppiarli o vederli sottotitolati, gli yankee pretendono di vedere film solo ed esclusivamente in inglese, altrimenti al cinema non ci vanno, a parte per quella gran cacchiata de La passione di Cristo, che era in latino e aramaico ma se lo sono sparati ugualmente. Peccato che, per quanto fosse tutto in lingua English, gli americani non siano andati a vedere questo Delivery Man, che in patria si è rivelato un discreto flop e in Italia è uscito giusto ora in sordina nel periodo in cui molti multisala sono chiusi per ferie o, al massimo, trasmettono Transformers 4 a sale unificate.

"Se non facciamo almeno qualche cambiamento, se ne accorgeranno."
"Ma figuriamoci..."
Cosa cambia rispetto al film canadese?
Niente, o quasi. Il regista è lo stesso, il modesto Ken Scott che ha scritto anche la sceneggiatura, auto plagiando se stesso in un’operazione che ricorda quella fatta da Michael Haneke con le sue due versioni di Funny Games. Solo che in quel caso la versione fotocopia americana appariva come uno sberleffo punk del regista austriaco nei confronti del sistema hollywoodiano, mentre qui sembra più che altro un’operazione di asservimento nei suoi confronti. Con questo non sto dicendo che Ken Scott abbia fatto male. L’han pagato, spero per lui profumatamente, quindi ha fatto bene. Così come il pubblico ha fatto bene a ignorare questo film.

Se volete guardarvi una delle due versioni, andate su quella canadese. Non si tratta di una pellicola fenomenale, è una commedia piuttosto standard, però appare più genuina, mentre il remake americano sa di finto, di contraffatto. Sarà che l’effetto dejavu è stato per me particolarmente forte, visto che non sono passati molti mesi tra una visione e l’altra. Le differenze a livello di sceneggiatura sono quasi inesistenti. La storia è la stessa ed è anche carina. Un uomo con la sindrome di Peter Pan un giorno scopre che la sua fidanzata è incinta e poi scopre pure di essere già padre di 533 figli, frutto del suo amore solitario quando era un giovane donatore di sperma. Vicenda curiosa e ricca di spunti interessanti ispirata a un vero fatto di cronaca, che tra l’altro ha ispirato pure la reality-serie di Mtv Generation Cryo: Fratelli per caso, e sviluppata in maniera piuttosto efficace nella pellicola canadese. In quella americana non cambia praticamente nulla, se non qualche dettaglio. Uno dei figli del protagonista ad esempio è un campione di basket anziché di calcio. Poi naturalmente si è deciso di prendere per questa versione USA degli attori famosi…

"Hey, come diavolo avrà fatto Cannibal a capire che per scrivere
la sceneggiatura di Delivery Man è bastato fotocopiare quella di Starbuck?"
Famosi, insomma, più o meno: Vince Vaughn è una stella ormai in fase calante, se mai è stato una stella, e tra l'altro era stato curiosamente il protagonista di un altro remake fatto pari pari di un film giusto un pochino più importante, un certo Psyco, mentre Cobie Smulders di How I Met Your Mother, Chris Pratt di Everwood e Parks and Recreation e la teen-gnocca Britt Robertson di Under the Dome, Life Unexpected e The Secret Circle sono volti noti al pubblico telefilmico, ma per l’americano medio sono nomi anonimi quanto quelli degli attori del film canadese, quindi non si può nemmeno parlare della presenza di interpreti di enorme richiamo per giustificare questa (fallimentare) operazione commerciale.
A parte il cast e poco altro, tutto è uguale rispetto alla pellicola originale, tranne una cosa. Sarà per via della produzione di Spielberg e della sua DreamWorks, eppure in questo Delivery Man tutto appare più ruffiano, ripulito, buonista. Potere di Hollywood.
(voto 4,5/10)

domenica 6 luglio 2014

ROBOCOP_ VIVO O MORTO TU CONTINUERAI A VENIRE CON ME





RoboCop
USA_ 2014
REGIA_ José Padilha
SCENEGGIATURA_ Joshua Zetumar
ISPIRATO AL FILM_ RoboCop di Paul Verhoeven
CAST_ Joel Kinnaman, Abbie Cornish, Gary Oldman, Michael Keaton, Samuel L. Jackson, Jackie Earle Haley, Jay Baruchel, Aimee Garcia, Marianne Jean-Baptiste, Michael K. Williams, Jennifer Ehle, John Paul Ruttan
GENERE_ remake hollywoodiano
SE TI PIACE GUARDA ANCHE_ RoboCop (1987), Transcendence, Intelligence (serie tv), Almost Human (serie tv)


REVIEW MODE ON_

Il mio nome è RoboKid. Sono tornato. Vi era piaciuta la mia recensione del primo RoboCop, quello vero, quello anni ’80, quello di Paul Verhoeven?
No?
Non mi interessa. Io sono tornato lo stesso. Io ancora qui a spaccare i culi. Il mio nome è RoboKid. Ve l’ho già detto?
Sì, vero?
È che questa volta sono ancora più lobotomizzato del solito. Colpa del remake. Io ho appena visto il nuovo RoboCop. Io ho appena odiato il nuovo RoboCop. Parlando del film anni ’80 mi ero lamentato di come l’avevo trovato una pellicola fredda. Poco umana. Il nuovo RoboCop invece è troppo umano. Oltre che una merdata.
L’inizio non è manco così terribile. Lascia immaginare degli intriganti sviluppi politici. Attesa poi delusa da uno sviluppo robotico. Da tipico filmone action barra supereroistico di oggi. Quelli che io odio. Io odio tutto e tutti, ma soprattutto odio i filmoni action barra supereroistici di oggi. L’originale anni ’80 era cattivo, duro, spietato. Questo nuovo è banale, previdibile, buonista. La tipica hollywoodianata odierna. La regia del brasileiro José Padilha fa pena. Soprattutto le scene d’azione. Sparatorie che sembrano uscite da un videogame sparatutto di ultima generazione. Solo che questo dovrebbe essere cinema, non il nuovo episodio di Halo. Padilha, va’ a giocare a calcio, va’. E va’ pure a quel paese, va’.
Quanto alla parte più famigliare barra sentimentale è proprio penosa. Pure questa, così come la parte politica, buttata via. Il protagonista Joel Kinnaman, idolo della serie tv The Killing, è del tutto fuori parte. Non è un buon RoboKid come me. Michael Keaton come cattivone poi fa andare giù le mutande. E io manco le ho, le mutande. Indosso solo della lamiera. Si salva giusto Abbie Cornish. Me la tromberei proprio, Abbie Cornish. Se solo in questo corpo robotico che mi hanno costruito mi avessero fatto anche il pene. Un pene funzionante. Mi hanno dato una pistola con cui sparare ai criminali e non mi hanno dato la pistola più importante, quella per ciulare?
Avrei voluto vedere se lo girava David Cronenberg, questo remake, cosa ne saltava fuori. Invece no. Invece è la solita commercialata. Un film innocuo, buono per tutta la famiglia. E io non ce l’ho più, una famiglia umana che mi vuole.
Inoltre è una pellicola senza manco un briciolo di umorismo che pure io che sono un robot possiedo. Io ad esempio mi ammazzo dalle risate ogni volta che vedo questa immagine.


RoboCop versione 2014 mi ha fatto venire voglia di andare a prendere gli autori.
Vivi o morti, voi verrete con me.
Dove?
Ce l’ho io un remake da proporvi: quello di A morte Hollywood!
(VOTO_ 4/10)

venerdì 7 marzo 2014

OLDBOY, OLDREMAKE




"Un remake di Oldboy? Ma che davero?"
Oldboy
(USA 2013)
Regia: Spike Lee
Sceneggiatura: Mark Protosevich
Ispirato al manga: Old Boy di Garon Tsuchiya e Nobuaki Minegishi
Cast: Josh Brolin, Elizabeth Olsen, Samuel L. Jackson, Sharlto Copley, Michael Imperioli, Hannah Ware, Pom Klementieff, Lance Reddick, James Ransone, Max Casella, Rami Malek, Hannah Simone, Grey Damon
Genere: revenge
Se ti piace guarda anche: Oldboy (2003), Io vi troverò, Taken – La vendetta

Ci sono due tipi di remake:
- I remake inutili
- I remake inutili e schifosi

Veramente non erano questi i due tipi di remake che volevo individuare. Ci sono altri due tipi di remake:
- I remake fatti per questioni temporali, ovvero quando si copia prende un film vecchio e lo si riadatta ai tempi moderni.
- I remake fatti per questioni geografiche, ovvero si stupra prende un film di un altro stato e lo si riadatta in base alla propria cultura e agli usi e costumi del proprio paese. E con proprio paese intendo in genere gli Stati Uniti d’America.

Oldboy di Spike Lee appartiene a quest’ultimo tipo di remake. Di certo non al primo, visto che è il rifacimento di un film recentissimo, l’omonimo Oldboy del 2003 di Park Chan-wook. Si è passati così da un’ambientazione sudcoreana e da un tipo di revenge movie molto orientale, a un thriller molto americano.
La domanda è: perché?
Io in generale sono contro i remake. Nella maggior parte dei casi si tratta di prodotti che cercano di sfruttare senza troppi sbattimenti l’idea brillante avuta da qualcun altro. A essere gentili si può parlare di rielaborazione creativa.
Ma rielaborazione creativa stocazzo!
Chiamiamo le cose con il loro nome: furto o, per essere più eleganti, scopiazzamento.

"Dopo questo film, per la vergogna non esco più da qui."
Nell’arte del remake gli americani sono dei professionisti. Stanno diventando quasi peggio dei cinesi. Battuta razzista taaac, alla faccia del politically correct alla Fabio Fazio. In alcuni casi, l’operazione può anche avere un senso. Homeland ad esempio è ispirata a una serie israeliana, The Killing a una danese. Considerando che il grande pubblico difficilmente avrà visto gli originali, ci può stare.
Il film sudcoreano Oldboy non sarà stata un campione di incassi, però è un piccolo grande cult piuttosto noto. Era uscito persino nelle sale italiane. Ricordo che a vederlo c’ero io insieme a quattro gatti, ma se non altro era arrivato anche nei nostri cinema. Si tratta inoltre di un film d’autore, di nicchia, non è una pellicola che sembrava prestarsi a un adattamento commerciale. Infatti questo remake si è dimostrato un flop mostruoso.
Non si capisce poi il passare da un Autore cinematografico dalla sua forte impronta stilistica come Park Chan-wook a un altro Autore, un grande Autore, almeno fino a qualche anno fa, come Spike Lee. Perché un regista con una carriera ancora brillante, il suo ultimo film degno di nota, Inside Man, risale al non lontano 2006, decide di cimentarsi con una pellicola a suo modo perfetta, efficace e non migliorabile?
È un mistero destinato a non trovare risposta.

I remake in genere sono inutili, questo appare quindi ancora più inutile già in partenza. Lasciamoci però alle spalle, per quanto possibile, il ricordo del film originale. L’ho visto una sola volta, una decina d’anni fa, e non l’ho più rivisto. Non perché non mi fosse piaciuto, tutt’altro. Mi aveva davvero angosciato nel profondo, come poche altre pellicole. L’inquietudine presente in quel film qui è invece del tutto evaporata. Spike Lee non dirige male. Tecnicamente il suo lavoro è valido e in alcuni passaggi rende omaggio all’originale. A mancare è l’atmosfera, è quel non so che che rende un film unico, speciale, irreplicabile e irremakeabile (ho inventato una nuova parola, americani non copiatemela, per favore). Quelle parti grottesche, al limite del kitsch, che rendevano così speciale l’originale, avevano un senso all’interno del loro contesto orientale. Scopiazzate malamente qui all’interno di un contesto pulitino e precisino da thrillerino medio americano appaiono solo delle forzature ridicole. Questo remake è ridicolo. L’originale faceva star male fisicamente, tanto intenso com’era. Questo rifacimento fa ridere, al massimo. A un certo punto semplicemente stufa.

"Svegliati Josh, il film è quasi finito."
"Uff, lasciami ronfare fino ai titoli di coda..."
Sto comunque continuando a paragonare le due pellicole. Prendiamo allora Oldboy US version come un film a sé stante. Facciamo finta di non aver mai visto il lavoro di Park Chan-wook. Anche in questo caso, l’Oldboy di Spike Lee è una pellicola penosa, che fa acqua da tutte le parti, con una trama che non si concentra tanto sugli aspetti psicologici del protagonista, ma diventa il solito banale giallo investigativo. Senza avere una degna capacità nella costruzione della tensione.
Malissimo poi il cast. Sulla carta non è nemmeno niente male, alla prova dei fatti i risultati sono disastrosi. Josh Brolin, attore che dai Goonies a W. di solito mi piace parecchio, qui è del tutto fuori parte, inadeguato anche a un livello fisico a dar vita a un personaggio del genere. Sembra un elefante che si muove in una cristalleria, laddove il grande Choi Min-sik con il suo aspetto più minuto danzava leggiadro come una ballerina ninja.
Elizabeth Olsen, alle prese con il personaggio femminile principale, è irriconoscibile. In film come La fuga di Martha, Red Lights e Silent House sembrava destinata a essere la migliore attrice dei prossimi 20 anni, qui pare un’attrice pronta per le fiction Mediaset dei prossimi 20 anni, al fianco dell’immancabile Gabriel Garko, ovvio. Come cattivoni ci sono invece Samuel L. Jackson, che quando non recita per Quentin Tarantino perde un buon 50% delle sua capacità e in questo caso perde fino a un 90% del suo potenziale, e Sharlto Copley, attore che aveva avuto la botta di culo ad avere il ruolo da protagonista in District 9, mentre per il resto è un attorucolo e qui risulta persino tremendo. Ma roba che al confronto ad avercene, di Gabriel Garko…

Vogliamo salvare qualcosa?
NO!
Questo film non s’aveva da fare, e non è finita qui, perché il risultato è persino inferiore alle più catastrofiche attese. Più che all’originale, di cui sembra una parodia, finisce per somigliare a schifezze con Liam Neeson come Io vi troverò e Taken – La vendetta. Oldboy firmato Spike Lee è in pratica la versione americana e soprattutto la versione scazzata di un grande film sudcoreano. Un caposaldo del genere revenge movie che a questo punto grida: “Vendetta!”.
(voto 2/10)

lunedì 20 gennaio 2014

CARRIE, IL REMAKE CHE MANCO SATANA




Lo sguardo di Satana – Carrie
(USA 2013)
Titolo originale: Carrie
Regia: Kimberly Peirce
Sceneggiatura: Lawrence D. Cohen, Roberto Aguirre-Sacasa
Tratto dal romanzo: Carrie di Stephen King
Cast: Chloë Grace Moretz, Julianne Moore, Gabriella Wilde, Ansel Elgort, Judy Greer, Portia Doubleday, Alex Russell, Zoë Belkin, Samantha Weinstein, Karissa Strain, Katie Strain, Connor Price, Demetrius Joyette, Barry Shabaka Henley
Genere: rifatto
Se ti piace guarda anche: Carrie – Lo sguardo di Satana, Denti, Blood Story, La casa

Io mi chiedo che senso abbia fare il remake di un film d’autore, in questo caso di Brian De Palma. È come fare la copia di un quadro di van Gogh. O fare la cover di un pezzo dei Beatles. Che risultati si può raggiungere? Ben che vada, un’imitazione quasi dignitosa. Mal che vada, un disastro. Posso ancora comprendere il rifacimento di una pellicoletta commerciale che ben si può prestare a un’operazione del genere. Rifare un film d’autore e svuotarlo della parte autoriale è invece un omicidio. Una crudeltà degna di Carrie.

Chi è Carrie?
Carrie in questo caso non è Carrie Bradshaw di Sex and the City. E non è manco quella della lagnosa canzone degli Europe. Carrie qui è Carrie White, la protagonista del romanzo Carrie di Stephen King diventato nel 1976 un cult horror movie firmato da Brian De Palma, Carrie – Lo sguardo di Satana, con protagonista un’inquietante e giovanissima Sissy Spacek. Inquietante non perché giovanissima ma perché era proprio inquietante nei panni di Carrie.

DING DING DING
Ho vinto una bambola di Carrie per aver battuto il record mondiale dell’uso della parola Carrie in un solo paragrafo. Carrieamba! Che sorpresa.

"Non mi sono ancora spuntate le tette, ueeè!"
C’era bisogno di rifare un film così mitico e che anche visto di recente faceva ancora la sua porchissima figura?
No, naturalmente no. Però per soldi si fa questo e altro. Era già capitato di recente con La casa di Sam Raimi, ristrutturata senza l’ironia dell’originale, risuccede ora con questo modestissimo (ma se non altro non orrido quanto La casa 2.0) remake dell’ormai classico di Brian De Palma. Ci va del coraggio, per rifare De Palma. Quentin Tarantino potrebbe essere degno di rifarlo, pochi altri. Di certo non Kimberly Peirce, autrice in passato, ormai 15 anni fa, del pur dignitoso ma non fenomenale Boys Don’t Cry, indie gay movie con protagonista una Hilary Swank generosamente premiata con l’Oscar.
Alle prese con un paragone tanto scomodo, la Peirce cerca di salvare la faccia e, almeno da un punto di vista superficiale, ci riesce anche, grazie a una fotografia curata, una colonna sonora indie cool e a riprese nemmeno troppo malaccio. Allo stesso tempo, è come intimorita e non riesce mai a scostarsi del tutto dall’insuperabile modello originale, finendo per costruire una versione aggiornata al gusto teen contemporaneo e decisamente troppo edulcorata del film 70s depalmiano. È come se fosse il pilot di una serie fantasy di The CW alla The Vampirl Diaries/The Secret Circle.

Per capire come l’operazione sia un fallimento basta la seconda scena. Sulla prima, pessima, con Julianne Moore è meglio stendere proprio un velo pietoso, così come sul finale che è davvero tremendo. Questa seconda scena riprende quella d’apertura del film originale, in cui un gruppo di fanciulle faceva la doccia con le zinne di fuori. D’altra parte, chi fa la doccia vestito? Nel remake, a quanto pare si. Non ci sono scene di nudo. Non si intravede niente. Che cazzo di scena nella doccia è?
Da qui possiamo già capire come i tempi siano cambiati, dal 1976 a oggi, e, anziché andare verso una maggiore libertà nei costumi, come il naturale corso della Storia prevederebbe, è successo il contrario. È la dimostrazione di come, almeno nel cinema USA, il politically correct ha vinto. Ha battuto persino la Storia.

"Uffi, signora maestra, mi sfottono perché mi è appena venuto il ciclo."
"Dannate pompinare!"

"Dite che più che lo sguardo di Satana ho lo sguardo
da bimbaminkia? Beh, mi sa che non avete tutti i torti."
Qualcuno potrà dire che però, se non altro, in questo remake sangue e morti non mancano. Vero, ma sono morti stupide, spettacolarizzate, alla Final Destination, una baracconata. Nel Carrie 2.0 – 2013 Edition non c’è tensione, non c’è paura, non c’è niente. È una visione che procede senza scossoni e ripercorre in maniera prevedibile e impersonale il film di De Palma. Più che un remake, sembra un update, la nuova versione di un software. Sì è aggiunto un tocco moderno, con il bullismo che è diventato cyber grazie all’uso di video diffusi in maniera virale, e Carrie è stata trasformata in una specie di anti-eroina sullo stile del protagonista di Chronicle, però non si va oltre questo. Non è manco un remake. È solo un update.
E qui si ritorna alla domanda iniziale: che senso ha, un’operazione del genere?
Sì, ok, i soldi. Considerando però come non è che gli incassi di questa nuova Carrie siano stati così stellari, evidentemente in pochi sentivano il bisogno di un remake come questo.

Così così persino il cast, sulla carta non male. Julianne Moore recita col pilota automatico la parte della madre bigottona della protagonista, perdendo nettamente il confronto con Piper Laurie. Carrie è invece interpretata da una Chloë Grace Moretz solitamente bravina, ma che qui appare spaesata nella parte ed è ben lontana dagli exploit di (500) giorni insieme e Kick-Ass. E poi ormai – diciamolo – con tutte le sue smorfiette e faccine sta cominciando a stufare. Considerando inoltre come, dopo Blood Story - Let Me In, abbia realizzato il secondo remake horror inutile della sua breve carriera, se continua così la sua breve carriera rischia di rimanere davvero breve.
Chi non ha visto l’originale magari lo troverà un teen-horror di discreta fattura, sebbene sullo stesso genere ci sono in giro cose ben più interessanti e malate come Excision e Denti - Teeth. Ma chi non ha visto l’originale dovrebbe vedersi l’originale con una perfetta Sissy Spacek e rinunciare a dare a questo inutile remake uno sguardo. Di Satana.
(voto 4,5/10)

"La pagherete, per questo remake. La pagherete cara!"

giovedì 2 dicembre 2010

Recensione in anteprima mondiale di The Tourist con Johnny Depp e Angelina Jolie

The Tourist
(USA 2010)
Regia: Florian Henckel von Donnersmarck
Cast: Johnny Depp, Angelina Jolie, Paul Bettany, Timothy Dalton, Rufus Sewell, Christian De Sica, Neri Marcorè, Alessio Boni, Raoul Bova, Nino Frassica
Genere: glamour spy thriller
Links: IMDb, mymovies
Uscita: 17 dicembre 2010

Ok. Forse il titolo del post può essere considerato un tantino depistante e pure falso. Questa non è la recensione dell’attesissimo “The Tourist”, film che probabilmente nemmeno i super divi Deep Johnny & Angelaina Jolay hanno ancora visto, considerando che la premiere mondiale avverrà solo il 6 dicembre a New York. È invece la recensione del film francese a cui è ispirato, però se nel titolo scrivevo “Recensione di Anthony Zimmer” a chi cavola fregava qualcosa? E comunque il titolo del post è solo una bugia bianca, o una mezza bugia se vogliamo, visto che dalla pellicola originale ho cercato di capire come potesse essere il remake pappa-l’americano-mericano, con una recensione-previsione da autentico veggente.


Anthony Zimmer
(Francia 2005)
Regia: Jérome Salle
Cast: Sophie Marceau, Yvan Attal
Genere: glamour spy thriller
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: The Tourist, Caccia al ladro, Frantic, Wanted, Salt


“Anthony Zimmer” è un gradevole spy-thriller francese che in Italia nemmeno si sono degnati di distribuire e a sua volta è ispirato a “Caccia al ladro” (1955) di Hitchcock, quindi “The Tourist” alla faccia dell’originalità sarà il remake di un remake. Ulteriore segno che a Hollywood hanno finito non solo le idee, ma anche l’idea di avere un’idea, tanto che si mettono a saccheggiare carini ma non sorprendenti film francesi con Sophie Marceau come questo e a breve anche la commedia romantica “LOL (Laughing Out Loud)”.

La storia alquanto banale di “Anthony Zimmer” è il solito intreccio spy-story con tanto di scambio di persona. Un pericoloso criminale ha infatti modificato il suo volto e adesso tutti lo cercano, compresa la sexy spia interpretata da Sophie Marceau, il vero motivo per cui vale la pena di vedere questo film.
In “The Tourist” il suo personaggio sarà interpretato da Angelina Jolie e tutti i suoi fans ne saranno soddisfatti, visto che è il classico ruolo di spia (apparentemente) spietata e senza sentimenti che Angelina interpreta da una vita, vedi “Salt”, “Wanted”, “Mr. & Mrs. Smith”, “Tomb Raider” e in pratica quasi ogni altro suo noioso film. Per me però non c’è paragone: Angelina cyborg Jolie non la sopporto, mentre Sophie Marceau è per me una delle donne più belle e affascinanti e bone di tutti i tempi e da “Il tempo delle mele” a “il tempo della mezza età” gli anni non hanno fatto che aggiungerle ulteriore fascino.
Al contrario Johnny Depp non dovrebbe avere vita difficile a surclassare il mediocre Yvan Attal e a formare con la Jolie quella che sarà definita la coppia più cool e glamour dell’anno. Quanto alla location, si passa dalla mia amata Nizza di “Anthony Zimmer” alla più popular Venezia di “The Tourist”, che comunque non è da buttare.

Le speranze per il remake ammericano sono però da affidare soprattutto alle mani del tedesco Florian Henckel Von Donnersmarck, regista dal nome semplice che all’opera prima ha sfornato il premio Oscar “Le vite degli altri” e come seconda si è scelto il remake di un piacevole ma nulla più filmetto francese. Perché? Per soldi? Per lavorare con le superstar Johnny&Angelina? Per tirare di coca col gotha di Hollywood?
Certo la sceneggiatura di “Anthony Zimmer” non brilla per originalità e ha uno dei finali più prevedibili nella storia del cinema, quindi a meno che non sia stata stravolta completamente non aspettatevi certo una storia ricca di sfumature e significati come quella perla di “Le vite degli altri”.
Quando Tom Cruise ad esempio ha deciso di produrre il remake dello spagnolo “Apri gli occhi” l’ha fatto perché quella era una storia davvero originale che meritava di essere saccheggiata da Hollywood e che poi Cameron Crowe ha trasformato in “Vanilla Sky”, uno dei film pop a mio parere fondamentali dell’ultimo decennio.
La possibilità per Von Donnersmarck nell’imminente (esce il 17 dicembre) “The Tourist” sarà dunque quella di cimentarsi in un thriller dalle atmosfere hitchockiana-depalmiane con qualche richiamo anche a “Frantic” di Roman Polanski, ma la sensazione è che molto difficilmente ripeterà l’exploit di “Le vite degli altri”. Anche perché avete visto qualche filmato di “The Tourist”? Ebbene sì, nella parte del detective c’è persino un Christian De Sica con tanto di inglese maccheronico e allora anziché “Le vite degli altri” in salsa spy-glamour è già tanto che il film non finisca per diventare “Natale a Venezia”.
(voto a Anthony Zimmer: 6,5; previsione di voto a The Tourist: 5,5)

mercoledì 1 dicembre 2010

Voglia di perdere

Vi ricordate di “Voglia di vincere”, il mitico film degli anni 80 in cui Michael J. Fox si trasformava in un lupo mannaro e grazie alla sua nuova forza e agilità diventava la superstar del basket del liceo?
Se la risposta è no buon per voi, significa che siete davvero giovani e qui potete rimediare con il trailer del film.


Se la risposta è sì, vi duolerà invece sapere che nella serie tv remake realizzata da Mtv e in arrivo, almeno negli Stati Uniti, a inizio 2011 del film originale ci sarà davvero poco. Perché ad esempio il basket è stato sostituito con il lacrosse? Non è nemmeno uno sport, andiamo.
Niente atmosfere 80s poi, sembra di stare piuttosto dentro un episodio di “The Vampire Diaries” o della serie di "Tuailaigt".
Ma nonostante Twilight, il lacrosse e l’assenza di Michael J., mi sa che gli concederò comunque una visione auuuuuuuuuuuu

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