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lunedì 21 marzo 2016

Truth - Lo scoop esclusivo di Pensieri Cannibali





Buongiorno cari telespettatori e care telespettatrici,
benvenuti a una nuova puntata di “60 Seconds”, la rubrica di investigazione giornalistica di Pensieri Cannibali che si segue in appena 60 secondi, o poco più.
Quest'oggi vi sveleremo uno scoop in esclusiva che riguarda il noto blogger Mr. James W. Ford, l'autore del sito di cinema, wrestling, consigli paterni e stile di vita repubblicano WhiteRussian.


lunedì 10 febbraio 2014

ALL IS LOST – TUTTO È... NOIA




Premessa
La lettura di questo post potrebbe risultare difficoltosa per i lettori più suscettibili. Si tratta infatti del resoconto di un’esperienza esistenziale estrema. Il reportage della mia visione del film All Is Lost. Un live blogging in presa diretta, in cui non si sa se alla fine l’autore, ovvero il sottoscritto Marco Goi aka Cannibal Kid, sopravviverà o meno.

All Is Lost – Tutto è perduto
(USA 2013)
Titolo originale: All Is Lost
Regia: J.C. Chandor
Sceneggiatura: J.C. Chandor
Cast: Robert Redford e basta
Genere: solitario
Se ti piace guarda anche: Cast Away, Vita di Pi, Gravity

Minuto 1
“Tutto è perduto. Mi spiace... So che significa poco a questo punto, ma mi spiace. Ho provato. Credo siate d'accordo che ci ho provato. Ad essere vero, ad essere... forte, ad essere gentile, ad amare, ad essere giusto. Ma non lo sono stato.” È con questa parole che inizia il film ed è con queste parole che inizia il mio viaggio in questa visione cinematografica. E' passato appena 1 minuto e l’idea che in questa pellicola mi aspetta ancora un’ora e 40 di Robert Redford solo su una barca e queste saranno le uniche parole pronunciate mi getta già nello sconforto più totale. Ma ci devo provare ad assere gentile, ad amare, ad essere giusto con questo film. Lo faccio per voi, cari miei lettori, lo faccio solo per voi.

Minuto 20
Nei primi 20 minuti, Robert Redford ha cercato di riparare la sua barca che si era rovinata dopo uno speronamento. Una lezione utile nel caso mi dovessi mai trovare in una situazione del genere. A parte questo non è che sia successo granché. Attenzione, però, adesso Robert Redford legge qualcosa. Cos’è, Playboy?
No, è solo una barbosa guida marittima o qualcosa del genere. Questo qua è noioso pure nelle sue letture, mannaggia a lui.

Minuto 23
Scena della pioggia. Finalmente un bel momento cinematografico, quasi poetico. Ci voleva il brutto tempo per gettare un raggio di sole su una visione fino a questo momento da martellate sulle palle.

Minuto 40
Robert Redford si trova in mezzo alla tempesta. Rischia di morire, ma tanto sappiamo che per almeno un’altra oretta dovrà sopravvivere, altrimenti il film come prosegue senza di lui? Con la barca vuota?
Oddio, in quel caso la visione non credo potrebbe diventare più noiosa di quanto è già. E almeno sarebbe una trovata originale.


Minuto 45
Visto che la sua barca è messa in condizioni davvero tremende, Robert Redford va su un gommone che manco a Lampedusa.

Minuto 55
Robert Redford assiste all’affondare della sua nave. In quel momento si rende conto di essere davvero fottuto. In quel momento capisce che l’idea della gita in barca da solo non è stata proprio furba. Startene tranquillo a casa a vederti il Super Bowl non credo ti sembri più un’idea tanto sciocca, vero Robert?

Minuto 63
Io ci sto provando a farmi coinvolgere dalla pellicola, ma proprio non ce la faccio. Basta, con questi film survival alla Cast Away! Basta spacciare queste flebo per dei capolavori o per delle pellicole innovative! Non lo sono. Sono semplicemente robe prive di idee, prive di sceneggiatura, che sì, ci sbattono in faccia in tutta la sua crudezza l’uomo che lotta per la sopravvivenza, però è sempre la solita storia. Questo All Is Lost è come Gravity, solo senza 3D e ancora più noioso.

Minuto 67
Il film non è nemmeno girato male, questo va detto. J.C. Chandor, autore di uno dei debutti migliori del cinema americano recente, Margin Call, ha un buon occhio e le sue riprese sono tecnicamente valide. Solo che più che un film sembra un documentario stile National Geographic. Questo sì. E poi c’è gente che dice la stessa cosa del capolavoro The Tree of Life… Sciacquatevi la bocca nel mare in cui è immerso il vostro amato Robert Redford, per favore.

Minuto 69
Dopo un’ora e passa a vedere un povero vecchietto solo in mezzo al mare, la sofferenza sale sempre di più. L’unico motivo di interesse a questo punto è vedere se questo povero disgraziato ce la farà alla fine a sopravvivere. Qualcuno lo recupererà? Arriverà a riva? Raggiungerà l'isola di Lost? Sandra Bullock pioverà giù dal cielo a salvarlo?
A dirla tutta, più che per la sorte di Robert Redford, sono preoccupato per la mia. Ce la farò ad arrivare alla fine del film sveglio? Ce la farò a non cadere in coma prima dei titoli di coda?

Minuto 72
Sono disperato.
Comincio a pensare che questo film sarebbe noioso anche se in mezzo al mare al posto di Robert Redford ci fosse Margot Robbie, quella di The Wolf of Wall Street, nuda che si sditalina per tutto il tempo.
Mmm… no beh, in quel caso probabilmente non sarebbe poi così noioso. Peccato che Robert Redford non somigli manco da lontano a Margot Robbie e semmai ricordi Gianni Morandi. Non proprio la stessa cosa.

"Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte... sì, ma dove? Al massimo posso prendere dell'acqua."

Minuto 74
Secondo Alfred Hitchcock, il dramma, il dramma cinematografico, è la vita con le parti noiose tagliate. Il dramma di questo film è invece che tutte le parti noiose non sono tagliate, ma anzi il film è composto UNICAMENTE dalle parti noiose.
Avete presente quando state guardando una pellicola che già conoscete e sapete quando ci sono dei momenti un po’ smorti in cui, in caso di bisogno, potete farvi una pausa bagno?
Ecco, in quel caso si tratta di una pausa pipì breve, in cui correte a fare i vostri bisogni per poi tornare veloci a vedere il film. Nel caso di All Is Lost, non c’è bisogno di correre. Prendetevi pure tutte le pause bagno che volete. Fate pure una pausa popò, non solo una pausa pipì, tanto vi avviso già che non vi perderete niente. A parte Robert Redford che lotta per sopravvivere, cosa che non so a voi ma a me non frega più di tanto, non c’è davvero nient'altro degno di nota. Nemmeno la colonna sonora, che in maniera piuttosto inspiegabile ha vinto il Golden Globe, si segnala particolarmente.

Minuto 75
Questo non è cinema. È una presa per il culo. Più che un film, è una prova per testare la sopportazione dello spettatore e in questo si può considerare un esperimento interessante. Qualcuno potrà dire che è una pellicola coraggiosa. Sicuramente ci va del coraggio da parte degli spettatori per immergersi in una visione simile. E ci va una grande forza di volontà per arrivare fino in fondo. Ma io ce la posso fare. Non manca molto.

Minuto 76
Dai che arriva una barca. È la salvezza.
Per Robert Redford?
Sì, anche, ma soprattutto per me povero spettatore. Sento che sta per succedere qualcosa, evvai!

Minuto 78
Niente. Robert Redford è talmente una palla che manco si son degnati di salvarlo. E a questo punto? Chi salverà me?

Minuto 81
Arriva un’altra barca. Dai, questa volta lo tirano su.

Minuto 82
No, niente nemmeno questi. Ma dove siamo, a Lampedusa veramente? Lo trattano peggio di un immigrato clandestino.
Gente, sì è vero, è Robert Redford, non certo uno dei miei attori preferiti, però non è mica Tom Hanks da trattarlo così come se fosse un appestato.
Probabilmente questa è una scelta legata a questioni di budget. Se dei marinai lo tiravano su dovevano impiegare altri attori, invece la produzione ha speso tutti i soldi per il contratto al mono espressivo Robert Redford e non c’è più spazio per nessun altro. Il solito vecchietto che toglie il lavoro ai giovani.

"Prima cosa da fare se riesco a tornare alla civiltà: mandare una lettera di protesta a Pensieri Cannibali."

Minuto 91
Arriva un’altra barca. La terza. Certo che la sceneggiatura di All Is Lost si spreca proprio, in svolte narrative sorprendenti. Questa volta lo salveranno?

Minuto 94
Il finale è una liberazione. Non sto a spoilerarvelo, perché anche voi dovete provare quest’esperienza di sopravvivenza cinematografica estrema. Anche voi dovete soffrire quanto io ho sofferto. Anche voi dovete arrivare fino alla fine.
Rispetto al resto del film, la conclusione comunque non è nemmeno tanto malaccio, furbetta e ambigua e giocata sul facile simbolismo religioso com’è. Almeno succede qualcosa e, se non altro, è una vera liberazione. Grazie Iddio. Finalmente è finito il film più noioso di tutti i tempi. Amen.
(voto 3/10)

martedì 28 maggio 2013

IL VECCHIO GATSBY


Il grande Gatsby
(USA 1974)
Regia: Jack Clayton
Sceneggiatura: Francis Ford Coppola
Tratto dal romanzo: Il grande Gatsby di F. Scott Fiztgerald
Cast: Robert Redford, Mia Farrow, Sam Waterston, Bruce Dern, Karen Black, Scott Wilson, Lois Chiles, Edward Herrmann, Kathryn Leigh Scott, Patsy Kensit
Genere: classico
Se ti piace guarda anche: Il grande Gatsby (2013), Le regole della casa del sidro, Boardwalk Empire

Vedere Il grande Gatsby nella versione anni '70 firmata da Jack Clayton dopo Il grande Gatsby di Baz Luhrmann è come vedere il giro di prova di un gran premio di Formula 1 una volta terminata la corsa. Se Luhrmann tira ogni marcia al limite, sfrutta ogni cordolo, spinge ad ogni rettilineo come se non ci fosse un domani, Clayton frena prima di ogni curva, non supera mai i limiti di velocità e va spedito quanto una nonnina su una vecchia Panda scassata. E pensare che il mezzo che hanno sotto al culo è lo stesso. È la Ferrari della letteratura americana. È Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald.
Testimonianza visiva delle mie parole sono le due scene in cui Nick Carraway va in auto con Jay Gatsby: un viaggio spericolato e a perdifiato nella versione con DiCaprio al volante, un rassicurante viaggio che al confronto A spasso con Daisy è un action movie ci aspetta invece nella versione con Robert Redford.

"Grazie Gatsby, questo appuntamento è meglio di un'esterna di Uomini e Donne."
Un ottimo confronto/scontro tra le due versioni l’ha già fatto il sito Cinemalato, quindi non starò a replicarlo, anche perché secondo me la pellicola di Baz Luhrmann è in tutti gli aspetti superiore, più grandiosa e figa di quella degli anni ’70. Più che uno scontro, mi limiterò a testimoniare allora il massacro della nuova versione rispetto a quella precedente.

Per prima cosa la regia. Qui non c’è proprio competizione, siamo su due pianeti differenti. Il fu Jack Clayton si limita a girare tutto in maniera molto classica, con stile da sceneggiatone televisivo. Sembra si sia limitato a trasporre quanto scritto da Fitzgerald, senza aggiungere il minimo tocco inventivo. Tutt’altro lavoro lo compie Baz Luhrmann, che ci mette dentro la sua visione, il suo cinema, la sua creatività. Cosa che significa un montaggio dal ritmo elevato, che aumenta notevolmente il coinvolgimento nei confronti della storia, rispetto a una versione dei 70s troppo calma e lenta. Cosa che significa anche l’utilizzo delle tanto contestate canzoni di oggi, applicate a un contesto anni ’20. Una mossa che può aver scandalizzato giusto chi non ha mai visto Moulin Rouge!, e una mossa che rende il suo film più attuale e frizzante.

"Daisy, si può sapere perché hai un preservativo in testa?"
"E che gatsbyta ne so, io?"
Volete un esempio?
Facciamo un paragone. Il grande Gatsby del 1974 suona come quelle cover band di periferia che abbondano nei locali. Quelle tribute band a Vasco, ai Queen, persino ai Negramaro. Vi rendete conto che esistono tribute band dei Negramaro?
Ecco, tali gruppi si limitano a suonare i pezzi imitando il più possibile gli originali. Più sono fedeli, meglio è. La minima variazione viene infatti vista dai fan hardcore come una bestemmia. Baz Luhrmann a fare delle cover del genere non gliene può fregare di meno. Lui ci deve mettere del suo, in una storia. Che riprenda il Romeo + Giulietta di William Shakespeare o un altro grande classico come Il grande Gatsby di Fitzgerald, lui suona la sua musica. Ci regala una interpretazione tutta personale di qualcosa di già famoso, rendendolo nuovo, come se fosse cantato, pardon narrato per la prima volta.
Le scene delle feste del suo film sono esaltanti e, pur proponendo della musica di oggi, anzi proprio per questo, rendono al meglio quello che doveva essere il clima dei party scatenati negli anni ’20. La fredda e precisina messa in scena del film di Jack Clayton non ci fa invece assaporare, se non in minima parte, la trasgressione e la glamourosità di tali eventi. In tal senso, l’elaborazione post-moderna è la scelta migliore per fare gustare a noi pubblico ggiovane di ogggi il clima dell’epoca.
A livello puramente personale, non vedo davvero il senso di riproporre in maniera sterile un film ambientato negli anni ’20 con lo stesso stile degli anni ’20. Per quello c’è già il romanzo, ci sono già le versioni cinematografiche del 1926 e del 1949, oltre a quella del 1974. La versione 2013 è qualcosa di differente, la riproposizione attuale migliore possibile di un classico. Una maniera più efficace di raccontare le storie di ieri con l’occhio di oggi come quello mostrato in Romeo + Giulietta o nel nuovo Il grande Gatsby non riesco a immaginarlo. Io a questo punto farei girare a Baz Luhrmann tutti i classici della letteratura mondiale. La Bibbia in versione Baz Luhrmann? Correrei a vederla subito.

Anche i personaggi nelle mani del regista australiano diventano più intriganti, più vivi, e qui il merito va pure allo strepitoso cast. Dopo averci tanto pompato la figura di Gatsby e averlo avvolto in un’aura di mistero, la prima apparizione di Robert Redford in solitaria è parecchio sottotono. Tutt’altra storia l'arrivo di Leo Gatsby in mezzo alla folla, un ingresso da prima donna in perfetto stile Luhrmann. La pellicola 2013 è poi maggiormente incentrata sul grande personaggio del titolo, grazie a una interpretazione più sentita e sofferta del Peppino DiCaprio rispetto a quella un po’ svogliata del Redford, e grazie a un maggiore spazio a lui dedicato dalla narrazione, con un efficace flashback sulla sua gioventù. Questo avviene forse perché, come sottolinea Valentina Ariete del blog Eyes Wide Ciak, “il regista non si è immedesimato nel protagonista, ovvero lo scrittore Nick (Tobey Maguire), come invece fa Fitzgerald, quanto piuttosto in Gatsby, vero deus ex machina del racconto.”

Nick Carraway a sua volta viene ritratto da Tobey Maguire in versione più nerdosa, come un estraneo che si ritrova catapultato in un mondo non suo, nonostante pure lui sia cresciuto in una famiglia benestante. È un po’ come il Seth Cohen della serie tv The O.C., sebbene più serioso e privo di quell’ironia indie pre-twitteriana. O come una versione più simpatica del Dan Humphrey di Gossip Girl, tanto per restare in ambito di telefilm teen.
Nella versione 1974 c’è invece Sam Waterston, attore rivisto di recente nella serie The Newsroom, pure lui, va riconosciuto, piuttosto efficace nei panni del Carraway.

L’attore che interpreta Tom Buchanan nella vecchia versione sembra invece il comico Will Ferrell, ma non è il padre di Will Ferrell, bensì il padre di Laura Dern, la protagonista di Inland Empire, Velluto blu e Cuore selvaggio di David Lynch. Si tratta di  Bruce Dern, attore premiato un paio di giorni fa al Festival di Cannes come migliore attore. Non male il suo Tom Buchanan, ma convince ancora di più il nuovo Joel Edgerton, che offre la sua migliore interpretazione dopo essere apparso piuttosto imbambolato in film come Warrior o La cosa. Bene anche tutti i personaggi minori, con le fanciulle Isla Fisher, Elizabeth Debicki e Adelaide Clemens più sexy e stilose delle loro antenate colleghe Karen Black, Lois Chiles e Kathryn Leigh Scott. L’unico a perdere il confronto è allora Jason Clarke, parecchio più a suo agio come agente della CIA in Zero Dark Thirty che non come benzinaio sfigato qui, battuto da Scott Wilson, oggi interprete di Hershel Greene in The Walking Dead.

Piccola nota curiosa: la figlia di Daisy che appare in una breve scena è interpretata da una giovanissima Patsy Kensit!

E veniamo proprio a Daisy, il personaggio più controverso. Mia Farrow fisicamente non mi piace proprio e anzi, mi inquieta assai. Sarà per via di Rosemary’s Baby? Non mi sembra possieda quindi il fascino adatto da giustificare che uno come Robert Redford dedichi la sua intera esistenza a conquistarla. Al di là di questo parere estetico soggettivo, la Daisy stronza e parecchio odiosa da lei portata su grande schermo sembrerebbe più fedele a quanto concepito da Fitzgerald.

Il personaggio portato nei cinema di oggi da Carey Mulligan è invece quello di una Daisy un attimo più umana. Più tenera. Laddove la capricciosa Mia Farrow ti veniva voglia di scaricarla in mezzo all’autostrada, Carey possiede invece quel fascino da cucciola abbandonata che ti viene voglia di portare a casa con te. In questo senso, l’ossessione di Gatsby nei suoi confronti appare più sensata.

ATTENZIONE SPOILER
La scelta di addolcire un po’ il personaggio di Daisy, tra l'altro, rende ancora più amara e inaspettata la mazzata del finale.
E a proposito del finale, pure in questo caso Luhrmann la sfanga in una maniera migliore rispetto al film di Jack Clayton, che pure poteva vantare una sceneggiatura firmata dal Signor Francis Ford Coppola, evidentemente impegnato più che altro a terminare il compitino in maniera diligente da bravo studente, piuttosto che metterci un po’ di inventiva. Luhrmann decide di tagliare via il personaggio del padre di Gatsby, di cui in precedenza si era fatto a mala pena menzione, che appesantisce la versione del 1974, per concentrarsi sulla grande solitudine di Gatsby e sul suo rapporto con Carraway, il suo unico amico. Una mossa che rende la pellicola ancora più emozionante. Tanti hanno accusato il film di essere freddo, sarà colpa del personaggio di Daisy?, ma a me è sembrato piuttosto l’opposto. È semmai una pellicola molto carica, a livello visivo quanto emotivo, laddove la versione di Clayton è carente sotto entrambi gli aspetti.

In pratica, per quanto guardabile, quello del 1974 è un piccolo Gatsby. È tutto meno. Meno intenso, meno emozionante, meno, molto meno spettacolare. Tranne il sudore. Nella pellicola di Jack Clayton i protagonisti sudano ancora di più, ed è una cosa anche abbastanza disgustosa. A parte questo dettaglio, è tutto troppo meno. O, forse, è semplicemente Il grande Gatsby di Baz Luhrmann a essere tutto troppo più.
(voto 6/10)



E questo è il poster realizzato dal mio grafico di fiducia C[h]erotto (che ovviamente ha anche realizzato il mio nuovo header) su Il grande Gatsby per la serie Minimal Incipit.
Cosa sono i Minimal Incipit?
Una serie di poster in cartone dedicati ad alcuni classici della letteratura, da adesso acquistabili sul sito Minimal Inc.


domenica 28 aprile 2013

LA REGOLA DEL SILENZIO NON SBAGLIA MAI


La regola del silenzio
(USA 2012)
Titolo originale: The Company You Keep
Regia: Robert Redford
Sceneggiatura: Lem Dobbs
Tratto dal romanzo: La regola del silenzio di Neil Gordon
Cast: Shia LaBeouf, Robert Redford, Susan Sarandon, Anna Kendrick, Brit Marling, Julie Christie, Nick Nolte, Terrence Howard, Chris Cooper, Stanley Tucci, Brendan Gleeson, Richard Jenkins, Jackie Evancho, Sam Elliott
Genere: thriller politico
Se ti piace guarda anche: Il debito, Leoni per agnelli, La donna che canta, La chiave di Sara

La regola del silenzio non sbaglia mai. Se sei amico di una spia in galera finirai. E comunque chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando muore va laggiù, va laggiù da quel folletto che si chiama diavoletto. Meglio quindi tenere la bocca chiusa e restare lontani dallo sguardo di occhi indiscreti.

Robert Redford dopo l’intrigante Leoni per agnelli torna in duplice veste regista/attore con una nuova pellicola dal forte sapore politico. Il regista va infatti a ritirare fuori il tema delle proteste contro la guerra nel Vietnam degli anni Settanta. Gli anni di piombo americani, se così vogliamo chiamarli in maniera impropria ma forse è meglio di no e quindi me lo ritiro che poi se no qualcuno magari si offende. Il passato che riemerge nel presente, in ogni caso, come in tutto un filotto di pellicole recenti da La chiave di Sara a Il debito, passando per gli ottimi Valzer con Bashir e La donna che canta.
Per di più, La regola del silenzio è anche un thriller. Un thiller politico dalle buone premesse che però si materializza in un nulla di fatto. Il classico nulla di fatto. La pellicola è diretta con mano solida dal Sundance Kid Robert Redford, qui molto poco Sundance, è recitata abbastanza bene dallo stesso Redford e da uno Shia LaBeouf che inserisce un altro metro abbondante di distanza tra sé e la saga fracassona di Transformers. Meno spazio invece per l’ottima parte femminile del cast, con ruoli troppo minuscoli per le sottoutilizzate Anna Kendrick, Susan Sarandon e Brit Marling. Comunque si tratta di un cast di quelli davvero notevoli, che comprende pure Terrence Howard, Stanley Tucci, Richard Jenkins, Chris Cooper, Julie Christie, Brendan Gleeson e un sempre più ciccionissimo Nick Nolte.

Una confezione di facciata messa su con notevole professionalità che garantisce una pellicola vedibile. Purtoppo, niente più di questo. La parte thriller infatti non riesce a catturare, ad avvincere, a portarti con sé dentro la sua ragnatela di personaggi. A livello umano, questi personaggi sono ben costruiti fino a un certo punto, poi anche loro quando dovrebbero darti la mazzata e farti provare un moto di empatia emotiva non ce la fanno. Laddove il film fallisce maggiormente nei suoi intenti è però soprattutto nella parte politica. Quello di Robert Redford vorrebbe essere un film controcorrente? Vuole mettere in discussione la politica degli Stati Uniti, il capitalismo, farsi portavoce dei rivoluzionari? Vorrebbe sollevare dubbi sullo ieri e sull’oggi?
Nelle sue intenzioni, può darsi. Peccato che gli unici dubbi che riesce davvero a sollevare nello spettatore sia sulla sua reale utilità. Come intrattenimento funziona anche, sebbene proprio ai minimi livelli, non annoia troppo, è tutto ben fatto. È anche però un film senza coraggio, senza forza, senza voce, che si dimentica subito, che lascia poco o niente, in cui si intravedono le buone intenzioni dell’autore ma che non riesce davvero a provocare una riflessione, come invece capitava con il precedente Leoni per agnelli.
Robert Redford, sarai mica stato troppo agnello, questa volta?
(voto 6-/10)

"Hey, ma dove diavolo è finito il resto della recensione?"

"Magari l'hanno pubblicata sul giornale... No, non c'è..."

"Lo confesso, ci sono io dietro gli attentati di Boston e Palazzo Chigi,
ma della scomparsa della recensione cannibale non ne so niente!"

"E tu l'hai vista, la recensione cannibale?"
"Ma che è? Se magna?"

"Bambina di cui non ricordo il nome, tu lo sai dov'è finita la recensione?"
"Ma papà, io non so manco leggere..."



sabato 9 ottobre 2010

Leoni per agnelli



Non ho mai visto leoni simili, guidati da agnelli simili...
Robert Redford, "Leoni per agnelli"
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