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domenica 20 settembre 2015

What We Did on Our Holiday - Un tranquillo weekend di sepoltura





What We Did on Our Holiday
(UK 2014)
Regia: Andy Hamilton, Guy Jenkin
Sceneggiatura: Andy Hamilton, Guy Jenkin
Cast: David Tennant, Rosamund Pike, Ben Miller, Billy Connolly, Emilia Jones, Amelia Bullmore, Bobby Smalldridge, Ron Donachie
Genere: vacanziero
Se ti piace guarda anche: Wish I Was Here, Come ti spaccio la famiglia

Cosabbiamo fatto cuestestate?
Boh. Non melo ricordo +...

A gia, siamo andati al mare!
Credo...

Sì sì sì. Siamo andati al mare. Abbiamo giocato in spiaggia e abbiamo fatto il bagno. Sono diventato bravo a nuotare. O cuasi. Non o + manco usato i braccioli dei Minions. O cuasi.
E stata una vacanza divertente e tutto, pero non e stata una cosa memorabile come cuella di cuel film ke mi a fatto vedere mio zio.
Mio zio di cinema non ne capisce niente! Non a mai visto per intero Cars. E, incredibile ma vero, non gli e piaciuto Gli Incredibili, ke e tipo il mio film preferito di sempre. Eppure cià un blog di cinema, cià.
Visto ke gli piace fare cuello ke propone sempre film strani, anke se cuesto dice ke gliela consigliato il suo amico Massimo, mi a fatto vedere cuesto film mai sentito dal titolo inglese ke non mi ricordo + bene comera. Cuestanno o imparato un po dinglese ma solo cose tipo: yes, no (ke è uguale allitaglano), hello, gudbai e robe del genere. Il titolo di sto film invece e + complicato. Tradotto initaglano cmq significa “Quel ke abbiamo fatto nella nostra vacanza” o cualcosa di simile e mi e piaciukkiato abbastanza. Mio zio a detto ke a tratti e un film un po stile Giffoni e non o capito bene cosa vuol dire. Cosè un Giffoni? E come parla mio zio?
Secondo me e una parolaccia, ma non me lo vuole mica dire, perke dice ke sono troppo piccolo per le parolacce, ma non e mica vero ke sono piccolo. Di intelletto sono + grande di lui! Non ke ci vada molto...

lunedì 5 gennaio 2015

OSCARRAFONI 2014 – GLI OSCAR DI PENSIERI CANNIBALI





In attesa della notte degli Oscar, ecco un appuntamento quasi altrettanto importante: gli Oscarrafoni assegnati da Pensieri Cannibali a film, registi, attori, attrici, personaggi, scene e quant'altro migliori dell'anno appena passato.
Senza dilungarci nelle solite premesse che nessuno legge, se non per dire che alcuni film non li ho ancora visti (tra gli altri Mommy, Anime nere e Il giovane favoloso), passiamo ai premi, ma prima ricapitoliamo la Top 20 dei top movies dell'anno di Pensieri Cannibali.

Alcuni divi attendono con impazienza e tensione l'assegnazione degli Oscarrafoni.

lunedì 22 dicembre 2014

L'AMORE CONTABALLE - GONE GIRL





L'amore bugiardo - Gone Girl
(USA 2014)
Titolo originale: Gone Girl
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Gillian Flynn
Tratto dal romanzo: L'amore bugiardo di Gillian Flynn
Cast: Ben Affleck, Rosamund Pike, Carrie Coon, Neil Patrick Harris, Kim Dickens, Patrick Fugit, Tyler Perry, Emily Ratajkowski, David Clennon, Lisa Banes, Lola Kirke, Casey Wilson, Missy Pyle, Sela Ward, Lee Norris, Boyd Holbrook, Scoot McNairy
Genere: ingannevole
Se ti piace guarda anche: Da morire, The Affair, Millennium - Uomini che odiano le donne, Lo sciacallo - Nightcrawler, American Beauty


Rosamund Pike è un cesso.

lunedì 16 giugno 2014

NON BUTTIAMOCI GIÙ, BUTTIAMO GIÙ ‘STO FILM





Mi sto per buttare giù.

No, non provate nemmeno a fermarmi, ormai ho deciso.




Hey?

Heeey?

Non c’è proprio nessuno che vuole fermarmi?

Manco un lettore che dice che non devo farlo?

Nessuno che senza Pensieri Cannibali si sentirebbe più triste e vuoto?

Heeey?

Nessuno, eh?

Vah beh, allora io mi butto. Prima però vi racconto perché ho deciso di compiere questo gesto estremo. La ragione non è perché il mio sito ha avuto un improvviso calo di visite. Quello è normale. Inizia la bella stagione, tutti escono, tutti vanno a prendere il sole e nessuno resta più davanti allo schermo del computer a leggere i poveri, desolati, abbandonati blog estivi.
Non è nemmeno perché ho realizzato che Pensieri Cannibali non ce la farà mai a scalzare il perfido Cineblog dalla prima posizione dei blog di cinema più influenti d’Italia stilata da eBuzzing.
Il motivo non è perché sono stato al centro di uno scandalo di sesso con minorenni come Silvio Berlusconi Pierce Brosnan nel film Non buttiamoci giù, o perché ho una situazione famigliare complicata come Toni Collette, o bisogno di stare al centro delle attenzioni come Imogen Poots, o un cancro (ma sarà davvero così?) come Aaron Paul sempre nel sopra nominato film.
Niente di tutto questo.


La ragione è che la sopra nominata pellicola è stata davvero una delusione. Una delusione così cocente da farmi venire voglia di farla finita, talmente alte erano le mie aspettative nei confronti di Non buttiamoci giù. Per prima cosa per via della tematica suicida che, si veda lo stupendo Il giardino delle vergini suicide, può offrire degli spunti parecchio notevoli. I protagonisti sono infatti 4 tipi che la notte di Capodanno si trovano in cima a un palazzo. Il palazzo preferito dai londinesi per togliersi la vita. Una volta lì, si fanno forza l’uno con l’altro e decidono di fare un patto, un patto suicida: nessuno di loro deve ammazzarsi per almeno sei settimane. Ce la faranno?
Oltre a questo curioso spunto iniziale e alla tematica affrontata, le aspettative elevate che avevo erano dovute anche al cast sopra citato. A parte il solito pessimo insopportabile Pierce Brosnan che interpreta il solito pessimo ruolo da insopportabile sbruffone, gli altri sono degli ottimi attori. Aaron Paul è il mitico Jesse Pinkman della mitica Breaking Bad, un ruolo che purtroppo per lui non so se riuscirà mai a scrollarsi di dosso. Qui ha una parte da mezzo ribelle ex cantante di una grunge band che sembra una versione moscia, ma mooolto moscia del suddetto Pinkman. Più convincente la giovane in fortissima ascesa Imogen Poots, di recente vista anche in Fright Night, Una fragile armonia, Il lercio, That Awkward Moment e in Need for Speed sempre al fianco di Aaron Paul, una che qui ha il ruolo dell’unica davvero fuori di testa tra i 4 promessi suicidi. Poi c’è Toni Collette, attrice spesso grandiosa che qui invece appare più spenta che mai e ripete in tono minore il ruolo da maniaco depressiva che aveva pure in About a Boy – Un ragazzo, altro adattamento da Nick Hornby.


E qui giungiamo al terzo e più importante punto di forza, almeno potenzialmente, della pellicola. Non buttiamoci giù è tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, autore di due miei cult assoluti, sia letterari che cinematografici, come Alta fedeltà e il citato About a Boy – Un ragazzo. È vero che negli ultimi tempi c’erano stati alcuni segnali preoccupanti, riguardo agli adattamenti delle sue opere. La serie tv About a Boy è una robina poco divertente, ma si tratta di una sitcom americana, quindi non è che ci si potesse attendere più di tanto. Poi c’era stato il caso di È nata una star, ma in quel caso si trattava di un abominevole adattamento italiano con Luciana Littizzetto e Rocco Papaleo di un suo racconto, quindi pure in quell’occasione il fallimento lo si poteva tenere in conto. Con Non buttiamoci giù il caso è diverso. È una produzione inglese della BBC Films, diretta dal regista francese Pascal Chaumeil del grazioso Il truffacuori, sceneggiato da Jack Thorne, ovvero il creatore dell’ottima serie teen fantasy inglese The Fades, e in più lo stesso Nick Hornby figura tra i produttori.


Nonostante tutte queste ottime premesse, che avevano innalzato in me aspettative troppo elevate, il film è una ciofeca colossale. Non funziona per niente. Una storia come questa sulla carta mixa uno spunto drammatico con un tocco leggero da commedia, ma non convince su nessuno dei due fronti. Come dramma è troppo superficiale per emozionare, commuovere o far riflettere. Come comedy non riesce a far ridere. Non ci prova nemmeno più di tanto a farlo. È un film ibrido che non sa quale direzione prendere e l’unica strada che riesce a imboccare è quella del buonismo. Non ho letto il libro da cui la pellicola è tratta, però dentro questo film non c’ho trovato quasi niente dello stile ironico, cattivo, incisivo cui Hornby mi aveva abituato. C’ho visto solo una versione annacquata e deprimente dello stile di Hornby. Ok che è un film sul suicidio, però non dovrebbe far venire voglia allo spettatore di togliersi la vita. Invece è quanto successo a me. Mi trovo qua in cima all’edificio più alto di Londra Casale Monferrato (che non è poi molto alto) e mi sto per buttare giù.
Non provate a fermarmi!


Heeey?


Manco un’anima pia?


Proprio nessuno che cerca di farmi cambiare idea?

Ma non vi mancherò?

Non vi mancherà Pensieri Cannibali?

No, vero?


Non buttiamoci giù
(UK, Germania 2014)
Titolo originale: A Long Way Down
Regia: Pascal Chaumeil
Sceneggiatura: Jack Thorne
Ispirato al romanzo: Non buttiamoci giù di Nick Hornby
Cast: Pierce Brosnan, Toni Collette, Imogen Poots, Aaron Paul, Tuppence Middleton, Rosamund Pike, Sam Neill, Joe Cole
Genere: suicida
Se ti piace guarda anche: Hotell, Ma che colpa abbiamo noi, 50 e 50
(voto 5/10)

"Una dichiarazione su questo post, Scarlett!"
"Non sono Scarlett e comunque questo post mi ha fatto venire voglia di suicidarmi!"

martedì 1 ottobre 2013

LA FINE DEL CORNETTO




La fine del mondo
(UK 2013)
Titolo originale: The World’s End
Regia: Edgar Wright
Sceneggiatura: Simon Pegg, Edgar Wright
Cast: Simon Pegg, Nick Frost, Paddy Considine, Martin Freeman, Eddie Marsan, Rosamund Pike, Bill Nighy, Pierce Brosnan, Jasper Levine, Rafe Spall, Steve Oram, Rafe Spall
Genere: brit-pop
Se ti piace guarda anche: L’invasione degli ultracorpi, The Faculty, L’alba dei morti dementi, Hot Fuzz, American Pie: Ancora insieme, Compagni di scuola, Un tuffo nel passato, Grabbers, Attack the Block

Eravamo cinque amici al bar, che volevano andare fino alla fine del mondo.
Erano quattro, gli amici della canzone di Gino Paoli?
Non si quanti fossero in realtà, quindi non fate troppo i pignoli. E poi ne La fine del mondo gli amici al bar sono cinque, okay?
Che cos’è La fine del mondo?
Per quei quattro gatti al bar che ancora non lo sapessero, questa volta non ha a che fare con i Maya e non si tratta nemmeno di un nuovo film catastrofico di Roland Emmerdich. Per fortuna. Il nuovo di Emmerdich è Sotto Assedio – White House Down e ho l’impressione che sia perdibilissimo. La fine del mondo è invece l’ultimo capitolo della Trilogia del Cornetto. Purtroppo. Purtroppo che sia l’ultimo. Il regista e sceneggiatore Edgar Wright, l’attore e sceneggiatore Simon Pegg e il solo attore Nick Frost tornano a collaborare insieme per la terza volta, dopo l’ormai mitico L’alba dei morti dementi, che ha riportato al cinema gli zombie quando non erano ancora tornati di moda, e il meno riuscito ma comunque divertente Hot Fuzz, con un film che in qualche modo è la prosecuzione del discorso intrapreso dai due precedenti e allo stesso tempo è una visione del tutto indipendente. Il primo gusto era il Cornetto alla fragola, il secondo era il Cornetto blu originale, e ora tocca a quello alla menta con cioccolato. Al di là della presenza del Cornetto come filo comune, anche lo stile registico, con tanto di montaggio veloce e frenetico di Edgar Wright, è lo stesso, così come ritroviamo lo stesso sense of humour tipicamente british e tipicamente cazzaro, così come lo stile narrativo è lo stesso. Si parte con atmosfere da tipica comedy, e poi si sconfina su altri e più imprevedibili territori.

La prima parte, particolarmente esaltante, della pellicola è la classica vicenda giocata su dei vecchi amici di  adolescenza che si ritrovano. Il grande freddo, Compagni di scuola, American Pie: Ancora insieme, Un tuffo nel passato (Hot Tube Time Machine), Un weekend da bamboccioni, etc.… sono numerosi i film che hanno giocato su questa tematica. Anche La fine del mondo lo fa e gioca particolarmente bene la sua partita. Gioca come un Gascoigne, in maniera folle, quanto geniale. E il Gascoigne della situazione è Gary King, soprannominato The King, Il re, e interpretato da uno scatenato Simon Pegg, un vero e proprio "quaranteenne" (ovvero un quarantenne che si comporta da teen). Gary Ross è rimasto lo stesso dei tempi del liceo. Si veste allo stesso modo, si comporta allo stesso modo e ascolta la stessa musica.
Musica che, come in ogni buona pellicola britannica che si rispetti, riveste un ruolo centrale. La fine del mondo non fa eccezione. Qui la soundtrack non è solo uno sfondo sonoro, ma un elemento fondamentale per creare l’effetto reunion. In maniera analoga a quanto veniva fatto in film come Il grande freddo e Compagni di scuola con gli anni ’60, qui viene rispolverata la musica ascoltata dai protagonista da adolescenti, quella dei primissimi anni ’90, ovvero il suono baggy della scena di Madchester con band come Stone Roses, Happy Mondays e Soup Dragons, più il brit-pop delle origini con gruppi come Blur e Suede. In pratica, una vera figata per gli amanti della musica inglese 90s, quasi al livello della serie tv My Mad Fat Diary.

Gary The King/Simon Pegg riesce in qualche modo a riunire la vecchia gang di amici, composta dall’immancabile Nick Frost, dal precisetti Martin Freeman, dal piacione Paddy Considine e dall’impacciato Eddie Marsan, attore quest’ultimo che ormai si vede davvero dappertutto, sia in UK che negli USA, in grosse produzioni come Il cacciatore di giganti e Biancaneve e il cacciatore, ma anche in serie tv come Southcliffe e Ray Donovan.
Scopo della reunion? Portare a termine l’impresa che i 5 moschettieri non erano riusciti a concludere, per un pelo, nel 1990, ovvero Il miglio d’oro, ovvero andare a bere una pinta di birra a testa in ognuno dei 12 pub della loro cittadina. Se da ragazzi non c’erano riusciti, ce la faranno ora?
E ce la farò io a bermi 12 pinte di birra di fila? Mentre state leggendo questo post, mi trovo infatti all'Oktoberfest per il secondo anno consecutivo, e cercherò di rendere onore a Gary King e agli altri protagonisti della pellicola.

"Che diavolo combina il barista invece di spillare le nostre birre?
Sta al computer a leggere Pensieri Cannibali?"
Per quanto di film sulle reunion come detto ne siano stati fatti tanti, questo funziona alla grande. È spassosissimo e anche leggermente malinconico, ma non troppo, e non sconfina mai nel facile sentimentalismo tipico delle produzioni made in USA.
La fine del mondo però non è certo finita qui. Questo è solo l’inizio. Oltre che un ottimo “reunion movie”, La fine del mondo è una commedia divertentissima, la più spassosa vista finora in quest’annata, e poi è pure una valida pellicola fantascientifica. La componente sci-fi è secondaria rispetto a quella umoristica, ma fino a un certo punto. La vicenda dell’invasione aliena nella cittadina dei protagonisti si sviluppa su sentieri anche in questo caso già battuti, tra il capostipite del genere L’invasione degli ultracorpi e l’ironia di The Faculty. Una storia non nuova, eppure raccontata con personalità e con la solita dose di cazzonaggine. Una cazzonaggine però non realizzata alla cazzo di cane, tutt’altro. La regia di Edgar Wright, autore pure del grandioso Scott Pilgrim vs. the World, è spettacolare, le scene di combattimento sono molto più entusiasmanti di quelle viste in qualunque action movie recente, e pure gli effetti speciali presenti non sono male. Da notare poi il livello di recitazione eccelso. Minuto dopo minuto, birra dopo birra, il livello alcolico sale sempre più, e ciò si nota sui volti dei protagonisti, che però riescono ad apparire naturalmente ubriachi senza scadere nella banale macchietta, o nella parodia dell’ubriaco. Probabilmente perché, durante le riprese, qualche pinta fresca di bionda se la saranno buttata giù pure loro.

"Adesso però sono curioso: che dice sul nostro film?"
E qui veniamo all’ultimo elemento del film. Non solo un “reunion movie”, non solo una divertente comedy, non solo una pellicola leggermente sci-fi, uno sci-fi alla Attack the Block, questo è anche e soprattutto un film alcolico. Un inno al bere, al divertirsi, al lasciarsi andare. Il miglior modo per godersi la visione della pellicola è allora tenersi qualche birretta al fresco e scolarsela durante la pellicola. Se arrivate a quota 12, La fine del mondo vi sembrerà il film più bello del mondo. Ma anche con qualcuna di meno, resta una splendida visione. Da sobri invece non posso garantirlo.

Attenzione: Pensieri Cannibali invita i suoi lettori a fare un uso responsabile delle birre e delle auto. Non bevete auto e non guidate birra, mi raccomando.

A voler fare i pignoli della situazione, la conclusione che ricorda l’inizio della serie tv Revolution non è che sia proprio il massimo della vita no no no, però è l’unica pecca di una pellicola fino a quel momento impeccabile. D’altra parte è questa la natura umana: essere imperfetti e fare una cazzata proprio sul finale. La chiusura del film è una stronzata, but that’s okay, è giusto così. È anche per questo che amiamo la Trilogia del Cornetto e i cazzoni che l’hanno creata. E poi è normale: la parte finale del Cornetto è quella meno buona.
Fine. Non del mondo, solo del post (okay, questa me la potevo risparmiare, ho fatto pure io la cazzata finale).
(voto 8-/10)



martedì 7 maggio 2013

TOM CRUISE - LA PROVA DECISIVA


Jack Reacher - La prova decisiva
(USA 2012)
Titolo originale: Jack Reacher
Regia: Christopher McQuarrie
Sceneggiatura: Christopher McQuarrie
Tratto dal romanzo: La prova decisiva di Lee Child
Cast: Tom Cruise, Rosamund Pike, Richard Jenkins, Werner Herzog, David Oyelowo, Jai Courtney, Joseph Sikora, Robert Duvall, Michael Raymond-James, Alexia Fast
Genere: thrillerone
Se ti piace guarda anche: Misson: Impossible, Innocenti bugie, Codice d’onore

Tom Cruise è figo e all’età di 50 anni passati ci tiene a ricordarcelo sempre e c’ha addirittura fatto un film sopra.
Un film?
Diciamo che un po’ tutta la sua carriera è costruita su questo. Se c’è una cosa che le pellicole da lui interpretate ci hanno sempre voluto mostrare, è proprio questa. Fin da Risky Business, con quella mitica scena in cui balla sulle note di “Old Time Rock and Roll” di Bob Seger in camicia e mutande.



"Ma quanto cazzo sono fico?"
Da lì in poi, la sua carriera è stata un po’ replicare quella scena all’infinito per dimostrarsi sempre il più figo dei fighi. Top Gun è l’apoteosi di tutto ciò. Top Gun non è un film, è una dichiarazione di figosità da parte di Tom Cruise.
Cocktail? Che dire di Cocktail? Lì il Cruise ha preso una professione poco prestigiosa e sottopagata e l’ha trasformata radicalmente. Grazie a lui e a quel film, i baristi negli anni ’80 sono diventati le nuove rockstar.
Rain Man? Lì ha avuto gioco persino troppo facile. Ha preso al suo fianco un uomo affetto da autismo e così lui è potuto sembrare ancora più fico.
Con Nato il quattro luglio ha spostato l’asticella più in alto, rendendo cool persino la sedia a rotelle.
E così via: in Giorni di tuono è un pilota strafico, ne Il socio è un avvocato strafico, ne L’ultimo samurai è un samurai strafico, in Jerry Maguire è un agente sportivo strafico, in Collateral è un assassino strafico, in Rock of Ages è una rockstar strafica, ma ciò è persino troppo facile, in Intervista col vampiro ha reso fichi i vampiri ben prima dei vari Angel e Spike di Buffy, dei protagonisti di The Vampire Diaries e True Blood e prima pure dell’Edward Cullen di Twilight (ma perché, Edward Cullen di Twilight è fico?).

"Sotto la pioggia? Troppo facile risultare ancora più fico..."
In Mission: Impossible pur di fare il figo fa anche l’impossible, in Minority Report è così figo che riesce a risolvere i crimini ancor prima che questi vengano commessi, in Vanilla Sky fa il figo in mezzo a Cameron Diaz e Penelope Cruz anche da sfigurato, ne La guerra dei mondi fa il figo pure contro degli alieni spietati, in Eyes Wide Shut è figo perché non c’è niente di più figo di lavorare con Stanley Kubrick, in Magnolia è addirittura un domatore di fica, come può diventare ancora più fico di così?

Arrivato a questo punto, Tom dovrebbe riposarsi. Oppure dedicarsi a ruoli più impegnati e a pellicole d’autore, come qualche anno fa con Eyes Wide Shut e Magnolia aveva lasciato immaginare. Invece no, la sua missione è quella di continuare a ribadire di essere il più fico tra i fichi. Oltre la saga di Mission: Impossible e dopo Innocenti bugie, Cruise ha voluto offrire una nuova prova decisiva come action hero. L’occasione gliel’ha data questo Jack Reacher, filmetto che sembra uscito dagli anni Novanta con qualche infamia e senza troppe lodi.

"Pure con una cicatrice sulla faccia, sono sempre troppo fico!"
La storia non è niente di mai visto: un cecchino fa fuori 5 persone apparentemente qualunque e poi…
E poi dice che in realtà voleva colpire i politici.
Ehm, no. Ho sbagliato. E poi… poi si scopre che magari in realtà non erano 5 persone del tutto random.
Ad aiutare a risolvere il caso arriva Jack Reacher, ovvero Tom Cruise in versione ex militare, naturalmente ex militare strafigo. Il problema di Tom Cruise è che si inghiottisce ogni film che gira e c’è proprio una cosa che non funziona nei film recenti con Tom Cruise: Tom Cruise.
Se per anni guardavi la sua figosità con invidia, adesso più che invidia suscita antipatia. Perché ha stufato. Vedere Tom Cruise che fa fuori tutti manco fosse una combinazione tra Jean-Claude Van Damme e Jack Bauer, vederlo mentre è sempre un passo più avanti sia rispetto alla polizia che ai criminali, vedere persino i criminali suoi rivali che dicono: “Oh no, sulle nostre tracce c’è Tom Cruise pardon Jack Reacher e quindi siamo spacciati!” comincia a diventare uno spettacolo un tantino noioso.



"Rosamund, mi spiace. Saresti bellina, ma al mio fianco sembri un cesso."
Tra le poche note positive del film possiamo inserire una prima parte che si lascia guardare e un buon cast femminile, con la sempre brava e algidamente affascinante Rosamund Pike, più la novità Alexia Fast, che si era già intravista in una particina nella serie The Secret Circle e che promette bene, molto bene. Tra le note negative invece c’è l’eccessiva lunghezza. Il film ha almeno una mezz’ora abbondante di troppo, la sparatoria finale che non finisce più la si poteva tagliare del tutto e poi la seconda parte di Jack Reacher è talmente tesa che mi sono addormentato.

Chi è ancora contento di vedere Tom Cruise che fa il figo per due ore abbondanti si troverà comunque davanti uno spettacolo da non perdere. Per quelli, come me, che cominciano a essersi stufati di vedere Tom Cruise che fa il figo sempre e comunque, è invece uno spettacolo che ci si può anche perdere senza troppi rimpianti.
Se cercavi una prova decisiva, Tom, con questo film l’hai davvero trovata: sì, sei sempre figo, però sai che c'è? Ormai mostrarsi sempre così fighi è da sfigati.
(voto 5/10)

domenica 5 agosto 2012

Uomini che amano gli uccelli





"Ecco a voi uno sguardo alla Hansel di Zoolander."
Un anno da leoni
(USA 2011)
Titolo originale: The Big Year
Regia: David Frankel
Cast: Jack Black, Steve Martin, Owen Wilson, Rashida Jones, Rosamund Pike, Anjelica Huston, Brian Dennehy, Dianne Wiest, Tim Blake Nelson, Jim Parsons
Genere: volatile
Se ti piace guarda anche: Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Quell’idiota di nostro fratello, Wacky Races - Le corse pazze, le Blog Wars

C’è qualcosa di più stupido e noioso del fare bird-watching?
Un film su della gente che fa bird-watching!
Ebbene sì. Certo che a Hollywood di soldi da buttare ne hanno a bizzeffe. Alla faccia della crisi, questi hanno investito $41milioni come fossero 41 noccioline per realizzare un film su degli uomini che si sfidano a chi guarda più uccelli in un anno!
Non c’è da stupirsi se poi la pellicola in questione di milioni di dollari negli Usa ne ha riportati a casa appena 7. Quello che invece fa stupire è che il film, per quanto inutile e del tutto dimenticabile, non sia nemmeno tanto malaccio. Per essere un film su degli uomini cui piace guardare degli uccelli, per lo meno.
Cos’ha di bello, o se non altro di decente, Un anno da leoni?
Al di là del fatto che abbiano compiuto la scelta, assai discutibile, di fare del gran bird-watching, i protagonisti nella loro vita sono mossi da una reale passione. Una passione enorme in questo caso per gli uccelli, ma pur sempre di una passione più o meno rispettabile si tratta.

Nello splendido thriller argentino Il segreto dei suoi occhi, si diceva: “Un uomo può cambiare qualsiasi cosa. Il suo volto, la sua casa, la sua famiglia, la sua ragazza, la sua religione, il suo Dio. Ma c’è una cosa che non può cambiare. Non può cambiare la sua passione.”

Una grande verità di cui questo Un anno da leoni ci dà una rappresentazione estrema. Il filmetto di per sé non è certo estremo, anzi è la classica commediola americana girata senza velleità artistiche e con una notevole dose di zucchero e buoni sentimenti infilati al suo interno. Ad essere estrema è la passione dei tre protagonisti, tre uomini che in pratica rinunciano al loro lavoro, alle loro mogli, fidanzati, famiglie, persino alla loro vita pur di seguire la loro passione. Gli uccelli.
A tante donne piacciono gli uccelli. E a tanti uomini piacciono gli uccelli. Ma a loro piacciono in una maniera maniacale, al punto che per osservare più specie possibili si prendono un intero anno, il The Big Year del titolo originale.

"Ma in questo film non facciamo altro che guardare degli uccelli?"
Apriamo la parentesi sul titolo italiano?
E apriamola.
In principio fu Un mercoledì da leoni, che in originale si intitolava Big Wednesday. Prendete quest’informazione e mettetela da parte.
Poi venne Una notte da leoni, che in originale era The Hangover. Mettete anche quest’informazione in un angolino.
Adesso, addirittura, si è arrivati a Un anno da leoni. Il prossimo passo quale sarà: Un millennio da leoni?
Attenzione, però, perché dietro a un titolo del genere c’è della genialità e una maggiore elaborazione di quanto possa sembrare a prima vista. Se andiamo a vedere più da vicino, con un binocolo come fanno i protagonisti del film, possiamo notare come i titolisti italiani hanno citato Un mercoledì da leoni, per via del titolo The Big Year che richiama Big Wednesday, e hanno deciso di fonderlo con una delle commedie americane di maggior successo degli ultimi tempi, Una notte da leoni. Il risultato? Un anno da leoni. Semplice… logico… non credete?

"Guardare uccelli suonava come una cosa troppo gay,
quindi abbiamo deciso di fare qualcosa di molto più virile,
tipo saltarci in groppa cantando YMCA."
Chiusa la parentesi sul titolo italiano, l’altra cosa interessante della pellicola è la competizione. Volendo fare un discorso sessista, le donne possono essere parecchio competitive tra loro, però nulla batte la competizione maschile. Persino per delle stro**ate totali come questa del Big Year, ovvero una sfida a chi guarda più specie di uccelli nel corso di un anno. Vi rendete conto su cosa possano arrivare a sfidarsi gli uomini? Non solo a chi ha l’uccello più lungo, ma anche a chi guarda più uccelli.
Una competizione a tutto campo che mi ha ricordato le Blog Wars assurde e infinite tra me e il mio blogger rivale Mr. James Ford. Una competizione talmente pazzesca che alla fine provoca un sorriso, benché la pellicola non faccia MAI ridere. Davvero, neanche una volta. Ci sono film peggiori di questo, però commedie così prive di battute e scene divertenti è davvero raro trovarne. E sì che i tre protagonisti sarebbero dei campioni di risate, almeno sulla carta. Steve Martin in America è uno dei comici tipo più popolari di sempre, ma a me non ha mai fatto impazzire. Owen Wilson invece mi piace, però non so perché mi mette malinconia piuttosto che farmi scompisciare dalle risate. E poi c’è Jack Black. Per un brevissimo periodo, ai tempi di School of Rock, era stato definito l’erede di John Belushi. Sembrava dovesse essere il Salvatore della comicità americana. Dopo di ché si è messo a fare un film di me**a dietro l’altro, con picco nell’orrido e per nulla fantastico I fantastici viaggi di Gulliver, e il suo nome è diventato sinonimo di porcheria. Sorprende così che Un anno da leoni, pur come detto non trascendentale, non sia nemmeno tanto male e risulti il suo film più decente degli ultimi tempi.

Per quanto le premesse non fossero delle migliori, alla fine la sensazione è che sarebbe potuto essere persino meglio. Questo Un anno da leoni assomiglia a un film di Wes Anderson, in particolare Le avventure acquatiche di Steve Zissou, ha un cast molto alla Wes Anderson (Owen Wilson e Anjelica Huston), solo è del tutto privo del tocco magico e particolarissimo di Wes Anderson. La regia è infatti curata dal mestierante David Frankel (Il diavolo veste Prada, Io & Marley), che regala al tutto una buona cura e una discreta guardabilità, ma allo stesso tempo non riesce a rendere tutta la stralunatezza che un argomento del genere avrebbe meritato.
A sorpresa non è terribile, però è comunque un film del ca… volevo dire un film dell’uccello!
(voto 6-/10)

venerdì 10 giugno 2011

La versione col rutto di Barney Gumble

Barney Panofsky al bar in versione Barney Gumble dei Simpson
La versione di Barney
(Canada, Italia 2010)
Titolo originale: Barney’s version
Regia: Richard J. Lewis
Cast: Paul Giamatti, Rosamund Pike, Minnie Driver, Dustin Hoffman, Scott Speedman, Rachelle Lefevre, Bruce Greenwood, Macha Grenon, Marica Pellegrinelli, Thomas Trabacchi
Dal romanzo di: Mordecai Richler
Genere: esistenziale
Se ti piace guarda anche: American Splendor, Sideways, Solitary Man

Trama semiseria
Barney Panofsky è un produttore televisivo ebreo canadese che ci vuole raccontare la storia della sua vita, attraverso le sue disavventure lavorative e soprattutto sentimentali. Si sposa 3 volte, ha qualche figlio, fa qualche casino in giro ma il punto è: ma chi cavolo gliel’ha chiesto a questa lagna di raccontarci la sua storia?

Recensione cannibale
Approcciandosi a un film tratto da un romanzo cult (o presunto tale) bisogna sempre fare attenzione, quindi bambini silenzio e prestate attenzione: se lo si è letto, perché l’adattamento non sarà mai abbastanza fico, mai abbastanza intenso, mai come ce lo eravamo immaginati nelle nostre fantasiose testoline di ca…; e se non lo si è letto, perché il rischio è quello di perdersi degli elementi fondamentali e di non comprendere fino in fondo i personaggi. Oddio, un adattamento perfettamente riuscito dovrebbe essere autosufficiente e dispiegarsi già da solo in tutta la sua bellezza (o bruttezza), spesso però capita che alcune cose vadano lost in translation e perse nella trasposizione da carta a immagini.
Io La versione di Barney non l’ho letta e questo film certo non mi ha fatto certo venire voglia di recuperarmela. No no no. Però sono relativamente sicuro che il romanzo di Mordecai Richler aveva un’ottima prosa, sapeva coinvolgere, aveva una scrittura che emozionava. Perché altrimenti guardando la versione cinematografica non si spiega davvero lo status di “cult” affibiatogli, soprattutto in Italia dove il libro dell’autore canadase ha riscosso un successo superiore rispetto ad altre parti del mondo.

Protagonista della trasposizione è un Paul Giamatti che se altrove convinceva (Sideways, Lady in the Water, l’ottimo American Splendor), qui invece sembra la solita macchietta, imprigionato nel suo tipico ruolo da artista (poco) maledetto e vagamente (ma nemmeno tanto vagamente) sfigato.
La storia del film è ben poco interessante: ci racconta le vicissitudini di questo Barney, tra il lavoro da ricco e agiato producer televisivo giusto abbozzato, l'alcolismo e le sue storie personali e disavventure varie con le donne, con continui matrimoni e divorzi: prima con una tipa russa e rossa che però dà alla luce un figlio di colore interpretata da Rachelle Lefevre (una che aveva fatto il primo Twilight, poi ha chiesto un aumento di stipendio e la produzione le ha detto: “Ciao, bella!” noi prendiamo Bryce Dallas Howard), dopo con una Minnie Driver che di solito non mi piace ma qui riconosco che è davvero brava, e quindi con l’ algida ma allo stesso tempo dannatamente affascinante (anche se bionda è meglio) Rosamund Pike, il vero amore della sua vita. È con quest’ultima che assistiamo ai momenti migliori della pellicola, comunque roba da commedia sentimentale standard e non molto di più.
A inserire un po’ di bollicine nella bevanda, o almeno a provarci, è l’amico del protagonista, un bohemienne playboy interpretato da Scott Speedman: personaggio quasi interessante, attore un po’ meno, ma comunque troppo poco per risvegliare l’attenzione.
Ciliegina sulla torta: Dustin Hoffman ormai è davvero insopportabile, con la sua recitazione gigiona e costantemente sopra le righe (e non lo dico in senso positivo), qui come in Mr. Magorium o in quelle robe di Mi presenti i tuoi… qualcuno fermi quest’uomo!

La regia di impianto televisivo non regala guizzi, ma è soprattutto il ritmo a latitare e a rappresentare il principale difetto di questa pellicola: 2 ore e un quarto pesano in maniera eccessiva, considerando come lo svolgimento sia troppo piatto e, considerando che almeno nella infinita prima parte dovrebbe essere una commedia dai toni grotteschi, non si ride mai. Magari se siete fan di un certo tipo di umorismo stile fratelli Coen qui potreste anche trovare dei momenti divertenti, per quanto mi riguarda invece non è proprio il mio genere di umorismo (anche se per parlare di umorismo in questo film si deve essere dotati di una dose davvero notevole di sense of humor).
Non male la colonna sonora, peccato che i pezzi si deve saperli usare bene, nella maniera giusta e al momento giusto. E non è questo il caso.

A salvare il film dalla disfatta c’è però una sorpresa. Se per diciamo un’ora e mezza il film è una palla allucinante (ma non certo ai livelli di Valhalla Rising, tranquilli!), nella parte finale nonostante ci sia una frammentazione temporale maggiore e la storia faccia veloci salti in avanti con gli anni, paradossalmente è proprio qui che questo "Tre matrimoni e un funerale" infine diventa - un minimo - coinvolgente. La maggior parte delle pellicole in circolazione parte bene e poi si perde, qui è un po’ il contrario, sarà che Paul Giamatti in versione giovane non è per nulla credibile (nonostante i validi trucchi nominati agli ultimi Oscar) e con quella faccia convince più da “vecchio”. Peccato sia troppo tardi per salvare una visione così tediosa, tanto che spesso durante il film si vorrebbe gridargli: “Ah Barney, e smettila con ‘ste menate autobiografiche e facce ride!”
(voto 5,5)

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