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lunedì 4 febbraio 2013

LES MISERABLES, MISERABILI NOI SPETTATOOORIIIII

Les Misérables
(UK 2012)
Regia: Tom Hooper
Tratto dal musical: Les Misérables di Claude-Michel Schönberg (musiche) e Alain Boublil (testi)
A sua volta tratto dal romanzo: I miserabili (Les Misérables) di Victor Hugo
Cast: Hugh Jackman, Anne Hathaway, Russell Crowe, Sacha Baron Cohen, Helena Bonham Carter, Eddie Redmayne, Amanda Seyfried, Aaron Tveit, Samantha Barks, Daniel Huttlestone, Isabelle Allen
Genere: canta tu
Se ti piace guarda anche: Rent, Nine, Sweeney Todd, Moulin Rouge!

Mi ha sempre fatto ridere questa espressione: I dreamed a dream. Ho sognato un sogno. E per forza, cosa dovevi fare? Incubare un incubo?
Comunque, “I Dreamed a Dream” è il brano più celebre e identificativo di Les Misérables, romanzo di Victor Hugo trasformato in uno dei musical di maggior successo nella storia di Broadway a partire dagli anni ’80, quando era al top della popolarità (non a caso viene spesso citato nel romanzo di Bret Easton Ellis American Psycho). Adesso è finalmente (finalmente?) diventato anche una pellicola cinematografica.

I dreamed a dream. Ho sognato un sogno. Nel sogno, non guardavo questo film ed ero più felice. Avrei potuto impiegare molto ma molto meglio le 2ore e 40minuti della durata del musical. Non so, ad esempio avrei potuto cominciare a giocare a Ruzzle, il gioco di parole che fino a qualche giorno fa non avevo mai sentito nominare e di cui adesso invece tutti parlano. Ovunque. Su Facebook, sui blog, per strada. Sembra di essere finiti nell’alba dei giocatori di Ruzzle viventi. C’è gente al volante che non guarda la strada per giocarci. Ne hanno parlato persino al TG5! A quel TG5 dove di solito la cosa più nuova di cui discutono è il nuovo disco di un nuovo artista emergente, un certo nuovo Vasco Rossi.

I dreamed a dream, dicevo. “I Dreamed a Dream” è un brano di sicuro impatto, non lascia indifferenti. È riuscito persino a trasformare Susan Boyle, e ho detto Susan Boyle, in una superstar mondiale, e ho detto superstar mondiale.



Figuriamoci allora se Anne Hathaway, grazie alla sua intensissima interpretazione nella parte di Fantine e soprattutto di questo brano, non riuscirà a portarsi a casa uno scontatissimo Oscar come miglior attrice non protagonista, dopo aver già vinto ai Golden Globes.



Non fraintendetemi, Anne Hathaway qui è davvero bravissima e l’Oscar sarà anche meritato, non certo un furto. Però non è il genere di performance recitative che preferisco. Troppo sopra le righe. Troppo eccessiva. Un talento troppo sbandierato. Come nel campo delle performance musicali fanno Andrea Bocelli, o Celine Dion o Mariah Carey. Nessuno mette in dubbio che abbiano un gran talento vocale, però io personalmente non riesco a sentirli se non munito di appositi tappi per le orecchie.
Anna Hathaway con la sua intepretazione breve ma intensa, pure troppo, rientra comunque tra le note più positive di questo Les Misérables e la scena in cui canta “I Dreamed a Dream” è impressionante per bravura recitativa. Il regista Tom Hooper invece strabilia parecchio di meno. Si limita a mettere la camera fissa su di lei e a far compiere tutto lo sforzo all’attrice. Così sono capaci tutti. Anche i Vanzina.

"Uh, mamma! Svegliateci quando il film è finito..."
Il film gode di una manciata di altre buone intepretazioni: Hugh Jackman se la cava bene, ma nel suo caso l’Oscar sarebbe davvero eccessivo.  Bravi poi Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter (entrambi già nel musical burtoniano Sweeney Todd), protagonisti dei siparietti più divertenti, in grado di alleggerire un pochetto la situazione di un drammone che stava diventando insostenibile e in cui alle disgrazie personali dei miserabili protagonisti si aggiungono pure quelle legate alla Rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche. Va bene il dramma, va bene il melodramma, però Les Misérables più che un semplice drammone è un invito al suicidio.
A colpire in positivo, oltre ad Anne Hathaway, sono soprattutto i volti più nuovi: il bambinetto Daniel Huttlestone è il protagonista del momento musicale più figo, la scena in cui canta convintissimo “Look Down (Beggars)”. Perché sì, questo Les Misérables ha anche dei momenti buoni. Peccato che su 2 ore e 40 minuti ci siano giusto quelle 2 ore di troppo ad appesantire il tutto.
Non male anche l’emergente Samantha Barks, che arrivava già dalle versione concertale del musical. A lei è affidato l’altro brano più celebre de Les Misérables, ovvero “On My Own”. Più celebre almeno per me, visto che lo conoscevo grazie all’interpretazione di Katie Holmes/Joey Potter in Dawson’s Creek. Pensate un po’ voi su quali solide basi poggia la mia cultura.



"Non è il caso che continui a mentire dicendo che sono meglio di Marilyn,
tanto te la smollo lo stesso."
Tra gli altri giovani attori da tenere d’occhio, occhio appunto poi anche ad Aaron Tveit, già intravisto in Gossip Girl, e alla piccola Isabelle Allen, quella dell’inquietante manifesto della pellicola.
Mi ha convinto di meno invece Amanda Seyfried. Amanda sey fregna, okay, ma il musical non mi sembra troppo nelle tue corde. Continua a non dirmi nulla invece Eddie Redmayne, già anonimo protagonista di Marilyn (dove non era Marilyn, ma il giovane che ne era innamorato, nel caso aveste dubbi in proposito). Io sono il primo a sponsorizzare i giovani attori britannici, lui però no. Sarò comunque felicissimo se mi smentirà in futuro, ma di certo anche lui non mi sembra molto a suo agio con il musical e a livello vocale è il più miserabile del cast.
Se la cava a cantare Russell Crowe, d’altra parte è pure il leader di una rockband, i Russell Crowe & The Ordinary Fear of God, però dentro Les Misérables sembra davvero un pesce fuor d’acqua. Non che ci siano numeri di ballo, perché questo è uno di quei musical in cui non è che si balla. Non più di tanto. Si canta, sempre e soltanto. Il roccioso Russell Crowe comunque pare uno che si aggira in scena chiedendosi: “Ao’, io so’ Massimo, er Gladiatò. Che ce faccio in ‘sto musicarello per effeminati?”.

"Tutto bene, Anne?"
"No, mi si è rotto il karaoke. E mo' come faccio a esprimermi?"
La pellicola viaggia quindi a corrente alternata, tra intepretazioni, canzoni e scene più o meno apprezzabili. Il tutto tenuto insieme da una cura tecnica impeccabile, abiti e scenografie per carità magnifici, e dalla regia del menzionato Tom Hooper.
Riconosco a Tom Hooper di avere stile, un suo stile. Che poi a me questo stile faccia schifo, è un dettaglio non da poco. Adesso non so bene neanche quali termini tecnici sono più appropriati per descrivere il suo modo di girare. Propone spesso e volentieri delle inquadrature sbilenche, come fosse un Terry Gilliam privo però di tutto il talento visionario. Privilegia poi i primi piani e, come dire?, schiaccia la messa in scena, toglie profondità. Magari è solo un’impressione mia, ma quando guardo un suo film mi sento schiacchiato. Mi sento soffocare. Mi manca il respiro. Sto male fisicamente. È per questo che, dopo la già fastidiosa esperienza de Il discorso del re, quello che ha fatto una gran rapina agli Oscar di due anni fa, non ho mai visto il suo acclamato film d’esordio Il maledetto United, nonostante il Manchester United sia una delle mie squadre preferite. Perché ho paura del suo cinema. Mi fa stare male, maledetto Hooper.

"Al prossimo che si mette a cantare gli faccio saltare le cervella, intesi?"
La regia di Tom Hooper mi ha fatto stare male anche questa volta, nel caso ve lo chiedeste, ma non è la sola cosa ad aver avuto un effetto devastante sulla mia visione del film.
Non ho mai visto il musical da cui è tratto, quindi prendetele come considerazioni basate unicamente come supposizioni, ma un problema di Les Misérables il film è che ha troppo rispetto di Les Misérables il musical. E, per quanto riguarda gli adattamenti, l’eccessiva fedeltà per me non è mai un gran bene. Nel passaggio da un media a un altro vanno operate delle scelte, anche spietate se necessario. Guardando Les Misérables ho avuto l’impressione di un lavoro che a teatro sarebbe funzionato alla grande, ma su pellicola meno. Perché?
Perché questo musical è troppo… musical. Troppo cantato. I dialoghi sono pressoché inesistenti. Una scelta interessante, rischiosa, estrema. Dai risultati però devastanti per la psiche del miserabile spettatore. Terminata la visione del film, mi sono chiesto perché le persone intorno a me parlassero. Parlassero e non cantassero. Se odiate i musical quindi vi consiglio di girare al largo, perché questo film potrebbe farvi lo stesso effetto del sole per i vampiri: provocarvi combustione spontanea.

Per quanto mi riguarda, non sono mai stato un grosso fan dei musical. Ultimamente però ho apprezzato parecchio alcune rivisitazioni originali del genere, come Moulin Rouge! e Dancer in the Dark (che al confronto di questo era quasi una commedia goliardica), così come ho seguito con interesse il Glee dei primi tempi e pure l’altra serie musical Smash e tra poco vi parlerò pure di Pitch Perfect. Non partivo quindi del tutto a digiuno dal genere. Però vi assicuro che, se non siete fan hardcore dei musical, 2 ore e 40 minuti senza pause, tutte cantate, TUTTE cantate, vi faranno impazzire.

Ma perché diavolo cantate seeempreeeeeeeeee?
Vi fa così schifo parlareeeeeeeeee?
Non se ne può davvero piùùùùùùùù
e non mi resta altro che invocare Belzebùùùùùùù
Perché diavolo diavolo diavolo
diavolo diavolo diavolo
(tutti in coro) DIAVOLO DIAVOLO DIAVOLO
perché diavolo cantate seeempreeeeeeeeeee?
Qualcuno me lo vuol spiegar?
qualcuno me lo sa spiegar?
La la la la la lalaaa?
La la la la la la laaaaa?
Les Misérables ti mando fuori di testaaaaaaa.
Les Misérables ti fa gridare: “Ma bastaaaaaaa!”.

Poi basta. Mi è passata.
Dopo due giorni in cui sono andato in giro per strada a cantare e la gente, tra una partita a Ruzzle e l’altra, mi guardava come se fossi pazzo, alla fine l’ho capito chi sono les misérables del titolo: noi poveri spettatori.
(voto 5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, con la nuova locandina minimal firmata da C(h)erotto.


mercoledì 19 settembre 2012

Il piccolo dittatore

"Il mio modello politico di riferimento? Voi italiani lo conoscete bene,
è lo stesso che ispira anche Matteo Renzi e Mitt Romney...
Il dittatore
(USA 2012)
Titolo originale: The Dictator
Regia: Larry Charles
Cast: Sacha Baron Cohen, Anna Faris, Ben Kingsley, Jason Mantzoukas, Megan Fox, Edward Norton, Joey Slotnick
Genere: satirico
Se ti piace guarda anche: Il principe cerca moglie, The Devil’s Double, Idiocracy, Borat, Ali G, Bruno

Pensieri Cannibali è un blog democratico. Un sito in cui sono ben accette le più svariate opinioni di chicchessia. Chiunque può sentirsi libero di esprimere il proprio pensiero attraverso i commenti a fondo post.
È naturale poi che io e io solo ho la democratica possibilità di cancellare qualunque commento non sia di mio gradimento. O segnalarlo come spam.
Cosa c’è di peggio di segnalare una persona come spam?
Sì, pugnalare una persona è peggio, ma a parte questo, cosa c’è di peggio che essere considerati spam?
Spam, che brutta parola! Quasi quanto scum.
Spammare qualcuno è davvero degratante. È una cosa razzista.

"Evvai, due biglietti per gli Oscar Cannibali di fine anno!"
Io, in ogni caso, pur essendo libero di cancellare i commenti, anche quelli peggiori, anche quelli con su scritto “Cannibal puzzi!”, non ne ho mai cancellati.
Alcuni, qualche volta, finiscono nello spam. Ma non è colpa mia. Io non oserei mai considerare qualcuno spam. È sbagliato. È immorale. È razzista. È Blogger che decide cosa è spam e cosa non lo è. È il potere di Google, non sono io.
Siete liberi di non crederci e di dirlo tra i commenti.
Se poi il vostro commento dovesse – guarda caso – finire nello spam, non è mica colpa mia…

Only God can judge me, diceva il rapper 2Pac in un suo pezzo.
Only God can span me, dico io. [Cannibal Kid © ® 2012, tutti i diritti riservati]

Chi può decidere cosa è degno di essere pubblicato e cosa invece dev’essere cancellato per sempre dalla faccia del web?
Allo stesso modo, chi può dire quale sia uno stato davvero democratico e cosa lo differenzi da una dittatura?
Sacha Baron Cohen forse può non essere in grado di rispondere alla prima domanda, alla seconda però sì. Ci ha provato, se non altro, e l’ha fatto attraverso questo film. Attraverso una riflessione che punta sulla comicità ma che, come accade con la comicità migliore, utilizza il sorriso anche per far pensare. Un pochino, dai. Non è che guardando Il dittatore i nostri cervelli siano fatti lavorare per tutta la sua breve durata. Ogni tanto però, tra una gag spassosa e un’altra meno, i neuroni si mettono in azione.

Il dittatore, va comunque detto, è una pellicola riuscita solo a metà.
Diverte, soprattutto nella prima esilarante mezz’ora, eppure non tutti gli sketch sono poi così riusciti e alcune scene sono tirate troppo per le lunghe, come quella dell’elicottero o quella del parto. Alcune battute, comunque, sono davvero esilaranti.
Fa riflettere, come dicevo sopra, con alcune osservazioni acute sia sulle dittature vere, che sulle democrazie presunte. Nella parte finale, affonda il colpo contro gli Stati Uniti e lo fa con efficacia. Sacha Baron Cohen non dice niente di così nuovo o che già non sapevamo, ma sa farlo con il suo stile personale, parecchio cattivo e irrispettoso nei confronti di tutto e di tutti, e con addosso una buona dose di politically incorrect.
E qui veniamo al punto cruciale della pellicola. Ci sono momenti parecchio politically incorrect, come in Borat, più di Borat, eppure allo stesso tempo c’è anche un’atmosfera da tipica commedia, persino sentimentale, americana.

S.B. Cohen preme sull’acceleratore dello sberleffo scorretto in continuazione, quasi volesse fare lo stesso effetto di un atto terroristico nei confronti del pubblico, ma alla fine la struttura resta quella classica classica della comedy alla Il principe cerca moglie. Giusto un bel po’ più cattivello. Da una parte accelera, dall’altra frena.
Cinematograficamente poi, Il dittatore è poca cosa. La regia di Larry Charles si adagia su modelli anch’essi da comedy standard, la sceneggiatura segue la prevedibile parabola di progressiva umanizzazione del dittatore quando entra in contatto con la società capitalista, volevo dire democratica americana e soprattutto quando entra in contatto con Anna Faris, che qui sfoggia un look da ragazzino di 16 anni e che per questo viene continuamente sbeffeggiata dallo stesso dittatore, in maniera parecchio ilare (ma che parola ho tirato fuori?).

"Sei sempre brava Megan, però Elisabetta è più economica. La prossima
volta mi sa che chiamo lei, ché tira aria di crisi anche per noi dittatori..."
Alcune cose quindi funzionano, altre meno. Tra le chicche, c’è il cameo di Megan Fox. Solo una delle (presunte) celebrità che vanno a letto con i politici mondiali come fossero escort. E perché a questo punto tra i dittatori cui il film si ispira, oltre a Gheddafi, Bin Laden, Saddam Hussein e suo figlio (si veda il film The Devil’s Double), viene in mente anche un certo dittatore italico?
Interessante anche l’utilizzo di “Everybody Hurts” dei R.E.M. e di “The Next Episode” di Dr. Dre e Snoop Dogg. Pezzi celebri, dove sta la novità? La particolarità è che sono stati ricantati in una sorta di arabo farlocco, creando così un effetto straniante. Sarebbe stato bello se l’intera soundtrack fosse stata realizzata in questo modo, ma anche in questo caso il film ha preferito tenersi prudente e non rischiare di destabilizzare del tutto il pubblico.



"Eli, stare con te è come andare al discount delle celebrità!"
Una cosa che vale per la colonna sonora, così come per l’intera pellicola. Poteva essere davvero una pellicola incendiaria, un atto di terrorismo nei confronti del cinema americano medio, invece finisce per essere una commedia americana media. Un po’ sopra la media, ammettiamolo, grazie ad alcune trovate parecchio spassose, ad alcuni momenti davvero incorrect e una mezz’ora iniziale che mi ha davvero fatto (scom)pisciare addosso dalle risate. Se l’obiettivo era però quello di essere un erede de Il grande dittatore di Charlie Chaplin beh, allora qui siamo più dalle parti di un piccolo dittatore.
(voto 6+/10)

"Solo 6+? Fate fuori Cannibal!"

venerdì 15 giugno 2012

Il dittatore del cinema

"Ma chi te l'ha dato questo ridicolo slippino da wrestler? Mr. Ford?"
La programmazione cinematografica italiana sta ormai entrando in clima estivo. Cosa che implica l’assenza di pellicole di grandissimo richiamo, però allo stesso tempo permette il recupero di una manciata di filmetti che potrebbero non essere malaccio.
Questa settimana tocca al thriller della figlia di Michael Mann, ad una spassosa commedia USA, al Borat in versione dittatoriale e a qualcosina d’altro.
Il tutto presentato dai miei commenti. E basta.

Ah no, uffa. Tramite il solito piccione viaggiatore sono arrivati anche quelli di Mister James Snob. Mannaggia, speravo che per una volta si fosse scordato e invece no. Ecco pure i suoi, purtroppo…

"Megan, sai che Ford preferirebbe farlo con me piuttosto che con te?
Dice che ho dei pollici molto sexy!"

Il dittatore di Larry Charles
Il consiglio di Cannibal: abbasso le dittature, a parte quella Cannibale
Sacha Baron Cohen mi fa ridere preso a piccole dosi, soprattutto per le sue battute più politically incorrect. Sulla distanza di un intero film però può risultare un pochino pesante. Un’occhiata disimpegnata al suo dittatore comunque credo la si possa anche dare. Si prospetta una porcata di film, ma almeno due risate dovrebbe garantirle. Anche se per quelle bastano i commenti involontariamente ridicoli del mio blogger rivale…
Il consiglio di Ford: abbasso le dittature, soprattutto quella del Cannibale!
Sorprendentemente - e sono tre! - sono in linea perfetta con quello che il mio imberbe compagno di rubrica pensa di Cohen, che mi fa lo stesso effetto de I soliti idioti.
Cercherò di evitarlo, ma se dovesse capitare, per una serata a neuroni sotto zero potrebbe anche starci.


"Oh, no! Ford le ha fatto vedere uno dei suoi film preferiti.
Devo farla arrivare in ospedale al più presto!"
Le paludi della morte - Texas Killing Fields di Ami Canaan Mann
Il consiglio di Cannibal: so io chi ci metterei, nelle paludi della morte
Film già visto, cotto e mangiato, cioè commentato.
La pellicola d’esordio di Ami Canaan Mann, figlia di Michael Mann (Collateral, Heat, L’ultimo dei Mohicani) è un thriller interessante, sebbene non del tutto originale e riuscito. Buono il cast, in cui svetta Jessica Chastain, e affascinanti le atmosfere texane. Peccato per uno sviluppo non eccezionale della sceneggiatura.
La Mann è una figlia di papà raccomandata proprio come Ford, però, per quanto ancora lontana dal talento fenomenale di una Sofia Coppola, una possibilità la merita. La Mann, intendo. Ford invece non merita manco mezza chance.
Il consiglio di Ford: figlia di tanto padre.
Il film non l'ho ancora visto - rimedierò a breve - ma l'ambientazione texana ed il nome della regista mi fanno ottimamente sperare, considerato quanto Michael Mann sia considerato al saloon.
Nonostante il delirio a proposito del fatto che il sottoscritto possa essere un figlio di papà - cosa che sospetterei, al contrario, di Katniss Radical Kid -, mi trovo d'accordo anche sulla Chastain, che migliora ad ogni film che passa.

"Vorremmo infettare WhiteRussian con un bel virus, sei in grado di farlo?"
"Certo, siete mica i primi a chiedermelo..."
21 Jump Street di Phil Lord, Chris Miller
Il consiglio di Cannibal: jumpate su!
Già visto pure questo, ma devo ancora scrivere la recensione. Nell’attesa, non posso fare altro che consigliarlo, visto che è una delle commedie americane più divertenti e riuscite degli ultimi tempi. Tratto dalla serie tv anni ’80 che ha lanciato Johnny Depp, è un buddy movie liceal-poliziesco con l’accoppiata ben assortita Jonah Hill e Channing Tatum che sono certo piacerà pure a quel musone di James Snob.
Il consiglio di Ford: saltate sul Cannibale! Con i piedi uniti!
Anche questo in lista, e le premesse che si riveli uno di quei buddy movies in stile SuXbad che tanto piacciono in casa Ford ci sono tutte, a partire dai protagonisti, entrambi protetti del Saloon.
Per una volta l'inizio del weekend trova insospettabilmente d'accordo me e quel degenerato del Cannibale: sarà mica l'effetto di qualche hangover!?!?

"E oraWhite Russian
per tutti! Paga Ford!"
Adorabili amiche di Benoît Pétré
Il consiglio di Cannibal: Ford e Cannibal, adorabili nemiche
Appuntamento ormai consueto con il film da sala del tè settimanale offerto da Mrs. Ford. Per quanto attualmente sia in trip da cinema francese, questo Thelma & Louise fuori tempo massimo credo me lo risparmierò senza problemi, preferendo lasciarlo alla mia poco adorabile “amica”.
Il consiglio di Ford: adorabili pisolini all'ora del the.
Dopo essermi sorseggiato un buon Earl Grey ed aver prepotentemente spaccato la tazza in testa a quella strega di Cannibal Witch direi che salto a piè pari questa robetta da tardone bollite e passo avanti.

"Ford  ha parlato bene del nostro film..."
"Ueeé, per noi si preannuncia un flop clamoroso! :("
C’era una volta in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan
Il consiglio di Cannibal: c’era una volta Mr. Ford. E purtroppo c’è ancora
Ed ecco invece la pellicola etnica e pseudo impegnata fordiana della settimana. Un poliziesco turco di scarso appeal che potrebbe attirare giusto il pubblico più Radical Ford. Per me l’unico c’era una volta rimane invece quello della splendida serie Once Upon a Time.
Il consiglio di Ford: c'era una volta Cannibale. Prima dell'ennesima disfatta subita per mano di Ford.
Mi mancava un pò di sano conflitto, in questo clima gioviale che si era creato per il weekend imminente: in barba a tutta la follia del Kid, questo film promette di essere una bomba totale, anche perchè dietro la macchina da presa c'è uno dei più tecnici registi del pianeta, autore dello strabiliante Uzak e del meno riuscito - ma visivamente spettacolare - Le tre scimmie. Se amate almeno un briciolo il Cinema d'autore, non potete perdervelo.
Altro che le favolette cannibali!

Le didascalie cannibali fanno ridere persino quella bestia di Ford!
La bella e la bestia in 3D di Gary Trousdale, Kirk Wise
Il consiglio di Cannibal: Ford in duplice versione, sia bella che bestia e pure in 3D? No, grazie!
Ancora? Un altro film riproposto in 3D soltanto per raggranellare altri soldi? Un’altra sdolcinata produzione disneyana in grado di commuovere tanto tanto i cuoricini più sensibili come quello di Ford?
Io non ci sto! E, come detto sopra, per me le fiabe ormai sono solo quelle di Once Upon a Time.
Il consiglio di Ford: basta, basta, basta. Al 3D. In 3D.
Nonostante La bella e la bestia sia uno dei film Disney più belli mai realizzati - in barba alla palese ignoranza cinematografica del Cannibale -, mi schiero apertamente contro queste bieche operazioni commerciali mangiasoldi della grande D.
Basta. Davvero.

"Ma come, non se lo fa un goccio? Il capitano precedente non diceva
mai di no. Mi pare si chiamasse Schettino, mi pare..."
Benvenuto a bordo di Eric Lavaine
Il consiglio di Cannibal: malvenuto a fordo
Questa settimana la Francia non regala soddisfazioni ma, dopo un’annata finora incroyable, un weekend di tregua possiamo anche concederglielo.
Benvenuto a bordo si preannuncia una commediola inutile, una sorta di film vaccanziero e di variante francese al cinepanettone. In più, tra i consulenti alla produzione c’è stato pure il capitano Schettino!
E avere Schettino come consulente per un film ambientato su una nave da crociera è come avere Ford come consulente per un blog di cinema: un naufragio assicurato! Ahahah
Il consiglio di Ford: Concordia Kid e la sua crociera.
Film agghiacciante della settimana, insolitamente non targato Italia.
Senza neppure soffermarmi su Schettino e la facile ironia che ne consegue, salto in blocco una delle proposte più insignificanti degli ultimi tempi e passo oltre.
Un pò come se dalla mia nave pirata dovessi vedere il Cannibale tra i flutti, circondato dagli squali.

"Inutile che mi torturi: non ammetterò mai che mi
è piaciuto un film consigliato dal Ford. Mai!"
Paura 3D di Antonio e Marco Manetti
Il consiglio di Cannibal: mi fa già paura abbastanza Ford
Ancora non ho visto alcun film dei Manetti Bros., però mi ispirano (abbastanza) fiducia. Dopo la fantascienza de L’arrivo di Wang, si danno all’horror con Paura 3D, il loro secondo film uscito in appena una manciata di mesi. Che vogliano diventare più prolifici di Woody Allen?
Comunque sia, sono tra i pochi in Italia a fare ancora cinema di genere e quindi una possibilità possiamo anche dargliela. Almeno fino a che non si mettono a fare film di genere fordiano!
Il consiglio di Ford: Manetti, ho detto BASTA 3D.
I Manetti non sono male, e certamente rappresentano una delle voci più interessanti dell'underground italiano, eppure la presenza della fatidica ed odiata sigla 3D fa crollare la mia curiosità rispetto a questa potenzialmente interessante proposta.
Per il momento, rimando.
In fondo, il Cucciolo Eroico è in grado di fornirmi tutto l'orrore possibile quotidianamente con i suoi pareri allucinanti!

"Sai che Ford si crede di essere un blogger cinematografico?
Aahahah, è la cosa più divertente che abbia mai sentito in tutta la mia vita!"
Venti anni di Giovanna Gagliardo
Il consiglio di Cannibal: non lo vedo manco tra venti anni
E figuriamoci se questa settimana non arrivava una docu-fiction italiana, che si propone di ripercorrere addirittura gli ultimi 20 anni di storia mondiale o qualcosa del genere. E il fatto che in rete non si trovi manco il trailer, non depone certo a suo favore…
Venti anni? Sì, di galera a Ford se ha il coraggio di consigliare questo film. O anche un film con Jean-Claude Van Damme qualunque.
Il consiglio di Ford: non vorrei incontrarti tra vent'anni. E neppure tra cento.
Sarà curioso ritrovarci tra vent'anni e scoprire che il Cannibale, ormai incanutito e senza capelli, starà continuando imperterrito a spacciarsi per un teen qualsiasi nel tentativo di imbucarsi ad un party sperando - invano - di rimorchiare una diciottenne.
E sarà divertente prenderlo a bottigliate anche allora.
Come dite? Dovevo parlare di un film in uscita? Quale film?

sabato 25 febbraio 2012

Hugo Cabret, ti ci spedisco io a fare il viaggio nella Luna

Tutti seduti ai vostri posti? Avete preso il vostro caffè? Fumato le vostre due-trecento siga?
Tranquilli? Quieti? Pronti per la lezione?
La Storia del Cinema ve la racconta oggi un personaggio (incompetente) d’eccezione: Cannibal Kid.
Siete proprio finiti in buone mani, vero? Vi immaginate che vi racconti che tutto è iniziato con Quentin Tarantino?
Sdeng, sbagliato.
Anche se avrei potuto tranquillamente sostenere una tesi del genere, preferisco rispettare la tradizione e seguire i libri di scuola.
Tutto è iniziato con i fratelli Lumiere. Ma se loro li possiamo considerare i padri biologici, il vero papà del Cinema, quello è stato Georges Méliès.
Fosse stato solo per i Lumiere, adesso ci ritroveremmo forse con le sale piene solo di documentari e di un approccio alla visione di pura osservazione. Esatto: il Grande Fratello trasmesso su grande schermo.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
Oppure ci ritroveremmo proprio del tutto senza film, visto che, come sosteneva Louis, uno dei due illuminati fratelli Lumiere: “Il cinema è un’invenzione senza avvenire”.
A regalare un avvenire al cinema è allora stato un mago: Georges Méliès. È con lui, e con chi se non con un mago?, che il cinema si è fatto magia, trucco, illusione. Ha preso uno strumento che fino ad allora serviva a documentare la realtà e l’ha usato per documentare qualcos’altro: la dimensione del sogno.
Tirando fuori opere di pura fantasia e genio come il suo film più famoso, Viaggio nella Luna - Le voyage dans la lune.


Tutte queste cose sono raccontate, bene, in Hugo Cabret da Martin Scorsese, un regista che - non c’è certo bisogno che lo dica io - ha una cultura cinematografica immensa e che, ad esempio, prima dell’inizio delle riprese di un suo film dà sempre ai suoi attori qualche film da vedere e da studiare per prepararsi alla parte. Come un bravo professore che si rispetti.
Se Scorsese è bravo a raccontarci la storia, giusto un po’ romanzata, di Georges Méliès, sarà anche il regista più adatto a raccontarci quello che era, e che è ancora, il grande fascino del cinema di Méliès?

Andiamo a scoprirlo…

Hugo Cabret
(USA 2011)
Regia: Martin Scorsese
Cast: Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ben Kingsley, Helen McCrory, Sacha Baron Cohen, Emily Mortimer, Jude Law, Christopher Lee, Ray Winstone, Richard Griffiths, Michael Stuhlbarg, Martin Scorsese, Michael Pitt
Genere: cine-fiabesco
Se ti piace guarda anche: Neverland, Harry Potter, A.I., Big Fish, Ember - Il mistero della città di luce

Si può immaginare un regista più lontano da Georges Méliès di Martin Scorsese?
"Che impresa sfuggire all'occhio vigile di quel furbone di Borat!"
Difficile, considerando come Scorsese si sia finora tenuto a parecchie distanze dal cinema fantastico, preferendo immergersi in un iperrealismo più da incubo che da sogno. A livello cinematografico, il regista italoamericano è un virtuoso, un fuoriclasse della macchina da presa, dei movimenti vorticosi, come ci tiene bene a sottolineare subito nell’apertura di questo Hugo Cabret, con una spettacolosa carrellata in avanti della stazione ferroviaria in cui gran parte del film è poi ambientato. Oppure nei rocamboleschi inseguimenti tra il piccolo protagonista e un odioso Sacha Baron Cohen, a metà strada tra slapstick comedy e Tom e Jerry, o anche tra Benny Hill Show e Mamma ho perso l’aereo.
Georges Méliès invece la telecamera si limitava a tenerla fissa, anche perché con i pesanti mezzi dell’epoca non è che si potesse fare altrimenti, e costruiva degli affascinanti quadri animati. Non potendo contare sui movimenti di macchina, i giochi di illusione del regista illusionista venivano creati attraverso il montaggio, di cui è considerato il padre. Anche perché se aspettavamo i Lumiere… bon voyage!
A livello stilistico il regista italoamericano e il suo cugino francese non c’entrano una beneamata mazza l’uno con l’altro. Cosa che comunque rende la sfida ancora più interessante e stimolante, sebbene il candidato ideale per portare oggi sullo schermo la figura di un Méliès sarebbe stato un certo altro regista…

"Questo automa per caricare un'immagine ci mette più di una connessione 56k!"
Ma mentre Steven Spielberg è troppo impegnato a fare all’amore con i cavalli, ecco che il buon Martin Scorsese gli ha bagnato il naso e ha realizzato il film che ci saremmo aspettati dal papà di E.T. e non da lui.
È di certo apprezzabile il tentativo di Marty McFly Scorsese qui in versione viaggiatore nel tempo di tuffarsi in una Parigi degli anni ’30 e raccontarci una fiaba dal sapore antico, ben lontana da tutto il resto del suo cinema, facendosi ispirare dal romanzo illustrato La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick. Un rinnovamento che fa piacere per la voglia di cambiare del regista sulla soglia dei 70 anni, ma allo stesso tempo il risultato è deludente piuttosto che no.
La prima parte in particolare è di scarso interesse ed è un’oretta buona di pellicola buttata via. Hugo Cabret è infatti il solito orfanello dickensiano che ha da poco perso il padre, un Jude Law che sembra uscito dritto da A.I. Intelligenza artificiale e che lavorava a un misterioso automa che ricorda L’uomo bicentenario con Robin Williams. Rimasto con uno zio (ovviamente) ubriacone (ovviamente) menefreghista e che a breve (ovviamente) sparisce, Hugo vive da solo all’interno della stazione di Parigi, dove per sopravvivere si arrangia come può.
Ovvero? Si prostituisce?
"Martin? Chloe? Beeen? Aiutoregistaaaa? Camerameeeen?
Hey, io sono ancora qui... qualcuno mi aiuta a scendere?"
No, questo non è il vecchio Scorsese, quello che faceva battere sulla strada una giovanissima Jodie Foster in Taxi Driver. Il nuovo Scorsese in benevola versione nonnetto ci presenta un Hugo Capretto ladruncolo, inseguito dal perfido Sacha Baron Cohen in scenette che ho trovato di una inutilità fastidiosa. A livello personale, io il personaggio di Borat l’avrei proprio eliminato del tutto, visto che è una macchietta stereotipata che non fa ridere e annoia. Così come ATTENZIONE SPOILERONE la sua conversione al pacifismo nel finale fa pensare di trovarsi uno Scorsese in versione davvero troppo natalizia (ma grazie Dio almeno non cinepanettona!).

Adesso dirò una cosa in stile vecchio che rimugina sul passato e su come erano belli i bei tempi andati. Parlerò come il mio blogger rivale Mr. James Ford, insomma. Uno dei problemi dei film per ragazzi di oggi è che sono quasi del tutto privi di ironia. Si prendono troppo sul serio, da un Harry Potter precisetti che sembra gli abbiano infilato una scopa volante su per il culo a tutte le varie altre saghe teen fantasy in cui l’assurdità delle situazioni di rado viene alleviata da una sana risata.
Se invece andiamo indietro nel tempo, non fino agli anni ’30 francesi di cui sembrano essere in fissa tutti i registi americani settantenni, ma indietro solo fino agli anni ’80, possiamo prendere come esempio I Goonies: tra Chunk e Mouth c’era da ammazzarsi dalle risate con ben due personaggi due. In un film come Hugo Cabret il simpatico umorista di turno sarebbe Borat in versione accalapia-orfani?
Bambinetti di oggi, non vi invidio proprio.

"Che figata, 'sto film di Scorsese! Come si chiama?"
"Taxi Driver."
A parte questo dettaglio non da poco, a non funzionare è anche il protagonista Hugo Cabret. Per un personaggio che dà il titolo al film, un problema certo non minore. Il giovanissimo attore Asa Butterfield non recita male, però nemmeno lascia il segno. Chloe Moretz, già esalta(n)tissima Hit Girl di Kick-Ass, qui è tutta smorfiette e faccette e il suo personaggio è davvero campato via; la bambinetta che accompagna Hugo nelle sue poco avventurose avventure a un certo punto sembra infatti volerci portare in un posto che è come “l'isola che non c'è, l'isola del tesoro ed il mago di Oz messi insieme”. Peccato che risulti come i politici italiani (e non solo italiani): brava a parole e a proclami esagerati, ma molto meno veritiera alla prova dei fatti.
Tutta la prima parte, molto fanciullesca, lascia quindi il tempo che trova, perfetta per una visione natalizia ma poco altro. Più che un omaggio al cinema di una volta, sembra un tributo alle pellicole fantasy Harry Potter style che vanno forte oggi (e infatti non a caso un paio di attori potteriani ce li ritroviamo pure qui dentro).

Le cose per fortuna vanno un po’ meglio nel secondo tempo, quando finalmente i riflettori si accendono su Georges Méliès e sulla sua storia.
È qui che il film ci regala i momenti migliori. Tutti le scene più magiche della pellicola sono quelle legate al regista francese, dalle animazioni dei suoi schizzi che si animano letteralmente, alle fantasmagoriche scenografie dei suoi set ricreate dai “nostri” Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Delle 11 nomination regalate dagli Oscar a questo film, quella per le scenografie è l’unica che appare davvero giustificata (ma, se vogliamo, ci possiamo mettere dentro anche quella agli effetti speciali). Le altre candidature sono invece regali puri tipici dell’Academy, compresa quella alla stucchevole colonna sonora francesizzante di Howard Shore. Sì, proprio l’autore delle musiche inquietanti del Silenzio degli innocenti che qui si è impegnato per suonare come una brutta copia della soundtrack di Amélie.
Per il resto, l’unica magia compiuta da Scorsese con questa pellicola è quello di aver convinto l’Academy Awards di aver realizzato qualcosa di grandioso, quando invece per lunghi tratti questo film è una semplice favoletta, arricchiata giusto da qualche riuscito omaggio cinematografico sparso qua e là: da Preferisco l’ascensore con la nota scena delle lancette (già citata peraltro, e in maniera molto più avvincente, in Ritorno al futuro) all’arrivo del treno dei Lumiere rivisitato in versione 3D. Che secondo me è l’unico vero motivo per cui Marty McFly Scorsese ha voluto girare questa pellicola in tre dimensioni.

Ne è uscita insomma una visione carina fin che si vuole, che però presenta anche delle notevoli lacune.
Cosa manca al film di Scorsese? L’ILLUSIONE. Cos’altro manca? LA MAGIA. Cosa si è dimenticato di inserire? IL TRUCCO. E poi? L’INVISIBILE AGLI OCCHI. Ma il peccato principale del film è un altro. Ha fallito di raccontare per davvero uno dei più grandi geni nella storia del cinema, la cui storia ci viene sì presentata con diligenza, ma senza riuscire a ricreare in pieno il misterioso fascino che opere come Les Voyage dans la Lune sprigionavano.
La cosa pazzesca di quei film è che sapevano sorprendere. Gli spettatori dell’epoca, così come quelli di oggi. La pellicola dello Scorsese nonnetto capretto invece non sorprende. Mai. Tutto è prevedibile, scontato, già visto. Ogni scena, così come ogni “colpo di scena”. Non bastano certo i camei suoi o di Michael Pitt per far gridare di stupore.
E poi io avrei voluto un film tutto sul grande regista francese, anziché su un bambinetto di scarso interesse.
Viva Georges Méliès, abbasso Hugo Cabret!
(voto 6+/10)

Dopo la delusione cabrettiana, aspettiamo allora di vedere la versione restaurata di Viaggio nella Luna - Le Voyage dans la Lune, con tanto di splendida colonna sonora firmata dagli Air e già presentata allo scorso Festival di Cannes.


Anche se l’omaggio migliore alla poetica, o per meglio dire alla magia del Méliès, resta sempre uno dei videoclip più belli mai realizzati: “Tonight, Tonight” degli Smashing Pumpkins, girato da Jonathan Dayton e Valerie Faris (futuri registi di Little Miss Sunshine). Quattro minuti che da soli valgono molto più di tutte le due ore del capretto.

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