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venerdì 27 giugno 2008

In fondo al mar


“Hai mai scritto per libera associazione, Cole?” chiede serio Bruce Willis.
“Che cos’è la scrittura per libera associazione?”
“È quando posi la penna su un foglio di carta e scrivi le prime cose che ti vengono in mente. Cose che magari non avevi nemmeno idea di avere dentro. Allora, Cole: hai mai scritto per libera associazione?”
“Sì,” gli risponde il ragazzino del sesto senso tremando.
“E che cosa hai scritto?”
“Parole angoscianti.”


La libera associazione porta fuoristrada il fuoristrada su cui stiamo viaggiando, ci fa deragliare su binari di inconsueta follia, è l'iceberg che affonda il nostro titanic lasciandoci senza scialuppe di salvataggio. Ci lascia soli in mezzo al mare, naufraghi senza direzione in un oceano che dannazione quanto è vasto. Pensiamo a Milano, pensiamo a New York, pensiamo a Pechino e pensiamo “Sono enormi!”, ma cosa sono al confronto di un oceano? Proviamo a nuotare, arranchiamo nell’acqua che ci tira giù, cerchiamo la salvezza. Esiste la salvezza? Esiste in un mondo che crede solo a una marea di stronzate? Ci starebbe bene il Kevin Costner di Waterworld in mezzo a questo mare. Ci starebbe bene Mitch Buchannon di Baywatch a far le penne con la sua moto d’acqua. Ci starebbe bene che ne so... Rosolino? a nuotare in questa immensa distesa d’acqua. E invece ci troviamo noi con le onde che si infrangono sulla nostra faccia stremata e ci entrano dentro continuamente. Acqua salata finisce giù giù giù e riempie i nostri polmoni già messi a dura prova dalle troppe sigarette fumate. Le Lucky Strike. Sì, ci vorrebbe un colpo fortunato per uscire da questa situazione. Un solo colpo per mandare nella buca opposta la numero otto nera. Un solo colpo per seccare tutti i birilli stretti in piedi uno fianco all’altro. Un solo colpo per farci saltare le cervella sul muro. Un monkey brain. Ecco cosa sembrano le cervella spiaccicate. Avremmo bisogno di uno shooterino monkey brain adesso, come quelli che bevevamo a Lloret de Mar, in Spagna. Sì, da quelli che ci hanno eliminato con un colpo dal dischetto. Un colpo solo nella banca giusta e siamo a posto. Sistemati per tutta la vita. Quasi quasi mettiamo su una banda alla Ocean’s 11 e facciamo il colpo grosso. Ma dove li troviamo 11? Mmm… 11 giocatori dell’Italia che tanto adesso se ne stanno in vacanza. In vacanza comodi su una spiaggia con una Pina Colada in una mano e la testa di una letterina nell’altra. A spingerla giù giù giù. Fino a che alzano lo sguardo e si accorgono che anche noi in mare stiamo andando giù giù sempre più giù. A un passo dalla riva. A un passo dalla salvezza ma senza più un briciolo di forze per proseguire e nuotare fino a raggiungerla. “Aiuto!” gridiamo. Vorremmo solo un salvagente a tirarci su leggeri come modelle anoressiche. “Dove sta la salvezza?” ci chiediamo, “Dove sta la speranza?” Abbiamo tutti bisogno di credere in qualcosa. Credere in qualcuno. Uno. Possibile che tutto questo mare di roba sia stato creato da uno solo? Sarebbe forse più giusto tornare al politeismo, come i Greci, e credere che tutto le cose stupende e tutto il male, tutto il marcio, tutto il dolore non siano frutto di una sola unica entità. Un dio per l’amore e uno per la guerra. Un dio per la terra e uno per il mare. Poseidone, salvaci tu, cercando di non infilzarci con quel tridente, please. Dacci la mano. Trascinaci a galla. Solo tu puoi, adesso. Adesso. Adesso. Adesso.
Finiamo giù, nel profondo del mare. E respiriamo ancora. Vediamo una luce ma non proviene dall’alto. Arriva dal basso. È la nostra Atlantide ritrovata. È enorme. O, almeno, sembra enorme. Come Milano, come New York, come Pechino. Vediamo qualcuno che ci è familiare: “Ciao Sirenetta, come butta? Bella Snorkies! Hey Nemo, anche tu sperso in questo oceano? Com’è piccolo il mondo…” Com’è piccolo. Piccolo. Talmente piccolo da sembrarci enorme, impossibile da conquistare tutto. Beh, forse i Coldplay ci sono riusciti. Hanno un disco al numero 1 in 58 paesi, loro sì che sono riusciti laddove Alessandro Magno, Napoleone, Giulio Cesare e George W. Bush hanno fallito. Si può fallire anche se si è grandi. Si può fallire se le ambizioni sono troppo grosse e se alla fin fine non si è poi così grandi come si credeva ma si è uomini piccoli piccoli. Piccoli come questo pazzo piccolo mondo malato che continua a correre senza sosta. Verso nuove vette, verso nuovi record. Sempre teso al miglioramento. Dobbiamo trionfare, dobbiamo essere i migliori, dobbiamo fare un sol boccone di tutti i nostri rivali per conquistare un attestato. Se è “L’attestato di più grande coglione del mondo” va bene lo stesso. La cosa importante è essere davanti a tutti. Ma Atlantide è lì da secoli, da millenni. Ed è sempre la stessa. Nessuno l’ha conquistata, ancora. Nessuno probabilmente la conquisterà mai. Sarà sempre lì sotto l’acqua, con i suoi ritmi lenti. Con la sua vita tranquilla dove gli abitanti non si scannano a fare a gara per chi per primo riuscirà a tornare a galla. Perché nessuno vuole tornare a galla, sulla terra ferma. Stanno bene lì dove stanno. Sopra il mare le navi ci stanno cercando. Puntano i fari nell’acqua ma non ci vedono. Restiamo nascosti per non farci trovare. Abbiamo trovato la nostra Atlantide, e qui ce ne vogliamo restare.
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