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sabato 3 gennaio 2015

CANNIBAL MUSIC AWARDS – IL MEGLIO E IL PEGGIO DELLA MUSICA DEL 2014





Volete gustarvi i premi musicali peggiori del mondo, giusto dopo gli Mtv Music Awards e i Grammys?
Bene, siete arrivati nel posto giusto perché oggi qui su Pensieri Cannibali vanno in onda gli ambitissimi Cannibal Music Awards 2014.
Prima di vedere i vari premi assegnati, ricapitoliamo velocemente i Top 20 album e le Top 20 canzoni dell'annata selezionati da questo blog.


venerdì 12 settembre 2014

LE MIE CANZONI PREFERITE - LA TOP 10





Il viaggio musicale di Pensieri Cannibali giunge oggi a destinazione.
La Top 100 delle canzoni preferite di tutti i tempi da questo blog svela oggi i primi 10 posti, se non altro di questo preciso momento, perché se dovessi rifare le classifica tra qualche mese, o anche solo tra qualche giorno, le cose potrebbero cambiare parecchio.
Prima di scoprire la Top 10, vi beccate intanto il solito riepilogone delle posizioni precedenti:


Nei prossimi giorni arriverà anche il riassuntone definitivo con tutti e 100 i pezzi, più la playlist Spotify.
Adesso però basta chiacchiere e passiamo a vedere e soprattutto a sentire la Top 10.

"Ora vi canterò tutte le canzoni della classifica di Pensieri Cannibali.
O magari soltanto una..."

lunedì 25 agosto 2014

O CAPITAN UNCINO, MIO CAPITAN UNCINO




"Con quelle orecchie a punta, sicuro di essere Peter Pan e non Spock di Star Trek?"
Hook – Capitan Uncino
(USA 1991)
Titolo originale: Hook
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: James V. Hart, Malia Scotch Marmo
Liberamente ispirato alle opere teatrali e ai libri di: James Matthew Barrie
Cast: Robin Williams, Dustin Hoffman, Julia Roberts, Bob Hoskins, Maggie Smith, Charlie Korsmo, Amber Scott, Dante Basco, Caroline Goodall, Arthur Malet, Phil Collins, Isaiah Robinson, Jasen Fisher, Kelly Rowan, Gwyneth Paltrow, Jake Hoffman, Glenn Close
Genere: fiabe 2.0
Se ti piace guarda anche: Once Upon a Time, Saving Mr. Banks, Alice in Wonderland

Tutti i bambini diventano adulti, tranne uno. O meglio, tranne due. Uno era Michael Jackson e se n'è andato una manciata di anni or sono. L'altro era Robin Williams e anche lui se n'è andato, appena pochi giorni fa.
Una volta c'aveva provato a crescere, a diventare adulto, e per una manciata d'anni era una cosa che gli era pure riuscita. Era diventato uno yuppie che preferiva il lavoro alla famiglia. Uno sempre troppo preso dagli affari per poter andare a vedere le partite di baseball del figlio. Uno che si era dimenticato di saper volare. Uno che aveva scordato di essere l'incredibile Peter Pan ed era diventato il moscio Peter Banning.
Lo stesso era capitato alla sua carriera di attore, passata da ruoli spumeggianti e memorabili in film notevoli come L'attimo fuggente, Will Hunting – Genio ribelle, La leggenda del re pescatore, One Hour Photo e Insomnia, così come in irresistibili blockbusteroni commerciali come Mrs. Doubtfire e Jumanji, a robette parecchio insulse come la serie tv The Crazy Ones e a comparsate in robe agghiaccianti come Big Wedding. Stesso discorso pure per Steven Spielberg, passato dalla fantasia al potere celebrata in E.T. e A.I. al ruolo di barboso professorone di Storia con Lincoln e War Horse.

"Quel maledetto di Harry Potter tra qualche anno mi fregherà il look. Che coraggio!"
Un film come Hook – Capitan Uncino fa dimenticare tutto questo. Cancella la mania delle persone di voler per forza crescere, dimostrare di essere grandi, di saper fare i seri e ci consegna sia Robin Williams che Steven Spielberg all'apice della loro peterpanosità. Correva l'anno 1991 e si vede. Nonostante sia arrivato a inizio 90s, il film è ancora intriso di una certa anniottantosità, ad esempio nel personaggio (almeno inizialmente) molto yuppie Peter Banning. Contemporaneamente, la pellicola possiede per fortuna pure quell'aura di magia tipica delle avventure 80s come I Goonies, La storia infinita o Explorers. Una dimensione incantata che, sarà per l'irreplicabile effetto nostalgia, in saghe fanciullesche odierne come quelle di Harry Potter, Percy Jackson o Le cronache di Narnia non ho trovato manco da lontano. Se con i film per bambini degli ultimi anni non sono mai riuscito a entrare davvero in sintonia, fatta eccezione giusto per Un ponte per Terabithia, rivedere Hook a parecchi, davvero parecchi anni dalla prima visione mi ha provocato un effetto straniante.Mi ha fatto capire che anch'io sono cresciuto. Una volta mi identificavo nel bambinetto Jack, mentre adesso in lui vedo diversi tratti di mio nipote, così come nella bimbetta Maggie intravedo alcune somiglianze con la mia nipotina. Inoltre alcuni passaggi avventurosi e fiabeschi che una ventina d'anni fa mi facevano gridare dalla meraviglia o mi provocavano stupore, oggi mi paiono parecchio prevedibili e persino evitabili. Sarà che nel frattempo l'idea di rileggere i personaggi delle storie per l'infanzia in chiave (più o meno) adulta e (più o meno) fantasiosa è diventata la consuetudine, si veda la serie Once Upon a Time, o Shrek, o la fallimentare Alice in Wonderland burtoniana, o la miriade di nuovi film su Biancaneve e favolistica compagnia assortita, o ancora il recente Saving Mr. Banks.

Il revival di fiabe, favole, storie o come diavolo preferite chiamarle – tutte riassunte dalla come al solito essenziale lingua inglese sotto il termine “story” – è partito da qui, da questo Hook. Un film che, ispirandosi al classico creato da James Matthew Barrie a inizio Novecento, lo rilegge, lo stravolge e lo risputa fuori con un atteggiamento post-moderno tipico degli anni Novanta, per diventare esso stesso un nuovo classico. Il film di Steven Spielberg guarda a Peter Pan come modello. Once Upon a Time e una gran parte dei film fantasy di oggi prendono Hook – Capitan Uncino come sommo esempio per confrontarsi con la tradizione fiabesca. Emma Swan di C'era una volta ad esempio è un po' come Peter Banning. Una persona concreta, che vive con i piedi ben piantati a terra e ride al solo pensiero dell'esistenza dei personaggi delle storie. Quando finirà a Storybrooke, così come Banning quando fa ritorno sull'Isola che non c'è, si rimetterà però in contatto con la sua parte più fanciullesca e comincerà a credere all'incredibile, oltre a riconnettersi con suo figlio.
La magia di un film come Hook sta in questo. Non nel farci ricordare di quando anche noi eravamo dei bambini, ma nel farci ritornare dei bambini. Nel farci vedere il mondo con occhi infantili, ancora una volta. Nel farci ricordare che “Bangarang” era un urlo di esaltazione di Rufio e dei bimbi sperduti, ancor prima che un pezzo (esaltante anch'esso) di Skrillex.



Once Upon a Time e Skrillex ci danno ulteriore dimostrazione di come questa pellicola sia ormai entrata nell'immaginario collettivo, di come la mia generazione, ma pure quella successiva, sia cresciuta con questa versione della fiaba ancor più che con l'originale di J.M. Barrie. Il merito va attribuito a una sceneggiatura che svecchia alla grande il mito dell'eterno ggiovane Peter Pan, così come a una regia di uno Spielberg in formissima che gioca con ombre, uncini, orologi e con gli altri simboli della storia e che, soprattutto, pare divertirsi un mondo come un fanciullo. Un'impressione invece del tutto assente nei suoi ultimi noiosi lavori “adulti”.

Quanto al cast, Julia Roberts era una Campanellino deliziosa, Bob Hoskins – pure lui recentemente scomparso – era uno Spugna perfetto, mentre Gwyneth Paltrow pur comparendo per pochi istanti nei panni di Wendy teenager era già odiosa, e Dustin Hoffman mi sembrava tanto ieri quanto mi pare ancora oggi ben poco in parte nel ruolo che dà il titolo al film. Come Capitan Uncino avrei visto molto meglio uno alla Jack Nicholson, che avrebbe potuto regalargli la giusta carica di follia.
Chi invece è insostituibile è lui, Robin Williams. Da bambino non riuscivo e ancora oggi non riesco a immaginare qualcuno più perfetto di lui per questa parte. Nonostante nella sua notevole e variegata carriera abbia anche dato varie prove di maturità e abbia interpretato persino stalker e serial killer, lui era nato per i ruoli fanciulleschi. In Hook, Robin Williams però non ha recitato o interpretato una parte. Robin Williams era Peter Pan.
(voto 7,5/10)

Questo post partecipa al toccante Robin Williams Tribute insieme ai seguenti favolosi bloggers.

Bollalmanacco - Al di là dei sogni
Montecristo - Il mondo secondo Garp
Non c'è paragone - Good Morning Vietnam
Combinazione casuale - Jumanji
Director's Cult - Toys 
Pietro - Flubber
Recensioni Ribelli - L'attimo fuggente
La fabbrica dei sogni - One Hour Photo
Viaggiando (Meno) - The Angriest Man in Brooklyn
In Central Perk - Will Hunting - Genio ribelle 


lunedì 28 aprile 2014

NUOVI DISCHI: PAOLO NUTINI, DAMON ALBARN, SKRILLEX, PHARRELL




Breve rassegna discografica sui nuovi album di quattro artisti molto differenti tra loro. Cos’hanno in comune?
Niente, a parte il fatto di essere tutti quanti uomini e di comparire in questa rubrica sui dischi passati nelle ultime settimane sulle frequenze di Pensieri Cannibali.

Paolo Nutini “Caustic Love”
Paolo Nutini è bello, bravo e pure simpatico. Da premesse simili, è difficile non farselo stare sulle balle. Allo stesso tempo, è difficile pure odiarlo, perché il ragazzo ha talento. Non è un nuovo genio musicale come qualcuno, tipo Fabio Fazio all’ultimo Sanremo, vuole farci credere, però ha talento. Con questo terzo album Paolo lo scozzese di origini italiane dimostra di possedere anche un certo coraggio nel proseguire per la sua strada. "Caustic Love" riesce a essere un buon incrocio tra i sue primi due lavori, senza ammiccamenti ai suoni cool o alle tendenze musicali del momento. C’è dentro il gusto per le ballatone messo in mostra soprattutto ai tempi dell’esordio (ricordate le splendide "Last Request" e "Rewind"?), e confermato qui con inedite doti da crooner, si senta la ballatona strappamutande “One Day”. Allo stesso tempo c’è dentro pure quel sapore retrò-vintage del secondo album e che qui appare ancora più accentuato.
Paolo Nutini ha tirato fuori un nuovo disco molto soul/R&B, quasi come se fosse una versione bianca e maschile di Janelle Monae, la quale non a caso figura come prestigiosa guest-vocal del brano “Fashion”. Il limite del disco è solo quello di scivolare in maniera un po’ troppo tranquilla nella parte finale. Qualche brano uptempo in più come il primo singolo “Scream (Funk My Life Up)” non avrebbe guastato, ma nel complesso si può considerare un perfetto ascolto da domenica mattina: rilassato, sciallato e tranquillo. E un tizio che ti tira fuori un disco così, sebbene sia bello, bravo e simpatico, è difficile da odiare.
(voto 7/10)



Damon Albarn “Everyday Robots”
Per me parlare di Damon Albarn è un po’ come per un cristiano affrontare l’argomento Gesù Cristo o la Santificazione dei Papi. Ho un forte senso di soggezione e di gratitudine nei suoi confronti. Il Damon è uno dei pochi eroi degli anni ‘90 che nel corso della sua ormai lunga carriera non mi ha mai deluso. Qualche lavoro un po’ sottotono l’ha realizzato pure lui, che manco Dio è perfetto. I supergruppi The Good, the Bad & the Queen e Rocket Juice & the Moon ad esempio non mi avevano entusiasmato e le colonne sonore delle opere teatrali Dr. Dee e Monkey: Journey to the West ce la poteva pure risparmiare. Per il resto, Albarn non ha mai sbagliato un disco, né con i Blur, né con i Gorillaz. Dopo aver realizzato decine di lavori e molteplici progetti differenti, Damon Albarn è ora giunto al suo primo album solista vero e proprio, se si esclude l'EP "Democrazy". E com’è, questo “Everyday Robots”?

È un’albarnata pazzesca! Questo è il grande pregio così come l’unico piccolo limite del lavoro. Per chi conosce bene il suo percorso artistico, qui dentro è difficile trovare novità enormi. È come sentire i Blur senza la componente più rockettara fornita da Graham Coxon, o come ascoltare i Gorillaz privi della parte più hip-hoppara. L’album è più che altro una raccolta di ballate autobiografiche molto sentite e personali, alcune, la maggior parte, davvero splendide come la title-track "Everyday Robots", l’incantevole “Hostiles” (una delle canzoni più belle degli ultimi 120 anni), la malinconicissima “Lonely Press Play”, la sognante “The Selfish Giant”, e la molto soul “Heavy Seas of Love”, che ricorda “Tender” dei Blur. Manca solo quell’innovazione musicale che aveva sempre contraddistinto i suoi lavori passati. In compenso è ben presente una classe enorme e una capacità di scrivere canzoni eterne, fuori dal tempo, come pochi altri oggi sanno fare. A 20 anni dall’uscita di “Parklife” dei Blur, del periodo d’oro del Britpop e delle rivalità con i fratelli Gallagher, “Everyday Robots” è l’ulteriore, definitiva conferma che Damon è il migliore autore della sua generazione. Vi sembra poco?
(voto 8/10)



Skrillex “Recess”
Skrillex è un tamarro?
Sì.
Skrillex è un truzzo?
Sì.
Skrillex ha cambiato la musica degli ultimi anni?
Che vi piaccia o meno, anche la risposta a questa domanda è affermativa. Sonny John Moore (questo il suo vero nome), ha cominciato nella scena metal con i From First to Last, per poi reinventarsi come deejay e producer elettronico e inventare un suono nuovo. Skrillex non ha creato il genere dubstep, ma è riuscito a darne una sua particolare declinazione, commerciale e tamarra fin che si vuole, ma anche dannatamente efficace. Musica che va suonata a massimo volume col subwoofer a stecca, per assaporare in pieno i bassi, sentirseli pompare dentro al corpo e fare incazzare i vicini di casa.
Nel corso degli ultimi anni, Skrillex è diventato il nome di punta, il poster boy della scena dubstep e l’ha fatto con una manciata di singoli, di EPs, oltre ad aver contribuito alla devastante colonna sonora del cult movie più cult movie degli ultimi anni, Spring Breakers. Il suo primo album vero e proprio è arrivato solo adesso, si chiama “Recess” ed è un lavoro fico, pieno di bombe da dancefloor, come “Recess”, “Ragga Bomb” e “Ease My Mind”, pezzi capaci di polverizzare tutto. Allo stesso tempo il disco manca il bersaglio grosso, quello di diventare un vero e proprio manifesto del genere, l’album simbolo del dubstep. Skrillex si dimostra ancora come un tipo più da canzoni singole che da long playing, ma quando alzerete il volume dei suoi pezzi e sentirete le finestre tremare, potrete anche chiudere un occhio (e un orecchio) su questo aspetto.
(voto 6,5/10)



Pharrell Williams “G I R L”
Ormai non se ne può più. “Happy” è una canzone contagiosa, riuscitissima, capace di mettere subito di buon umore. Fino a qualche tempo fa. Dopo che è stata suonata ovunque, dagli Oscar al Grande Fratello, in qualunque servizio di telegiornale, spot, promo, e usata in qualsiasi balletto, c’è poco da fare, ormai ascoltare “Happy” fa diventare sad. E fa persino morire.


Il secondo album solista di Pharrell “G I R L”, dopo il non troppo riuscito “In My Mind”, ha il problema di essere costruito proprio intorno a quel fortunatissimo pezzo, un po’ troppo in fretta e furia. Qualche singola canzone come “Marilyn Monroe” o la nuova collaborazione con i Daft Punk “Gust of Wind” funziona, solo che nel complesso il disco manca di una sua coerenza generale e finisce per suonare a tratti come una versione di serie B di Justin Timberlake. Da Pharrell, producer e autore geniale, io mi aspetto qualcosa di più per farmi davvero happy.
(voto 5,5/10)

martedì 11 dicembre 2012

MAN OF THE YEAR 2012 - N. 10 SKRILLEX

Skrillex
Vero nome: Sonny John Moore
Genere: dubstep
Provenienza: Los Angeles, California, USA
Età: 24
Il passato: membro della post-hardcore band From First to Last, da solista ha pubblicato gli EP My Name Is Skrillex, Scary Monsters and Nice Sprites, More Monsters and Sprites, Bangarang
Il suo 2012: l’EP Make It Bun Dem After Hours
Il futuro: il suo primo album vero e proprio?
Ti potrebbero piacere anche: Corey Feldman dei Goonies, Benga, Nero, Diplo, Chase & Status, Gemini, Borgore
Perché è in classifica: perché ha sdoganato (o $puttanato?) la musica dubstep

Lo si ami o lo si odi, piaccia o meno, Skrillex è una delle figure più importanti della musica contemporanea. Il 2012 è stato l’anno dell’esplosione commerciale del dubstep, del suo sdoganamento presso il grande pubblico, anche se in Italia è una materia ancora alquanto sconosciuta alle orecchie dei più.
Negli ultimi tempi ormai si sono messi tutti a fare dubstep. Ma tutti tutti: dai Muse a Justin Bieber, da Taylor Swift ai Negramaro, dai Korn a Rihanna. Che poi la musica dubstep offre anche ben altri tipi di sonorità, capitanata sul lato più alternative da Burial, però la dubstep nel senso più facile e commerciale del termine è quella che corrisponde al sound di Skrillex. C’è poco da fare, è lui quello ha sdoganato il genere, seppure nella sua accezione più club-oriented e tamarra. Il tutto senza aver ancora mai realizzato un album vero e proprio, ma solo una serie di EP e di collaborazioni con artisti vari, dalla sua girlfriend Ellie Goulding a uno a caso dei figli di Bob Marley ad addirittura i Doors. O quel che ne è rimasto, dei Doors. Perché ormai tutti fanno dubstep, con buona pace dello spirito di Jim Morrison (che tanto non è morto e starà ballando la musica di Skrillex in qualche locale di Parigi).









E il video perfetto per un Natale in stile dubstep…



martedì 24 luglio 2012

Festivalbar cannibale

Quali sono i tormentoni più odiosi dell’estate 2012?
Lo scopriremo solo vivendo e, soprattutto, lo scopriremo domani.
Oggi invece, per addolcirvi la pillola, vi propongo le canzoni migliori della summer of ’69 ’12. Almeno secondo il mio modesto ma indiscutibile parere.
Ecco la mia top 10 dell’estate più calda degli ultimi 3 milioni di anni (fonte: Studio Aperto).

10. Skrillex & Damian “Jr Gong” Marley “Make It Bun Dem”
Clamorosa tamarrata che fonde il dubstep più sguaiato, quello di Skrillex ovviamente, con il reggae di uno dei (mille) figli di Bob Marley.



9. Regina Spektor “Don't Leave Me (Ne Me Quitte Pas)”
Ma quanto mette di buon umore, questa canzone?



8. Club Dogo ft. Giuliano Palma “PES”
Brano molto estivo, ma soprattutto molto videogammaro. Pro Evolution Soccer sempre sia lodato, sia col bello che col brutto tempo!



7. Carly Rae Jepsen “Call Me Maybe”
Momento pop bimbominkia.
Questo pezzo l’ho conosciuto grazie alla segnalazione del simpatico video da parte di Rumplestils Kin del blog Overexposed. Ormai è strasuonata ovunque e da settimane occupa stabile il primo posto della Billboard chart americana. Una delle canzoni simbolo dell’estate 2012, maybe? No, sicuramente.



6. Labrinth “Climb on Board”
Il suono più cool in circolazione in UK, tra urban, dubstep, garage, hip-hop e quant’altro, anche se alla fine è più che altro una grande canzone pop.



5. Of Monsters and Men “Little Talks”
Un pezzo stile Arcade Fire che per una volta la smettono di fare i musoni e si stampano un sorriso sulle loro facce. Il risultato è irresistibile e freschissimo.



4. Purity Ring “Fineshrine”
Chill-out, fratelli e sorelle. Rilassatevi in riva al mare sulle note di questo pezzo e vedrete che i pensieri di IMU, Spagna che ci mata a calcio, stragi compiute da pazzi o qualsiasi problema personale che possiate avere svanirà per magia.



3. Blur “Under The Westway”
I Blur sono finalmente tornati. Per ora non si sa ancora se vorranno farci l’onore di regalarci un album intero, però intanto ci hanno portato in dono un singolo nuovo. Una ballata splendida lontanissima dalle classiche porcherie sonorità estive, eppure perfetta per essere suonata appena il sole va giù, under the westway.



2. Twin Shadow “Five Seconds”
Un pezzo che sembra uscito dagli anni Ottanta, oppure dalla colonna sonora di Drive, con un ritornello che entrerà in maniera irresistibile nelle vostre teste. E non se ne andrà dopo 5 seconds.



1. Best Coast “The Only Place”
Il The Only Place cui si riferisce la cantante dei Best Coast Bethany Cosentino è la “sua” California. Ma il vostro The Only Place può essere qualunque luogo in cui siete stati o starete bene quest’estate. Se poi quel place è proprio la California, beh, beati voi!



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