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martedì 4 novembre 2014

A MOST WANTED HOFFMAN





Ho visto un film, ma non ricordo più il titolo. Devo scrivere la recensione per Pensieri Cannibali e mica posso pubblicare un post senza dire come si chiama la pellicola. Sembrerei uno sprovveduto...
Voglio dire, sembrerei ancora più sprovveduto del solito. E adesso come faccio?
Meglio non farsi prendere dal panico e riordinare le idee. Nessuno faccia la spia. Vietato pure la consultazione di Google e di IMDb. Voglio arrivarci da solo. Allora, se non sbaglio, e sbagliare è una cosa che faccio spesso, si tratta di un film tratto da un romanzo di quel tizio che aveva scritto anche La talpa. OhMioDio!
La talpa è stata una delle visioni più noiose della mia intera vita. Non a caso si è pure guadagnato l'ambitissimo Valium Award di Pensieri Cannibali come film più palloso dell'annata 2012. Perché allora ho recuperato un'altra pellicola ispirata a una sua storia, tra l'altro un'altra vicenda piuttosto simile per intrecci spionistici?

Un team di esperti impegnato a trovare il misterioso titolo del film.

Chi lo sa? Probabilmente sarà stato per via del regista.
Dietro la macchina da presa di questo film c'è... chi è che c'è?
Non ricordo il suo nome, ma dev'essere lo stesso che aveva firmato The American, il vincitore dell'ancora più ambito premio di Peggior film dell'anno di Pensieri Cannibali, questa volta edizione 2010.
Perché diavolo mi sono andato a vedere una roba dietro la quale si celano gli autori di due delle peggiori ciofeche cinematografiche in cui mi sono imbattuto nel corso della mia brillante – scusate, ve l'ho detto che ogni tanto mi sbaglio – carriera da blogger?

Il motivo più ovvio: in questo film ci doveva essere della figa. E infatti c'è. Della figa di altissima qualità, di cui ricordo pure il nome: Rachel McAdams. Avrò anche dei problemi di memoria, ma quando si tratta di gnocca questi spariscono immediatamente.
Mamma mia, quanto è bella Rachel McAdams?!?


Qui appare per lo più struccata, nella parte di una avvocatessa non particolarmente infighettata, ma quanto è bella lo stesso Rachel McAdams?!?
E poi è pure brava. In questa pellicola offre davvero una notevole prova di recitazione. Ricordo che non era la sola. Ricordo che l'intero cast del film era di ottimo livello. Soprattutto il protagonista...


Oh, ecco. Ora ricordo perché ho visto questo film.
Non è stato per il regista, che pure oltre al terribile The American aveva girato il pregevole Control, il biografico su Ian Curtis dei Joy Division. Non è certo stato per l'autore del romanzo da cui è tratto e per una volta non è nemmeno stato per la figa. L'ho visto per Philip Seymour Hoffman. È il suo ultimo film da protagonista e quindi non potevo perdermelo.
La pellicola poi non è nemmeno malaccio. Considerando che è una spy-story dai ritmi sonnacchiosi proprio come La talpa, mi sarei aspettato di annoiarmi a morte e invece no. Sarà per via dell'affascinante ambientazione crucca, per la precisione Amburgo, città ben poco utilizzata dal cinema internazionale, almeno che io sappia. O sarà perché la vicenda di spionaggio “riflessivo”, vagamente dalle parti dello splendido Zero Dark Thirty o di serie notevoli (o almeno un tempo notevoli) come The Americans e Homeland, con le sue riflessioni attualissime sul confronto Occidente VS Islam che su di me hanno sempre una certa presa. O sarà perché per tutto il tempo sono rimasto in attesa che la visione decollasse, che succedesse qualcosa, e invece niente. Il film stuzzica, sembra sempre lì lì per trasformarsi in un filmone e, anche se ciò non accade, tu passi due ore con quella speranza. È già qualcosa. È già meglio di niente.
Ma se questa pellicola, per quanto irrisolta, sospesa e tutto fuorché entusiasmante, non mi ha annoiato e in fondo non mi è dispiaciuta, è soprattutto per merito suo. Il suo personaggio non resterà tra i più memorabili da lui interpretati nel corso della sua carriera, ma lui offre un'interpretazione davvero notevole, con la sua enorme bravura che, dopo essersi trattenuta per 120 minuti, esplode nella scena conclusiva del film. Philip Seymour Hoffman è grande, grandissimo, ancora una volta. Ancora un'ultima volta.
Sì, ma come si chiama, questa sua ultima pellicola da protagonista?

Ah già, ora ricordo. Si tratta del solito banale anonimo titolo messo dalla distribuzione italiana: La spia.
Uh, che titolone indimenticabile! Chissà come ho fatto a scordarmelo?

La spia – A Most Wanted Man
(UK, USA, Germania 2014)
Titolo originale: A Most Wanted Man
Regia: Anton Corbijn
Sceneggiatura: Andrew Bovell
Tratto dal romanzo: Yssa il buono di John le Carré
Cast: Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Rachel McAdams, Willem Dafoe, Grigory Dobrygin, Daniel Brühl, Nina Hoss, Mehdi Dehbi
Genere: spione
Se ti piace guarda anche: The Americans, Homeland, Tyrant, 24, La talpa, Zero Dark Thirty
(voto 6/10)

domenica 11 maggio 2014

24: LIVE ANOTHER DAY – JACK BAUER IS BACK, BITCHES!




24 è stata una delle serie più rivoluzionarie di sempre. Non intendo solo a livello televisivo. 24 ha cambiato la Storia. Sono il solito esagerato? Per una volta no e vi spiego il perché.


24 parte da uno degli spunti più geniali mai sentiti. Per quei disgraziati che non l’avessero mai visto e non lo sapessero, la serie è formata da stagioni composte da 24 episodi che ripercorrono ciascuna un’intera giornata. Ogni puntata ci presenta un’ora nella vita dei personaggi in “tempo reale”. Tralasciando il cosa racconta, il come viene raccontato è qualcosa di fenomenale, di mai visto prima. Non solo su piccolo schermo, ma anche sul grande, così come nella letteratura o nei fumetti. È un approccio se vogliamo più vicino al mondo dei videogame, oppure a quello delle news 24 ore su 24 di canali come la CNN o Sky TG24. È qualcosa di vicino alla comunicazione di oggi su internet, all’immediatezza di Twitter. Ricordo che il primo episodio di 24 è andato in onda nel lontano 6 novembre 2001.


Qui entriamo nell’altro campo: i contenuti. 24 parla di terrorismo internazionale e di sicurezza nazionale americana. La prima stagione è stata trasmessa poco dopo l’11 settembre ma è ovvio che gli autori avevano preparato le sceneggiature già prima, anticipando quindi tematiche che sarebbero diventate estremamente popolari e attuali “grazie” agli attentati alle Torri Gemelle.
Spesso 24 viene accusata di essere una serie assurda e inverosimile. Tali accuse a volte arrivano da gente che magari ritiene credibili pellicole in cui un uomo d’acciaio collabora con un uomo verde che collabora con un Dio vichingo arrivato da un altro pianeta che collabora con un super soldato giunto da un’altra epoca che collabora con Scarlett Johansson che è troppo figa per combattere che collabora con un tizio con l’arco che è troppo sfigato e sconosciuto per collaborare con gli altri ben più celebri colleghi.

Al di là da chi lanci tali accuse, si può anche comprenderle. È piuttosto inverosimile che il protagonista Jack Bauer (Kiefer Sutherland) sia sopravvissuto a tipo 8 fini del mondo, da lui stesso sventate, spesso da solo e pure contro la volontà dei governi di tutto il globo. Così come in una giornata di 24 ore capitano più eventi di quanti di norma ne succedano nel mondo in 24 mesi. E così come è alquanto strano che nel corso delle 24 ore Jack Bauer non mangi, non pisci, non caghi, non dorma praticamente mai. Queste sono forzature narrative, che però contribuiscono a rendere 24 una serie avvincente, incapace di annoiare per un solo secondo delle sue 24 ore stagionali di durata. Quanto viene raccontato però non è che sia poi così assurdo. Gli interrogatori che si sono tenuti in prigioni come Guantanamo, ad esempio, non sono per niente lontani da quelli estremi che abbiamo visto compiere da Jack Bauer e compagni.

L’esempio che voglio portare all’attenzione di chi accusa 24 di essere una serie inverosimile è comunque un altro. Nella prima stagione della serie andata in onda nel 2001 incontriamo David Palmer, un senatore democratico di colore candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Nella seconda stagione andata in onda nel 2002, David Palmer è poi diventato il primo Presidente degli USA di colore della tv. Questo anni prima che ciò diventasse realtà. 24 non ha però solo anticipato la Storia. 24 ha cambiato la Storia. Grazie alla presenza di David Palmer, gli americani si sono abituati all’idea di avere effettivamente un Presidente di colore, al punto che si è parlato di un vero e proprio “Effetto Palmer” sulle elezioni del 2008 che hanno portato alla storica elezione di Barack Obama. Quindi sì, lo ribadisco: 24 ha cambiato la Storia.


Fatta questa lunga e (più o meno) doverosa premessa, passiamo a parlare della nuova stagione.

24: Live Another Day
(stagione 9, episodi 1-2)
Rete americana: Fox
Rete italiana: Fox, dal 16 giugno 2014
Creata da: Joel Surnow, Robert Cochran
Cast: Kiefer Sutherland, Mary Lynn Rajskub, Yvonne Strahovski, William Devane, Tate Donovan, Kim Raver, Benjamin Bratt, Gbenga Akinnagbe, Michael Wincott, Giles Matthey, Michelle Fairley, Emily Berrington, Stephen Fry
Genere: adrenalifico
Se ti piace guarda anche: Homeland, Scandal, Hostages, Crisis, Zero Dark Thirty

Jack is back, bitches! A distanza di 4 anni da quella che (apparentemente) doveva essere la season finale della serie, è arrivata una nuova stagione, la nona, che da una parte riprende lo stile classico delle passate annate e dall’altro presenta alcune novità rilevanti.
Per prima cosa l’ambientazione. Questa volta non ci troviamo più sul suolo degli USA! USA! USA!, bensì in trasferta europea a Londra. Una location che contribuisce a rendere il prodotto meno ammerecano e il cast ancora più internazionale. L’altra novità fondamentale è che questa stagione ha solo 12 episodi, quindi il titolo della serie dovrebbe diventare 12 e invece no, questa season speciale è stata chiamata 24: Live Another Day. A non essere cambiata è la formula, visto che gli eventi sono raccontati sempre in “tempo reale” e coprono le 12 ore di una giornata come al solito parecchio movimentata.

"Lisbeth Salander???
E chi ca**o è?"
In 24: Live Another Day rivediamo in azione ovviamente Jack Bauer/Kiefer Sutherland, l’unico personaggio sempre presente. 24 è stata rivoluzionaria anche da questo punto di vista. Gli autori non si sono infatti mai fatti alcuno scrupolo a eliminare dei personaggi centrali, ben prima che diventasse una moda grazie ai vari Game of Thrones e The Walking Dead, e ben prima che qualcosa del genere venisse fatto in maniera ancora più radicale dall’inglese Skins, in cui ogni due anni tutti i personaggi venivano sostituiti da un gruppo di nuovi. L’altra presenza storica della serie che ritroviamo è la nerd Chloe O’Brian (Mary Lynn Rajskub), presenza fissa a partire dalla terza stagione, qui con un look tutto nuovo da techno-darkona che la fa sembrare la nuova Lisbeth Salander (la protagonista cyberpunk di Uomini che odiano le donne nda). Negli ultimi anni, Chloe si è messa insieme a un gruppetto anarchico per la libertà di diffusione delle informazioni in stile WikiLeaks, con tanto di capo in stile Julian Assange. È qui che 24 si gioca la carta dell’attualità, o all'incirca attualità. Non più terroristi islamici, almeno non nei primi due episodi, ma una trama incentrata sulle nuove tecnologie. Non mancano poi nemmeno gli intrighi che ruotano intorno al Presidente degli Stati Uniti in visita a Londra e la cui vita è in pericolo. E chi è il nuovo Presidente?

Pure qui ritroviamo una vecchia conoscenza: si tratta di James Heller (William Devane), segretario della Difesa nella quarta e quinta stagione, due delle più riuscite di una serie che ha viaggiato per tutte e 8 le sue seasons su livelli sempre alti, ma che in particolare con le prime 5 ha dato il massimo. James Heller che è anche il paparino dell’affascinante Audrey Raines (Kim Raver), il grande amore di Jack Bauer, almeno dopo che ATTENZIONE SPOILER PER CHI NON HA VISTO LA PRIMA STAGIONE gli avevano fatto fuori la moglie nel finale shock del primo ciclo di episodi FINE SPOILER PER CHI NON HA VISTO LA PRIMA STAGIONE.

Jack Bauer dunque è tornato in azione per amore?
Lo scopriremo nei prossimi episodi insieme ai personaggi già noti e a una manciata di nuove entrate. Su tutte spicca Yvonne Strahovski, la bionda stragnoccolona di Chuck e Dexter che qui, per la prima volta nella sua carriera, dimostra di essere un’attrice convincente e non solo un bel pezzo di carne.

"Prova a girare un'altra vaccata come il finale di Dexter e ti faccio fuori. Ci siamo intesi, Stravaccoski?"

L’altra new-entry sventolona da tenere d’occhio è la rivelazione inglese Emily Berrington, nei panni di una spia pericolosa che per mamma ha… Michelle Fairley, ovvero Lady Catelyn Stark di Game of Thrones in persona, che qui forse cercherà vendetta per quanto successo durante il Red Wedding.



Le prime due ore di questa nuova stagione non presentano qualcosa di rivoluzionario come il 24 dei primi tempi. Lo stile è sempre lo stesso e non aveva nemmeno troppo senso stravolgerlo. Non sarà allora innovativo come una volta, però lo show personale di Jack Bauer resta sempre il prodotto d’intrattenimento action più incalzante e adrenalinico in circolazione. Negli ultimi anni in tanti hanno provato a riproporne tematiche o stile, in alcuni casi come Homeland e Scandal con risultati ottimi e in altri casi come Hostages o Crisis con risultati parecchio meno memorabili, ma di 24 ce n’è solo uno. Jack Bauer è unico. Ed è pronto ancora una volta a salvare e a cambiare il mondo.
(voto ai primi 2 episodi della nona stagione 7,5/10)

sabato 9 marzo 2013

SKYFALL, NON MI HAI FATTO SKYFO

Skyfall
(UK, USA 2012)
Regia: Sam Mendes
Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan
Cast: Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Naomie Harris, Bérénice Marlohe, Ben Whishaw, Rory Kinnear, Albert Finney
Genere: spionistico
Se ti piace guarda anche: Il cavaliere oscuro, gli altri film su James Bond

Il mio nome è Boh. James Boh.
Se cercate qualcuno che vi dica tutto sull’agente 007, qualcuno che abbia letto tutti i libri di Ian Fleming, qualcuno che vi sappia citare ogni punto di contatto con i film precedenti, che vi faccia notare quali sono le novità di questo ultimo Skyfall, qualcuno che vi nomini tutte le Bond Girls e le canzoni usate, ecco avete sbagliato agente. A parte giusto le Bond Girls e le canzoni, io del magico e avventuroso mondo di James Bond non ne so niente.
Se cercate invece il punto di vista di qualcuno che si approccia per la prima volta a una visione bondiana, io sono l’agente che fa al caso vostro. L’ultimo Bond-vergine rimasto al mondo. Chi infatti non ha mai visto un film con protagonista 007?
Io. Fino ad ora ero sempre rimasto immune al fascino dell’agente più cool del mondo, o per lo meno della Gran Bretagna. Sarà che non mi hanno mai attirato i suoi vari interpreti. Nemmeno Sean Connery, per cui (lo so che dirò una bestemmia) ho sempre provato una congenita antipatia. Non lo so perché, a me gli scozzesi in genere stanno pure simpatici. E adoro tutto, ma proprio tutto della cultura britannica. James Bond però proprio no. Come detto, fino ad ora.

"Certo che non è giusto: Daniel Craig tutto fighetto,
mentre a me m'hanno conciato da far skyfo."
Skyfall è riuscito a riportare alle stelle l’hype nei confronti del brand Bond. Con un’operazione di marketing da ammirare e di cui ogni esperto nel settore dovrebbe prendere appunti, Daniel Craig in versione 007 si è presentato a prendere la Regina Elisabetta durante la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Londra. Un evento di nicchia, seguito giusto da qualche miliardo di persone nel mondo. Per la canzone deputata a fare da tema musicale al film è stata poi scelta soltanto la cantante che ha venduto più dischi negli ultimi anni, una certa Adele, in grado più tardi di portarsi a casa l’Oscar, cosa mai successa a un brano bondiano.
Con due mosse appena, di cui una muovendo la regina del Regno Unito e l’altra muovendo la regina della musica, il nuovo film di James Bond aveva quindi già posto le basi per uno scacco matto globale senza precedenti. Le altre due pellicole con protagonista Daniel Craig Casino Royale del 2006 e Quantum of Solace del 2008 avevano infatti risvegliato l’interesse mondiale nei confronti del personaggio, dopo la lunga parentesi Pierce Brosnan, però niente a che vedere con il successo di Skyfall, riuscito ormai a superare il miliardo di dollari di incasso a livello worldwide.
Tutto merito di un’astuta e clamorosamente riuscita operazione di marketing, oppure dietro si cela anche della sostanza cinematografica, come le numerose critiche positive ricevute dalla pellicola lasciavano intuire? Tra i soldi spesi per la campagna promozionale, alcuni sono stati utilizzati anche per pagare i giornalisti pregandoli di parlarne bene, oppure una visione la merita davvero?

James Bond a suo agio in un museo tanto quanto
un elefante in un negozio di cristalli.
Da buon agente operativo, se non altro a livello cinematografico, ho cercato di indagare per scoprirne di più. Per una volta ho messo da parte le mie resistenze nei confronti di un personaggio così affascinante per tutto il mondo, ma che a me invece non ha mai affascinato minimamente. Un incentivo me l’ha dato la regia di Sam Mendes, regista che apprezzo parecchio fin da quel gioiellino d’esordio di American Beauty. Sinceramente, mi giravano le palle a perdermi un film di Sam Mendes, di cui ho visto l’intera Opera, solo perché sono sempre stato un anti-Bond. Alla fine allora ho ceduto e… mi è piaciuto. Non mi ha magari esaltato a livelli assurdi, non m’è venuta voglia di recuperarmi tutte le altre pellicole su 007, ma se non altro Skyfall non mi ha fatto sky-fo.
E pensare che sono partito con il mirino puntato sull’obiettivo e alla prima sequenza stavo già per sparare. Una lunga, e per quanto mi riguarda poco appassionante, scenona d’azione. Un inseguimento inverosimile, ovvero proprio ciò che mi aspettavo alla vigilia. Poi invece succede l’inaspettato. A Bond sparano per davvero.
Oh, mio Dio! Per una volta che mi metto a vedere un film con 007, me lo fanno fuori subito?

"Hanno cancellato la tua serie The Hour, Ben? Mo' so' cazzi amari per tutti!"
Ovviamente Bond non è davvero morto, però il film sa sparare qualche altro bel colpo riuscito, a partire da dei titoli di testa di un’eleganza infinita, accompagnati dalle splendide note del tema musicale cantato da Adele, di diritto tra i migliori nella Storia bondiana. Per quanto non abbia una enorme, anzi, per quanto non abbia alcuna conoscenza delle altre pellicole, le canzoni usate in 007 le conosco bene e Skyfall di Adele non sfigura affatto al fianco delle memorabili “Diamonds Are Forever” e “Goldfinger” cantate da Shirley Bassey, oltre alla splendida “Nobody Does It Better” di Carly Simon.

"Bond, non vengo a letto con te finché non hai imparato a
pronunciare il mio nome correttamente. Capito?"
"Tutto chiaro, Bernarda Merlo."
La pellicola scivola poi via benissimo, nella prima parte grazie allo humour british contenuto nei dialoghi tra il roccioso Daniel Craig e il giovinastro Q interpretato dall’ottimo Ben Whishaw (uno dei protagonisti della purtroppo cancellata serie UK The Hour), grazie ai flirt innocenti con Naomie Harris e quelli meno innocenti con Bérénice Marlohe, Bond girl da togliere il fiato. E poi grazie alle atmosfere Christopher Nolan friendly in cui piomba la pellicola nella sua seconda parte, quella in cui entra in scena Javier Bardem (che a me invero non ha convinto del tutto) in versione terrorista cattivone. Tutti a scomodare il paragone con Il cavaliere oscuro e io che faccio? Devo confermare pure io tale paragone. Non avendo grande confidenza con il genere action, Sam Mendes deve aver preso molti appunti durante la visione dei Batman nolaniani, e si vede.
Skyfall non presenta quindi niente di radicalmente nuovo, a livello cinematografico, però è un film che ha stile. Un film che ha saputo affascinarmi. Anch’io per la prima volta sono rimasto rapito dal fascino bondiano. Rapito magari è un termine esagerato, visto che nell’ultima parte la pellicola si adagia troppo sul versante action e lì mi ha stupito decisamente meno.
Nel complesso allora devo riconoscere il fallimento della mia missione. Ero stato inviato per sparare a zero su zero zero sette, invece alla fine mi sono fatto conquistare dalla vittima. D'altra parte dovevo già immaginarmelo: nei film va sempre a finire così.
(voto 6,5/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, accompagnato da un nuovo super styloso poster realizzato dall'emerito C(h)erotto.



mercoledì 20 febbraio 2013

DALLA RUSSIA COL FURGONE

Io venire da grande popolo russo, da. Dopo lungo addestramento, io commentare per voi questa nuova serie, The Americans, su mio blog Pensieri Cannibalowski e fare questo in perfetta vostra lingua italiana. Perché io vivere da 20 anni ormai in mezzo a vostro popolo e quindi io parlo proprio come uno di voi, ao’, ue ue, pizza pizza marescià, fratelli d’Italia l’Italia s’è desta, chi non salta Berlusconi è, è, chi non salta Berlusconi è, è.
Vedete? So tutto quel che c’è da sapere su di voi.
Oggi miei cari amici italiani vi parlo di una serie tv che mi tocca profondamente, visto che parla di due spie provenienti dal grande popolo russo, infiltrate non come me sul suolo italiano ma su quello americano.

The Americans
(serie tv, episodi 1-3)
Rete americana: FX
Rete italiana: non ancora arrivata
Creata da: Joseph Weisberg
Cast: Keri Russell, Matthew Rhys, Noah Emmerich, Holly Taylor, Keidrich Sellati, Maximiliano Hernández, Annet Mahendru
Genere: comunista
Se ti piace guarda anche: Homeland, Le vite degli altri, The Hour

The Americans combina due elementi che mi hanno sempre affascinato parecchio. Da una parte, le vicende spionistiche e di anti terrorismo che hanno creato alcune serie cult come 24 e Alias e quel capolavoro odierno di Homeland.
Cosa?
Non guardate ancora Homeland?
E che guardate, voi italiani? Le fiction con Beppe Fiorello?
Rimediate subito. Procuratevi Homeland. È un ordine.

Da una parte le vicende spionistiche, dicevo, dall’altra gli anni ’80. The Americans è infatti ambientata nei primi 80s, nel periodo della Guerra Fredda, e ci presenta come protagonisti una coppia di spie russe infiltrate negli Stati Uniti sotto le sembianze di una tipica, tradizionale, noiosa famiglia americana qualunque. Per essere credibili in questa parte, Elizabeth e Phillip (questi i loro nomi americani) si sono allontanati da grande popolo russo e si sono trasferiti negli USA fin dagli anni ’60, per perfezionare il loro accento e integrarsi alla perfezione nello stile di vita capitalista ammerigheno. Dopo tanti anni, naturalmente, la loro nuova vita è diventata talmente predominante da rischiare di far dimenticare il loro passato e i compiti a loro affidati dal KGB. La copertura non è più solo una copertura, è la loro vita.

"Uh, che mal di testa! Quindi Cannibal in realtà è una spia russa
mandata in Italia per scrivere delle gran cavolate sul suo blog
e regalarle al popolo italiano? Ma non poteva starsene in Russia?"
Il network FX, dopo serie di serie strepitose come American Horror Story, Louie, Damages, Nip/Tuck e altre, trasforma uno spunto tanto intrigante in una serie assolutamente da non perdere. Al momento, dopo appena 3 episodi trasmessi, non so se si trasformerà in cult assoluto, presto per dirlo, però le buone premesse ci sono tutte, cari amici italiani.
Volendo semplificare le cose, volendovi regalare una definizione veloce veloce, potremmo definirlo come un Homeland ambientato negli anni Ottanta. Le cose sono più complesse di così, le due serie presentano notevoli differenze, ma allo stesso tempo presentano alcuni punti di contatto. L’enorme qualità, innanzitutto, e poi l’abilità di riuscire a coniugare trame spionistiche intricate e intriganti con una vicenda sentimentale. Non la solita storiella romantica, bensì una relazione ancora più complicata delle vicende legate alla Guerra Fredda. Come per l’agente Carrie Mathison e l’eroe (?) di guerra Nicholas Brody, anche nel rapporto tra Elizabeth (una strepitosa Keri Russell, ex Felicity) e Phillip (il gallese Matthew Rhys) è difficile capire dove finiscano gli interessi spionistici e comincino i sentimenti veri. Quindi alla fine The Americans forse sì, è un Homeland negli anni ’80, ma offre anche molto altro. A voi il piacere di scoprire cosa, cari amici italiani. Recuperatevi queste due serie. Basta Beppe Fiorello.
Dasvidania.
(voto 7,5/10)



venerdì 16 novembre 2012

Cogito Argo sum

"Oh, ma qua poster di Lady Gaga non ne hanno?"
Argo
(USA 2012)
Regia: Ben Affleck
Sceneggiatura: Chris Terrio
Ispirato a un articolo di: Joshuah Bearman
Cast: Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber, Tate Donovan, Christopher Denham, Scoot McNairy, Kerry Bishé, Clea DuVall, Rory Cochrane, Kyle Chandler, Chris Messina, Zeljko Ivanek, Titus Welliver, Farshad Farahat, Taylor Schilling
Genere: arguto
Se ti piace guarda anche: Homeland, 24

"...E non c'è manco uno che mi chiede l'autografo. Ma dove sono finito?"
Fino a poco tempo fa, quando pensavi a Ben Affleck pensavi a Ben Affleck il sex symbol, Ben Affleck ‘o sciupafemmene che passa da J.Lo a Jennifer Garner, Ben Affleck l’attore modesto. L’attore modesto e dall’espressività limitata che però ti dava l’impressione di avere qualcosa in più da offrire. Sarà per quella sceneggiatura da Oscar scritta a quattro mani insieme all’amichetto Matt Damon, quella per Will Hunting - Genio ribelle, il film che ha rivelato entrambi. Che dopo ce l’ha messa tutta, per farsi dimenticare di essere uno sceneggiatore da Oscar, intepretando filmetti come Pearl Harbor, Daredevil o Amore estremo. E invece, il Ben aveva una carta inaspettata da giocarsi, quella da regista.
Contro ogni aspettativa, Ben Affleck esordiva ben bene, con il thriller parente di Mystic River, Gone Baby Gone. Al che pensavi che vabbé, un film decente può riuscire a chiunque. È riuscito persino a Ligabue, con l’esordio Radiofreccia, non c’è da stupirsi troppo sia venuto fuori a Ben Affleck.
Con il secondo film, lo splendido The Town, i dubbi che a Ben il primo colpo non fosse uscito per puro caso arrivavano. Si aveva semmai l’impressione che con l’esordio fosse persino andato con il freno tirato, mentre per le strade di The Town Affleck scorrazzava che è un piacere.
Se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova.
Prova di cosa?
Prova che Ben Affleck è un dannato grande regista. Uno dei migliori in circolazione negli USA al momento.
Chi l’avrebbe detto? Probabilmente nemmeno lui stesso, visto che con autoironia, attraverso un dialogo presente nel film, schernisce la sua nuova professione:

“Si impara a fare il regista in un giorno?”
“Perfino una scimmia impara a fare il regista in un giorno.”

"Signore, mi spiace ma questo coso pieno di cocaina è leggermente illegale.
Se però se lo infila nel didietro, faccio finta di non aver visto niente..."
Un grande merito dell’Affleck regista è quello di sapersi scegliere delle belle storie da raccontare. Dopo i romanzi da cui erano tratti i suoi due film precedenti, a ispirare questa sceneggiatura impeccabilmente firmata dall’esordiente Chris Terrio è invece un articolo. Una storia talmente da film da essere vera.
A cavallo tra il 1979 e il 1980, 6 diplomatici americani si ritrovano rifugiati politici dell’ambasciata canadese in Iran. Il governo degli USA vuole farli tornare in patria, ma come fare, vista la delicatissima situazione in quel paese?
"Certo che come produttore sei proprio braccine corte, Ben. Non solo
il pranzo ce lo dobbiamo fare sugli scalini con la roba del McDonald's,
ma hai pure usato i buoni sconti, hai usato. Te credo che J.Lo t'ha lasciato!"
ATTENZIONE SPOILER
È qui che arriva Ben Affleck bello fresco, in versione consulente della CIA, e propone un’idea singolare e folle per riportarli negli Stati Uniti: organizzare le riprese di un finto film di fantascienza, intitolato per l’appunto Argo, e fingere che i 6 facciano parte della troupe, giunta in Iran per dei sopralluoghi per le location. Ce la faranno i mezzi del cinema a riuscire laddove la politica sembra fallire?

Lo scopriremo con Ben Affleck che ci terrà la manina attraverso i vari registri della pellicola. Dopo una prima parte prettamente politica, Argo diventa una visione con vari spunti divertenti e una serie di battute scoppiettanti. Perché Argo è un film di fantascienza all’interno della finzione narrativa della pellicola stessa, mentre l’Argo firmato da Ben Affleck è una pellicola politica e spionistica, ma trova pure il tempo di concedersi qualche sberleffo nei confronti di Hollywood e dei suoi meccanismi. Sberleffo e al contempo una celebrazione di Hollywood, visto che la missione è organizzata con l’aiuto di un paio di producers cinematografici, due gigionissimi Alan Arkin e John Goodman, i migliori di un cast ricchissimo e mega-telefilmico.

"Siamo troppo retrò in questa foto, altroché Instagram!"
Accanto al Ben Affleck protagonista, che tra Argo e The Town si dimostra attore più convincente quando si auto dirige, compaiono infatti un sacco di volti proveniente perlopiù dal mondo delle serie tv: Bryan Cranston di Breaking Bad qui come in Drive e Detachment si ritaglia solo un ruolo marginale, però almeno fa dimenticare una serie di comparsate in pellicole dimenticabili come Larry Crowne e Total Recall; sfilano poi Tate Donovan di The O.C. e Damages, Clea DuVall attualmente guest-star di American Horror Story Asylum, Kyle Chandler di Friday Night Lights, Titus Welliver Uomo in nero di Lost, Chris Messina di Damages e The Mindy Project, e questo solo per citarne alcuni. Occhio poi pure a una manciata di rivelazioni indie da tenere appunto d’occhio: Christopher Denham, di recente visto nel notevole Sound of My Voice, Scoot McNairy di Monsters e la gnocchetta Kerry Bishé vista in Red State.
Ma è un cast talmente ricco che si farebbe prima a nominare chi non è presente. Matt Damon, ad esempio. Che Ben & Matt negli ultimi tempi non siano più BFF come una volta?

"Ma stiamo girando Argo il finto film all'interno del vero film, oppure Argo
il vero film ispirato a un fatto reale? Non ci capisco più niente neanch'io..."
Oltre a un gran cast, a una splendida cura nella fotografia, nei costumi e persino nelle pettinature tardo ’70, a funzionare è il ritmo. Ben Affleck sa come tenere il tempo. Dopo averci divertito con la parte dedicata al dorato mondo di Hollywood, ci scaraventa in una parte finale al cardiopalma, in cui la tensione raggiunge gli stessi livelli delle puntate migliori delle migliori serie spionistiche dell’ultimo decennio, Homeland e 24.
Ben Affleck sembra quindi ricalcare le orme del suo altro amichetto, George Clooney, che non a caso figura tra i produttori di questo Argo. Entrambi sex symbol, entrambi attori non fenomenali, eppure migliorati pure in questo campo negli ultimi tempi. Da quando fanno i registi. Che poi fare i registi è la cosa che riesce loro meglio. A parte fare gli sciupafemmene in giro. Almeno Ben, viste le voci che circolano sul conto del bel George…

E allora Ben Affleck, gran figlio di una buona donna, did it again. E se un indizio può non voler dire niente e due indizi possono rappresentare un semplice caso, al terzo non c’è più spazio per i dubbi. Il terzo è una prova. Argo è una prova. Anzi, come prova basterebbe la sola grandiosa scena di montaggio alternato tra la conferenza stampa tenuta da un’attivista iraniana e quella tenuta dai producers del finto film Argo, un magistrale alternarsi di realtà e fiction, nonché di due diversi approcci al mondo, che racchiude tutta la grandezza del vero film Argo.
Ah, ho dimenticato una cosa fondamentale: cosa vuol dire Argo?
Argo vaffanculo se non lo guardate!
(voto 8/10)

Post pubblicato anche su L'orablu.

venerdì 17 settembre 2010

Chi non beve in compagnia è un ladro o una spia

Covert Affairs
Rete americana: USA Network
Rete italiana: Mya (prossimamente)
Cast: Piper Perabo, Christopher Gorham, Kari Matchett, Sendhil Ramamurthy, Peter Gallagher, Eion Bailey, Anne Dudek, Emmanuelle Vaugier, Gregory Itzin

Sono drogato di serie tv, yes it’s true, ma negli ultimi tempi ce n’è una in particolare che mi ha dato dipendenza pesante: Covert Affairs.
Per riassumerla con uno slogan pubblicitario ve la potrei vendere come il “nuovo Alias”, la splendida creazione di J.J. Abrams pre-Lost con Jennifer Garner. Anche stavolta ci troviamo di fronte a una spia donna, intelligente, colta (conosce praticamente tutte le lingue del mondo, dialetti compresi), affascinante e in grado di adattarsi alla grande a qualsiasi imprevedibile situazione. E pure lei dovrà splittarsi tra le eccitanti mission: it’s possible della CIA e una normale, diciamo noiosa, esistenza/copertura come impiegata al museo Smithsonian (che non è un lavoro così sorprendente come Ben Stiller in Una notte al museo vorrebbe farci credere).

Tra missioni pericolose e sempre diverse ambientate all over the world, una buona dose di action e vari intrecci spionistici c’è però anche una componente più sentimentale. Nel passato della protagonista Annie Walker affiora infatti un amore misterioso, un tipo pure lui in qualche modo invischiato in attività spionistiche, mentre nel suo presente c’è un tizio (Sendhil Ramamurthy, il Mohinder Suresh di Heroes) che le ronza intorno. A rendere più avvincente il contesto gossip della serie c’è poi anche l’amico cieco con cui, chissà?, in futuro potrebbe succedere anche qualcosa di più.

Ma la cosa forse più importante di tutte non ve l’ho ancora detta: come protagonista non c’è Jennifer Garner, bensì una tizia che non ha nulla da invidiarle (e detto da me huge fan della Garner è una dichiarazione di un certo peso): Piper Perabo, che da dolce e canterina ragazza del Coyote Ugly per questo Covert Affairs sa trasformarsi in una sexy e spietata spia ed è in grado di passare in un nulla da un’addestramento stile La regola del sospetto (il film con Colin Farrell) all’azione sul campo.
Il tema della sigla è poi di quelli che ti si incollano alla testa tipo per giorni e ogni tanto appaiono in soundtrack piacevoli suoni di Florence and the Machine e Two Door Cinema Club.
Dite no alla droga, dite sì alle serie tv. Tanto l’effetto è più o meno lo stesso.
(voto 8)


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