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mercoledì 17 febbraio 2016

Lance Armstronz





The Program
(UK, Francia 2015)
Regia: Stephen Frears
Sceneggiatura: John Hodge
Tratto dal libro: Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong di David Walsh
Cast: Ben Foster, Chris O'Dowd, Guillaume Canet, Jesse Plemons, Lee Pace, Dustin Hoffman, Elaine Cassidy, Laura Donnelly, Denis Ménochet, Bryan Greenberg
Genere: (anti)sportivo
Se ti piace guarda anche: Rush, L'inventore di favole, Steve Jobs

C'è stato un periodo, un sacco di tempo fa, in cui seguivo il ciclismo. È una di quelle cose che non me le so spiegare, io. Oggi come oggi non riuscirei a immaginare qualcosa di più noioso del seguire una gara ciclistica. Forse giusto rivedere Macbeth.
Quando ero un ragazzetto, invece, il ciclismo mi piaceva. Lo seguivo proprio. È stato un periodo di tempo breve, per fortuna. Per fortuna anche per voi splendidi lettori, perché se non mi fosse passata quella fissa magari oggi Pensieri Cannibali parlerebbe di Giro d'Italia, Tour de France e Vuelta, anziché di Festival di Venezia, Cannes e Vulva. L'avreste letto lo stesso?
Io non credo.

venerdì 4 dicembre 2015

7 Days in Blog





Questo è il vero resoconto di come è nato “7 Days in Blog”, il post dalla gestazione più lunga nella storia di internet: ben 7 giorni.

Giorno 1
Secondo quanto narra la Leggenda, Cannibal Kid si mise alla visione di 7 Days in Hell un lunedì sera. Trattandosi di un mediometraggio della durata di appena 40 minuti, pensava che avrebbe avuto il tempo di passare alla scrittura della recensione al termine della visione e realizzare un post molto velocemente, ma non ce la face. Rimase troppo sconvolto dal finale shock della pellicola. Le lacrime glielo avrebbero impedito. E poi si addormentò come un sasso e scrivere da addormentato è un po' difficile...

Giorno 2
Cannibal Kid venne svegliato alle prime luci dell'alba, la Leggenda dice testualmente da un “chicchirichì di un gallo”, anche se il “celebre” (sempre secondo la Leggenda) blogger non viveva in campagna e quindi non si capisce bene da dove potesse provenire un simile suono. Armato di una brocca di caffè, Cannibal Kid si mise al lavoro. Da dove partire, per parlare di un simile capolavoro, nonché di una pellicola di enorme complessità come 7 Days in Hell, un mockumentary dedicato alla (finta?) partita di tennis più lunga nella storia del tennis?
Da dove partiva di solito: dai dati tecnici del film.

7 Days in Hell
(film tv, USA 2015)
Rete americana: HBO
Regia: Jake Szymanski
Sceneggiatura: Murray Miller
Cast: Andy Samberg, Kit Harington, Will Forte, Michael Sheen, Fred Armisen, Mary Steenburgen, David Copperfield, Serena Williams, Lena Dunham, Karen Gillan, John Mcenroe, June Squibb, Dolph Lundgren
Genere: sportivo
Se ti piace guarda anche: The Interview, Hot Rod - Uno svitato in moto, Brooklyn Nine-Nine

Immerso nel sudore per lo sforzo compiuto, Cannibal Kid spense soddisfatto il computer. Quella era stata una giornata di lavoro molto produttiva.

domenica 13 luglio 2014

THE WINNING SEASON, UN FILM PER LOSERS




The Winning Season
(USA 2009)
Regia: James C. Strouse
Sceneggiatura: James C. Strouse
Cast: Sam Rockwell, Emma Roberts, Rooney Mara, Emily Rios, Rob Corddry, Jessica Hecht, Connor Paolo, Margo Martindale
Se ti piace guarda anche: Friday Night Lights, Coach Carter, Voglia di vincere

Rooney Mara: “Cos’è un culo a cipolla?”
Sam Rockwell: “È un culo che ti fa venire la lacrime agli occhi”.

E adesso un’altra domanda: cosa rende una squadra, una squadra vincente?
E cose rende un film, un film vincente?
Dei grandi singoli possono essere determinanti, eppure il segreto sta tutto nell’alchimia, nel gioco di squadra. Non basta un Messi per vincere, così come al cinema da soli non sono sufficienti un Nicolas Winding Refn o una Natalie Portman, sebbene io una Natalie Portman in squadra la prenderei sempre. Per arrivare fino in fondo e alzare la coppa serve qualcosa di più. Serve un team.

La squadra messa in campo dal film The Winning Season è di buon livello. C’è Sam Rockwell, attore spesso sottovalutato, anche dal sottoscritto, che qui dimostra di essere davvero bravo e convincente nella parte del loser, vestendo i panni dell’ex stella del basket liceale precipitato non in una stalla ma a fare l’allenatore di una squadretta di basket liceale. Una squadretta femminile. E il basket femminile, così come il calcio femminile da noi in Italia, non se lo caga nessuno.
Nella squadretta che allena Sam Rockwell ci sono un paio di star. Non star della pallacanestro, bensì del cinema. Una è Emma Roberts, pretty nipotina della woman Julia: una ragazzina pallida come la neve e secca come un fusciello che è l’esatto opposto di ciò che uno immagina quando pensa al basket, ovvero qualcuno più delle sembianze di Shaquille O’Neal. Eppure la squadretta dovrà contare su di lei, se vuole vincere qualche partita. Sam Rockwell, sei davvero in buone mani!
L’altra star è Rooney Mara. Lei probabilmente la ricorderete nei panni della bad girl Lisbeth Salander dell’Uomini che odiano le donne versione David Fincher. Qui però è decisamente meno cazzuta e più ragazzina liceale innocente e pure lei antitesi della giocatrice di basket ideale.

Un bel cast, quindi, a cui si aggiunge pure una bella storia. Una storia sportiva classica di una squadra di perdenti che, contro ogni pronostico, riuscirà a trovare la sua strada e incasellare una vittoria via l’altra…
Niente di nuovo o di mai visto, però è ben raccontata, sa come prendere lo spettatore e metterlo vicino vicino ai suoi personaggi, in particolare all’allenatore misogino e scontroso, ma in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo in fondo pure lui dal cuore tenero. Ma in fondo in fondo in fondo in fondo.

Un film vincente, quindi?
Direi proprio di no. Questa è una storia di loser che rimangono fondamentalmente loser. Ed è così in empatia con i suoi protagonisti da rendersi un film loser esso stesso.
La regia del rookie James C. Strouse è decisamente piatta e non si segnala in alcun modo. Si limita a seguire in maniera diligente la vicenda raccontata. La sceneggiatura tratteggia bene i personaggi e fornisce assist a ogni componente del team da buon playmaker, e questo è un bene, però al contempo rimane un po’ troppo meccanica e legata al seguire partita per partita il campionato delle ragazze, e questo è un male. Per essere un campionato di basket liceale femminile è anche reso in maniera piuttosto avvincente, ma resta pur sempre un campionato di basket liceale femminile… Un po’ come Un anno da leoni, per quanto meglio del previsto, resta sempre un film su gente che fa bird-watching. Ovvero non proprio il massimo dell’interesse.
È allora un film perdente, alla fine, questo The Winning Season. Ma è anche una di quelle squadre che sai che non vinceranno mai e nonostante questo, o forse proprio per questo, non puoi fare a meno di tifare per loro. Una di quelle squadre che guardi perdere, ma sai che hanno dato tutto per perdere in una maniera così perdente.
(voto 6/10)

sabato 16 marzo 2013

DI NUOVO IN GIOCO CON CLINT TIMBERLAKE

Di nuovo in gioco
(USA 2012)
Titolo originale: Trouble with the Curve
Regia: Robert Lorenz
Sceneggiatura: Randy Brown
Cast: Clint Eastwood, Amy Adams, Justin Timberlake, John Goodman, Matthew Lillard, Scott Eastwood, Robert Patrick, Bob Gunton, Matt Bush, Jay Galloway
Genere: vecchini alla riscossa!
Se ti piace guarda anche: Promised Land, Gran Torino, Space Cowboys, Moneyball

Diciamolo subito: Di nuovo in gioco non è la pellicola celebrativa del ritorno in campo di Silvio Berlusconi alle ultime elezioni. Di nuovo in gioco è una celebrazione della terza età. E pure in questo caso non una celebrazione della terza età di Berlusconi. Si tratta di una pellicola vecchio stile che trasuda spirito classico da vecchia America da tutti i pori. Niente di più, niente di meno. Se si parte con la giusta predisposizione mentale e con la mano sul petto mentre passano le note dello Star-Spangled Banner, allora ci si può anche godere a sufficienza la visione. In molti invece sono rimasti alquanto delusi, aspettandosi di vedere qualcosa ai livelli delle migliori pellicole girate da Clint Eastwood. Il fatto è che questa, per quanto pellicola al 100% intrisa di eastwoodismo, non è una pellicola girata da Clint Eastwood, ma porta la firma dell’esordiente Robert Lorenz. Per quanto Lorenz sia stato assistente alla regia e collaboratore del texano dagli occhi di ghiaccio già da lunga data, non è il texano dagli occhi di ghiaccio.

"Questa sera dovevo andare a fare sesso con Justin Timberlake.
Ma ho preferito rimanere al computer a leggere Pensieri Cannibali.
Non riesco più a farne a meno!"
Il vecchio Clint qui si limita (si fa per dire) a essere il protagonista assoluto del film, tornando davanti alla macchina da presa per la prima volta dal suo Gran Torino del 2008. Con un personaggio, nel caso ve lo stiate chiedendo, praticamente uguale. Clint Eastwood fa la solita parte del tipo vecchio stile che non riesce a stare al passo coi tempi. Un talent scout che ignora l’uso (e forse l’esistenza) dei computer, e anziché alle statistiche e ai software come quelli del Jonah Hill di Moneyball, preferisce affidarsi all’esperienza diretta. Alla prova sul campo. A ciò che gli dicono i suoi occhi malconci (pure lui con la congiuntivite?) o le sue già più affidabili orecchie.
Clint è Clint e a fare il Clint se la cava sempre. Però, e lo diceva anche Sergio Leone mica io, non è che sia l’attore più espressivo del mondo. È un po’ l’antenato di Ben Affleck: attori dalle due espressioni (con o senza il cappello Clint, con o senza Matt Damon Ben), che il loro meglio lo danno dietro la macchina da presa piuttosto che davanti.

"Allora, com'è 'sto nuovo disco di Justin?"
"Mi secca dirlo, ma quel giovinastro ha del talento, li mortacci sua!"
Di nuovo in gioco gioca tutte le carte della pellicolona commerciale americana. Non solo la tematica sportiva, ben presente e nemmeno troppo noiosa anche per coloro ai quali, come me, a sentire parlare del baseball si fanno due balls grosse così. C’è infatti anche l’immancabile storiona romantica, ed è qui che scendono in campo i due top players: Amy Adams e Justin Timberlake.
Così come quello del vecchio Clint, anche i loro più giovani personaggi sono parecchio stereotipati: lei è un’avvocatessa di città super concentrata sul lavoro e super impegnata che nella vita di provincia, nelle uscite al bar del paese a giocare a biliardo e nelle partite di baseball locale riscoprirà i piccoli piaceri della vita. Che poi sono i migliori.

"Ragazzo, il tuo disco mi è anche piaciuto ma non provare a toccare mia figlia,
altrimenti il tuo prossimo album te lo faccio cantare tutto in falsetto..."
Justino invece ha la tipica parte dell’ex giocatore a cui le cose non sono andate per il verso giusto sul campo e allora prova a reinventarsi talent scout. Imparando, of course, dal Maestro Clint. Se però il rapporto tra Clint e Justin non è caratterizzato più di tanto, a convincere maggiormente è la relazione tra Amy e Justin. Grazie alle loro brillanti interpretazioni, i loro due personaggi sulla carta stereotipati prendono vita. Ormai entrambi sono una conferma: Amy Adams è sempre impeccabile, non ha ancora girato un film che mi abbia trascinato completamente, però è sempre… impeccabile, sì è la parola più giusta per descriverla.
Il Timberlake pure lui ormai si sta costuendo una solida carriera cinematografica, a parte giusto il poco riuscito In Time, in cui in versione action-hero alla Will Smith non sembrava del tutto a suo agio. Per il resto se la cava più che bene in tutto: nella commedia romantica (Amici di letto), nel drammatico con brio (il sommo The Social Network), come comico (vedi la sua recente comparsata al Saturday Night Live), è pure un grande ballerino e il suo nuovo album è parecchio fico. Alla faccia di chi lo considera solo un cantantucolo mainstream, ha tirato fuori un disco con ben poche concessioni al pop che va per la maggiore oggi e c’ha infilato dentro delle suite R&B da 7-8 minuti l’una che non sono proprio il massimo del commerciale.



Tornando al film: sport, rapporto padre-figlia, rapporto mentore-allievo, un pizzico di storiella d’amore… c’è davvero tutto, forse perfino troppo, ma in fin dei conti Di nuovo in gioco va accettato per quello che è: classicità americana allo stato puro, scontato quanto gradevole, lieto finalone compreso. Una palla non curva da prendere (ovviamente con il guantone da baseball) o lasciare.
(voto 6,5/10)


lunedì 13 agosto 2012

Olimpiadi di Londra 2012: il medagliometro cannibale

Non avevo ancora parlato delle Olimpiadi 2012.
Perché?
Un po’ perché le ho seguicchiate giusto un pochino, e non mi hanno nemmeno appassionato più di tanto. Un po’ perché mi sto ancora chiedendo il perché sparare sia considerato uno sport…
Per quanto mi riguarda, PES, il bowling, il poker, il biliardo o il tiro con le freccette sono attività molto più sportive dello sparare. Per non parlare del surf o dello skateboard, due degli sport più fighi esistenti, finora manco presi in considerazione dal comitato olimpico. Ci manca solo che al loro posto tra 4 anni inseriscano pure il wrestling e poi siamo davvero a posto.
C’è da riflettere sul fatto che gli italiani abbiano conquistato un sacco di medaglie in pratiche violente come la lotta, le arti marziali e il pugilato, o comunque in sport armati: scherma, tiro con l’arco (battuta persino Katniss Everdeen), pistola, bazooka, lancio di bombe molotov… forza azzurri! Spacchiamo il mondo! Intendo: letteralmente spacchiamolo!
Sempre meglio comunque che avere degli atleti-robot-cyborg addestrati fin dalla culla come i cinesi…

"Daniel Craig, la smetta di guardarmi il culo!"
In tutta questa celebrazione dello sport (?) e dei valori agonistici (ciao ciao, Alex Schwazer!), ho comunque trovato delle cose interessanti.
La cerimonia d’apertura coordinata e supervisionata dal grande Danny “Trainspotting” Boyle, per quanto a tratti sia risultata una pacchianata, non è stata nemmeno malaccio. Quasi divertente la partecipazione della Regina Elisabetta insieme allo 007 Daniel Craig, ma soprattutto a livello musicale i britannici hanno saputo ovviamente tirare fuori delle perle. Al di là di quella mummia di Paul McCartney, hanno sfilato un sacco di giovani e interessanti artisti come Arctic Monkeys, Emeli Sandé, Frank Turner, Dizzee Rascal e Alex Trimble dei Two Door Cinema Club, oltre al tema musicale realizzato dagli Underworld.
E vogliamo poi dimenticare le Spice Girls nella cerimonia di chiusura?
Ehm, forse possiamo anche farlo...
Ma passiamo al vero e proprio medagliare cannibale, ancora più ambito (forse) di quello ufficiale.
Partendo dal top dei flop.



"Ciao Simona Ventura, sto arrivando! Ah, non conduci più te?"
Medaglia manco di legno
Federica Pellegrini e Filippo Magnini
Pompatissima, salutata come eroina nazionale, campionissima già inserita tra le leggende dello sport italico di tutti i tempi, la tanto attesa Federica Pellegrini s’è dovuta accontentare di due quinti posti nei 200 e nei 400 stile libero più un settimo posto nella staffetta. Al di là dei risultati, non è mai sembrata in gara e le prime sono apparse di un altro pianeta rispetto a lei.
Magari alle prossime Olimpiadi mi smentirà clamorosamente, ma a 23 anni il suo futuro sembra già più orientato a nuotare sulla riva dell’Isola dei Famosi piuttosto che in una piscina olimpionica.
Sempre meglio comunque del suo Filippo Magnini, atterrato a Londra come se dovesse diventare il nuovo re d’Inghilterra e manco qualificatosi per la finale. Visto che in Italia non è di moda assumersi le proprie responsabilità, ha quindi scaricato tutta la colpa sull’allenatore.
Con campioni così, chi ha bisogno delle schiappe?

E ora, spazio anche ai miei top personali di questi giochi olimpici.

Medaglia di bronzo
Oscar Pistorius
Per il Blade Runner dell’atletica, arrivare fino alle semifinali dei 400 e correre la finale della staffetta 4x400 sono state imprese pazzesche, più grandi di qualsiasi medaglia al collo. Impossible is nothing (no, Adidas, non te lo pago il copyright per questa frase!).


Medaglia d’argento
Usain Bolt
Persino troppo facile. Talmente veloce che per gli altri, che pure sono dei discreti fenomeni, non c’è storia. A Ginevra, anziché i neutrini, dovrebbero studiare Bolt. L’uomo più veloce della luce. E anche di Forrest Gump.


Medaglia d’oro
Michael Phelps
Chi, se non lui, sul gradino più alto del medagliere di Pensieri Cannibali?
Il cannibale di Baltimora non può che aggiudicarsi la mia personale prima posizione.
Con 22 medaglie conquistate in tutte le sue varie partecipazioni, di cui 18 ori (4 a Londra), è diventato l’atleta più titolato nella storia olimpica. Potere cannibale.

"Uff, mi devo accontentare di essere il secondo cannibale più famoso del mondo.
Macché Cannibal Kid! Il primo, naturalmente, è sempre Hannibal the Cannibal..."


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