Branded
(USA, Russia 2012)
"Certo che Cannibal dev'essere proprio cannibale per mangiare 'sta roba..." |
Regia: Jamie Bradshaw, Aleksandr Dulerayn
Sceneggiatura: Jamie Bradshaw, Aleksandr Dulerayn
Cast: Ed Stoppard, Leelee Sobieski, Jeffrey Tambor, Max von Sydow
Genere: no logo
Se ti piace guarda anche: Essi vivono, God Bless America, Antiviral, Black Mirror
Ieri vi ho parlato di Essi vivono, oggi di Branded, un film che attualizza alcune delle tematiche affrontate dalla pellicola di John Carpenter, già comunque parecchio attuali nonostante sia un film degli anni '80.
Perché sto facendo questo?
Forse per farvi il lavaggio del cervello. Chi lo sa?
Branded non è comunque un remake, un sequel o altro. Ha una vaga ed evidente ispirazione o, per dirla in maniera più esplicita, rubacchia alcune idee al cult movie di John Carpenter. Potremmo dire che fa un’opera di rebranding. Proprio ciò che fa anche Zucchero ogni volta che si mette al lavoro su un nuovo disco.
Anzi no, altroché rebranding. Quello copia, e basta!
Anzi no, altroché rebranding. Quello copia, e basta!
Le fonti di ispirazioni di questa pellicola comunque sono molteplici. Si tratta di una storia che immagina un futuro distopico, proprio come le storie della fondamentale serie britannica Black Mirror, così come anche del recente Antiviral di Brandon Cronenberg. Una vicenda ambientata in Russia che parte da uno spunto nemmeno troppo fantascientifico: le catene di fast food in crisi a causa della moda della malsana moda del mangiar sano decidono di allearsi per far riprendere quota alle loro aziende e far trionfare di nuovo il junk food. Per farlo, si rivolgono a un guru del marketing che realizza una campagna non convenzionale particolarmente aggressiva. In pratica, si impegna a far diventare cool l’essere grassi: fat is the new black. Se sei grasso, sei fico. Un ribaltamento dell’attuale società dell’immagine basata sul magro è bello.
"Pronto, parlo con la Leelee del passato? Sono la Leelee del futuro. Non accettare la parte in Eyes Wide Shut, che finirai a fare filmetti come questo..." |
Qui entrano in gioco i nostri due protagonisti del film. L’anonimo Ed Stoppard, davvero poco convincente, e Leelee Sobieski, attrice lanciatissima a fine anni Novanta/primi Anni Zero grazie a pellicole come Deep Impact, Mai stata baciata, Prigione di vetro, Radio Killer, e con all’attivo persino un’apparizione nell’Eyes Wide Shut di Mastro Kubrick, e poi sparita nel nulla puf. Questo Branded credo non potrà aiutarla un granché a risollevare le quotazioni del suo brand, però non se la cava male. I nostri due protagonisti sono gli organizzatori di un reality-show su una tipa cicciotta che si sottopone a degli interventi di chirurgia plastica per dimagrire, una versione russa di extreme makeover o di, come si chiamava quel programma su Italia 1 con Platinette e la Pivetti?
Ah già, Bisturi!
Inconsapevoli, i due insieme al loro reality diventano però le vittime del complotto di cui parlavamo sopra ordito dalle perfide compagnie di fast-food.
"Si vabbè, Leelee del futuro, ma va da via el cù" |
In questa prima parte il film riesce a intrigare, non ai livelli di un episodio di Black Mirror, però comunque riesce a essere piuttosto avvincente. Nella seconda, di cui non sto a spoilerarvi troppo, la storia prende una brutta piega e la sceneggiatura non sembra più dove andare a parare. In soccorso viene allora Essi vivono. In maniera analoga a quanto succedeva nel film di John Carpenter, anche qui il protagonista vede la realtà per come è davvero, e senza nemmeno bisogno degli occhialini. A livello visivo, non ci siamo però assolutamente. Laddove in Essi vivono il protagonista vedeva quegli scheletrini zombie simpatici e inquietanti allo stesso tempo, qui in Branded il protagonista vede dei mostri gommosi sopra le teste delle persone. Una specie di scopiazzatura mal riuscita delle protuberanze temporali che vedeva Donnie Darko.
I due registi Jamie Bradshaw e Aleksandr Dulerayn non riescono a essere convincenti da un punto di vista delle immagini e anche a livello di sceneggiatura la pellicola nella seconda parte deraglia sui sentieri del ridicolo. Un vero peccato, perché la sua critica al sistema capitalista, all’oppressione delle marche e al potere dei grandi brand di imporre il loro pensiero sulle persone possedeva un buon potenziale. Però tra tematiche alla No logo di Naomi Klein, citazioni che sconfinano in una brutta copia di Essi vivono e una parte finale pessima, tutte le buone idee vengono buttate all’aria.
Per gli appassionati di marketing, pubblicità e brand management comunque una visione la merita. A livello cinematografico e narrativo è invece la classica occasione sprecata. Oltre che il promemoria di lasciar perdere i cult movie. Questo Branded nella prima parte sembrava infatti possedere la capacità di vivere una vita propria. E invece finisce per morire all'ombra di Essi vivono.
(voto 5/10)