Tratto dal romanzo: La sedicesima luna di Kami Garcia e Margaret Stohl
Cast: Alden Ehrenreich, Alice Englert, Jeremy Irons, Emmy Rossum, Thomas Mann, Emma Thompson, Viola Davis, Margo Martindale, Eileen Atkins, Zoey Deutch, Kyle Gallner
Genere: teen fantasy
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Grazie. Per una volta grazie ai titolisti italiani, per non aver trasformato Beautiful Creatures in una citazione di Gianna Nannini. Grazie.
Grazie perché così la posso utilizzare io!
Anzi no, meravigliose creature sarebbe troppo scontato. Inoltre, sono riuscito a pensare a un titolo di post uno ancora più stupido: Beautiful (Creatures, non la soap opera).
Terribile, vero?
Pensandoci bene, credo di aver trovato la mia professione ideale: il titolista di pellicole straniere in uscita in Italia. Credete davvero non potrei fare peggio di quelli che hanno trasformato Eternal Sunshine of the Spotless Mind in Se mi lasci ti cancello? Non sottovalutatemi.
E poi il titolo Meravigliose creature non sarebbe stato del tutto appropriato al post, visto che questo film non è che sia così meraviglioso. Ma procediamo con ordine.
"Ammazza, che mattone. Che è, la versione completa della saga di Twilight?"
Beautiful Creatures è una di quelle pellicole che hanno cercato di venderci come il “nuovo Twilight”. Non si sa bene perché, visto che la maggior parte del pubblico al solo sentir parlare di Twilght sbianca più di Edward Cullen. Fatto sta che la saga pseudo vampiresca è stata una miniera d’oro a livello commerciale e quindi a Hollywood cercano di trovarne un erede. Si è parlato allora di Hunger Games, The Host,Warm Bodies e di questo Beautiful Creatures. Tutti film molto diversi tra loro e a loro volta piuttosto distanti da Twilight, accomunati più che altro dal fatto di essere tratti da romanzi teen all’incirca fantasy. Se Hunger Games si è rivelato un successo almeno negli USA persino superiore ai virginali vampirelli, agli altri due l’etichetta di “nuovo Twilight” ha portato più sfiga di quella di “nuovo Lost”. Quando una serie è stata definita il “nuovo Lost”, i risultati sono stati disastrosi. Menziono giusto FlashForward, The Event e Terra Nova. E ai “nuovi Twilight” non è andata meglio. Se Warm Bodies non ha sfondato e The Host si è rivelato un flop commerciale, Beautiful Creatures ha fatto persino peggio. In tutti i casi ci troviamo di fronte a filmetti teen senza grosse pretese, ma in tutti i casi almeno si evita di scadere nel ridicolo totale come per la saga con Robert Pattinson e Kristen Stewart.
"Sono bello, intelligente, sensibile, simpatico e non mi interessano le altre."
"Sì, ma un difetto ce l'avrai pure. Funziona tutto bene, lì sotto?"
Beautiful Creatures parte anche in maniera quasi beautiful. Sottolineo quasi. La sua dote maggiore è una notevole dose di humour volontario. Sottolineo volontario, come humour, non come quello esilarante ma del tutto involontario presente in dosi massicce in Twilight.
La prima parte del film scivola leggera come una teen comedy dalle tinte romanticheggianti. Il protagonista è il tipico ragazzo che nella realtà non esiste, ma può vivere soltanto nella mente (malata) di una donna. In questo caso, addirittura di 2 donne. La pellicola è infatti tratta da La sedicesima luna, prima parte della saga di The Caster Chronicles, scritta a 4 mani da Kami Garcia e Margaret Stohl. Il protagonista è bello, ma più che bello fascinoso, in più è simpatico, sensibile, non è superficiale e non pensa solo al sesso, è intelligente, acculturato, legge Kurt Vonnegut e Charles Bukowski, quando scopre che la tipa che frequenta è una strega, potenzialmente anche una strega cattiva, non dà di matto, non scappa a gambe levate ma se ne innamora ancora di più.
Sul fatto che le streghe esistano o meno nella realtà si può anche discuterne, però di certo un ragazzo di 18 anni del genere NON esiste da nessuna parte. Toglietevelo dalla testa. Manco nel mondo più fantasy possibile.
"Se i miei fratelli di Shameless mi vedono conciata così, me menano!"
Il film parte quindi da un personaggio del tutto di fantasia. L’umano, più ancora che la giovane streghetta. La giovane streghetta ha un destino simile a quello di Kiki nel film di Miyazaki di recente tornato nelle sale italiane. Soltanto che il suo noviziato non inizia a 13 anni, bensì a 16 quando scopre il suo futuro destino, ovvero se diventerà una strega buona o una strega cattiva come sua madre. Dopo una prima parte leggera e anche piuttosto frizzante, il film nella seconda parte si dirige quindi in territori dark e fantasy, perdendo ritmo, umorismo e precipitando nella noia. Peccato, perché con qualche sforbiciata qua e là, qualche personaggio secondario poco riuscito fatto fuori e una minore serietà nella parte conclusiva, ci saremmo potuti trovare di fronte a qualcosa di più avvincente.
Resta comunque una pellicolina teen fantasy guardabile, sebbene con un po’ troppa melassa mocciosa qua e là, e impreziosita da un cast nient’affatto malvagio. Ma se i nomoni importantiJeremy Irons, Emma Thompson e Viola Davis si limitano a svolgere il compitino, ed Emmy Rossum all’infuori della serie Shameless US dove è bravissima oltre che nudissima non riesce a trovare la parte giusta (si veda l’orripilante Dragonball Evolution), i più convinti e convincenti sono i due giovani protagonisti. Lei, l’australiana Alice Englert, con quel suo fascino da darkona non sembra la tipica sciacquetta alla Kristen Stewart, somiglia piuttosto a Mia Wasikowska, e in futuro potremmo ancora tornare a parlare di lei.
"Vieni cara, andiamo ad appendere un lucchetto come simbolo del nostro amore."
"Vuoi essere subito trasformato in un rospo?"
Il numero uno è però lui, il protagonista maschile. Quello che nella realtà non esiste, però Alden Ehrenreich invece esiste ed è talmente calato nella parte che ci fa quasi credere che qualcuno del genere possa esserci per davvero. Anche se di certo no, ragazze, mettetevi pure il cuore in pace. Alden Ehrenreich è il nuovo cocco di Francis Ford Coppola, che l’ha lanciato in Tetro - Segreti di famiglia e rilanciato in Twixt, e a breve anche in Stoker di Chan-wook Park a fianco di Nicole Kidman e della citata Mia Wasikowska. Insomma, se c’è un nome di un attore su cui puntare per il futuro, io faccio il suo, Alden Ehrenreich, anche se non ho la più vaga idea di come si pronunci.
Quanto al film, non sarà la meravigliosa creatura promessa dal titolo, ma non è nemmeno la merdavigliosa creatura che l’etichetta portasfiga di “nuovo Twilight” sembrava destinata ad appioppargli. Possiamo già gioirne. Hurrah!
Beh, gioirne, ma con minore entusiasmo... Hurrah!
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Pacco!
C’è un pacco per voi!
No, non intendo un pacco nel senso di una cosa brutta, di una delusione, di una roba paccosa insomma.
E no, non intendo nemmeno quel tipo di pacco, quello che si trova in mezzo alle gambe di noi maschietti.
Siamo distanti anni luce da entrambe le cose.
Il pacco che vi consegno oggi è Kiki - Consegne a domicilio, un delizioso film d’animazione che non sfigura affatto a fianco delle migliori produzioni di mastro Hayao Miyazaki e dello studio Ghibli. Non aspettatevi magari il migliore Miyazaki della vostra vita, ma non è di certo nemmeno un pacco brutto. Kiki è una delle fanciulle che più fanno simpatia nel già parecchio simpatico parco di fanciulle Ghibli e pure il suo gatto parlante è un gallo anzi un gatto mica da poco. La forza principale del film sta proprio nella mitica Kiki, una ragazzina per nulla bambocciona che a 13 anni se ne va già via di casa. Il motivo? A quell’età deve iniziare il noviziato come strega. Niente scuola di magia ad Hogwarts, per lei. Il noviziato nel suo caso consiste soltanto nel prendere la sua scopa e volare via, alla ricerca di fortuna in un’altra città. Una specie di stage non retribuito. E il film è del 1989, figuriamoci oggi…
"Ah, quanto mi piace andare in camporella con il mio amichetto!
Per parlare, che avete capito?"
Arrivata in una nuova città in apparenza brutta, sporca e cattiva, inizialmente Kiki farà fatica a inserirsi, quindi con l’aiuto di una panettiera locale le cose andranno meglio e poi la nostra nuova streghetta preferita aprirà un’attività commerciale in proprio, e senza nemmeno usare le agevolazioni per i giovani che avviano una nuova impresa. La streghetta sfrutta i suoi poteri non per fare chissà quali magie, ma semplicemente usa la sua scopa volante per andare a recapitare in maniera veloce alle persone che richiedono i suoi stregoneschi servigi dei pacchi.
E nel caso i vostri pensieri perversi vadano a quel tipo di pacco cui accennavamo sopra, giammai. Si tratta infatti di un innocente film firmato da Hayao Miyazaki, il Disney d’Oriente, e di riferimenti sessuali non ve ne sono. Nessun riferimento nemmeno al gioco dei pacchi di Raiuno, per fortuna, ma è solo un film su una ragazzina streghetta che consegna dei pacchi e basta. Tutto chiaro?
"Ah, quanto mi piace sniffare!
L'aria a pieni polmoni. La smettete di fraintendermi?"
La trama quindi non è di quelle esplosive, ma se avete già visto un film di Miyazaki o comunque dello Studio Ghibli sapete già cosa vi ritroverete di fronte. Il pregio così come anche il limite di queste pellicole è che sono pressappoco tutte uguali, eppure ognuna è una perla dotata di una sua singolarità che incastonata insieme alle altre va a comporre una collana preziosa. Preziosa come poche altre nel panorama cinematografico d’animazione (e non solo d’animazione) mondiale (e non solo mondiale).
A funzionare in questa pellicola in particolare, oltre alle solite atmosfere incantate, è la fantastica protagonista, mentre la storia come visto è alquanto esile e la componente magica non è forse sfruttata del tutto. A parte farla volare su una scopa (e pure su uno spazzolone) e riuscire a parlare con il suo gatto, potevano darle qualche potere in più. Capisco che il concetto di streghe e magie proposto da Miyazaki sia lontano da quello occidentale, però daje, qualche altro trucchetto potevano farglielo fare.
L’impressione è che questa pellicola potesse essere solo un’anticipazione, come fosse una puntata pilota di una serie animata che poi non è stata realizzata. Con Kiki si vorrebbero fare altri voli, seguirla in altre avventure, vedere la streghetta trasformarsi in una strega vera e propria o magari - e pure questo non sarebbe male - vederla crescere come Emma Watson dopo Harry Potter. Per una volta, invoco quindi gli dei e pure i demoni del cinema e chiedo loro che venga prodotto un sequel. Questo film, arrivato nelle sale italiane con giusto quei 20 e passa anni di ritardo, è infatti del 1989, ed è proprio ora che abbia un seguito. Abracadabra.
"Pensavo fosse una festa di Halloween, com'è che sono l'unica pirla vestita così?"
Le streghe di Salem
(USA, UK, Canada 2012)
Titolo originale: The Lords of Salem
Regia: Rob Zombie
Sceneggiatura (?): Rob Zombie
Cast: Sheri Moon Zombie, Bruce Davison, Judy Geeson, Patricia Quinn, Meg Foster, Jeff Daniel Phillips, Dee Wallace, Sid Haig, John 5, Lisa Marie
Genere: satanismo for dummies
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Se i film di Terrence Malick sono un inno al bello, quelli di Rob Zombie sono un inno al brutto. Parere puramente personale. Ovvio poi, de gustibus, non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, non tutti i gusti sono alla menta e frasi fatte del genere. Qualcuno ad esempio considererà Rob Zombie un uomo affascinante. Uno zombie carino. Io, invece, se lo incontrassi per strada scapperei subito a gambe levate. Il paradosso è questo: a me Rob Zombie fa paura. Una paura fottuta al solo vederlo. I suoi film invece anziché spaventarmi mi sembrano ridicoli e qui con Le streghe di Salem si raggiunge l’apice assoluto.
"Ciao Cannibal!"
Uh, una croce. Bestia, che roba satanica!
Così come nel cinema di Malick, così come pure in quello di David Lynch, la trama non riveste un ruolo tanto centrale. Nel caso di Le streghe di Salem però si esagera, con una storiella degna manco di un episodio della serie Streghe. E manco di Sabrina vita da strega.
La protagonista, una dj della radio di Salem, comincia ad avere visioni e a impazzire da quando sente un misterioso disco recapitatogli dalla band dei Lords of Salem (sto aspettando che il blogger Bradipo mandi una copia pure a me). Giusto un pretesto, piuttosto scontato, con cui Rob Zombie può dare libero sfogo al suo estro creativo e visionario. Solo che il suo immaginario, molto 70s e psichedelico, più che vintage appare superato, una copia sbiadita del passato che manca della fantasia ad esempio del recente molto più interessante John Dies at the End.
Il confronto con un’altra pellicola degli ultimi tempi vagamente simile come lo splendido The House of the Devil è ancora più impietoso: Ti West sì che sa come confezionare un horror divertente, citazionista, con un’atmosfera d’altri tempi e allo stesso tempo mettere la giusta dose di satanica tensione addosso. Rob Zombie al confronto appare giusto come uno… zombie.
A livello musicale, da un muscista o presunto tale come lui ci si attenderebbe qualcosa in più. Invece lo Zombie punta su una classica “Venus in Furs” dei Velvet Undeground, utilizzata molto meglio da altre parti, come in Last Days di Gus Van Sant, mentre il tema inquietante dei Lords of Salem, quello che provoca il mal di testa alla protagonista, va bene che dev’essere fastidioso, però così fa venire il mal di testa anche a noi poveri spettatori.
Immagine NON tratta da un video degli Slipknot.
Il punto fondamentale, quando ci si trova di fronte a un horror, è comunque sempre quello di scatenare la paura nello spettatore. Con me Rob Zombie avrebbe vita facile. Ve l’ho detto, a me lui fa paura. Basterebbe che si auto filmasse per due ore e io me la farei sotto per tutte e due le ore. Lo Zombie punta invece a una tensione sottile che richiama a Rosemary’s Baby, solo senza tutta la tensione sottile del film di Polanski. Punta anche a scandalizzare, probabilmente, con montaggi di immagini blasfeme random che apparirebbero amatoriali negli anni ’70 e oggi sfigurano anche al confronto dell’opera dell’ultimo dei bimbiminkia che si cimenta con Premiere e carica i suoi video su YouTube.
Le parti più ridicole di un film già di suo ridi-culo dalla prima all’ultima scema (non è un errore di battitura) sono però quelle con le streghe. I (black) sabba che ricordano il video di “Psychosocial” degli Slipknot, così come il film già brutto di suo Kill List, sono già tra le scene scult dell’anno e le tre streghette vecchine sembrano una versione da ricovero delle mitiche streghe di Eastwick.
"Yeah straight from the top of my dome, as I rock , rock , rock the, rock the, rock the microphone"
L’unica cosa che si salva dall’orrore (per niente horror) e dalla bruttezza del film sono le chiappe al vento di Sheri Moon. Peccato che per il resto, con quei capelli rastafari, finisca per somigliare a uno dei Bomfunk Mc’s. F-F-F-Freestyler. E ciò non è per niente F-F-F-Fico. In più, diciamolo, Sheri Moon è un culo prestato alla recitazione e come protagonista che deve reggere sulle sue magre spalle l’intero peso del film, non regge un bel niente. Non che il resto del cast, per lo più residuati bellici del cinema 70s/80s invecchiati male, sia meglio. Anzi, se c’è una cosa davvero terrificante ne Le streghe di Salem è il livello di recitazione. Sarà anche che i dialoghi di questo film sono la morte dei dialoghi nei film. Per non parlare del finale, che è ‘na roba d’una bruttura di proporzioni epiche.
I riferimenti inarrivabili del novello Ken Russell metallaro non si fermano comunque ai nomi già menzionati sopra come Polanski o Lynch. Persino il letto della protagonista cita Méliès. E poi ancora ci sono maldestri omaggi ma più che altro scopiazzature da capolavori come Shining e Eyes Wide Shut che possono valere a Rob Zombie l’accusa di blasfemia. Non nei confronti della Chiesa - il suo satanismo da due soldi non scandalizza nessuno - ma nei confronti di Stanley Kubrick.
Tra paragoni proibiti e impossibili con il cinema di Mastro Kubrick, la verità è che Rob Zombie forse ha provato a girare il suo Suspiria. E in questo caso ha fatto centro, o quasi, perché per me questo è un film degno sì di Dario Argento. Però quello degli ultimi disastrosi tempi.
Il problema maggiore di questa pellicola non sono comunque i numerosi riferimenti. Quelli ci possono stare. Il problema è che sembrano essere piazzati per nascondere la realtà: Le streghe di Salem sono il vuoto totale e Rob Zombie non ha niente da dire. E nemmeno io ho più niente da dire, anche perché comincio a sentire uno strano odore di bruciato.
Mi sa che i fan dello Zombie vogliono farmi arrosto proprio come le streghe di Salem…
Cinque minuti di attesa e un Cannibale sarà servito sulle vostre tavole. Cotto e sbranato.
"Cannibal Kid esperto di cinema?
AAAH AAAH AAAAAAH!"
Il fascino del maligno. Ecco qual è l’arma segreta di Jack Nicholson. Vabbè, segreta ormai mica più tanto…
Jack Nicholson ha lo sguardo del pazzo, del maniaco, di quello che a un certo punto potrebbe fare qualcosa di del tutto inaspettato. Il ghigno da malato di mente è il suo pezzo forte, il suo cavallo di battaglia, quello che l’ha portato a interpretazioni memorabili, da Qualcuno volò sul nido del cuculo a Shining, da Le streghe di Eastwick al Joker di Batman. Contemporaneamente, è anche il suo principale limite ed è ciò che ha rischiato di incasellarlo e intrappolarlo in ruoli troppo simili. Un pericolo scongiurato solo in parte, ma comunque quella di Jack Nicholson è una carriera strepitosa, ricca di cult movies e pellicole importanti, oltre ai sopra citati menziono anche Easy Rider, Chinatown, Professione: Reporter, Il postino suona sempre due volte, Voglia di tenerezza, Mars Attack! e poi Qualcosa è cambiato, in cui è un adorabile cinico figlio di pu… buona donna, in pratica una delle parti in cui l’ho amato di più.
Negli ultimi anni si è concesso con grande parsimonia, e secondo me fa bene, anziché accettare qualunque roba gli venga proposta come ad esempio, tanto per non fare nomi, Robert De Niro. E ha dimostrato di saper fare ridere alla grande, con il sottovalutato Terapia d’urto a fianco di Adam Sandler, e di avere ancora un carisma come pochi altri colleghi in The Departed.
Jack Nicholson è un attore che mi è sempre piaciuto parecchio e paradossalmente, ma forse nemmeno troppo, l’ho amato soprattutto da ragazzino. Se gli altri bambini erano in fissa con i supereroi, io da bravo Megamind preferivo i cattivi come il suo Joker, benché un paio di decenni dopo Heath Ledger sarebbe riuscito a fare ancora di meglio, portando il personaggio su un altro livello. Sono poi stati cult malati della mia infanzia soprattutto due suoi ruoli: Jack Torrance di Shining, il volto che più ha segnato la fine della mia innocenza, Bob di Twin Peaks a parte, e poi Daryl Van Horne di Le streghe di Eastwick, la pellicola con cui ho scelto di celebrare questo Jack Nicholson Day, che si festeggia oggi in occasione del suo 76esimo compleanno.
Buon compleanno Jack, e grazie per aver abbattuto per sempre la mia infanzia a colpi di ascia.
Le streghe di Eastwick
(USA 1987)
Titolo originale: The Witches of Eastwick
Regia: George Miller
Sceneggiatura: Michael Cristofer
Ispirato al romanzo: Le streghe di Eastwick di John Updike
Cast: Jack Nicholson, Cher, Susan Sarandon, Michelle Pfeiffer, Veronica Cartwright, Richard Jenkins, Keith Jochim, Carel Struycken
Genere: satanista
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Ormai l’ho capito a cosa servono queste celebrazioni degli attori che il gruppo di blogger cinefili di cui faccio parte organizza ogni mese: a far sbiadire l’aura di magia di alcuni cult della mia infanzia/adolescenza. Se il mese scorso per il Bruce Willis Day recuperavo Trappola di cristallo, che non mi faceva più l’effetto adrenalinico di un tempo, qualcosa di analogo è successo anche questa volta con Le streghe di Eastwick. Un film super anni Ottanta che da bambino era per me un autentico cult. Mi sembrava qualcosa di fighissimo, estremo, coraggioso, dark, inquietante e persino satanista. Tutte cose che è ancora oggi, in qualche parte, però in maniera minore. Il tutto appare un po’ troppo kitsch, non privo di un suo sinistro fascino, eppure anche irrimediabilmente sorpassato. Alcune situazioni appaiono assurde e prive di una spiegazione persino all’interno di un contesto fantasy e i personaggi sono dipinti in maniera approssimativa e superficiale. Come intrattenimento, comunque, Le streghe di Eastwick sanno ancora ammaliare.
"Il bunga bunga? L'ho inventato io!"
Le streghe di Eastwick fa parte di quelle commedie un po’ fantasy, un po’ grottesche, un po’ (molto poco) horror, condite da una notevole dose di humour nero in cui rientrano altri semi-cult del periodo come La morte ti fa bella o She-Devil – Lei, il diavolo. Pellicole che flirtano con il lato oscuro, con il maligno, con il peccato e lo fanno in una maniera piacevolmente fuori dal politically correct in cui sono finite molte pellicole hollywoodiane odierne. Sono film che non si fanno troppi problemi a usare un linguaggio volgare ed esplicito più difficile da trovare oggi nelle produzioni mainstream. Allo stesso tempo sono film che a livello di scrittura mostrano qualche limite in una eccesiva esemplificazione e stereotipizzazione dei personaggi, però anche questo è il loro bello.
"Attento a quello che dici su di noi, Cannibale!"
Le tre protagoniste del film sono una perfetta rappresentazione di ciò: la bionda, la mora e la rossa, ognuna rappresentante di una categoria di donna diversa, manco fossimo in una puntata dei futuri Sex and the City e Desperate Housewives. C’è la bionda mamma chioccia (Michelle Pfeiffer), la mora più indipendente e libertina interpratata da Cher e la rossa precisina e musicista secchiona che invece non può avere figli (Susan Sarandon), una anticipatrice della Bree Van de Kamp delle citate Desperate.
Ho fatto riferimento a due celebri telefilms e non è che l’ho fatto a caso. Spesso dico cose a caso, ma non è questo il caso. Non posso infatti sostenere che Le streghe di Eastwick abbia cambiato la storia del cinema, però a livello televisivo l’ha sua buona influenza ce l’ha avuta. Sono infatti parecchie le serie che negli anni successivi avrebbero mescolato la componente fantasy e inquietante con le storie romantiche con un gusto non troppo distante da quello del film, da Streghe fino a Eastwick, serie tv ispirata proprio alla pellicola che però ha avuto vita breve. Il difetto di quella serie? Io ho visto solo le primissime puntate, credo di essere arrivato al massimo alla seconda, e le protagoniste femminili funzionavano anche. Il problema era però un altro: Jack Nicholson è insostituibile. A meno che non sei Heath Ledger e ti inventi un Joker personale tutto tuo in grado di stravolgere le regole tradizionali dei film di supereroi. Ma questa è un’altra storia. Nella serie tv Eastwick il protagonista maschile era tale Paul Gross chiiiiiiiii? che, inutile dirlo, non reggeva la parte. C’è poco da fare, il personaggio del luciferino Daryl Van Horne sembra essere scritto apposta per lui, il nostro eroe di giornata: Jack Nicholson. Per lui e per quel suo sguardo da satanasso assatanato.
"Perché tutti quelli che incontro mi suggeriscono di farmi una doccia?"
Le tre desperate housewives divorziate Pfeiffer, Sarandon e Cher, non sapendo che altro fare, si inventano un uomo di fantasia. Le tre aspiranti streghette lo pensano tutt’e tre così intensamente che questi si materializza. E chi è?
In altri tempi, cioè oggi, sarebbe potuto essere un Ryan Gosling o, ancor meglio, un Michael Fassbender. Nel 1987 la fantasia sessuale che si materializzava era invece Jack Nicholson. Non un bellone, ma un uomo con quel fascino del maligno di cui parlavo in apertura.
Jack Nicholson rappresenta un ideale di uomo diverso per ognuna delle tre donne che riesce a conquistare con un solo appuntamento. Se fosse un concorrente di Uomini e Donne, sarebbe il migliore tronista della Storia, altroché Costantino Vitagliano. La prima parte della pellicola scorre così, con tre appuntamenti che sembrano tre “esterne” del programma di Maria de Filippi, solo più malate e fantasy.
No, mi correggo: meno malate e fantasy delle esterne medie di Uomini e Donne.
La sceneggiatura è molto basic ed elementare, quanto allo stesso tempo funzionale. Alla prima parte in cui vengono presentate le tre donne al cospetto di Jack Nicholson il seduttore, si procede quindi a una parte in cui assistiamo al crescendo di malignità di Jack Nicholson il satanasso, a cui le tre donne risponderanno per le rime nella conclusione. Peccato per una sequenza finale buttata lì in maniera un po’ stupidotta e che non convince per nulla.
Le streghe di Eastwick resta un mio piccolo cult personale, sebbene ormai legato più che altro all’infanzia. Va notato però che se anziché un regista come George Miller, uno che nella sua carriera è passato da Interceptor a Happy Feet, ci fosse stato al comando un Tim Burton, e intendo il migliore Tim Burton, ne sarebbe potuto uscire anche un vero capolavoro, o quasi. Resta “solo” una commedia dark tanto ma tanto Ottanta ma ancora oggi godibile, con un tema musicale firmato dall’amichetto di Spielberg John Williams di quelli che restano in testa, una piccola parte per Carel Struycken, futuro gigante di Twin Peaks e futuro Lerch della Famiglia Addams, un’inquietantissima Veronica Cartwright che sembra posseduta da Satana per davvero, tre protagoniste femminili che, benché non mi abbiano mai esaltato del tutto, qui sono all’apice della loro forma recitativa e fisica e soprattutto lui lui lui. Jack Nicholson. Jack Nicholson e quella sua magnifica faccia da pazzo.
(voto 7+/10)
Partecipano al Jack Nicholson Day anche i seguenti (quasi tutti) magnifici blog:
Perché è in classifica: per il suo fascino da bad girl che vorresti odiare, ma non ci riesci
Fatemelo dire in maniera elegante: c’ha proprio la faccia da stronza, Phoebe Tonkin. Poi magari in realtà è una bravissima ragazza, certo certo come no?, però nelle serie tv preferiscono farle fare la parte di quella stronza. In The Secret Circle, Phoebe è - o meglio era - Faye, la streghetta stronzetta magico punto di forza della serie. E così, dopo la cancellazione del cerchio talmente segreto che tutti sapevano della sua esistenza, quei maledetti del network The CW si sono fatti (parzialmente) perdonare recuperando se non altro quel tocco della Tonkin in The Vampire Diaries, dove ha una parte parecchio simile, solo che questa volta è una licantropa ibrida, sempre stronzetta of course.
Poi, vabbè, quest’anno è comparsa anche nel non certo memorabile horroruccio Shark 3D, dove aveva il ruolo della buona (oltre a quello della bona) e infatti il film è un disastro totale. D’altra parte, con quella faccetta lì, è moralmente sbagliato darle una qualunque parte che non sia quella della bella stronza. Un certo cantante portarogna italiano penso sarà d’accordo con me…
Cast: Britt Robertson, Thomas Dekker, Phoebe Tonkin, Shelley Hennig, Louis Hunter, Jessica Parker Kennedy, Logan Browning, Gale Harold, Natasha Henstridge, Ashley Crow
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Bimbiminkia in ascolto: habemus seriem!
The Secret Circle è il Pretty Little Liars delle streghette, il The Vampire Diaries senza i vampiri, il Twilight senza tutta la parte noiosa di Twilight (ovvero il 99% di Twilight).
La puntata pilota di questa nuova serie targata The CW è qualcosa che fa venire fuori prepotentemente il nostro lato bimbominkia, e ognuno di noi dentro di sé ha un lato bimbominkia, che lo voglia ammettere o meno. All’interno del circolo segreto tutto funziona alla perfezione perché ci trasporta dentro un mondo palesemente finto, a meno che non crediate veramente che la magia esista.
Ma la magia esiste eccome, dirà qualcuno di voi, sta nelle più piccole cose, sta nella luce di un mattino, l'abbraccio di un amico, il viso di un bambino… ma quella non è magia, è una canzone di Domenico Modugno e sì, per tutti i bimbiminkia in ascolto, soprattutto una canzone rifatta dai Negramaro.
"Aiuto! Sull'autoradio è partito un pezzo di Justin Bieber
e non riesco a fermarlo!"
Tornando al fichissimo pilot di The Secret Circle, la trama in breve: Cassie Blake, interpretata dalla gnocchetta bionda Britt Robertson già vista nell’ottimo Life Unexpected (cancellato dopo solo due stagioni, brutti bastardi!) è una ragazzina che perde la madre in un terribile incendio, dopo che già suo padre era morto pure lui in circostanze simili anni prima. I’m a firestarter, twisted firestarter! E subito si prova simpatia, tenerezza e pure un po’ di pena per questa tipa, a meno che certo non siate degli automi cui non è stato impiantato un cuore nel petto e allora ritiro tutto quello che ho appena detto.
Ma no, così cmq non va bene. Noi ggiovani d’oggggi parliamo solo con frasi che possano essere contenute in un cinquettio su Twitter e quindi la trama ancora più in breve:
Streghetta bionda gnocca entra in una gang emo dark e insieme provano a fare una serie con la magia di Harry Potter e la figosità di Vampire Diaries e… mi sa ke c riescono.
Fine cinguettio. Fanculo Twitter!
"Prova a farlo te, Harry Potter, se sei capace!"
Rimasta senza genitori, Cassie va a vivere dalla nonna in una casa che assomiglia a quella di Eileeeina di Vampire Daries. Credo che certe case non esistano veramente nelle cittadine americane, ma siano solo un’invenzione dei telefilm di The CW. O magari no. Boh, magari ci sono persone vere che ci vivono delle vite vere in quelle case. Dovrei andare negli USA a investigare sulla faccenda, possibilmente insieme ai tipi di Fringe.
Fatto sta che la nonna abita non in un posto normale ma in una cittadina inquietante che nei romanzi da cui la serie è tratta, I diari delle streghe di Lisa J. Smith (la stessa ispiratrice pure di The Vampire Diaries), si chiamava New Salem ma che qui invece hanno chiamato Chance Harbor perché se no sarebbe stato troppo palese ciò cui andava incontro. Che comunque è inevitabile…
Cassie si è infatti trasferita in una cittadina infestata dalle streghe e a quanto pare pure lei ha dei poteri magici. E con lei finalmente nei paraggi, il gruppo di streghette e streghetti può chiudere il Circle del titolo e fare delle magie potentissime. A patto di convincere Cassie a entrare nel loro esclusivo club…
Tra le sue nuove amichette troiette streghette c’è Diana, la tipa (finto) gentile e quindi estremamente odiosa di turno che è fidanzata con il tipo fico e sensibile di turno (Thomas Dekker, il protagonista dello spettacolare Kaboom di Gregg Araki) di cui puntualmente Cassie finirà per invaghirsi. E spero pure che glielo trombi, visto che quella Diana è odiosa.
Promette invece di diventare l’idola della serie Faye, la streghetta stronzetta, potenziale Damon Salvatore al femminile (ho detto potenziale) e in grado di darci una sana dose di divertente cattiveria.
A ogni personaggio teen corrisponde poi un genitore anch’esso con dei poteri magici, e visto che ci troviamo in una serie The CW pure tutti i genitori mica sono vecchi e schifosi ma sono estremamente affascinanti. Tanto per fare un esempio la madre di Faye, che fa pure la preside del liceo, è Natasha Henstridge, quella di Specie mortale e Fantasmi da Marte. Non esattamente un cesso.
Chi poteva nascondersi allora dietro una pozione tanto diabolica quanto ben studiata? Ma naturalmente Kevin Williamson, il paparino di Dawson’s Creek ritornato sulla breccia dell’onda con The Vampire Diaries e che ora c’ha messo il suo tocco magico (è proprio il caso di dirlo) pure qui.
La ciliegina sulla torta arriva poi con la breve sigla, con quella cantilena infantile che è tra le cose più gotike e inquietanti sentite di recente.
In parole povere, se non l’avete ancora capito: The Secret Circle è la figata teen fantasy irresistibile per bimbiminkia dentro dell’anno e potete fare i superiori e i cresciuti finché volete, ma l’incantesimo ormai è stato lanciato e nemmeno se chiamate Mago Merlino o Maga Magò potrete fare nulla. È inutile. Non riuscirete a resistergli.
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