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lunedì 15 settembre 2014

SI ALZA IL VENTO, SI ABBASSA IL SIPARIO SUL CINEMA DI HAYAO MIYAZAKI





Si alza il vento
(Giappone 2013)
Titolo originale: Kaze tachinu
Regia: Hayao Miyazaki
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Genere: biopic
Se ti piace guarda anche: Porco Rosso, Una tomba per le lucciole

La prima cosa che mi ha colpito la prima volta che ho visto un film di Hayao Miyazaki, La città incantata, è stata il vento. Non le apparizioni di spiriti, maiali, simpatici animaletti o inquietanti tizi mascherati. Il vento. Sono rimasto impressionato da quanto quello creato dal maestro degli anime, il cosiddetto Walt Disney giapponese, fosse un mondo vivo, in cui tutto era in movimento. In cui il vento era il principale motore di questo movim-vento.
Mi sembra allora una chiusura naturale del cerchio che l'ultimo film nella carriera di Hayao Miyazaki veda come protagonista fin dal titolo il vento. Il vento che porta le persone a muoversi. Il vento che porta le persone a creare, a volersi spingere oltre ogni limite. Il vento che fa sognare di volare.

Il controverso protagonista dell'opera finale del leader dello studio Ghibli è Jirō Horikoshi, che è questo qui.


Ma è anche questo qui.


Si alza il vento, film tratto dal manga omonimo creato dallo stesso Miyazaki e a sua volta ispirato al romanzo anch'esso omonimo di Tatsuo Hori, racconta infatti di un personaggio realmente esistito, per la prima volta nella storia dello Studio Ghibli. Jirō Horikoshi è stato un grande ingegnere aeronautico che tra le altre cose ha progettato i caccia Mitsubishi A6M Zero usati dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale.
Ma come? Un cartone animato dedicato a un uomo che ha creato degli strumenti di morte?
Ebbene sì. Prima di pensare che la pellicola sia in qualche modo una celebrazione del male o della guerra, aspettate però di vederla. La delicata questione non è nascosta, ma viene affrontata, nelle solite maniere delicate, da Miyazaki. Nonostante l'ambiguità del suo lavoro, è impossibile non adorare questo Jirō Horikoshi disegnato dal maestro giapponese. Uno che, anche se è un personaggio maschile, possiede l'innocenza delle giovani protagoniste di molti film dello studio. Progetterà anche delle macchine belliche, ma in lui non c'è manco un briciolo di cattiveria. È il tipico personaggio Ghibli. Come poterlo detestare?


A livello di tematica affrontata, Miyazaki ritorna qui a volare dalle parti di Porco rosso, solo che in questo caso non c'è più la parte soprannaturale. Questo è il film più realistico dell'animatore e regista giapponese, forse anche il più personale, visto che è facile immaginare un parallelo tra la carriera di Jirō Horikoshi nella progettazione di aerei e quella di Hayao Miyazaki nella progettazione di poesie animate. Se a questo punto vi immaginate che sia una pellicola ultra realista e priva di fantasia, sbagliate di grosso. Non c'è la componente fantasy, ma la creatività di Miyazaki vola sempre a livelli altissimi. Merito soprattutto delle scene oniriche, i momenti più notevoli di questa sua ultimissima opera, che viaggiano a metà strada tra un Fellini animato e un Lynch non inquietante.
Nel corso delle due ore di visione qualche scena scivola via lenta, soprattutto quelle legate alle questioni più strettamente aeronautiche e lavorative del personaggio. Per fortuna però in questo biopic animato l'attenzione non si sofferma troppo sulle questioni tecniche o belliche, per puntare tutto sull'umanità. A fare centro è la storia d'amore raccontata, o meglio sussurrata in maniera molto timida, molto giapponese.



La love story tra Jirō e la dolce Nahoko Satomi attraversa l'intera durata del film e alla fine arriva a colpire al cuore in maniera gentile. Il cinema del regista giapponese è proprio così. Grazie alle musiche sempre splendide del suo collaboratore abituale Joe Hisaishi, grazie alle animazioni incredibilmente naturali e calde dei disegni de 'na vorta lontani dalla computer grafica attuale, grazie a personaggi riservati che poco a poco si rivelano davanti ai nostri occhi, grazie a una maniera di raccontare tanto dolce quanto efficace, i film di Miyazaki sono stati e saranno sempre una brezza piacevole. Un colpo di vento che ti accarezza la faccia, ti scompiglia i capelli e ti ricorda di vivere.
Arigato, maestro Miyazaki, domo arigato.
(voto 8/10)

sabato 17 novembre 2012

Ribelle - The Brave: Rusa de cavei…

Ribelle - The Brave
(USA 2012)
Titolo originale: Brave
Regia: Mark Andrews, Brenda Chapman, Steve Purcell
Cast: Merida, Fergus, Elinor, La strega
Genere: Ghibli Pixar
Se ti piace guarda anche: Arrietty, Princess Mononoke, La città incantata

Rusa de cavei, golosa de usei?
I proverbi mica c’hanno sempre ragione o almeno non sono validi se applicati al mondo Disney. Nel mondo Disney, la rossa principessa Merida ha infatti a disposizione ben 3 pretendenti alla sua figa mano e non se ne vuole fare nemmeno uno, preferendo tirare frecce con il suo arco. E non è un modo di dire tipo pettinare le bambole...
Va detto che i 3 pretendenti sono uno più sfigato dell’altro, però saper tirare con l’arco sembra oggi come oggi un’arma potentissima. Di seduzione, mica per uccidere. Prendete la "arciera" Katniss Everdeen di Hunger Games, contesa tra Gay Gale e Peto Peeta.
Donne, cercate marito? Mettetevi a lanciare frecce con l’arco e troverete subito fior di pretendenti! Che se aspettate Cupido, campa cavallo... (sempre a proposito di proverbi di saggezza popolare)
La nostra Meringa Merida quindi di sposarsi non ne vuole sapere. È uno spirito libero. È giovane, single e deve ancora farsi un’intera confraternita universitaria prima di sentirsi pronta a fare il fatidico passo verso l’altare. La madre, naturalmente, non vede però l’ora di sbatterla fuori di casa, ché oggi con questa crisi economica è dura mantenere una figlia teenager e quindi è meglio che la responsabilità se la accolli qualche povero sventurato, volevo dire qualche fortunato principe.

"Coraggio Merida, poteva andarti molto peggio:
tra i tuoi pretendenti potevi ritrovarti pure il braveheart Mel Gibson!"
Per sfuggire al suo destino, Merda Merida decide allora si rivolgersi a una potente (più o meno) strega e qui il film della Pixar va decisamente a copiare omaggiare il cinema di Hayao Miyazaki, tra animali antropomorfizzati, o forse è meglio dire umani animalizzati, un legame profondo con la natura e la presenza dei fuochi fatui. Oltre che ne La città incantata e in Princess Mononoke, Ribelle - The Brave va a pescare a piene mani soprattutto nel recente Arrietty, pellicola sceneggiata dal Maestro Miyagi Miyazaki.
L’idea della protagonista dai capelli rossi d’altra parte da dove volete che sia venuta, a quelli della Pixar? Da Arrietty, appunto, o forse da Anna dai capelli rossi, serie anime dove pure lì c’era lo zampino di Miyazaki.
In pratica, questo Ribelle - The Brave è un omaggio totale allo Studio Aperto Ghibli e a Miyazaki. Anche le ottime animazioni paiono andare nella direzione di quel particolare tocco naturalistico e “umano”.

"Somiglio a Yubaba de La città incantata?
Ma non fatemi ridere, che non è un bello spettacolo!"
A volte comunque si sente il bisogno di un film Disney. A me personalmente non capita molto spesso, di sentirne il bisogno. Diciamo che di solito sento più il bisogno di un Lanthimos o di un Haneke o di un Von Trier o di un qualche altro regista bastardo. Però alle volte ci può stare bene anche un film Disney. Sarà che quando ho visto Ribelle - The Brave ero un po’ malaticcio, un po’ febbricitante, però questa visione gradevole mi ha fatto sentire meglio. Per una volta allora non starò a prendermela troppo con i limiti piuttosto evidenti di una pellicola dalla trama parecchio scontata, dagli sviluppi prevedibili di una favoletta che non dice niente di nuovo, dai rimandi che spesso sfociano in una copia spudorata del Miyazaki, e soprattutto con un’indegna versione italiana della colonna sonora che vanta (vanta?) la voce di Noemi.
I pezzi cantati da Noemi sono inascoltabili ma consoliamoci, poteva andarci peggio. Potevano scegliere un’altra rossa, tipo Fiorella Mannoia.

Per ascoltare la loro musica, si deve essere davvero Brave!

"Non per fare gli egocentrici, ma noi genitori dei pretendenti non siamo
manco stati nominati dal Cannibale in questa sua assurda recensione?"
Che poi, Noemi o non Noemi, ma i siparietti musicali erano davvero necessari? Va bene che le canzoni (molto più fascinose, va detto) erano presenti anche in Arrietty, però qui sembrano solo dei momenti riempitivo per raggiungere la fatidica durata dell’ora e mezza. Un espediente che mi ha ricordato Baywatch, quando, per allungare la brodaglia delle trame esili, in ogni puntata aggiungevano qualche clip stile video musicale. Solo che lì di solito c’erano delle maggiorate che correvano sul bagnasciuga, oppure Mitch Buchannon che guardava delle maggiorate che correvano sul bagnasciuga, mentre qui abbiamo la rossa Merida che osserva sua mamma "brave ors" fare il bagno. Una differenza minima.
E qui casca il solito problema della gran parte delle pellicole Pixar: hanno dei buoni spunti, funzionerebbero alla grande come cortometraggi (e infatti molti dei loro lavori migliori sono proprio dei corti), però sulla distanza di un lungometraggio si dilungano spesso e volentieri con scenette inutili e noiose. Puri riempitivi. Che abbiano gli stessi astuti sceneggiatori di Baywatch?

Disney goes Ghibli, or(so) dunque. La Pixar questa volta ha cambiato le carte in tavola, con una pellicola di ambientazione scozzese e spirito giapponese, e una vicenda materna ancor più che femminista, ma non è riuscita a essere fino in fondo coraggiosa, nonostante il suo titolo, regalandoci una favola troppo tradizionale e derimeridativa, volevo dire derivativa. Ma cui comunque è impossibile voler del male.
Anche se la voce di Noemi, quella sì che fa male. Alle orecchie.
(voto 6,5/10)

martedì 18 ottobre 2011

È bello essere piccoli

Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento
(Giappone 2010)
Titolo originale: Kari-gurashi no Arietti
Regia: Hirosama Yonebayashi
Cast: Arrietty, Sho, Homily, Sadoko, Spiller, Pod, Haru
Genere: piccola grande storia
Se ti piace guarda anche: Toy Story, Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi, Radiazioni BX distruzione uomo, Il mio vicino Totoro, Ponyo sulla scogliera, La città incantata, Il castello errante di Howl

È bello essere piccoli, lo dice sempre il mio nipotino di 3 anni.
Se sei piccolo, puoi vedere le cose da un’altra prospettiva. Puoi vedere le cose dal basso, dall’interno, infilarti dove i “grandi” non possono nemmeno pensare di passare, arrivare con l’immaginazione oltre confine che poi, crescendo, ti verranno preclusi.
Ho detto che è bello essere piccoli, non ho detto che è bello avercelo piccolo. Né ho detto che è bello essere mentalmente piccoli come Brunetta o l’altro tizio con la B che parla come un Black-sboc.
È bello essere piccoli come Arrietty, la protagonista di quest’ultima meraviglia tirata fuori dallo Studio Ghibli. A curare la regia questa volta è l’esordiente Hirosama Yonebayashi, ma dietro si sente forte la mano del Maestro Hayao Miyazaki, il sensei che ha regalato al suo nuovo promettente erede la sceneggiatura del film, che per altro è un adattamento dal romanzo per bambini (ma non solo) Gli sgraffignoli (The Borrowers) dell’inglese Mary Norton (credo non parente di Edward Norton).


Arrietty è una ragazzina sui 14anni grande come un puffo, o meglio una Puffetta, e vive con i genitori in una minuscola quanto accogliente dimora posta sotto il pavimento di una casa nella campagna nipponica. La mini-ragazzetta dai rossi capelli (raccolti con un’adorabile mollettina di quelle per stendere le cose) insieme all’avventuroso padre va in missione nella casa delle persone “grandi” per “sgraffignare” loro lo stretto necessario di cui hanno bisogno per vivere. Tanto per dire: loro con una zolletta di zucchero ci campano per delle settimane!

Arrietty: “Papà, rubare è così divertente!”

Come ha dichiarato Miyazaki parlando dei motivi che l’hanno spinto a riprendere un romanzo degli anni ‘50: “L’idea della storia sul “prendere in prestito” è intrigante e perfettamente attuale. L’era del consumo di massa sta per concludersi perché viviamo in una brutta crisi economica e la possibilità di “prendere in prestito” invece che comprare ciò che ci serve indica la direzione verso cui il mondo si sta avviando.”
Un concetto vicino al condividere che contraddistingue i programmi peer-to-peer per lo scaricamento in rete (e pirla-to-pirla chi non li usa). E non sarebbe in effetti male anche se chi ha di più condividesse i suoi averi. Ad esempio Cristiano Ronaldo potrebbe condividere la sua Ferrari, nei giorni in cui non la usa. E, se proprio insiste, potrebbe condividere pure Irina Shayk. Oh, non è mica un’idea mia: è un’idea di Miyazaki!

Un film piccolo solo nelle dimensioni della protagonista, ma grande negli spunti di riflessione cui può condurre ed enorme nelle emozioni che sa regalare. La nostra mini Arrietty fa infatti amicizia con il ragazzino “grande” ma all’incirca suo coetaneo che si trasferisce nell’estate di campagna, per stare tranquillo e sereno in vista di un grave intervento al cuore cui dev’essere sottoposto. Invece anziché stare tranquillo troverà, grazie ad Arrietty, la più grande avventura della sua vita. Un’avventura non giocata tanto su inseguimenti rocamboleschi quanto improbabili (qualcuno ha nominato la Pixar?), bensì su scene di sottile tensione come quella in cui i piccoli sgraffignoli vanno a “prendere in prestito” nella casa dei “grandi”, ma soprattutto sulla amicizia perfettamente Ghibli-style tra i due personaggi principali, che se la dovranno vedere con quella stronza della governante di casa, che vuole catturare a tutti i costi i poveri piccoli sgraffignoli e far loro un processo per direttissima.

Le animazioni che ricreano il piccolo mondo visto attraverso gli occhi pieni di meraviglia di Arrietty sono minuziosamente curate in old-style, senza l’ausilio di computer grafica né tanto meno del 3D. La cosa più bella dei film dello Studio Ghibli è che creano un mondo vivo, non solo attraverso personaggi ben tratteggiati (e non mi riferisco al solo stile dei disegni), ma anche attraverso un esercito di piccoli esserini che si muovono, dei rumori del vento, dei suoni della natura. Natura che com’è abitudine con Miyazaki e i suoi Ghibli-amichetti diventa un vero e proprio personaggio.
L’affascinante colonna sonora è invece curata da un elemento “esterno”, la cantante bretone Cécile Corbel, in grado di regalare al film giapponese un tocco europeo. E la contaminazione è quasi sempre un bene. A parte quando viene fatta del tutto a caso come dal gruppo Superheavy (Mick Jagger + Joss Stone + Dave Stewart + Damian Marley = una porcata assoluta). Frecciatina gratuita a quella corbellerie dei Superheavy a parte, ascoltiamoci la Corbel.


Può essere visto come un difetto, un handicap, guardare le cose dal basso. Da lì in realtà ci si può ancora stupire dell’immensità di ciò che ci circonda, si possono assaporare i dettagli, si può scoprire la bellezza di sapersi ancora meravigliare e capire quanto la grandezza del nostro mondo sia relativa.
È bello essere piccoli, lo dice sempre il mio nipotino di 3 anni. E c’ha ragione.
(voto 8/10)

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