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sabato 30 gennaio 2016

David Bowie e gli altri - I dischi di gennaio 2016





Anno nuovo, rubrica vecchia.
L'appuntamento con i dischi del mese riprende qui su Pensieri Cannibali come lo scorso anno, ma lo fa con uno spirito rinnovato...

Nah, chi prendo in giro?
È sempre la solita roba, con un paio di aggiunte: quest'anno c'è anche uno spazio per il peggio musicale mensile e in fondo trovate pure una playlist Spotify con i miei pezzi preferiti del mese. Inoltre in questo gennaio 2016 c'è spazio per una manciata di dischi particolarmente interessanti.

Tra le mini-recensioni proposte c'è pure quella dell'ultimo di David Bowie. Per non farmi condizionare dalle emozioni post mortem, vi propongo la recensione così come l'avevo scritta prima della sua scomparsa, visto che il disco aveva cominciato a circolare da Capodanno, così non starò a tediarvi con riflessioni sul fatto che possa o meno essere stato concepito come il suo disco-testamento.

David Bowie “Blackstar”

sabato 3 maggio 2014

GUIDA GALATTICA ALLA MUSICA BRITPOP




Indovinello: qual è quell’animale che cento ne pensa e cento ne fa?
Esatto, il Cannibale. Un animale strano, selvatico, che non pago di aver creato già classifiche e liste assortite di tutti i tipi, come la serie della vergogna e quella della crescita, adesso ha ideato un modo nuovo per propinarvi le sue Top 10.
Questa volta la scusa è di fare delle Top Dieci dedicate ad alcuni generi e sottogeneri musicali, rivisti sempre attraverso l’ottica cannibale, ovvio. Ad aprire le danze ci pensa un genere con cui l’animale Cannibale è stato allevato: il Britpop.


Se da buoni babbani non sapete cos’è, vi dico brevemente che è stata quella scena musicale sviluppatasi in Gran Bretagna – dal nome l’avreste mai detto? – nel corso degli anni ’90. Le radici del genere si possono trovare nei 60s, con band fondamentali come Beatles, Rolling Stones e Kinks, così come nel glam-rock 70s di David Bowie, ma un’influenza enorme l’hanno giocata anche gruppi successivi come Smiths e Stone Roses.
Da queste basi, nel corso degli anni ’90 e a partire dal 1993-94 circa, in tutto il Regno (Unito) c’è stato un enorme fermento musicale e sono salite alla ribalta un sacco di band dal suono pop-rock, che oggi potremmo definire indie-rock, ma che allora chiamavamo Britpop. Tra i primi a ottenere una grande notorietà ci sono stati gli Suede con il loro look androgino e il loro sound glam, ma l’apice della popolarità il genere l’ha toccato con la rivalità epica tra Blur e Oasis, alimentata da sfide a colpi di grandi canzoni e di battibecchi verbali, puntualmente riportati dalle riviste inglesi più cool del periodo, NME e Melody Maker.
Da lì in poi la scena si è ingigantita, sono nate un sacco di band cloni, non solo in Gran Bretagna ma ovunque, persino in Italia, dove c’erano i Lunapop che prendevano in prestito pezzi dagli Ocean Colour Scene, i Super B che scimmiottavano i Blur, Daniele Groff che imitava (malamente) gli Oasis. Qualcuno se li ricorda?
Verso la fine degli anni ’90 l’interesse nei confronti della scena, come per tutte le scene, è scemato, e il Britpop è passato di moda ma ora, a 20 anni di distanza, è tempo di revival. Per fare un tuffo in quel periodo potete dare un’occhiata alla serie My Mad Fat Diary e dare un ascolto alla mia playlist su Spotify, nonché alla mia immancabile Top 10 qui sotto.



Top 10 canzoni Britpop (secondo Pensieri Cannibali)

10. Charlatans “One to Another”



9. Elastica “Connection”



8. Supergrass “Alright”



7. Bluetones “Slight Return”



6. Mansun “Wide Open Space”



5. The Verve “Bittersweet Symphony”



4. Oasis “Live Forever”



3. Pulp “Disco 2000”



2. Blur “The Universal”



1. Suede “Beautiful Ones”

lunedì 18 marzo 2013

DISCO-RSO! DISCO-RSO!

Oggi parliamo di musica, di dischi.
Perché?
Tra Oscar, Festival di Sanremo (il Festival di Sanremo ovviamente non lo considero come vera musica), nuovi film e pu**anate varie, è un argomento che ho un po’ trascurato in questo inizio 2013. Epperò sono usciti parecchi dischi interessanti. Alcuni devo metabolizzarli per bene e non ho ancora capito se mi piacciono o meno, ma comunque avrò modo di tornarci sopra in qualche post futuro.
Altri invece sono riusciti a inquadrarli, all'incirca, e quindi senza indugiare oltre vediamone e ascoltiamone qualcuno. Subito.

My Bloody Valentine “mbv”
C’hanno messo 22 anni, Kevin Shield e compagni, per sfornare un disco nuovo. Non so, se volevano potevano aspettare ancora un po’. Alla faccia del carpe diem, i My Bloody Valentine hanno fatto sospirare parecchio per un seguito all’acclamato Loveless del 1991. La cosa bella del nuovo "mbv" è che non suona come un album troppo meditato, bensì fugge via in maniera naturale. Il risultato è un disco che fa sembrare come se il tempo si fosse fermato, come se questo disco arrivasse dritto dall’inizio degli anni Novanta. Come se i My Bloody Valentine non se ne fossero mai davvero andati e fossero sempre stati accanto a noi. Solo che ce ne eravamo dimenticati.
(voto 8/10)



Foals “Holy Fire”
Holy shit, questo è un gran bel disco.
Il suo unico problema è che la canzone “My Number” è così figa, ma così figa che il resto del pur eccellente menù inserito appare per forza di cose leggermente inferiore. Eppure di altre cose squisite ne sono presenti, eccome, dall’esaltante “Inhaler” all’emotiva “Bad Habit”, dal loro solito math-rock di “Everytime” alla maggiormente atmosferica “Late Night”.
Gran disco nel complesso, ma in particolare “My Number” è troppo il numero più clamoroso sentito quest’anno.
(voto 7,5/10)



Torres “Torres”
Prima inaspettata e piacevole sorpresa dell’anno.
Claudia Durastanti su Indie for bunnies dice che “meriterebbe di diventare il Jagged Little Pill della sua generazione.” A livello commerciale non credo proprio potrà mai avere lo stesso impatto, eppure il disco d’esordio di questa 22enne di Nashville (che a sorpresa non suona musica country!) è di un’intensità emotiva pazzesca.
Mackenzie Scott, in arte Torres. Segnatevi il suo nome. Da non confondere con quello del niño Fernando...
(voto 8+/10)



Joy Formidable “Wolf’s Law”
Un bel disco rock.
Negli anni ’90 avresti detto, con quello scazzo addosso da tipico adolescente nichilista post-nirvaniano: “E allora? Sai quanti ce ne sono…”
Oggi invece ascoltare un bel disco rock è come vedere un bel nuovo film firmato da Spielberg o una tigre siberiana  o, che so io?, un’altra specie di quelle in estinzione.
Una rarità formidabile da assaporare come merce preziosa. Soprattutto in tempi di crisi, del rock e non solo del rock.
(voto 8/10)



Everything Everything “Arc”
Creativi, schizofrenici, a volte geniali (come nel pezzo tossito “Cough Cough”), altre meno. Gli Everything Everything sono uno di quei gruppi che si sono scelti un nome assolutamente azzeccato, un po’ come gli Zero Assoluto. Gli Everything Everything sono Tutto Tutto: un po’ Radiohead, ma più spensierati e cazzari, un po' come i Super Furry Animals dei bei tempi andati, un po' rock, un po' pop, un po' indie. Al loro secondo disco dopo l’interessante Man Alive continuano a convincere più con le singole canzoni che sulla lunga distanza di un intero album. Il potenziale comunque c’è tutto e a loro manca poco per diventare davvero di Tutto Tutto e di più.
(voto 7/10)



"Sono un vero gangsta rapper duro e puro, yo!
Però guardate quanto è tenero questo gattino. Mi si scioglie il cuore..."
A$AP Rocky “LongLiveA$AP”
A$AP Rocky fa parte della Nouvelle Vague dell’hip-hop contemporaneo americano, insieme ad altri illuminati come Tyler The Creator, Kendrick Lamar e Drake. Un misto tra atteggiamenti gangsta che appartenevano al rap degli anni ’90 e una maggiore apertura mentale, lyrics più intimiste e profonde ma senza privarsi di una marea di parolacce da bollino Parental Advisory Explicit Content assicurato.
A livello musicale, nel calderone ASAP ci butta dentro di tutto, tra aperture all’elettronica e al pop, al suono dubstep (il trip assoluto di "Wild for the Night" con Skrillex) e pure alla musica indie ("Hell" con Santigold), in quello che appare fin da subito il disco hip-hop in senso lato più completo ed esaltante dell’anno.
Lunga vita ad A$AP Rocky.
(voto 7,5/10)



Suede “Bloodsports”
Gli anni ’90 stanno tornando. I segnali sono nell’aria. I Blur che ritornano a suonare insieme, sebbene per un loro nuovo disco vero e proprio ci sarà ancora da sospirare parecchio. I My Bloody Valentine che invece un nuovo disco l’hanno tirato fuori (vedi sopra). La grande serie UK My Mad Fat Diary, ambientata nell’epoca d’oro del britpop…
E ora, sempre a proposito di britpop, c’è da aggiungere anche il ritorno degli Suede. Un bel ritorno. Non un ritorno stellare, però un bel ritorno. Dopo la spenta parentesi acusticheggiante del loro ultimo album A New Morning, che risale al 2002, le chitarre ritornano a suonare come ai cari vecchi tempi e le canzoni, seppure non storiche come quelle dei 90s, sono piuttosto valide. Gli Suede, che una volta avevano come manager l’oggi comico Ricky Gervais (!), stanno bene, sono in forma, e confermano l’impressione iniziale: gli anni ’90 stanno tornando.
(voto 6,5/10)



Phoenix “Bankrupt!”
Pop. Leggero. Scanzonato. Frizzante.
I francesi Phoenix capitanati non da Joaquin Phoenix bensì da Thomas Mars, il maritino di Sofia Coppola, con questo nuovo album sembrano voler recuperare il sound del fenomenale album d’esordio United, senza dimenticare le loro ultime cose che li hanno resi uno dei gruppi indie più cool del mondo, più qualche suono 80s e nuove influenze dal forte sapore orientale. Alcuni pezzi sono più riusciti (pretendo che “Drakkar Noir” diventi il prossimo singolo) e altri meno, ma nel complesso il disco funziona alla grande per un ascolto spensierato. Anche perché, alla fine dei conti, è solo entertainment.
Se poi non siete soddisfatti e cercate qualcosa di maggiore spessore:
A) Siete delle persone noiose.
B) Rivolgetevi altrove.
C) Siete delle persone noiose.
(voto 7/10)



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