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venerdì 4 luglio 2014

BIG WEDDING, UN GRAN MATRIMONIO (DI MERDA)





Big Wedding
(USA 2013)
Titolo originale: The Big Wedding
Regia: Justin Zackham
Sceneggiatura: Justin Zackham
Ispirato al film: Mon frère se marie
Cast: Robert De Niro, Diane Keaton, Susan Sarandon, Katherine Heigl, Topher Grace, Amanda Seyfried, Ben Barnes, Ana Ayora, Patricia Rae, Robin Williams, Kyle Bornheimer
Genere: matrimoniale
Se ti piace guarda anche: Tre uomini e una pecora, Ancora tu!, (S)ex list, Last Vegas


BIG WEDDING
Il matrimonio dell’anno si sta per celebrare tra la giovane di buona famiglia Missy (Amanda Seyfried) e il giovane latino americano adottato da una buona famiglia Alejandro (Ben Barnes). E non sarà un matrimonio solo, bensì a sorpresa diventeranno delle doppie nozze. Wow!


BIG CAST
Per l'occasione è stato messo insieme un gruppo di attori fenomenale che vanta i premi Oscar Robert De Niro, Diane Keaton, Susan Sarandon e Robin Williams, più giovani attori lanciatissimi a Hollywood come Katherine Heigl, Amanda Seyfried, Topher Grace e Ben Barnes.


BIG WEDDING + BIG CAST = BIG MOVIE???

No.
Col cazzo.
Big Wedding è un film di merda e scusate le volgarità, ma questo è un film volgare.
Prima che pensiate che il difetto della pellicola sia questo lo specifico: a me la comicità volgare piace. Quando fa ridere. Quando non fa ridere, come nel caso di questa commediola che vorrebbe essere trasgressiva e politically incorrect, diventa solo triste.
Così com’è triste lo sguardo di Robert De Niro, un’anima in pena che vaga tra una scenetta che sembra uscita da un American Pie della terza età e l’altra. Per tutta la durata del film, il povero De Niro si guarda intorno come a scusarsi con gli spettatori per quello che sta facendo, per il ruolo ridicolo del vecchio arrapato che gli hanno cucito addosso. Lui, l’uomo che ci ha offerto alcune delle intepretazioni più memorabili e pazzesche della Storia del Cinema, caduto tanto in basso. Stesso discorso per Diane Keaton, Susan Sarandon e Robin Williams, loro più attapirati che arrapati come De Niro, ma anche loro con addosso lo stesso sguardo che suggerisce agli spettatori: “Scusate tanto, ma pure noi teniamo un mutuo da pagare”.

"M'è venuta una tremenda voglia di piangere, chissà perché?"

"Che hai tanto da ridere, Topher Grace?"
"Stavo solo pensando alla brutta fine fatta dalla tua promettente carriera, Kat."
"Io almeno ce l'ho avuta, una promettente carriera..."
A essere coinvolta in questa disastrosa farsa è anche la parte ggiovane del cast. Katherine Heigl, che ormai non è più manco tanto ggiovane, fino appena a una manciata di anni fa era la fidanzatina d’America e, grazie a una serie di romcom come Molto incinta, 27 volte in bianco e La dura verità sembrava destinata a diventare la nuova Julia Roberts barra la nuova Meg Ryan. Poi non ne ha più azzeccata mezza. O meglio, ha azzeccato solo un floppone in pieno dietro l’altro. Ancora più anonimi di una Katherine Heigl in prematura fase calante sono l’ex star della serie That ‘70s Show Topher Grace, una come al solito inutile Amanda Seyfried e il britannico Ben Barnes, spacciato per colombiano con un po’ di autoabbronzante spalmato sulla faccia. Prendere un attore latino americano VERO sarebbe stato troppo semplice?

Se il cast appare intristito, il “merito” oltre che di una regia inesistente è di una sceneggiatura agghiacciante. Non tanto per la trama, che è un po’ la solita da commedia matrimoniale sciocca, con Robert De Niro e Diane Keaton che sono divorziati ma per un weekend devono fingere di stare ancora insieme per fare un favore al loro figlio adottivo che si sta per sposare e la cui madre biologica è una bigotta colombiana che non concepisce il divorzio. Una vicenda da tipica farsa degli equivoci così originale che gli americani non sono nemmeno riusciti a partorirla da soli. Big Wedding è infatti il remake della pellicola franco-svizzera del 2006 Mon frère se marie. Strano che non abbiano rubata l’idea a un film italiano, visto che la maggior parte delle nostre commedie sono giocate su trame simili.
Non solo la storiella è banale e scontatissima. Il problema del film come detto è che non fa ridere. Le battute sono terrificanti. Al punto che, dopo il disastroso inizio, si comincia a entrare nella mentalità delle pellicola e si ride da quanto il film non faccia ridere. Il risultato è qualcosa di talmente tragicomico che, grazie anche alla sua breve durata, non fai nemmeno in tempo ad annoiarti troppo guardandolo e alla fine, mentre scorrono i provvidenziali titoli di coda, ti chiedi: “Ma ho riso col film, oppure ho riso del film?”.
(voto 4/10)

domenica 28 aprile 2013

LA REGOLA DEL SILENZIO NON SBAGLIA MAI


La regola del silenzio
(USA 2012)
Titolo originale: The Company You Keep
Regia: Robert Redford
Sceneggiatura: Lem Dobbs
Tratto dal romanzo: La regola del silenzio di Neil Gordon
Cast: Shia LaBeouf, Robert Redford, Susan Sarandon, Anna Kendrick, Brit Marling, Julie Christie, Nick Nolte, Terrence Howard, Chris Cooper, Stanley Tucci, Brendan Gleeson, Richard Jenkins, Jackie Evancho, Sam Elliott
Genere: thriller politico
Se ti piace guarda anche: Il debito, Leoni per agnelli, La donna che canta, La chiave di Sara

La regola del silenzio non sbaglia mai. Se sei amico di una spia in galera finirai. E comunque chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando muore va laggiù, va laggiù da quel folletto che si chiama diavoletto. Meglio quindi tenere la bocca chiusa e restare lontani dallo sguardo di occhi indiscreti.

Robert Redford dopo l’intrigante Leoni per agnelli torna in duplice veste regista/attore con una nuova pellicola dal forte sapore politico. Il regista va infatti a ritirare fuori il tema delle proteste contro la guerra nel Vietnam degli anni Settanta. Gli anni di piombo americani, se così vogliamo chiamarli in maniera impropria ma forse è meglio di no e quindi me lo ritiro che poi se no qualcuno magari si offende. Il passato che riemerge nel presente, in ogni caso, come in tutto un filotto di pellicole recenti da La chiave di Sara a Il debito, passando per gli ottimi Valzer con Bashir e La donna che canta.
Per di più, La regola del silenzio è anche un thriller. Un thiller politico dalle buone premesse che però si materializza in un nulla di fatto. Il classico nulla di fatto. La pellicola è diretta con mano solida dal Sundance Kid Robert Redford, qui molto poco Sundance, è recitata abbastanza bene dallo stesso Redford e da uno Shia LaBeouf che inserisce un altro metro abbondante di distanza tra sé e la saga fracassona di Transformers. Meno spazio invece per l’ottima parte femminile del cast, con ruoli troppo minuscoli per le sottoutilizzate Anna Kendrick, Susan Sarandon e Brit Marling. Comunque si tratta di un cast di quelli davvero notevoli, che comprende pure Terrence Howard, Stanley Tucci, Richard Jenkins, Chris Cooper, Julie Christie, Brendan Gleeson e un sempre più ciccionissimo Nick Nolte.

Una confezione di facciata messa su con notevole professionalità che garantisce una pellicola vedibile. Purtoppo, niente più di questo. La parte thriller infatti non riesce a catturare, ad avvincere, a portarti con sé dentro la sua ragnatela di personaggi. A livello umano, questi personaggi sono ben costruiti fino a un certo punto, poi anche loro quando dovrebbero darti la mazzata e farti provare un moto di empatia emotiva non ce la fanno. Laddove il film fallisce maggiormente nei suoi intenti è però soprattutto nella parte politica. Quello di Robert Redford vorrebbe essere un film controcorrente? Vuole mettere in discussione la politica degli Stati Uniti, il capitalismo, farsi portavoce dei rivoluzionari? Vorrebbe sollevare dubbi sullo ieri e sull’oggi?
Nelle sue intenzioni, può darsi. Peccato che gli unici dubbi che riesce davvero a sollevare nello spettatore sia sulla sua reale utilità. Come intrattenimento funziona anche, sebbene proprio ai minimi livelli, non annoia troppo, è tutto ben fatto. È anche però un film senza coraggio, senza forza, senza voce, che si dimentica subito, che lascia poco o niente, in cui si intravedono le buone intenzioni dell’autore ma che non riesce davvero a provocare una riflessione, come invece capitava con il precedente Leoni per agnelli.
Robert Redford, sarai mica stato troppo agnello, questa volta?
(voto 6-/10)

"Hey, ma dove diavolo è finito il resto della recensione?"

"Magari l'hanno pubblicata sul giornale... No, non c'è..."

"Lo confesso, ci sono io dietro gli attentati di Boston e Palazzo Chigi,
ma della scomparsa della recensione cannibale non ne so niente!"

"E tu l'hai vista, la recensione cannibale?"
"Ma che è? Se magna?"

"Bambina di cui non ricordo il nome, tu lo sai dov'è finita la recensione?"
"Ma papà, io non so manco leggere..."



lunedì 22 aprile 2013

LE STREGHE DI JACK NICHOLSON


"Cannibal Kid esperto di cinema?
AAAH AAAH AAAAAAH!"
Il fascino del maligno. Ecco qual è l’arma segreta di Jack Nicholson. Vabbè, segreta ormai mica più tanto…
Jack Nicholson ha lo sguardo del pazzo, del maniaco, di quello che a un certo punto potrebbe fare qualcosa di del tutto inaspettato. Il ghigno da malato di mente è il suo pezzo forte, il suo cavallo di battaglia, quello che l’ha portato a interpretazioni memorabili, da Qualcuno volò sul nido del cuculo a Shining, da Le streghe di Eastwick al Joker di Batman. Contemporaneamente, è anche il suo principale limite ed è ciò che ha rischiato di incasellarlo e intrappolarlo in ruoli troppo simili. Un pericolo scongiurato solo in parte, ma comunque quella di Jack Nicholson è una carriera strepitosa, ricca di cult movies e pellicole importanti, oltre ai sopra citati menziono anche Easy Rider, Chinatown, Professione: Reporter, Il postino suona sempre due volte, Voglia di tenerezza, Mars Attack! e poi Qualcosa è cambiato, in cui è un adorabile cinico figlio di pu… buona donna, in pratica una delle parti in cui l’ho amato di più.
Negli ultimi anni si è concesso con grande parsimonia, e secondo me fa bene, anziché accettare qualunque roba gli venga proposta come ad esempio, tanto per non fare nomi, Robert De Niro. E ha dimostrato di saper fare ridere alla grande, con il sottovalutato Terapia d’urto a fianco di Adam Sandler, e di avere ancora un carisma come pochi altri colleghi in The Departed.

Jack Nicholson è un attore che mi è sempre piaciuto parecchio e paradossalmente, ma forse nemmeno troppo, l’ho amato soprattutto da ragazzino. Se gli altri bambini erano in fissa con i supereroi, io da bravo Megamind preferivo i cattivi come il suo Joker, benché un paio di decenni dopo Heath Ledger sarebbe riuscito a fare ancora di meglio, portando il personaggio su un altro livello. Sono poi stati cult malati della mia infanzia soprattutto due suoi ruoli: Jack Torrance di Shining, il volto che più ha segnato la fine della mia innocenza, Bob di Twin Peaks a parte, e poi Daryl Van Horne di Le streghe di Eastwick, la pellicola con cui ho scelto di celebrare questo Jack Nicholson Day, che si festeggia oggi in occasione del suo 76esimo compleanno.
Buon compleanno Jack, e grazie per aver abbattuto per sempre la mia infanzia a colpi di ascia.

Le streghe di Eastwick
(USA 1987)
Titolo originale: The Witches of Eastwick
Regia: George Miller
Sceneggiatura: Michael Cristofer
Ispirato al romanzo: Le streghe di Eastwick di John Updike
Cast: Jack Nicholson, Cher, Susan Sarandon, Michelle Pfeiffer, Veronica Cartwright, Richard Jenkins, Keith Jochim, Carel Struycken
Genere: satanista
Se ti piace guarda anche: La morte ti fa bella, She-Devil - Lei, il diavolo, Sospesi nel tempo, Streghe, Eastwick

Ormai l’ho capito a cosa servono queste celebrazioni degli attori che il gruppo di blogger cinefili di cui faccio parte organizza ogni mese: a far sbiadire l’aura di magia di alcuni cult della mia infanzia/adolescenza. Se il mese scorso per il Bruce Willis Day recuperavo Trappola di cristallo, che non mi faceva più l’effetto adrenalinico di un tempo, qualcosa di analogo è successo anche questa volta con Le streghe di Eastwick. Un film super anni Ottanta che da bambino era per me un autentico cult. Mi sembrava qualcosa di fighissimo, estremo, coraggioso, dark, inquietante e persino satanista. Tutte cose che è ancora oggi, in qualche parte, però in maniera minore. Il tutto appare un po’ troppo kitsch, non privo di un suo sinistro fascino, eppure anche irrimediabilmente sorpassato. Alcune situazioni appaiono assurde e prive di una spiegazione persino all’interno di un contesto fantasy e i personaggi sono dipinti in maniera approssimativa e superficiale. Come intrattenimento, comunque, Le streghe di Eastwick sanno ancora ammaliare.

"Il bunga bunga? L'ho inventato io!"
Le streghe di Eastwick fa parte di quelle commedie un po’ fantasy, un po’ grottesche, un po’ (molto poco) horror, condite da una notevole dose di humour nero in cui rientrano altri semi-cult del periodo come La morte ti fa bella o She-Devil – Lei, il diavolo. Pellicole che flirtano con il lato oscuro, con il maligno, con il peccato e lo fanno in una maniera piacevolmente fuori dal politically correct in cui sono finite molte pellicole hollywoodiane odierne. Sono film che non si fanno troppi problemi a usare un linguaggio volgare ed esplicito più difficile da trovare oggi nelle produzioni mainstream. Allo stesso tempo sono film che a livello di scrittura mostrano qualche limite in una eccesiva esemplificazione e stereotipizzazione dei personaggi, però anche questo è il loro bello.

"Attento a quello che dici su di noi, Cannibale!"
Le tre protagoniste del film sono una perfetta rappresentazione di ciò: la bionda, la mora e la rossa, ognuna rappresentante di una categoria di donna diversa, manco fossimo in una puntata dei futuri Sex and the City e Desperate Housewives. C’è la bionda mamma chioccia (Michelle Pfeiffer), la mora più indipendente e libertina interpratata da Cher e la rossa precisina e musicista secchiona che invece non può avere figli (Susan Sarandon), una anticipatrice della Bree Van de Kamp delle citate Desperate.

Ho fatto riferimento a due celebri telefilms e non è che l’ho fatto a caso. Spesso dico cose a caso, ma non è questo il caso. Non posso infatti sostenere che Le streghe di Eastwick abbia cambiato la storia del cinema, però a livello televisivo l’ha sua buona influenza ce l’ha avuta. Sono infatti parecchie le serie che negli anni successivi avrebbero mescolato la componente fantasy e inquietante con le storie romantiche con un gusto non troppo distante da quello del film, da Streghe fino a Eastwick, serie tv ispirata proprio alla pellicola che però ha avuto vita breve. Il difetto di quella serie? Io ho visto solo le primissime puntate, credo di essere arrivato al massimo alla seconda, e le protagoniste femminili funzionavano anche. Il problema era però un altro: Jack Nicholson è insostituibile. A meno che non sei Heath Ledger e ti inventi un Joker personale tutto tuo in grado di stravolgere le regole tradizionali dei film di supereroi. Ma questa è un’altra storia. Nella serie tv Eastwick il protagonista maschile era tale Paul Gross chiiiiiiiii? che, inutile dirlo, non reggeva la parte. C’è poco da fare, il personaggio del luciferino Daryl Van Horne sembra essere scritto apposta per lui, il nostro eroe di giornata: Jack Nicholson. Per lui e per quel suo sguardo da satanasso assatanato.

"Perché tutti quelli che incontro mi suggeriscono di farmi una doccia?"
Le tre desperate housewives divorziate Pfeiffer, Sarandon e Cher, non sapendo che altro fare, si inventano un uomo di fantasia. Le tre aspiranti streghette lo pensano tutt’e tre così intensamente che questi si materializza. E chi è?
In altri tempi, cioè oggi, sarebbe potuto essere un Ryan Gosling o, ancor meglio, un Michael Fassbender. Nel 1987 la fantasia sessuale che si materializzava era invece Jack Nicholson. Non un bellone, ma un uomo con quel fascino del maligno di cui parlavo in apertura.
Jack Nicholson rappresenta un ideale di uomo diverso per ognuna delle tre donne che riesce a conquistare con un solo appuntamento. Se fosse un concorrente di Uomini e Donne, sarebbe il migliore tronista della Storia, altroché Costantino Vitagliano. La prima parte della pellicola scorre così, con tre appuntamenti che sembrano tre “esterne” del programma di Maria de Filippi, solo più malate e fantasy.
No, mi correggo: meno malate e fantasy delle esterne medie di Uomini e Donne.
La sceneggiatura è molto basic ed elementare, quanto allo stesso tempo funzionale. Alla prima parte in cui vengono presentate le tre donne al cospetto di Jack Nicholson il seduttore, si procede quindi a una parte in cui assistiamo al crescendo di malignità di Jack Nicholson il satanasso, a cui le tre donne risponderanno per le rime nella conclusione. Peccato per una sequenza finale buttata lì in maniera un po’ stupidotta e che non convince per nulla.

Le streghe di Eastwick resta un mio piccolo cult personale, sebbene ormai legato più che altro all’infanzia. Va notato però che se anziché un regista come George Miller, uno che nella sua carriera è passato da Interceptor a Happy Feet, ci fosse stato al comando un Tim Burton, e intendo il migliore Tim Burton, ne sarebbe potuto uscire anche un vero capolavoro, o quasi. Resta “solo” una commedia dark tanto ma tanto Ottanta ma ancora oggi godibile, con un tema musicale firmato dall’amichetto di Spielberg John Williams di quelli che restano in testa, una piccola parte per Carel Struycken, futuro gigante di Twin Peaks e futuro Lerch della Famiglia Addams, un’inquietantissima Veronica Cartwright che sembra posseduta da Satana per davvero, tre protagoniste femminili che, benché non mi abbiano mai esaltato del tutto, qui sono all’apice della loro forma recitativa e fisica e soprattutto lui lui lui. Jack Nicholson. Jack Nicholson e quella sua magnifica faccia da pazzo.
(voto 7+/10)

Partecipano al Jack Nicholson Day anche i seguenti (quasi tutti) magnifici blog:

mercoledì 20 marzo 2013

LA FRODE BAGGINS

La frode
(USA 2012)
Titolo originale: Arbitrage
Regia: Nicholas Jarecki
Sceneggiatura: Nicholas Jarecki
Cast: Richard Gere, Tim Roth, Susan Sarandon, Laetitia Casta, Brit Marling, Nate Parker, Monica Raymund
Genere: finanziario
Se ti piace guarda anche: Wall Street, Wall Street 2, Margin Call

C’è crisi dappertutto, dappertutto c’è crisi. Lo cantava Bugo già nel 2008 e da allora la situazione non ha fatto che peggiorare. Quando c’è crisi però, c’è anche qualcuno che riesce ad approfittarne. Le compagnie di volo, di abiti o di qualunque cosa low-cost, ad esempio. Negli ultimi tempi, pure il cinema sta cercando di sfruttare la crisi a suo vantaggio. Opera di sciacallaggio?
Potete chiamarla così, se volete, altrimenti potete anche definirlo cinema d’attualità. Cinema che cerca di riflettere sul mondo di oggi e sulla delicata condizione economica del presente. In questo filone si sono inserite pellicole troppo tecniche e noiose, il documentario premio Oscar Inside Job, così come opere di grande cinema vero e proprio, come il notevole Margin Call, in grado di spiegare i reali motivi della crisi economica come se parlasse a un bambino o a un golden retriever, attraverso un affascinante e thriller tutto in una notte.

"Grazie per questo premio di merda.
Io in ogni caso avrei preferito un Oscar o almeno un Golden Globe..."
La frode (titolo originale Arbitrage) prosegue per fortuna nella direzione di Margin Call, preferendo concentrarsi sulle vicende umane e avvicinandosi a territori thriller, piuttosto che andarsi a impelagare in questioni troppo economiche. Per sua sfortuna invece non riesce a raggiungere i livelli di Margin Call, ma d’altra parte quella sarebbe risultata un’impresa ardua per chiunque.
Pur senza la capacità di analizzare e indagare il presente come il sopracitato sopraesaltato Margin Call, La frode non si rivela nemmeno una frode di pellicola e qualche bella cartuccia da sparare ce l’ha.
Per prima cosa, a sorpresa Richard Gere sfodera una delle sue migliori interpretazioni da anni, forse decenni a questa parte. Niente per cui gridare al miracolo, o forse sì, perso com’era negli ultimi tempi tra filmetti di basso livello. Fatto sta che quello dei “vecchietti alla riscossa” sembra essere il nuovo trend del momento. Potrebbe anche diventare un trend topic su Twitter: #vecchiettiallariscossa, se solo i vecchietti sapessero usare Twitter, anzi se solo sapessero cos’è Twitter.
David Bowie, Robert De Niro, Richard Gere… Tutti di recente ritornati in splendida forma. Che i 60 siano i nuovi 20?

"Grazie per avermi chiamato per una consulenza, Richard."
"Sono stato costretto. Ghedini era già troppo impegnato."
Richard Gere è un 60enne a capo di un impero finanziario, è sulla copertina di Forbes, ha per figlia e partner d’affari Brit Marling (l’attrice/sceneggiatrice degli ottimi Another Earth e Sound of My Voice), è sposato con Susan Sarandon e come amante si bomba Laetitia Casta. Non ho mica detto Veronica Lario e Antonia Ruggiero. Insomma, se la passa proprio bene. Nella vita reale probabilmente se la passa bene pure Richard Gere il vero Richard Gere, comunque in questa sede mi riferisco al suo personaggio nel film, Robert Miller. Come si suol dire, però, non è tutto oro quel che luccica. Il Gere è infatti indagato per frode fiscale e poi finisce invischiato anche in un’altra brutta vicenda giudiziaria…
Vi ricordano per caso le disavventure di un famigerato imprenditore italiano?
A me fa pensare anche a una sorta di Patrick Bateman, un American Psycho che è invecchiato, ha messo su famiglia, ha smesso con gli omicidi e si è dedicato ad altri crimini, nell’ambito dell’alta finanza. Non a caso, il regista e sceneggiatore del film è l’esordiente Nicholas Jarecki, che già aveva lavorato allo script di The Informers - Vite oltre il limite, pellicola tratta dalla raccolta di racconti Acqua dal sole. Anche in questo film, è presente qualcosa di Bret Easton Ellis. Uno sguardo simile, solo meno ironico e cattivo, cosa che impedisce a La frode di fare il vero salto di qualità.
Come altro diffettuccio, la pellicola gioca sul campo del thriller finanziario, ma con ritmi troppo rilassati per essere considerabile un thriller davvero teso. La frode è in compenso un film impreziosito da una gradevole e variegata colonna sonora (con Grimes, Bjork, You Say Party e Billie Holiday) e che ci presenta attraverso il suo protagonista una serie di riflessioni magari non del tutto sorprendenti eppure interessanti sulla persistente crisi economica degli ultimi anni.

"Ma perché stai insieme a Stefano Accorsi, Laetitia?"
"Non lo so Richard, ueeè. Non lo so."
ATTENZIONE SPOILER
Robert Miller/Richard Gere ha un incidente stradale mentre si trova in auto con l’amante Laetitia Casta. No, non gli stava facendo un soffocone, ha avuto un semplice colpo di sonno. Dopo tutto è pur sempre un sessantenne e la poco casta Casta l’aveva già strapazzato per benino prima. Nell’incidente, la Casta muore e Robert/Richard scappa via, chiamando per farsi aiutare un tizio di colore che era in debito con lui, per via dello stretto legame che aveva con suo padre.
In questa scena possiamo intravedere le cause della crisi economica: gli uomini ricchi e potenti fanno un danno, se ne lavano le mani, e lasciano i più poveri e deboli nella merda. La cosa importante è che loro ne escano puliti. Proprio quanto succede in questo film, così come in maniera analoga vanno le cose anche in Wall Street 2 con quell'altro yuppie invecchiato di Michael Douglas/Gordon Gekko. Entrambe le pellicole si risolvono con degli happy ending. Sicuri sicuri si trattino di happy ending?
Per i protagonisti sicuramente, ma nel farla franca dei soliti ricchi e potenti possiamo più che altro avere uno sguardo cinico e disilluso sul crudele mondo in cui viviamo. Il mondo dei Robert Miller, dei Gordon Gekko, dei Silvio Berlusconi e degli altri furbetti di turno. Gli happy ending esistono nella vita? Sì, ma forse solo per loro.
(voto 6,5/10)

Post pubblicato anche su The Movie Shelter.



mercoledì 16 gennaio 2013

PER ME CLOUD ATLAS… E’ UNA CLOUDATLA PAZZESCA!

"Stupido è, chi il cannibale fa!"
Cloud Atlas
(Germania, USA, Hong Kong, Singapore 2012)
Regia: Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski
Tratto dal romanzo: Cloud Atlas di David Mitchell
Cast: Tom Hanks, Halle Berry, Ben Whishaw, Jim Sturgess, Jim Broadbent, Hugo Weaving, Doona Bae, James D’Arcy, Keith David, Hugh Grant, Susan Sarandon
Genere: new-age da discount
Se ti piace guarda anche: Touch, Southland Tales, Sette anime, Babel

La prima recensione cannibale di un film uscito nelle sale italiane nel 2013 è dedicata a uno dei titoli fin da subito più controversi dell’anno. Osannato (inspiegabilmente) da alcuni, eletto (giustamente) peggior pellicola dell’anno da Time Magazine, davanti persino ad altra robaccia come John Carter, La leggenda del cacciatore di vampiri e Che cosa aspettarsi quando si aspetta.
Di cosa sto parlando?
Parlo di Cloud Atlas, il nuovo parto mistico dei fratelli Wachowski, Larry e Andy…
Come?
Lana e Andy, volevo dire. A quanto pare, la transizione è stata completata e Larry è ormai a tutti gli effetti una Lana. Come Lana Del Rey.
Insomma, non proprio…

Lana Wachowski è quella a destra.
Quello a sinistra, a sorpresa, NON è Platinette senza trucco e parrucco, ma è Andy Wachowski.

"Non capisco perché la gente continua a darci delle monetine.
Eppure abbiamo tirato fuori gli abiti del giorno di festa..."
Non è però solo il nuovo film di fratello e sorella Wachowski, gli autori della saga di Matrix. È anche il nuovo film del tedesco Tom Tykwer, uno che con il film videogame del 1998 Lola Corre mi aveva impressionato positivamente, anche se poi l’avevo perso di vista. Fosse uscito a fine anni ’90, questo film a 6 mani sarebbe insomma stata la cosa più attesa nella storia del cinema. Dopo che Tykwer è un po’ (un po’ tanto) passato di moda, e dopo che i Wachowski hanno realizzato i due pessimi sequel di Matrix e il non certo indimenticabile film videogame Speed Racer, le aspettative nei loro confronti si sono abbassate notevolmente.
Questa jam session di sopravvissuti agli anni ‘90 sulla carta mi incuriosiva comunque parecchio, ancor più perché il trio (non Medusa) si trovava alle prese con un libro bestseller cult come L’atlante delle nuvole di David Mitchell, che non ho letto e che, dopo aver visto il film, non ho la minima intenzione di recuperare.

Bravi tutti, quindi, applausi per le intenzioni. I complimenti a questo progetto però finiscono qui. Mi spiace Lana, Andy e Tom. Non ci posso fare niente. O forse sì. Forse è colpa mia che non ho le capacità mentali di comprendere un’Opera tanto complessa e articolata. Però per me la locandina di Cloud Atlas andrebbe messa nel dizionario al fianco del termine “epic fail”.
Cosa vuol dire “epic fail”?
Guardate Cloud Atlas e lo capirete.

La trama del film? Volete sapere la trama del film? Volete vedermi morto? Volete davvero che finisca cadavere?
Probabilmente sì. Almeno i fan hardcore di questa pellicola che, insieme agli sberleffi della critica, sta contemporaneamente suscitando consensi più di tipo religioso che di tipo cinematografico. Mi sa che a parlare male di Cloud Atlas si rischia più di criticare Scientology o i One Direction, ma correrò il rischio.

"Tutto è connesso una sega! Io scrivo ancora con la macchina da scrivere
e manco so cos'è una connessione internet..."
La trama del film in ogni caso ve la potete recuperare su Wikipedia o su qualche sito cinematografico che ha avuto la (Santa) pazienza di trascriverla. A me è venuto già un gran mal di testa a vedermi tutto il film, quindi non ho intenzione di rifarmelo venire riportandola qui in questa (Santa) sede. Vi accenno solo che sono 6 storie intrecciate.
Credo non ci sia niente di più rischioso di un film corale con storie intrecciate. Il risultato può infatti essere qualcosa di grandioso e assoluto, come Magnolia di Paul Thomas Dio Anderson, oppure come il pessimo To Rome With Love di Woody Allen.
Ora, non dico che qui siamo ai livelli del secondo, anche se quasi quasi…, però di certo non siamo neanche lontanamente ai livelli del primo.
Lana, Andy e Tom, magari sono io che sono scemo, niente di più probabile, però in un film come Magnolia le varie vicende avevano un senso le une intrecciate alle altre. Non avrò colto il senso io, o forse le storie del vostro film sono davvero intrecciate casualmente tra loro, anche se alla fine fate finta che tutte siano collegatissime. Cosa che in realtà non è, ma a qualcuno potrebbe sembrare. D’altra parte, se racconti 6 storie e le metti insieme, ci sarà sempre qualcuno che proverà a coglierne temi comuni e punti di contatto anche dove non ci sono.
Voi intanto rivedetevi Magnolia, e poi ne riparliamo su come si fa un film corale davvero degno di nota. Oppure rivedetevi un qualunque film di Inarritu sceneggiato da Guillermo Arriaga, da Amores Perros a Babel (punto di riferimento neanche troppo velato di questo), giusto per capire come si faccia una pellicola in cui le storie sono realmente connesse tra loro.
“Tutto è connesso” recita la frase di lancio. Vero. Tutto è connesso, tranne le storie di questo film. In Cloud Atlas, il risultato di una serie di intrecci del tutto improbabile è piuttosto qualcosa di simile a questo mini-film Movie: The Movie, proposto al Jimmy Kimmel Show.



Un problema del film, non da poco, è quindi quello di presentare un incrocio di storie assurdo e che fin dopo pochi minuti dà l’impressione di non sapere più che pesci pigliare. Fosse solo questo, si potrebbe ancora chiudere un occhio. 6 storie di epoche e generi del tutto diversi tra loro non sono facili da coniugare, quindi il fallimento era già preventivabile. Soprattutto quando hai 3 registi diversi e ognuno ha una sua idea su come girare una scena o montare insieme il tutto. Tanto per citare un altro cult di fine anni ’90, magari non ai livelli di Lola Corre e Matrix ma a suo modo comunque cult, ovvero Sex Crimes: “Due sono una coppia, tre è una folla”.
Volete un consiglio? Risparmiatevi 3 ore di pillole new-age da discount fornite da Cloud Atlas e riguardatevi Sex Crimes, che non è certo un capolavoro cinematografico, neanche lontanamente, anche se al confronto di CA lo potrebbe sembrare, ma ha i suoi buoni motivi per essere visto. E capire quali siano è più facile di provare a comprendere il senso della vita riflesso dentro Cloud Atlas.



"Che paura! Era dai tempi di Avatar che non vedevo Cannibal
tanto infuriato contro un film!"
Prima di questa piacevole parentesi e prima di perdermi proprio come fa il film stesso, stavo dicendo che il problema non è solo nell’intreccio che sembra una versione meno riuscita della già poco esaltante serie tv Touch, quella con Kiefer Sutherland. L’altro grande problema è che le 6 storie, anche prese singolarmente, non coinvolgono. Non vanno da nessuna parte.
Giusto per farci lo sbattone, vediamo nel dettaglio quali sono:

Il Viaggio nel Pacifico di Adam Ewing (1839): un Jim Sturgess mai così spento è il protagonista di una vicenda a sfondo razziale banalotta. Vogliamo mettere con The Help, tanto per dire?

"Ho stampato la trama del film per leggermela bene, sprecando un sacco
di cartucce di inchiostro alla faccia della crisi, e alla fine è vero.
Ha ragione Cannibal: questo film non ha alcun senso!"
Lettere da Zedelghem (1936): è la vicenda più interessante tra le sei, quella che si concentra su un giovane musicista dandy alle prese con un vecchio compositore. I due insieme realizzano il tema musicale Cloud Atlas, tra l’altro per nulla memorabile ed è un peccato, perché avrebbe potuto fare da collegamento sonoro tra le vicende. La storia parte benino, ma pure questa si perde rapidamente in un bicchiere d’acqua. Bravo comunque Ben Whishaw, il più in forma del cast, un attore molto promettente già visto in Bright Star, Skyfall e nell’ottima serie UK The Hour.

Half-Lives - Il primo caso di Luisa Rey (1972): vicenda pseudo giornalistica incentrata su Halle Berry di talmente scarso interesse che si arriva in fondo cantando halle-lujah.

L'orribile impiccio del Signor Cavendish (2012): questa è la vicenda che parte meglio, con la scena di un irriconoscibile Tom Hanks, scrittore che scaglia un critico giù da un grattacielo. La stessa cosa che vorrebbero fare Lana, Andy e Tom con me. E non posso biasimarli. Buona partenza, ma storia che subito dopo si attorciglia su se stessa, affondando nella noia e diventando un impiccio orribile proprio come tutte le altre.

La Preghiera di Sonmi~451 (2144): vicenda futuristica dai vaghi contorni cyberpunk pure questa dalle premesse interessanti e che poi viene buttata del tutto via. Si rimpiange Matrix, tantissimo. E si rimpiange quasi il già terribile Architetto di Matrix Revolutions, per dire.

"Halle, com'è possibile che non ci abbiano nominato ai Razzie Awards?
Me lo sai spiegare, eh?"
Sloosha's Crossin' e tutto il resto (2321): questo segmento è davvero tragico. Una roba new-age inguardabile e ridicola incentrata soprattutto sui personaggi di Tom Hanks e Halle Berry, due attori sopravvalutatissimi che non mi hanno mai convinto e premiati pure con degli Oscar parecchio immeritati. Beh, quello a Hanks per Philadelphia ci poteva anche stare, ma Forrest Gump insomma e quello alla Berry per Monster’s Ball resta un mistero inspiegabile.
Comunque Cloud Atlas vanterà anche un cast all-star, ma sono tutte star decisamente cadenti. Tom Hanks quanti anni sono che non fa un film decente? Di recente ci ha pure regalato l’orrido L’amore all’improvviso - Larry Crowne in triplice versione regista, attore e sceneggiatore. Halle Berry avrà anche un gran telaio, ma un film decente manco sa cos’è. Susan Sarandon e Hugh Grant pure loro non è che siano proprio all’apice delle rispettive carriere. Jim Broadbent, beh lui all’apice della carriera non lo è mai stato e Jim Sturgess dopo averlo visto in versione orientaleggiante rischia di affondare in maniera irreversibile la sua ascesa al successo.


"Vedi quel puntino lassù? Là è dove noi adepti della setta di Cloud Atlas
abbiamo spedito Cannibal Kid dopo questo post!"
Per cercare di dare un senso al finto incasinato intreccio di storie, i 3 registi hanno avuto l’idea di utilizzare gli attori in più parti. Giusto per rendere il tutto ancora più incasinato, ma più che altro pasticciato. In più, anche a livello visivo siamo lontani dalle invenzioni del passato e i Wachowski hanno realizzato il loro lavoro più mainstream e scontato, "impreziosendolo" con trucco e costumi oltre ogni limite del kitsch e concedendosi giusto qualche momento in slow motion stile bullet time, ma è una cosa che ormai fa pure Guy Ritchie…
Non si può nemmeno dire che la visione di questo scult scivoli piacevole e veloce. Se la prima oretta incuriosisce ancora, perché si cerca di capire dove il film voglia andare a parare, nelle due interminabili ore successive pure questa curiosità scema via via sempre più, tanto che alla fine della visione non ho potuto fare altro che una sola cosa. Oltre a stupirmi di essere ancora sveglio.
La sola cosa che ho potuto fare è stato gridare:
per me Cloud Atlas…
è una cloudatla pazzesca!
(voto 3/10)



Post pubblicato anche su L'OraBlù con una nuova "cloudosa" locandina realizzata da C(h)erotto.


sabato 12 gennaio 2013

RAZZIE VOSTRI

Non è che ci sono solo gli Oscar o i Golden Globe.
Ci sono anche quelli, ma ci sono pure i premi ai peggiori. I più rinomati in questo particolare tipo di premiazioni sono i Razzie Awards, che hanno copiato i miei awards al peggio o forse sono io che ho copiato da loro, chissà?
In ogni caso, qualche giorno fa, ancor prima delle nominations agli Oscar, sono state annunciate le candidature ai Razzie 2013. Un po’ come gli Oscar, va detto che anche i Razzie sono piuttosto conservatori e prevedibili e tendono a nominare sempre gli stessi noti. Pure quest’anno lo scontro sarà quindi tra la saga di Twilight, con l’ultimo capitolo Breaking Dawn Parte 2, e il più recente sforzo di Adam Sandler, già trionfatore l’anno scorso con Jack e Jill, quest'anno in gara con Indovina perché ti odio (That’s My Boy).
Vediamo allora tutte le nomination ai Razzie Awards 2013 (e chissà se Nicolas Cage quest'anno ce la farà finalmente a portarsi a casa il lampone d'oro), seguite poi dalla mia recensione del sopra citato ultimo “capolavoro” adamsandleriano.


RAZZIE AWARDS 2013 NOMINATIONS
"Sento che questo sarà finalmente il mio anno!"
Peggior film
Battleship
Una bugia di troppo
Indovina perché ti odio
The Oogieloves in Big Balloon Adventure
The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2

Peggior regista
Sean Anders - Indovina perché ti odio
Peter Berg - Battleship
Bill Condon - Twilight Breaking Dawn parte 2
Tyler Perry - Good Deeds / Madea's Witness Protection
John Putch - Atlas Shrugged: Part II


Peggior attore
Nicolas Cage - Ghost Rider: Spirito di vendetta / Solo per vendetta
Eddie Murphy - Una bugia di troppo
Robert Pattinson - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2
Tyler Perry - Alex Cross / Good Deeds
Adam Sandler - Indovina perché ti odio


Peggior attrice
Katherine Heigl - One for the Money
Milla Jovovich - Resident Evil: Retribution
Tyler Perry - Madea's Witness Protection
Kristen Stewart - Twilight Breaking Dawn parte 2/ Biancaneve e il cacciatore
Barbra Streisand - The Guilt Trip

"Hey tu, mi sai dire perché diavolo non sono stato nominato anche per Taken 2?"

Peggior attore non protagonista
David Hasselhoff - Pirannha 3DD
Taylor Lautner - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2
Liam Neeson - Battleship / La furia dei Titani
Nick Swardson - Indovina perché ti odio
Vanilla Ice - Indovina perché ti odio


Peggior attrice non protagonista
Jessica Biel - Quello che so sull'amore / Total Recall
Brooklyn Decker - Battleship / Che cosa aspettarsi quando si aspetta
Ashley Greene - The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2
Jennifer Lopez - Che cosa aspettarsi quando si aspetta
Rihanna - Battleship

Peggior cast
Battleship
The Oogieloves in Big Balloon Adventure
Indovina perché ti odio
The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2
Madea's Witness Protection

Peggior sceneggiatura
Atlas Shrugged Part II
Battleship
Indovina perché ti odio
Una bugia di troppo
The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2

"Ooh, che tenera. Ha avuto la sua prima nomination ai Razzie Awards.
Queste sì che sono soddisfazioni per un genitore!"
Peggior Remake, Rip-Off, o Sequel
Ghost Rider: Spirito di vendetta
Pirannha 3DD
Alba Rossa
The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2
Madea's Witness Protection

Peggior coppia
Qualsiasi abbinamento degli attori di “Jersey Shore”, “The Three Stooges”
Mackenzie Foy e Taylor Lautner, “Twilight Saga: Breaking Dawn - Part 2”
Robert Pattinson e Kristen Stewart, “Twilight Saga: Breaking Dawn - Part 2”
Tyler Perry e il suo “Drag Get-Up”, “Madea’s Witness Protection”
Adam Sandler e Leighton Meester/Andy Samberg/Susan Sarandon, “That’s My Boy”


"Vincere ai Razzie? Troppo facile, caro Nicolas Cage, troppo facile!"
Indovina perché ti odio
(USA 2012)
Titolo originale: That’s My Boy
Regia: Sean Anders
Cast: Adam Sandler, Andy Samberg, Leighton Meester, Vanilla Ice, James Caan, Milo Ventimiglia, Nick Swardson, Ciara, Will Forte, Eva Amurri Martino, Susan Sarandon, Justin Weaver, Ian Ziering, Alan Thicke
Genere: adamsandlerata
Se ti piace guarda anche: Terapia d’urto, Un weekend da bamboccioni, Jack e Jill e qualunque altro film con Adam Sandler

Quando ti trovi ad avere a che fare con un film che ha per protagonista Adam Sandler, sai già che non puoi aspettarti un filmone. A meno che non sia Ubriaco d’amore, ma in quel caso dietro c’era un certo Paul Thomas Anderson e con lui a quanto pare possono recitare alla grande pure le rane. O a meno che non sia Funny People, riflessione dolceamara di Judd Apatow sul ruolo del comico. Nella maggior parte dei casi, comunque, non puoi aspettarti altro che una gran cagata di film. Se va bene, una cagata divertente. Se va male, una cagata e basta.
Adam Sandler, in parole povere, è un po’ il Christian De Sica del cinema americano e le sue pellicole sono l’equivalente dei cinepanettoni, o qualcosa che ci molto vicino. Anche nel caso di Sandler, così come per i nostrani cinepanettoni, gli affari negli ultimi tempi sono scesi ed entrambi sono un po’ passati di moda.
Dopo i pessimi Un weekend da bamboccioni, Mia moglie per finta e Jack e Jill, che comunque mi sono visto perché oh, non ce la faccio a resistere al richiamo di Sandler anche se so benissimo cosa mi aspetta, questo nuovo Indovina perché ti odio è stato un floppone ancora maggiore nei cinema americani, dove ha incassato intorno ai $35 milioni, la metà del suo budget. Che poi c’è da domandarsi come abbiano speso $70 milioni per girare una roba del genere. Li hanno dati tutti al rapper (rapper???) Vanilla Ice, prestigiosissima (oooooh) guest-star della pellicola?

"Che caldo! Adesso sì che avrei bisogno di un po' di ice ice baby..."
A livello di risate, però, il film segna un leggero miglioramento rispetto alle sue ultime scialbe prove. La recitazione del Sandler resta sempre bassina, per essere generosi, però nel complesso il film si lascia guardare senza troppi problemi a cervello del tutto off e qualche scenetta fa scattare il sorriso, se non proprio lo sbellicamento.
Fantastico l’inizio del film, in cui Sandler nemmeno compare, e dove vediamo la sua versione giovane nel 1984. Il Sandler jr. è un ragazzino delle medie che ha una relazione sessuale con la sua professoressa. Che c’è di male, in questo? Per lui niente. Anzi, realizza la fantasia erotica del 99% degli studenti che hanno avuto nelle vita almeno una prof. trombabile. In questo caso, per di più, è una Eva Amurri oltremodo sexy.
Chi è Eva Amurri?
È la figlia di una celebre attrice, che interpreta Eva Amurri da “vecchia”. Non vi spoilero chi sia, visto che è l’unica mezza sorpresa presente nel film.
La legge - non si sa perché - ci vede qualcosa di male, in questa relazione clandestina, e così caccia la Amurri in prigione. Per 30 anni! Oh, le leggi non sono mica come quelle italiane o come quelle inglesi del film La parte degli angeli. Negli USA si finisce dietro le sbarre per davvero.
Nel frattempo, lei è però rimasta incinta, e così Adam Sandler jr. a 13 anni si ritrova ad essere un teen dad. Il teen dad più celebre d’America, visto che questa storia di cronaca vera lo ha trasformato in una baby star.
Dopo questa intro parecchio spassosa, e che illude ci si possa trovare di fronte a una pellicola davvero divertente, il film torna al presente e ci mostra un Adam Sandler ex teen idol ormai caduto nel dimenticatoio e con il figlio che l’ha abbandonato e ha pure cambiato nome. Quando scoprirete che nome ha dato il tredicenne Adam Sandler jr. al figlio, capirete perché l’ha cambiato…

"Quella cacchiata di Gossip Girl non bastava?
Dovevate per forza chiamarmi pure a fare un film da Razzie?"
Nel presente, la vicenda si trasforma nella solita commedia famigliare barra demenziale barra romantica (grazie alla partecipazione della gossip girl Leighton Meester nel suo solito ruolo da stronza, adorabile stronza). Qualcuno lo troverò piuttosto volgarotto, anche perché la tematica principale del film è quella del sesso inappropriato: tra donne e bambini, tra uomini e vecchine, persino tra fratello e sorella (ma non è la nuova stagione di Dexter).
Per il resto, si finisce dalle parti della solita commediola americana che strappa qualche risata, qualche risatina va’, e nulla più. Peccato, perché la prima parte lasciava intendere qualcosa di più frizzante, invece il tutto si risolve nella solita adamsandlerata. Il che non è nemmeno troppo male, se come me siete tra gli estimatori moderati del comico americano. Nel suo essere così palesemente incapace a recitare, non ce la faccio a non volergli bene, al Sandler. Why?
Because that’s my boy.
L’unica cosa che invece odio sono i titolisti italiani, che hanno trasformato That’s My Boy in Indovina perché ti odio.
Indovinate un po’ perché li odio…
(voto 5/10)


domenica 31 ottobre 2010

Don't dream it. Be it

The Rocky Horror Picture Show
(USA, UK 1975)
Regia: Jim Sharman
Musiche di: Richard O’Brien
Cast: Tim Curry, Susan Sarandon, Barry Bostwick, Peter Hinwood, Richard O’Brien, Meat Loaf, Patricia Quinn, Nell Campbell, Jonathan Adams
Genere: rock musical
Links: IMDb, mymovies
Se ti piace guarda anche: Glee, Arancia Meccanica, Moulin Rouge, Grease

Non avevo mai visto il Rocky Horror Picture Show. Era sempre stato uno di quei super classici, super cult di cui senti parlare tanto ma che poi per qualche inspiegabile ragione tu ti sei sempre perso. Colpevolmente.
Poi arriva la puntata di Halloween della serie tv Glee e ti propone uno speciale dedicato proprio al Rocky Horror e allora decidi che finalmente è arrivato il momento di vederlo. The time is come.
Finalmente lo guardi e capisci perché dopo 35 anni se ne parla ancora: perché il Rocky Horror Picture Show è una figata!

Una coppia di neofidanzatini verginelli composta da un certo Barry Bostwick e da Susan Sarandon (che non credevo potesse essere così maledettamente sexy) in un giorno di pioggia incontrano Licia per caso… ehm, no, non incontrano Licia, bensì bucano una gomma e finiscono in un misterioso castello: l’umile dimora dell’eccentrico dottor Frank-N-Furter, uno scienziato travestito proveniente (non a caso) dalla Transilvania che ha appena creato una sorta di Frankenstein bello biondo e palestrato (Rocky Horror) soltanto per il suo puro piacere fisico.
I due fidanzatini finiscono quindi loro malgrado risucchiati dentro un vortice di lussuria e personaggi strambi che è una splendida metafora di come il conformismo sociale e il conservatorismo possa essere spazzato via da un po’ di sana trasgressione e di ricerca del piacere, il tutto a suon di canti e balli dal gusto glam rock 70s.

Il punto di forza di un musical come si deve però sono necessariamente le canzoni e diamine! quelle del Rocky Horror sono davvero fenomenali. In particolare il pezzo d’apertura “Science Fiction/Double Feature” è diventata subito una delle mie canzoni preferite di tutti i tempi. Un autentico capolavoro che sembra uscito da Ziggy Stardust.


Ma ci sono un’altra sequela di pezzi cui davvero le orecchie e i piedi non possono resistere, l’accattivante “Dammit Janet”, l’antemica “The Time Warp”, l’inno rocknrolla “Whatever happpened to Saturday night”, la Samantha Fox/Britney Spears ante-litteram “Toucha-toucha-toucha-touch me”.

Un film fondamentale per l’immaginario visivo, musicale e pop-culture dei decenni successivi. Certo, è una mia colpa non averlo visto prima. Però comunque è una cosa bella sapere di poter scoprire delle perle provenienti dal passato di cui ignoravi lo splendore.
Il film di Halloween ideale (vabbè, Donnie Darko a parte) per mettere da parte per un giorno la normalità e indossare una maschera di follia.
Don’t dream it. Be it.
(voto 8+)

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