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venerdì 25 luglio 2014

TRANSGENDERS 4 – L’ERA DELL’EVIRAZIONE





Transformers 4 – L’era dell’estinzione
(USA, Cina 2014)
Titolo originale: Transformers: Age of Extinction
Regia: Michael Bay
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Cast: Mark Wahlberg, Nicola Peltz, Jack Reynor, Stanley Tucci, Kelsey Grammer, Titus Welliver, T. J. Miller, Sophia Myles, Bingbing Li, Jessica Gomes
Genere: robotico
Se ti piace guarda anche: gli altri Transformers, Pacific Rim, Noah

La serie di Transformers a me fa lo stesso effetto di quanto possono fare dei mattonazzi russi stile La corazzata Potëmkin sulla gente normale. Tre ore di robot che parlano e combattono sarebbe “cinema d’intrattenimento”? Io non riesco a immaginare niente di più noioso.
Pensare che il primo tempo del primo film della serie mi era anche piaciucchiato abbastanza. Sarà che era ricco di umorismo e Shia LaBeouf sembrava il giovane cazzaro giusto al momento giusto. O sarà che c’era Megan Fox. Sì, sarà per quello. Fatto sta che già dal secondo tempo di quella pellicola, dominata da una lunghissima, estenuante, interminabile guerra tra robottoni giganti, la serie dimostrava di essere una cagata pazzesca. Impressione confermata dal pessimo sequel e ancora di più dal terzo allucinante episodio, in cui non c’era più manco la consolazione di vedere Megan Volpe. Tre ore, forse anche più, di robot che si danno delle mazzate e una trama che a me è sembrata del tutto incomprensibile. Altroché i film di Lynch o Malick o Aronofsky.
Anche perché va bene la sospensione dell’incredulità, ma come si fa a prendere sul serio dei robottoni giganti che discutono?
È la stessa cosa che si deve chiedere Barack Obama quando si ritrova a colloquio con il Premier italiano Matteo Renzi e questo si mette a parlargli così…



Barack Obama può prendere sul serio un uomo del genere per decidere le sorti del nostro mondo?
E io posso prendere sul serio un film con dei robottoni, o meglio dei veicoli alieni parlanti già passati di moda negli anni Ottanta, che vorrebbero decidere le sorti del nostro mondo?

"Basta, non siete reali. Le auto non possono parlare.
Voci, uscite dalla mia testa!"
Rispetto agli episodi precedenti, questa volta giunta al quarto appuntamento la saga si è transformata e propone delle grandissime novità…
No, non è cambiato il regista. Al timone c’è sempre Michael Bay. Purtroppo. A essere cambiato è il protagonista, non più il simpatico – oh, che volete? a me sta simpatico – Shia LaBeouf, bensì l’action hero preferito dal regista, Mark Wahlberg. Cambio della guardia anche per quanto riguarda la gnocca, in questo caso la teen-gnocca. A raccogliere il pesante testimone dell’insuperabile Megan Fox e della bella ma recitativamente irrilevante Rosie Huntington-Whiteley c’è questa volta la giovanissima Nicola Peltz. Può suonare un po’ gay dirlo, però Nicola è proprio affascinante.
La bionda scoperta dalla serie Bates Motel non è l’unico volto telefilmico ingaggiato dal Bay. Insieme a lei ci sono il funny T. J. Miller della nerd comedy Silicon Valley, in cui veste un identico ruolo da cazzaro combinaguai, e l’ottimo Kelsey Grammer ex protagonista di Boss, in cui aveva un identico ruolo da gran bastardo.
La parte con gli umani tutto sommato funziona. Il rapporto tra padre padrone, un inventore fallito come il papà nei Gremlins, e figlia che vorrebbe zoccoleggiare con il boyfriend ma non può è la parte migliore della pellicola. Ricorda le commedie con Adam Sandler, solo che qui c’è Mark Wahlberg in un similare ruolo da classico americano vecchio stampo. Ricorda poi soprattutto Armageddon, con il “triangolo” Bruce Willis/Liv Tyler/Ben Affleck che qui rivive attraverso i citati Mark Wahlberg e Nicola Peltz, più la novità Jack Reynor, che sarà anche un bel ragazzo, ma come attore è ancora tutto da verificare.

Michael Bay quindi clona se stesso, ma se non altro clona il se stesso migliore, quello di Armageddon. Le cose per quanto mi riguarda vanno peggio, molto peggio, quando entrano in scena tutti ‘sti robottoni inguardabili. Il problema di Transformers sono… i Transformers.
Lo so che il pubblico della saga è accorso in massa nei cinema a vedere proprio loro, però a me fanno pena. A stare a guardare questi camion che dialogano tra loro facendo i finti simpatici, sento che quei pochi neuroni che ancora abitano nel mio cervello mi fanno “Ciao ciao” con la manina.

La prima parte del film, quella più “umana”, è quasi quasi decente, almeno rispetto agli standard della saga, e fa diventare questo quarto capitolo il migliore dai tempi del primo episodio. Nella seconda parte come al solito si degenera in un’assurda guerra robotica tra Pessimus Prime con i suoi amichetti e tutti gli altri, con un sacco di esplosioni e inseguimenti senza fine. Va dato atto a Michael Bay di aver cercato di realizzare un film più intimista, per quanto gli è possibile con il suo tatto da elefante, e così le battaglie si sono fatte più rallentate. Il risultato è meno fracassone del solito, e questa è una buona notizia, ma a Michael Bay andrebbe comunque vietato l’uso del ralenty che tra l’altro, a ormai 15 anni dall’uscita del primo Matrix, è ormai stra-sorpassato.

"Chissà perché Cannibal Kid ci odia tanto?
Eppure siamo così simpatici e tenerosi!"
Per essere un film sui Transformers, questo L’era dell’estinzione non è nemmeno troppo male. Per essere considerato Cinema vero e proprio, la strada è invece molto lunga. Ridatemi allora i film di Lynch, Malick e Aronofsky. Anzi, di quest’ultimo magari no. Se qualche settimana fa mi avessero detto che l’ultimo di Darren Aronofsky sarebbe stato peggio del quarto capitolo di Transformers, avrei gridato alla bestemmia e invece… invece Transformers 4 è un pelino meglio di Noah. In entrambi i casi si tratta comunque di cinema cui è stata evirata una componente fondamentale: la credibilità. Credibilità, elemento che anche in un contesto fantasy può essere ben presente, si vedano Il signore degli anelli o Game of Thrones, sostituita da una serie di Gormiti, Transformers, Kaijū usciti da Pacific Rim e altri improponibili giganti vari. I protagonisti di un’era cinematografica cui auguro una rapida estinzione.
(voto 5-/10)

mercoledì 20 febbraio 2013

PROMISED LAND, UNA TERRA PROMESSA

"Frateeelli d'Italia, l'Itaalia s'è desta...
Hey, perché mi guardate tutti male? Ho sbagliato inno?"
Promised Land
(USA 2012)
Regia: Gus Van Sant
Sceneggiatura: John Krasinski, Matt Damon
Cast: Matt Damon, Frances McDormand, John Krasinski, Rosemarie DeWitt, Titus Welliver, Hal Holbrook, Scoot McNairy, Lucas Black
Genere: fracking
Se ti piace guarda anche: Erin Brockovich, L’uomo della pioggia, Di nuovo in gioco, Thank You For Smoking

Promised Land è un film sul fracking.
Nonostante suoni come qualcosa di sessuale, non è qualcosa di sessuale.
Il fracking è infatti la fratturazione idraulica utilizzata per sfruttare i giacimenti di gas naturale presente nel sottosuolo.

CROLLO DEI CONTATTI SU PENSIERI CANNIBALI


"So' Matt Damon ma giro ancora in pullman.
Vedete? Sono proprio come voi poveri comuni mortali sfigati."
Hey, ci siete ancora?
Mi rendo conto che non è proprio il tema più accattivante su cui costruire una pellicola e, sarà mica per questo?, il film negli USA si è rivelato un discreto flop e in Italia sta andando ancora peggio. Eppure Promised Land è una pellicola in grado di offrire spunti di riflessione e allo stesso tempo si rivela miracolosamente un intrattenimento di ottimo livello. Questo perché io sono il più grande appassionato di fracking d'Italia? Nient’affatto. In fondo, anche senza scavare fino a dove c’è il gas naturale, quello del fracking è solo lo spunto di partenza per altro, per riflettere sull’America, così come non solo sull’America. Riflettere sul potere dei soldi e sull’influenza che può avere sulla vita e sulle decisioni che prendiamo. Tutto ruota intorno al denaro. O no?
Ci sono persone che credono di poter comprare tutto, con il denaro. A voi chi viene in mente?
A me un certo imprenditore politico miliardario che crede di poter conquistare chiunque con i soldi, con le lettere e con le sue proposte shock.
Non tutto però e in vendita. Non tutti sono in vendita.

In Promised Land, la potentissima compagnia di estrazione di gas naturale Global spedisce in una cittadina che si trova proprio sopra a un prezioso giacimento di gas due suoi agenti. Il motivo? I due, Matt Damon + Frances McDormand, dovranno cercare di convincere la popolazione locale a vendere la loro terra per poter mettere gli impianti della Global.
A qualcuno, al solo sentire la possibilità di guadagni milionari, gli occhi faranno $ $


"Credo di parlare a nome di tutti i giovani dicendo che non voglio
che Marco Mengoni venga a cantare nella nostra cittadina!"
Qualcun altro invece, memore di Erin Brockovich, avanzerà qualche dubbio. Va bene i soldi, ma non è che ci sono dei seri rischi legati alla salute? Tumori, deformazioni, intossicazioni, morte?
Tra le due fazioni, pro e contro, si scatena quindi una dura battaglia, che sfocerà nelle elezioni comunali. E le elezioni, qualsiasi tipo di elezioni, sanno tirare fuori il peggio dalle persone. Lo sappiamo fin troppo bene.
Contro i rappresentanti della Global, arriverà a dar man forte al partito del no capeggiato dal nonnino sprint Hal Holbrook l’ambientalista John Krasinski.
Matt Damon e John Krasinski dunque rivali sullo schermo, mentre nella vita reale…
No. Cosa pensate? Non stanno insieme. Hanno però scritto a 4 mani la sceneggiatura del film, calibrando bene gli elementi. Da una parte la vicenda sociale, la causa ecologista, il tema della prepotenza delle multinazionali, l’impegno a lasciare un messaggio. Dall’altra gli elementi più hollywoodiani e di intrattenimento, come una buona dose di humour e pure una parte sentimentale.

"C'è una lettera di una fan per te...
Ah no, ho letto male: è per Matt Damon come tutte le altre."
Promised Land è un film che ha tutto, al suo interno. Profondità e leggerezza. Gente fighetta di città e campagnoli bifolchi di campagna. Buoni e cattivi. Dove i buoni non sono come appaiono e i cattivi non sono tanto cattivi.
“I’m not the bad guy.” “Non sono il cattivo,” dice Matt Damon. Dobbiamo credergli? Dobbiamo credere a un uomo che cerca di comprare il terreno e il favore delle persone locali con quello che chiama “fuck-you-money”, dove con l’espressione “fuck-you-money” si intende una cifra di soldi così schifosamente alta da poterti permettere di mandare a quel paese chiunque?
Dentro alla pellicola troviamo quindi sia il cinema commerciale che il cinema alternative, con il secondo ad avere la meglio, perché Promised Land è un film alternative americano. Alternative non vuol dire indie. I due termini possono sembrare simili, sono simili a dirla tutta, eppure c’è una differenza. Gus Van Sant fa cinema alternative da quando la parola indie non era ancora nata o almeno non era ancora cool pronunciarla. E questo è un film alternative, di quelli alla Steven Soderbergh.
Oltre che un film alternative, è un film molto americano, che mi ha ricordato per diversi aspetti Di nuovo in gioco, quello con Clint Eastwood, solo con il fracking al posto del baseball. Il tutto accompagnato dalle belle musiche di Danny Elfman, per una volta al servizio di un regista che non risponde al nome di Tim Burton, e impreziosito (?) persino da un momento “fordiano”, sulle note del Boss Bruce Springsteen, dalla cui canzone "Promised Land" questo film ruba il titolo. E io che pensavo si fossero ispirati a Eros Ramazzotti...

"Mi chiamano l'Uomo in Nero, piccola, vuoi scoprire perché?"
Una storia già vista, quella di Promised Land, eppure raccontata tremendamente bene. Una storia di quelle di cui non so voi, ma io sento il bisogno, oggi come oggi in cui tutti sembrano disposti a tutto per i soldi: uccidere, uccidersi, credere di nuovo alle promesse di un piazzista politico e alle sue lettere…
So già che qualcuno accuserà questo film di essere buonista e moralizzatore, e di avere un finale troppo leggero ed happy. Lo so già perché è accaduto di recente anche con Flight. E lo so già perché io sono uno di quelli che di solito quando non sa come attaccare un film, tira fuori le parole “buonista” o “Fabio Fazio” e se la cava alla grande. Però non fate i cattivi come me e non dite che questa è una pellicola buonista che mi metto a piangere come il vincitore di Sanremo Giovani
UEEEEEEEEE’ UEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE’
e poi vi querelo come Corona se scrivete che mi sono messo a piangere.

Riassumendo, Promised Land è un film sul fracking, un film ambientalista, un film alternative americano, ma anche un film su un’elezione, che casca a fagiolo da noi in questo momento e ci ricorda una lezione magari retorica, magari banale, ma sempre preziosa: non tutti sono in vendita e non tutti i voti possono essere comprati. Fuck you, money.
(voto 7,5/10)

Comunque Gus Van Sant, una richiesta: il prossimo film non è che lo fai sul fracking, ma senza la r?


Recensione pubblicata anche su The Movie Shelter.



“Siamo ragazzi di oggi
anime nella città
dentro i cinema vuoti
seduti in qualche bar
e camminiamo da soli
nella notte più scura
anche se il domani
ci fa un po’ paura
finché qualcosa cambierà
finché nessuno ci darà
una terra promessa
un mondo diverso
dove crescere i nostri pensieri
noi non ci fermeremo
non ci stancheremo di cercare
il nostro cammino.”
Eros Ramazzotti - “Terra promessa” -



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