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mercoledì 20 aprile 2016

Jane Got a Gun, e mò so' cazzi vostri!





Jane Got a Gun
(USA 2016)
Regia: Gavin O'Connor
Sceneggiatura: Brian Duffield, Anthony Tambakis, Joel Edgerton
Cast: Natalie Portman, Joel Edgerton, Noah Emmerich, Ewan McGregor, Boyd Holbrook, Rodrigo Santoro
Genere: western
Se ti piace guarda anche: Lawless, Il Grinta

Ci sono poche persone al mondo che mi possono convincere a vedere un film western, genere che bazzico poco e che amo ancora meno. Una è Quentin Tarantino, il mio regista preferito, che mi aveva esaltato parecchio con Django Unchained, per poi deludermi abbastanza con The Boring Hateful Eight. Ne ha girato uno, e va bene. Ne ha girato un secondo e lo si può accettare, però adesso basta con il vecchio West, caro il mio vecchio Quentin, se non vuoi diventare il mio ex regista preferito.
L'altra persona è Natalie Portman, la mia attrice preferita. Per lei mi sono visto persino tutti e due gli episodi di Thor, nonostante già solo la visione del primo mi avesse provocato un forte dolore fisico, quasi quanto una martellata di Thor sulle palle, sia detto proprio con eleganza.

venerdì 5 febbraio 2016

The Hateful Eight, la recensione odiosa





The Hateful Eight
(USA 2015)
Regia: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Cast: Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Tim Roth, Demián Bichir, Michael Madsen, Bruce Dern, Channing Tatum, Zoë Bell
Genere: tarantinato
Se ti piace guarda anche: Big Bad Wolves, Le iene, Django Unchained, Una vita al massimo


Quentin Tarantino
Cannibal, si può sapere perché diavolo ci hai radunati qua in questo posto sperduto in mezzo alla neve?
Qual è la tua intenzione?
Fare un'orgia?
Oppure vorrai mica farci fuori tutti?

martedì 21 ottobre 2014

UN MILIONE DI MODI PER RIDERE DEL WEST





Un milione di modi per morire nel West
(USA 2014)
Titolo originale: A Million Ways to Die in the West
Regia: Seth MacFarlane
Sceneggiatura: Seth MacFarlane, Alec Sulkin, Wellesley Wild
Cast: Seth MacFarlane, Charlize Theron, Amanda Seyfried, Liam Neeson, Giovanni Ribisi, Sarah Silverman, Neil Patrick Harris, Christopher Hagen
Genere: comedy western
Se ti piace guarda anche: Ritorno al futuro – Parte III, Django Unchained, Rango, Ted, I Griffin

Il West è stato un periodo davvero, davvero, davvero di merda. Lo penso io, ma lo pensa anche Seth MacFarlane. Perché mi si faccia digerire un film western occorrono allora dei grandi uomini. Il primo è stato Michael J. Fox alias Marty McFly in Ritorno al futuro – Parte III. Il capitolo inferiore della saga, però pur sempre un più che rispettabile sequel di un sequel. Il secondo è stato Quentin Tarantino, con quello che a oggi è il mio western preferito, ovvero Django Unchained. Il terzo è ora appunto il papà dei Griffin, Peter Griffi... pardon intendevo Seth MacFarlane. Se vogliamo ce n’è stato anche un quarto, Jim Jarmusch con il suo Dead Man, ma quello è un film talmente strambo e fuori da ogni genere che non mi sento neanche di classificarlo tra i western.

Seth MacFarlane attraverso la sua nuova opera Un milione di modi per morire nel West rappresenta bene il mio pensiero (cannibale) nei confronti di quel periodo storico. Tutti a lamentarsi che c’è crisi, che l’Italia è 'nammerda, che la vita di oggi è un disastro, ma non è vero. Vivere nel selvaggio West americano sì che era uno schifo. Oltre al fatto che il massimo del divertimento all’epoca era fare una scazzottata al saloon che, a meno che non ti chiami come il mio blogger rivale Mr. James Ford, non è proprio il top dei top, se arrivavi a 35 anni ancora vivo potevi considerarti molto fortunato. In quel periodo era infatti parecchio facile morire in qualunque momento e nella maniera più tragica e assurda immaginabile. Si può realizzare un film spassoso su un periodo tanto deprimente già per i bianchi, figuriamoci per indiani e neri?

Se non ti chiami Mr. James Ford bensì Seth MacFarlane, la risposta è sì. Il geniale creatore de I Griffin, American Dad! e The Cleveland Show torna al cinema con il suo secondo film da regista e sceneggiatore dopo l’esilarante Ted e ancora una volta non delude. Dico subito che non mi è piaciuto allo stesso modo del precedente, dopo tutto si tratta pur sempre di un comedy western, genere ibrido che ha generato porcherie assolute come Wild Wild West, però anche in questa occasione ho riso dal primo all’ultimo istante, o quasi.
Dal film non aspettatevi innovazioni o rivoluzioni. Lo stile MacFarlane è sempre lo stesso, tanto che in alcuni punti sembra di trovarsi dentro a una puntata dei Griffin con un'ambientazione da vecchio West e poi, così come Ted rileggeva a suo modo il genere romcom, lo stesso accade qui con il western. I punti di riferimento, più che i classici del genere, sembrano proprio i film che nominavo in apertura. Un pizzico di Django Unchained per il tocco post-moderno e l’ironia, e soprattutto Ritorno al futuro 3. Non a caso entrambe le pellicole sono citate esplicitamente in un paio di scene chicca di cui non vi svelo di più.

Il punto forte non sta comunque nella revisione del genere western, né in una trama che non si distingue certo per originalità. Così così anche la scelta del cast. Seth MacFarlane si è qui auto assegnato il primo ruolo da attore protagonista della sua carriera e, per essere un esordiente o quasi (prima era apparso giusto in L’acchiappadenti e Comic Movie), se la cava in maniera decente, senza però convincere del tutto. In certi momenti, più che recitare per il cinema sembra stia facendo uno dei suoi monologhi da cabarettista, come alla notte degli Oscar 2013. Charlize Theron poi, dopo avermi esaltato in Young Adult, è tornata a lasciarmi freddo. Splendida donna, eh, però troppo glaciale e non troppo adatta alla commedia.

"La vita nel West faceva cacare, ma se non altro i cappelli erano cool.
Soprattutto se indossati da me. Modestamente, eh."

Più azzeccati i personaggi negativi del film, con Amanda Seyfried e Neil Patrick Harris che riescono a essere perfettamente odiabili. Che sia un merito o un demerito?

"Cannibal voleva insultarci o farci un complimento?"
"Penso che moriremo senza scoprirlo."
"E qui nel West è una cosa che accadrà molto in fretta..."

Ancora più odioso è Liam Neeson, uno degli attori più detestati in assoluto qui dalle parti di Pensieri Cannibali. È stata allora un’autentica goduria vederlo smerdato in un paio di occasioni!

"Me la pagherai cara prima o poi, Cannibal the Kid!"

Molto simpatica invece la coppia formata da Giovanni Ribisi e dalla comica Sarah Silverman in versione prostituta, anche se il migliore in assoluto è il padre del personaggio di Seth MacFarlane interpretato dal cattivissimo Christopher Hagen.

"Non c'è nessun Cannibal qui.
Vattene via dalla mia proprietà, dannato Neeson!"

A mancare è però un personaggio mitico come il mitico orsetto Ted, o scene cult come quelle del precedente film macfarsesco. Non mancano invece le battute esilaranti e una piacevolezza di fondo in grado di farsi apprezzare anche da chi, come me o come il protagonista della pellicola, in mezzo alla polvere, alle sparatorie e alle scazzottate è a suo agio come un pesce fuor d’acqua. E allora abbasso il western e viva Seth MacFarlane!
(voto 6,5/10)

sabato 16 agosto 2014

HATFIELDS & MCCOYS, UNA DIAMINE DI SERIE COME QUELLE DI UNA VOLTA





"Non potrei apparire più vecchio americano incazzoso di così
manco se mi sforzassi..."
Hatfields & McCoys
(USA 2012, mini-serie in 3 episodi)
Rete americana: History Channel
Regia: Kevin Reynolds
Sceneggiatura: Ted Mann, Ronald Parker
Cast: Kevin Costner, Bill Paxton, Matt Barr, Lindsay Pulsipher, Jena Malone, Tom Berenger, Powers Boothe, Andrew Howard, Sarah Parish, Noel Fisher, Mare Winningham
Genere: stagionato
Se ti piace guarda anche: Copper, Deadwood, Balla coi lupi

Oh, meno male che fanno ancora dei programmi come Hatfields & McCoys. Finalmente una serie tv come quelle di una volta, di quelle che andavano quando io ero giovane, tanto, ma tanto, ma tanto tanto tanto tempo fa. A dirla tutta, quando io ero uno scapestrato giovincello non è che ci fosse la moda delle mini-serie come oggi, però c’erano i film. I film belli, non come quelli pieni di effetti speciali, esplosioni e rumori assordanti che i miei nipotini vanno a vedere tutti felici al multisala. Ma come fanno a credere che quello sia vero Cinema?
Hatfields & McCoys è “solo” una serie tv, ma ha la qualità di una pellicola cinematografica, anzi, di tre pellicole cinematografiche, tante sono le puntatone che propone. Qui dentro ho sentito di nuovo il profumo dei film come li facevano nel passato e come ora hanno smesso di girare del tutto, o quasi del tutto. La mia memoria oramai sarà anche in difficoltà, ma non faccio molta fatica a ricordare le pellicole davvero degne di nota degli ultimi tempi. Sarà che sono davvero poche. Mi viene in mente giusto Il grinta dei fratelli Coen, che non a caso era il remake di un vecchio film con il mio idolo John Wayne, e poi la mia memoria deve filare indietro fino agli anni Novanta. A Balla coi lupi. Quella sì che era una diamine di pellicola come la intendo io! Aveva solo un piccolo difetto: durava giusto quelle 3 ore di troppo.

Non mi sembra allora un caso che il protagonista di Hatfields & McCoys sia proprio lui, il regista e interprete di quel film, Kevin Costner. Un attore fuori dal tempo, uno old school proprio come me, e che per la performance in questa mini-serie si è portato a casa un, a mio parere meritatissimo, Emmy Award. Non è stato l’unico, poiché Hatfields & McCoys di Emmy se n’è portati a casa ben cinque, e non è finita qui, perché negli Stati Uniti ha fatto sfracelli di ascolti ed è diventata una delle serie più seguite nell’intera storia della tv via cavo americana. Da noi purtroppo è passata più sotto silenzio, prima su Rete 4 e poi su Mediaset Premium, ma era inevitabile. Questa è infatti una serie che puzza di America profonda, di western. La sua storia parte al termine della Guerra di Secessione, quando William Hatfield (l’ottimo Costner) e Randall McCoy (un quasi altrettanto valido Bill Paxton) combattono fianco a fianco. Terminata la guerra, le loro posizioni si faranno però sempre più distanti e coinvolgeranno anche tutte le loro famiglie, che si troveranno dentro una rivalità di stampo shakespeariano, stile Montecchi e Capuleti. A questo punto volete che manchi una storia d’amore? Certo che no e così c’è anche il tormentato rapporto tra il figlio di Hatfield e la figlia di McCoy, una vicenda d'amore adolescenziale che sembra uscita da una serie della The CW, così sono contenti pure i miei nipotini come quel Cannibal Kid che di solito gestisce 'sta roba chiamata blog e in cui oggi io sono ospite d'eccezione.


Tra conflitti famigliari, personaggi duri e puri di quelli che così non li fanno più, valide musiche country-folk, intrecci storici e uno spazio per le questioni sentimentali, non mi pare manchi davvero niente a una mini-serie d’altri tempi come Hatfields & McCoys. A dirla tutta, veramente qualcosa manca. Mancano gli effettacci speciali dei film che tanto piacciono ai miei nipotini. Peggio per loro, e che diamine!
Cannibal Old
(voto 6+/10)

mercoledì 29 maggio 2013

DJACCA UNCHAINED


Questo post partecipa all’iniziativa DJANGO WANTS YOU realizzata per l’imperdibile uscita in DVD e Blu-ray di uno dei grandi cult movie dell’anno: Django Unchained di Quentin Tarantino.

Cosa ci potete trovare dentro, oltre allo splendido film?
Ecco i contenuti extra...

DVD
- In ricordo di J. Michael Riva
- La scenografia di Django Unchained
- 20 anni di cinema: la collezione Blu-rayTM Tarantino XX
- La colonna sonora

Blu-ray
- Cavalli e gli stunt
- I costumi di Sharen Davis
- In ricordo di J. Michael Riva - La scenografia di Django Unchained
- 20 anni di cinema: la collezione Blu-rayTM Tarantino XX
- La colonna sonora

Un'uscita quindi davvero da non perdere!
Ma non è finita qui. Per l’occasione, ho anche scritto un raccontino western. Cannibal Kid che si dà al western?
Solo Tarantino può compiere un miracolo del genere. Ecco a voi Djacca Unchained.

DJACCA UNCHAINED
Il sole splendeva alto in cielo. Era quasi mezzogiorno. Un tipico mezzogiorno di fuoco. Stavo per avere il mio primo scontro faccia a faccia, o meglio pistola a pistola e me la stavo facendo nei pantaloni. Non per la paura. Non avevo certo paura di quel codardo di James Ford, il mio eterno rivale. Semplicemente, mi scappava la cacca. Non avrei dovuto mangiare tutti quei fagioli alla scorreggiona. Che mi credevo? Di avere il fisico di Bud Spencer? Per fortuna no, non avevo il fisico alla Bud Spencer. Ero più smilzo alla Clint Eastwood. Il caro vecchio Clint, come soleva dire il caro vecchio Sergio Leone, aveva solo due espressioni: una col cappello e una senza. Io, a differenza sua, potevo vantarne ben tre: una quando ero felice, una quando ero triste e poi la terza. Quella che avevo in quel momento. Quella di chi sta sudando freddo perché se la sta per fare nei pantaloni.
Provate a immaginare la scena. Ero lì, in piedi, con una giacca verde come quella che indossa Jamie Foxx in Django Unchained. Una giacca da figo spaziale. No, ho sbagliato, non da figo spaziale. Da figo western. Tutte le donnine del bordello erano scese in strada, oppure attendevano la sfida guardando dalle loro finestre e io ero completamente sudato. Marcio. In qualche modo, mi reggevo ancora in piedi e tenevo la mano sulla fondina, in attesa di estrarre la pistola e sparare a James Ford. Tra noi c’era sempre stata un’accesa rivalità, non ricordo nemmeno bene perché. Forse perché nel West devi avere per forza un nemico, altrimenti non sei nessuno, e noi ci siamo scelti a vicenda.
Da buon burlone quale ero, quale ancora sono, il giorno precedente gli avevo tirato uno scherzetto dei miei, magari giusto un po’ più pesante del solito. Gli avevo sparso della colla su tutta la sella del suo cavallo. Cavallo era una parola grossa. Sembrava più un mini pony. Lui si era seduto sopra come se nulla fosse, aveva fatto i suoi giretti di ricognizione per il colpo che stava preparando e poi, proprio quando si apprestava ad assalire la carovana di un ricco signorotto che stava arrivando in città, si è reso conto di non potersi staccare dalla sella. Il signorotto, accortosi del suo maldestro tentativo, l’ha deriso pubblicamente. James Ford ha subito capito che si trattava di uno dei miei scherzetti. Alcune ore dopo, una volta riuscito a staccare le chiappe dalla sella grazie all’aiuto della sua gang che gli ha gettato addosso dell’acqua calda tra le risate generali, così almeno mi immagino la scena, è venuto a cercarmi e mi ha sfidato a singolar tenzone. Il solito re dei melodrammi. Avremmo potuto sbrigarcela con una gara di bevute al saloon del paese ma no, per lui è sempre tutta una questione di vita o di morte. Io non è che avessi molta voglia né di uccidere, né di essere ucciso, però non mi restava altra scelta. Dovevo battermi, ne andava del mio onore. Non che avessi chissà quale onore da difendere, ma non mi andava di essere deriso a vita da Ford e dalla sua gang. Meglio morire, piuttosto.

E così eccoci lì. Un minuto a mezzogiorno. Uno stereotipato mezzogiorno di fuoco nel West. Faccia a faccia, pistola a pistola e io me la stavo facendo sotto. Non avrei mai dovuto mangiare tutti quei fagioli alla scorreggiona per pranzo. Non mi sarei potuto fare una leggera insalatina salutista? Se non altro, se quello doveva essere il mio ultimo pranzo, sarebbe stato un ottimo ultimo pranzo. Come potete immaginare, visto che state leggendo le mie parole, quello non è stato il mio ultimo pranzo e io sono ancora vivo. Anche il mio rivale James Ford è ancora vivo. Com’è possibile?
Quando le lancette sono passate dalle 11:59 alle 12 in punto, io e Ford ci siamo guardati negli occhi. Io ho messo mano veloce alla fondina, ma il mal di pancia era troppo forte e mi sono paralizzato. Ford di solito era più lento di me, ma evidentemente a pranzo si era tenuto più leggero e così ha estratto la pistola dalla sua fondina prima di quanto sono riuscito a fare io e ha sparato. Ha sparato e mi ha colpito in pieno petto. Sono morto.

Per qualche minuto, tutti hanno creduto che fossi morto. Anche Ford, che se ne è andato via in trionfo con la sua gang. Ora che non aveva più un rivale, era arrivato il momento per lui di andare altrove e cercarsene un altro. È così che va, nel vecchio West. Io però non ero morto. Dopo alcuni minuti in cui sono rimasto svenuto per lo shock, quando ormai la strada si era svuotata e non erano rimasti più nemmeno i vecchietti curiosi, quelli che non hanno niente di meglio da fare se non guardare i lavori in corso o uno scontro tra pistoleri, sono rinvenuto. Mi sono portato la mano al petto. Il proiettile si era conficcato nella finta stellina da sceriffo che tenevo vicino al cuore nella tasca interna della giacca. La mia giacca mi aveva salvato la vita!
Una donnina del bordello che guardava dalla finestra si è accorta che ero ancora vivo e mi ha portato nella sua stanza per medicarmi. Una volta ripreso, mi ha proposto di fare all’amore in cambio di 100 dollari. “100 dollari, e che mi vuoi ammazzare tu?” le ho detto, prima di proseguire: “Anche se ce li avessi, non ho tempo per questo adesso. Ho una vendetta da compiere, donna.”
L’ho lasciata lì, sono andato finalmente a fare la cacca ed è stata un’enorme liberazione. Salito in sella al mio fido cavallo, sono andato alla ricerca del mio nemico Ford. Percorsa qualche miglia, giunta ormai sera, ho visto gli amichetti di Ford bivaccare fuori dal saloon del paese più vicino al nostro. Una volta usciti, sono andati a nanna nella pensione lì accanto. Ho aspettato fino a che in tutto l’edificio non volava una mosca, a parte il pesante russare di Ford.
Ora mi trovo alla sua porta, mano sulla fondina, pistola carica e per cena ho mangiato giusto un’insalatina leggera. Questa volta, niente potrà più fermarmi.
Bang.

lunedì 21 gennaio 2013

DJANGO UNCHAINED MY HEART

Django Unchained
(USA 2012)
Regia: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Cast: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Kerry Washington, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Walton Goggins, James Remar, Nichole Galicia, Don Johnson, Franco Nero, Russ Tamblyn, Amber Tamblyn, Jonah Hill, Zoe Bell, Bruce Dern, M.C. Gainey, Michael Bowen, Quentin Tarantino
Genere: western tarantinato
Se ti piace guarda anche: Django, Gli spietati, Lo chiamavano Trinità, Il buono, il brutto, il cattivo, Bastardi senza gloria

Il bello di Quentin Tarantino è che da una parte sai già cosa aspettarti, da ogni suo nuovo film, e dall’altra sa sempre stupirti. Sorprenderti come il Puffo Burlone con i suoi pacchi esplosivi. Sai già che ti scoppieranno in faccia, ma non puoi fare a meno di aprirli.
Quentin Tarantino può citare, rubare se vogliamo, idee e scene da altri film, dalla Storia, dai cartoni, dai fumetti, ma non imita nessuno. Una pellicola di Tarantino è una pellicola di Tarantino. Ha un suo stile personale, unico. Quando vedi un suo film, sai che è un suo film. Questo però non significa che il Quentin ripeta sempre la stessa pellicola. Tutt’altro. Quentin applica il suo stile a generi e a storie diverse, ultimamente anche a Storie diverse, evolvendosi e cambiando. Se vogliamo, provando persino a maturare. Cosa che continua a non riuscirgli del tutto e ciò è un bene. Tarantino resta sempre un bambinone. Un eterno fanciullo che ha mantenuto intatto il potere di stupirsi e di stupirci ancora e ancora e ancora e ancora.
Django Unchained è probabilmente il suo film più maturo. Allo stesso tempo, è comunque un film cazzaro, spassoso, folle, splatter e divertentissimo. Quentin insomma è come Peter Pan. Un Peter Pan imbastardito. Non crescerà mai. E Dio lo benedica per questo.

Da dove partire, per parlare di un film come Django Unchained?
Non lo, sono emozionato. Davvero. Porcalaputtenabasterda. L’ha fatto di nuovo. It’s Quentin, bitch. Oops, he did it again. Perché sto citando Britney Spears?
Non lo so. Sono andato nel pallone, ecco perché. Mi emoziono io, a dover scrivere di un Mito come Quentin. Mi trasformo in un fan scatenato allo stato terminale.
QUENTIN? DOV’ È? DOV’ È? AAAAAAH! VOGLIO IL SUO AUTOGRAFO!!!

Ricomponiti, Cannibal.
Ricomponiti.

"Ma tu lo conosci quel blogger, Cannibal Kid?"
"Vuoi dire Cannibal Kiiiii? La D è muta."
Dunque. Django Unchained, dicevamo.
Django Unchained è una disamina profonda e acuta sul razzismo che attanagliava l’America Bianca alla vigilia della Guerra di Secessione. Un omaggio al cinema western, allo spaghetti-western in particolare e più ancora nel particolare al Django di Sergio Corbucci con Franco Nero, qui presente in un simpatico cameo. Un film fiume su due (anti) eroi molto particolari per il genere: un tedesco ya e un nero yo. Per quanto poco io me ne possa intendere di cinema western, ed è davvero ma davvero poco, non i due tipici protagonisti di un film western.
Nella seconda pellicola della sua “trilogia storica”, Quentin Tarantino continua a riscrivere la Storia a suo piacimento. Dopo i nazisti di Inglourious Basterds, la sua ultraviolenza prende di mira gli schiavisti e il Ku Klux Klan. Quentin è un Robin Hood che uccide i ricchi per dare ai poveri. Ai poveri intesi come le vittime della Storia.
La Storia vera è andata così?
No, purtroppo no. Ma questo è Cinema, non è Storia. Qualcuno vada a spiegarlo a Steven Spielberg, autore di un Lincoln impeccabile in quanto a lezione di Storia, decisamente più carente in quanto a invenzione cinematografica. Diciamo che se fossero prof. del liceo, Spielberg sarebbe il saccentone di ruolo che sei costretto ad ascoltare in silenzio se no ti sbatte una nota sul diario, mentre Tarantino sarebbe il prof. cazzaro supplente che arriva in classe, fa un paio di lezioni che ti cambiano la vita e ti fanno credere che la scuola sia davvero una cosa utile e poi viene cacciato dall'istituto per aver fatto sesso con una studentessa e sniffato coca nei cessi.
Del proffone Spielberg ci sarà comunque tempo di parlarne, quando? A suo tempo. Non facciamoci prendere dalla foga. Cerchiamo di mantenerci lucidi e non divagare in troppe digressioni. Proprio come fa Tarantino in questo suo ultimo lavoro. Qualche flashback c’è, ma è molto più contenuto rispetto al suo passato. Tarantino è uno che ci sguazza, in flashback e deviazioni di percorso inconsuete, però qui sembra essersi quasi imposto di non eccedere e di provare a seguire un percorso più lineare. Django Unchained è il suo film più lineare. Cosa che non significa assolutamente sia privo di fantasia, come da qualcuno ipotizzato. La sfida anzi è stata quella di provare a domare il suo genio dirompente e schizofrenico. Senza imbrigliarlo. Soltanto, cercando di disciplinarlo maggiormente. Il genio di Tarantino resta sempre un puledro libero di scorazzare dove vuole. Non si è trasformato in un noioso war horse, tranquilli.

Quentin ha allora provato a raccontare questa volta una storia più lineare, diretta, meno ingarbugliata. Ha ricercato la classicità. Quello che ne è uscito, come al solito, è la sua versione della classicità e questo è un western, sì lo è, ma è la sua versione del western.
Cosa che tradotta significa: piacere godurioso. Piacere godurioso allo stato puro. Anche per chi come me al solo sentire la parola western comincia già a sudare freddo.
Questa volta, Quentin ha tenuto giusto qualche flashback, non troppo numerosi, e ha rinunciato alla struttura a capitoli esibita in Kill Bill e Bastardi senza gloria. Tara però è pur sempre Tara, non si smentisce mai, e quindi pure qui possiamo comunque intravedere delle divisioni piuttosto nette tra le parti del film.

"Sì, mi ha consigliato Prince di vestirmi così, problemi?"
La prima parte è di presentazione ai due protagonisti principali, i Bud Spencer e Terence Hill della situazione, che poi con Bud & Terence non è che abbiano molto a che vedere. Il cruccone è Christoph Waltz, magistrale, gigionissimo, grandioso. Il black cowboy è Jamie Foxx, meno sopra le righe rispetto agli altri attori del cast ma di nuovo in gran spolvero come in Collateral, la pellicola che l’aveva rivelato, e in Ray, la pellicola che gli aveva permesso di vincere il premio Oscar. Da allora la sua parabola era caduta pericolosamente nella fase calante e anche i suoi tentativi di carriera in ambito musicale come cantante R&B, per quanto dignitosi, non sono riusciti più a portarlo a quei livelli. Fino all’arrivo del solito Tarantino, in grado in passato di resuscitare carriere ben più moribonde della sua e a cui questo Django non potrà che fare bene. All’inizio, Tarantino per il ruolo da protagonista voleva Will Smith, ma (per fortuna) a causa di un cachet superiore a quello di Nicole Minetti per una serata in disco non se n’è fatto nulla. Meglio così.
Se uno parlando di presentazione dei protagonisti può pensare a una scena introduttiva di pochi minuti, non ha fatto i conti con la megalomania di Tarantino. La sua è una presentazione con i controcazzi che va avanti all’incirca per un’oretta buona. Bisogna introdurli bene e quindi ci vuole il tempo che ci vuole.
Una delle qualità che ammiro di più di Quentin, oltre alla sua capacità/facilità di creare dialoghi stellari, è che ama i suoi personaggi. Non li butta lì dentro al film a caso. Non li getta in mezzo a una strada come cuccioli spaventati. Lui li ama, i suoi cazzo di personaggi. È anche per questo che gli attori quando lavorano con lui danno sempre il massimo, perché si trovano con dei character che dietro hanno una storia, un contesto, una vita anche all’infuori della pellicola.
"Ci usa come schiavi personali, ma non è razzista come dicono."
Quentin (fuori campo): "ALLORA, ARRIVA QUEL CAZZO DI VINO?"
Dopo una serie di eroine donne, Quentin questa volta è tornato al passato. A quando ai tempi de Le iene era accusato di maschilismo, teoria poi ampiamente demolita a colpi di pistola da Jackie Brown, di sciabola dalla Sposa di Kill Bill, a cazzotti dalla girl band di Grindhouse - A prova di morte e con il fuoco da Shosanna di Bastardi senza gloria. Forse un giorno vorrò smontare anche le accuse di maschilismo rivolte a un altro regista geniale come Lars Von Trier ma, visto che potrebbe risultare un’impresa parecchio impegnativa, per il momento preferisco tornare a occuparmi di Quentin.
In Django Unchained, ci regala allora una lunga intro in cui impariamo anche noi ad amare questi personaggi come fa il regista. C’è spazio inoltre per una scena siparietto esilarante sul Ku Klux Clan, in cui viene utilizzato il Dies irae di Verdi e compare persino Jonah Hill. Un momento comico esilarante, così come allo stesso tempo un’altra grande rivincita e sberleffo del regista contro la Storia e contro ogni razzismo. Alla faccia di chi (non faccio nomi: Spike Lee) ha il coraggio di accusarlo di essere razzista.

"Non è vero che il business delle sigarette elettroniche è destinato
a passare presto di moda. A me piacciono tantissimo!"
Dopo di ché, il film entra nella sua seconda fase. Quella della missione vera e propria. L’apprendista cacciatore di taglie Django, ormai diventato killer spietato, con l’aiuto del suo compare Dr. Schultz vuole riscattare la moglie Broomhilda (che nomi fantastici che ci regala ogni volta il Tara!), ridotta a schiava (sessuale) presso Candyland, la dimora di Calvin Candie, un riccone che si diverte a far combattere gli schiavi di colore. Nella parte di Broomhilda troviamo l’affascinante Kerry Washington, attualmente anche protagonista della serie tv Scandal, protagonista dei momenti più romantici e anche visionari del film, mentre in quella di Calvin troviamo un Leonardo DiCaprio in una delle sue migliori interpretazioni da un po’ di tempo a questa parte. Era forse dalla sua immedesimazione totale nell'Howard Hughes di The Aviator che non vedevo Leo così determinato e convinto, lasciato dal Tarantino a briglia sciolta e dunque in grado di poter osare come non gli capitava da parecchio.
Menzione d’onore va poi a un grandissimo Samuel L. Jackson, attore che da’ il suo meglio con Tarantino e che qui non so perché mi ha ricordato un personaggio dei Boondocks, il cartone che andava in onda qualche anno fa su Mtv.


La storia si evolve quindi in una maniera che non vi sto a raccontare, ma che ci regala nuove scene, battute, momenti mitici, qualche sequenza splatter, una delle morti più esilaranti nella storia del Cinema e molto altro. Nella parte finale Tarantino conferma inoltre, oltre a un talento da dialoghista che non ha eguali, di essere diventato un maestro, il Maestro assoluto nella costruzione della tensione. Come già avvenuto in Bastardi senza gloria. La parte a Candyland, che a qualcuno potrebbe sembrare lenta, è lenta. Tarantino infatti vuole rallentare i ritmi, per preparare così al meglio il crescendo finale, super violento e tarantiniano, ma pure più sentimentale del solito, anche se già con la conclusione materna di Kill Bill ci aveva mostrato il suo lato inaspettatamente cuccioloso e tenerone.
Dentro questo Django Unchained c’è poi davvero tanta ma tanta di altra roba buona, così tanta che è da vedere e basta. Vedere per Credere (nel senso religioso del termine) in Dio Quentin.

"Certo che c'è davvero una bella taglia su quel Fabrizio Corona latitante..."
Vogliamo tirare fuori un paio di note negative, che se no poi mi si accusa di essere troppo di parte, cosa che con Tarantino sono assolutamente? E allora le dico: Quentin compare qui pure come attore e conferma che quello non è il mestiere che gli riesce meglio. No. Inoltre, la canzone realizzata per l’occasione da Ennio Morricone non è certo neanche lontanamente tra le migliori composizione del Maestro italiano e la voce di Elisa…
Uff! Davvero c’è Elisa che canta in un film di Tarantino?
Perché?
Peeeeeeeeeeeeeerché???
Quando l’avevo sentita all’interno della colonna sonora, prima della visione, la loro “Ancora qui” mi aveva fatto una pessima impressione, ma inserita all’interno del contesto del film ci può stare ancora (qui). Poteri miracolosi di Tarantino. Anche se il pezzo rimane probabilmente il peggiore mai usato in una sua soundtrack, è riuscito a farlo suonare in maniera decente.
"Aaah, la tauromachia!"
Fortuna che il resto della colonna sonora è come al solito oltre ogni livello di coollaggine, con le atmosfere western vecchio stampo del mitico tema di Django di Luis Bacalov che si accompagnano in maniera naturale a nuovi pezzi hip-hop e R&B firmati per l’occasione da Anthony Hamilton, John Legend, Rick Ross e altri (peccato per l’assenza di Frank Ocean, che aveva scritto una ballatona apposta per il film ma che alla fine non è stata utilizzata).
I brani black e rap si adattano alla perfezione al cinema di Tarantino, forse il regista più hip-hop in circolazione. Come un dj, Quentin “ruba” e campiona generi e idee dal passato, rielaborandoli in una maniera del tutto personale e facendoli suonare come nuovi. Come un MC, poi, Quentin riempie i suoi film di parole, con una serie di dialoghi infuocati, ricchi di citazioni, riferimenti e naturalmente un linguaggio “parental advisory explicit content”, proprio come i testi rap.

Non va dimenticata comunque anche la bellissima “I Got a Name” di Jim Croce, usata in uno dei momenti più riflessivi del film. Perché sì, il nuovo Tarantino è anche riflessivo. Ci parla di schiavitù nella maniera più vera e meno accademica possibile e ci regala un western che è molto di più e di altro rispetto a un western.
È più maturo, come dicevamo in apertura, ma non è troppo maturo. Perché alla fine Tarantino Unchained cambia ma rimane sempre lo stesso: il buon vecchio figlio di buona donna scatenato che conoscevamo, amavamo e ameremo per sempre.
(voto 9/10)

Post pubblicato anche su L'OraBlù, con tanto di nuova locandina firmata C(h)erotto.



giovedì 7 giugno 2012

Tarantino Unchained

Django Unchained, il nuovo film western di Sergio Leone Quentin Tarantino con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio e Franco Nero.

lunedì 21 febbraio 2011

Non è un paese per Coen

Il Grinta
(USA 2010)
Titolo originale: True Grit
Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Cast: Hailee Steinfield, Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper, Domhnall Gleeson, Elizabeth Marvel
Genere: western
Se ti piace guarda anche: Il grinta (1969), Non è un paese per vecchi, Un gelido inverno - Winter's Bone
Attualmente nelle sale italiane

Trama semiseria
A una ragazzina di 14 anni hanno ucciso il padre e così lei, invece di andare a caccia di autografi di Billy the Kid (il Justin Bieber del Fast West), cerca di andare a pescare personalmente l’assassino. Non per ucciderlo tarantinianamente con le sue mani, ma per consegnarlo alla giustizia e farlo quindi uccidere dalla legge. Nonostante già di suo sia piuttosto cazzuta come 14enne poco bimbominkia, per poterlo fare ha però bisogno di una mano da parte di uno che abbia “vera grinta” e chi meglio di Jeff Bridges con tanto di parlata “southern"? Ce la farà allora la nostra giovane eroina a portarlo in tribunale o il criminale si farà una legge ad personam per evitare di andare a processo ed essere incastrato dalle solite storie inventate da una minorenne?

Recensione cannibale
Non si può certo dire che il western sia il mio genere, né tantomeno che i Coen Brothers siano tra i miei registi prediletti, quindi la mia percezione di questo film può risultare drasticamente differente da chi invece ha il poster dei due registi appeso in camera o da chi mastica western da lunga data (io personalmente l’unico West che conosco è Kanye).
Riguardo ai Coen il problema è che fondamentalmente non li capisco. Non parlo di capire a un livello superficiale la trama. Parlo di riuscire a entrare davvero nel cuore della loro opera che film dopo film compone un mosaico unico, per alcuni molto affascinante ma per me impenetrabile. C’è chi non riesce a entrare nel cinema di Lynch, o in quello di Tarantino, io non ci riesco con i Coen. Sarà una questione culturale, i loro film sono infatti pieni di riferimenti biblici (vedi la citazione in apertura del film) che entrano in un orecchio e mi escono dall’altro e il loro umorismo mi arriva (come quando la bambinetta commercia col tizio molto più anziano di lei), mi sfiora, mi può far sorridere ma non mi fa esclamare: “Geniale!” come alle battute di Tarantino o dei Misfits. Sarà una questione generazionale, visto che da Il grande Lebowski allo sconclusionato A Serious Man le loro pellicole sono innervate di un forte spirito hippie anni Sessanta che rispetto ma che non fa parte del mio DNA, frutto di una mutazione genetica post-yuppie ormai privata di qualsiasi valore. Sarà una questione cinematografica, visto che il loro è un modo di girare dal respiro molto classicheggiante, dalla puzza di vecchia America, da vecchio western che in questo film i due Coen hanno infine potuto esplorare esplicitamente e non sotto mentite spoglie, come successo in Non è un paese per vecchi. Sarà che i Coen sono bravini, ma non fanno per me. Un po’ come i White Stripes: si sono separati? Amen, vivo bene lo stesso.
Saranno tutte queste cose messe insieme.

Fatte tali premesse più o meno doverose, ho comunque trovato Il Grinta una pellicola piuttosto buona. La storia è raccontata quasi con i toni della favola western, più chiara e semplice rispetto alla gran parte dei film coeniani che mi sia capitato di vedere. Sì, i riferimenti alla Bibbia ci sono sempre (e daje) e la trama se vogliamo è un filo ruffiana, cosa che spiega l’enorme successo commerciale della pellicola negli Usa, in grado a sorpresa di far tornare in auge un genere che ha probabilmente avuto la sua ultima hit con l’ormai lontano Balla coi lupi (mio obiettivo giudizio personale: che menata di film!). Però in questo western c’è una grande rivelazione.

La giovane protagonista interpretata dalla sorprendente Hailee Steinfield è irresistibile nel suo essere una 14enne matura e spavalda in grado di mercanteggiare con grande astuzia insieme a persone molte più anziane di lei e persino di reggere testa a uno come Il grinta. Se nell’originale costui era John Wayne, nel remake/non-proprio-remake coeniano è per forza di cose il Drugo e ormai anche premio Oscar Jeff Bridges. La sua parlata del Sud è spettacolare e il film merita per questo di essere visto in inglese, anche perché non ho idea di come possa essere stata resa in italiano. Forse si saranno inventati qualche stratagemma assurdo tipo una parlata del Sud Italia con doppiaggio di Aldo Baglio, chissà?
Piuttosto assurda la scelta dell’Academy di nominare la Steinfield tra le non protagoniste e Jeff Bridges tra i protagonisti, visto che il personaggio principale del film è la ragazzina, però i meccanismi degli Oscar sono difficili da comprendere quasi quanto le votazioni di Sanremo, quindi meglio non farsi troppe domande al proposito.
Alla insolita coppia si unisce poi in questa caccia al criminale anche lo sceriffo repubblicano Matt Damon con tanto di capello leccato, non inguardabile come il Javier Bardem di Non è un paese per vecchi, ma certo che i Coen devono voler parecchio del male ai loro attori glamour per conciarli così.
Il grinta, la bambinetta molto adulta e lo sceriffo leccato cercano così di mettersi sulle tracce dell’assassino del padre della bambina, fino a che lo trovano ed è… non ve lo dico, però è un altro attore coeniano, per me il migliore del lotto.

La prima parte de Il Grinta è davvero molto accattivante, anche per gli anti-western come me, mentre la conclusione scivola tra una serie di duelli e di colponi di scena prevedibili, fino al più classico dei finali coeniani che può voler dir tutto, ma che (come già in A Serious Man o Non è un paese per vecchi) per me finisce solo a dire che il mondo è una sequenza casuale di fatti senza alcun senso e abbiamo praticamente buttato due ore a seguire una (bella) storia per niente.
Il tempo ci sfugge e a volte anche il senso delle cose.
(voto 6,5 ma aggiungete un punto se siete fan dei Coen e un altro se amate i western)

Scena cult: Jeff Bridges fa volare giù dalle scale un bambino con un calcio, senza alcuna ragione

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