“Mariastella Gelmini?
Prrrrrrrrrrrrr”
“Ma volete crescere, ragazzi? Cosa volete dimostrare con tutta questa messinscena dell’occupazione?”
“Aaaah Zanotto, ma vedi di pigliarlo ogni tanto che così te rilassi pure te.”
“Qui c’è gente che vuole studiare, vuole seguire le lezioni. È un nostro diritto e voi ce lo state togliendo.”
“Ed è un nostro diritto manifestare, occupare, protestare perché questa società capitalista ci sta mettendo all’angolo. Di noi giovani qui in Italia non frega una sega a nessuno. È per questo che stiamo protestando. Rivendichiamo il nostro futuro. Il diritto ad averne uno, almeno.”
“Sì, ma questa riforma riguarda solo le scuole elementari. Voi che ce state a fà, qui? Volete fare i Silvio Muccino della situazione e scoparvi la tipa ska punk che guevara no global yeah yeah che si beve le vostre menate pseudo chic rivoluzionarie?”
“Siamo qui per fare l’amore, non la guerra.”
“Questo non è il ’68, lo sapete? E Dari non è Bob Dylan…”
“Aò, Zanotto: ma fatte scopà!”
La giornalista Giorgia A. Romero sta scrivendo un’inchiesta sui giovani d’oggi e su ciò che pensano della riforma scolastica per un noto quotidiano nazionale. Si aggira in incognito tra i corridoi del liceo romano che pochi anni fa era stato il suo per davvero, non per finta come in questo
Mai stata baciata de' noantri.
Ci sono dei ragazzi che si azzuffano all’ingresso. Qualcuno vuole entrare perché non capisce i motivi della protesta. Qualcuno vuole restare fuori perché non capisce i motivi che hanno portato a una riforma di questo tipo. In un angolo se ne sta seduta tutta sola una ragazza con i capelli viola. È lei che cattura l’attenzione della giornalista Romero. La pecora nera. L’emarginata. L’indipendente. Quella che potrebbe darle uno sguardo personale e non schierato riguardo a tutta questa storia dell’occupazione. Inoltre in lei rivede se stessa ai tempi del liceo: sui gradini intenta a scrivere, a guardare il mondo da una distanza di sicurezza, con i capelli tinti di rosso anziché di viola ma con la stessa identica solitudine.
“Ciao,” le si avvicina.
“E tu perché parli con me?” le chiede la ragazza con i capelli viola.
“Sono nuova.”
“In mezzo a tutta questa gente tu hai scelto di parlare con me, perché?”
“Perché te ne stai fuori dalla massa e sembra che non te ne freghi niente di schierarti da una parte o dall’altra. Sei qui ma sembra che tu sia da un’altra parte.”
“Io sono da un’altra parte,” sorride la ragazza con i capelli viola.
Alcuni ragazzi all’ingresso cominciano a urlare. Giorgia li sta a guardare per un po’, poi si rigira a chiedere alla sua nuova amica: “Allora, che ne pensi tu di questa occupazione?” ma la ragazza non c’è più. Sparita.
A Giorgia non resta che tornare, suo malgrado, ai ragazzi che non stanno parlando: si stanno gridando in faccia.
“È tutta colpa di Berlusconi.”
“No! La colpa è di Prodi. È lui che c’ha messo sta fregnata dell’Euro.”
“Voi non lo capite che non è una questione di sinistra o di destra. Si scannano per la vigilanza della Rai o per la legge elettorale, ma a noi di queste cose non ce ne frega un… Qua ce stanno a fotte tutti quanti.”
“A novembre, la città si fotte in un istante,” comincia a cantare qualcuno.
“È colpa del Vaticano.”
“È colpa di una vera mancanza di libertà di informazione.”
“È colpa tua, Zanotto. Non te fai scopà…”
“Il problema è che in Italia il vero talento non viene riconosciuto. Uno come Barack Obama qui non lo farebbero diventare nemmeno presidente del circolo della briscola.”
“Il vero problema, vi dico, è che in Italia milioni di persone se ne stanno a guardare 4 ore di fila della Talpa. 4 ore! Però se provi a fargli vedere
2001: Odissea nello spazio ti dicono “è troppo lungo, che du palle!” e poi chiedono: “Quelle scimmie che cosa mi rappresentano?” Siete voi, quelle scimmie. Siete proprio voi!”
“Ma il problema principale è che in Italia ci stiamo sempre a lamentare, invece di rimboccarci le mani e fare qualcosa di buono per cambiare questo catatonico stato delle cose.”
“Noi siamo qui per cambiarle, le cose. Come è successo due anni fa in Francia.”
“You say you want a revolution, well you know: we all want to change the world,” c’è qualcuno che se la canta.
“Però tutte le volte dobbiamo copiare qualche modello straniero. Non riusciamo a trovare una via nostra.”
“Perché non ci danno la possibilità di trovare una via nostra. Noi non siamo quelli del ’68. Quelli del ’68 dopo pace amore droghe e sesso libero si sono innamorati dei soldi e sono diventati quelli che ci governano oggi. Noi non vogliamo diventare come i nostri genitori.”
Giorgia vede ricomparire la ragazza dai capelli viola.
“Hey, ma dov'eri finita?” le chiede.
“Te l’ho detto. Io non sono realmente qui. Tu come riesci a vedermi?”
“Ti ho notata subito. Questi ragazzi sono terribilmente confusi, tu invece mi sembri una con le idee chiare. Qual è la soluzione, secondo te?”
“L’unica via d’uscita è smettere di combattere. E arrendersi.”
Arriva la polizia con i manganelli e comincia a caricare i ragazzi che se ne stanno fuori a urlare i loro slogan con cori da stadio. Nella confusione, Giorgia perde un’altra volta di vista la ragazza con i capelli viola.
“Celerino pezzo di merda!” urla un coro.
“Che cos’hai detto? Ripetilo se hai le palle.”
“Mestiere di merda: carabiniere!” parte un altro coro.
La tensione sta per esplodere. Giorgia si allontana dalla calca e vede alcune ragazze con in mano un giornale, il giornale per cui lei scrive.
“Hey, la conoscevi tu questa?” le chiede una delle ragazze, mostrandole una foto sotto a un titoletto che strilla: “Liceale romana si impicca.” È la ragazza con i capelli viola. L’articolo spiega che la studentessa prima di uccidersi ha lasciato un messaggio d’addio su youtube in cui dice: “L’unica via d’uscita è smettere di combattere. E arrendersi. Tanto le cose non cambieranno mai.”
Giorgia alza gli occhi dal giornale e guarda da lontano gli studenti che continuano a inveire contro i poliziotti, che a loro volta minacciano di caricare. Sembra una scena di guerra. Tutto è così lontano eppure così vicino.
Giorgia mette su le cuffie dell’iPod.
Across the universe dei Beatles, dice il display. Mentre partono le note della canzone, vede la Zanotto che smette di urlare i suoi giudizi assoluti e comincia a limonare pesante con il tizio che più di ogni altro l’aveva caricata. Vede i poliziotti lanciare per aria i manganelli come fossero bastoni da majorette e prendere a ballare con i manifestanti. È un’orgia di colori, una festa di sapori, un tripudio di emozioni. Vede la ragazza con i capelli viola passeggiare in mezzo a celerini e studenti danzanti. Le sorride e canta: “Nothing’s gonna change my world. Niente cambierà il mio mondo.”